CAPITOLO III - IL PROCESSO EVOLUTIVO DELLE POLITICHE MIGRATORIE EUROPEE
16.2 L’eccezione di trattamento speciale in materia di libera circolazione e di accesso al mercato
Nel caso Gül464 la Corte aveva affermato il diritto alla libertà di soggiorno, all’accesso al lavoro e alla formazione professionale dei familiari extracomunitari del cittadino comunitario, a titolo derivato, ricostruendo anche un profilo oggettivo della portata del diritto di residenza, il quale in taluni casi non viene meno se il lavoratore congiunto lascia lo Stato membro ove il diritto è venuto in essere.
Il regolamento CEE 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, conferisce ai familiari del lavoratore cittadino di uno Stato membro, occupato in altro Stato membro, il diritto di stabilirsi con lui, qualunque sia la loro cittadinanzaxxxviii. Il regolamento riconosce un diritto non enunciato dal Trattato CE di natura funzionale rispetto alla libera circolazione dei lavoratori465. Il diritto al
ricongiungimento con i familiari è altresì previsto dalle tre direttive466 sul soggiorno, adottate dal Consiglio sulla base giuridica dell’art. 308 del trattato CE467, norma che si richiama alle teoria dei “poteri impliciti”, prevista per evitare stasi dell’attività
comunitaria dovute a lacune dei trattati, allorché un’azione sia <<…necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti…>>.
462 La Convenzione europea sullo stato giuridico del lavoratore migrante, adottata a Strasburgo il 29 nov. 1977, dopo che verrà ratificata e resa esecutiva dagli Stati membri (in Italia l’ordine di esecuzione è del 1995) potrà garantire, tra gli altri, anche il diritto al
ricongiungimento familiare, e a quel punto diventerà automaticamente diritto comunitario sulla base del rinvio operato dall’art. 6 del trattato CE, in base al quale i diritti fondamentali che risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri sono riconosciuti come principi fondamentali dell’ordinamento comunitario.
463 G.Bascherini, op.citata
464 caso Gul, sent.7 maggio 86, causa 131/85, Racc., p.1573
465 A.Adinolfi, La libertà di circolazione dei lavoratori, in Diritto dell’Unione europea, a cura di G.Strozzi, Torino
466 Le tre Direttive del Consiglio sono: 90/364/CEE relativa al diritto di soggiorno; 90/365/CEE relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non, che hanno cessato l’attività; 90/366/CEE sostituita poi dalla Direttiva 93/96, relativa al diritto di soggiorno degli studenti. La base giuridica di tali direttive fu la norma del trattato CE che si richiama alle teoria dei “poteri impliciti”, prevista per evitare stasi dell’attività comunitaria dovute a lacune dei trattati, considerando che tale azione era <<…necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti…>> Vedi Fausto Pocar, 2002, Diritto dell’Unione e delle Comunità europee, Milano, Giuffrè, p. 150; Adelina Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone, in Girolamo Strozzi (a cura di), Diritto dell’Unione europea, vol 2 parte speciale, Torino, Giappichelli, p.70
467 Trattato istitutivo della Comunità europea, Parte VI, Disposizioni generali e finali, Articolo 308:
Quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso.
Il riconoscimento di tale diritto non mira ad estendere il novero dei beneficiari della libera circolazione agli extracomunitari bensì a facilitare la circolazione dei lavoratori cittadini europei garantendo loro il diritto al rispetto della vita familiare.
La Corte ritiene468 che tale diritto del familiare extracomunitario dipenda, sotto il profilo della durata, da quello attribuito al lavoratore cittadino europeo. Tuttavia nella causa Knoors469 la Corte ritenne che il diritto spetti al lavoratore comunitario anche dopo che abbia fatto ritorno nello Stato membro di origine; ciò diventa rilevante quando la normativa sul ricongiungimento, valida nello Stato di origine, sia meno favorevole di quella comunitaria. Il principio secondo il quale il lavoratore cittadino di uno Stato membro può fare valere entro lo Stato di origine, in cui abbia fatto ritorno, i diritti di libera circolazione di cui abbia usufruito svolgendo la propria attività
lavorativa in altro Stato membro, è stato affermato dalla Corte in altre sentenze470, con la motivazione che il cittadino potrebbe essere dissuaso dal lasciare il proprio paese <<se non potesse fruire, allorché ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza, di agevolazioni … almeno equivalenti a quelle di cui può disporre in forza del trattato CEE o del diritto derivato nel territorio di un altro Stato membro>>471. La Corte ha affermato472 che se i cittadini di Stati membri che hanno il diritto di circolare
liberamente in altri Stati membri, non potessero avvalersi dei diritti di libera
circolazione nel loro Stato d’origine, tale diritto non potrebbe produrre appieno il suo effetto. In tema di ricongiungimento familiare risulterebbe una “discriminazione al contrario”473allorquando il lavoratore, che abbia maturato tale diritto in altro Stato membro, possa farsi raggiungere dai propri familiari extracomunitari, sulla base del diritto comunitario, anche contro la normativa nazionale, mentre il cittadino che non abbia mai svolto attività lavorativa in altro Stato membro non potrebbe usufruire del trattamento più favorevole derivante dal diritto alla libera circolazione dei lavoratori. Tuttavia la Corte di Giustizia nella sentenza Steen II474 ha ritenuto che le
discriminazioni a rovescio derivano dal disallineamento del diritto nazionale con quello comunitario; la Corte infatti sostiene che nulla impedisce al giudice nazionale di
disapplicare la normativa interna, qualora essa comporti la violazione del principio di uguaglianza ponendo i propri cittadini in posizione di svantaggio rispetto agli altri cittadini comunitari in situazioni uguali, ed applicare le disposizioni comunitarie che attribuiscono quei particolari benefici non previsti dalla legge nazionale.
Riguardo all’ingresso la direttiva 68/360 richiede agli Stati membri di agevolare
l’ottenimento del visto per il familiare extracomunitario: in via generale ciò implica che dovrebbero essere stabiliti dei requisiti più favorevoli di quelli previsti rispetto
all’ingresso di cittadini di uno Stato terzo, poiché l’ingresso del familiare è funzionale
468 caso Diatta, sent. 13 febbr. 1985, causa 267/83, Raccolta 567
469 caso Knoors, sent 7 febbr. 1979, causa 115/78, Raccolta 399
470 caso Terhoeve, sent.26 gen. 1999, causa C-18/95, Raccolta I-374; caso Steen, sent.28 gen 1992, causa 332/90, Raccolta I-341; caso Saunders, sent. 28 marzi 1979, causa 175/78, Raccolta I-1129; caso Moser, sent. 28 giu 1984, , causa 60/91, Raccolta 2539; caso Morais, sent. 19 marzo 1992, causa 60/91, Raccolta I-2085; caso Kraus, sent.31 marzo 1993, causa C-19/92, Raccolta I-1663; caso Bosman, sent.15 dic. 1995, causa 415/93, Raccolta I-4921; Uecker cause riunite, sent.5 giu. 1997, causa C-64 e 65/96 Raccolta 3182.
471 caso Singh, sent. 7 luglio 1992, causa C-370/90 Raccolta I-4265
472 caso Wijseenbeeck, sent. 21 settembre 1999, causa C-378/97
473 G.Gaja, Introduzione al diritto comunitario, p. 80,81; A.Adinolfi, La libertà di circolazione dei lavoratori, in Diritto dell’Unione europea, a cura di G.Strozzi, Torino, p.100
al diritto di libera circolazione del lavoratore, diritto fondamentale garantito dal trattato. Qualora il lavoratore lasci lo Stato nel quale è occupato, di regola anche i familiari dovranno abbandonarlo, salvo che non abbiano acquisito un titolo di soggiorno autonomo in base alla normativa “di conversione” dello Stato ospitante. Tuttavia la Corte ha affermato il diritto dei figli del lavoratore comunitario di continuare a
soggiornare nello Stato dove il genitore prestava la sua attività, ed è da ritenere che tale diritto valga anche qualora i figli siano cittadini di paesi terzi475.
Il diritto comunitario al ricongiungimento familiare ha una rilevanza in materia di politiche comunitarie del lavoro degli immigrati di paesi terzi per l’effetto congiunto degli art. 7xxxix e 11xl del regolamento 1612/68. Il primo dispone la parità di trattamento del lavoratore comunitario migrante, rispetto ai lavoratori dello Stato membro in cui risiede; il secondo dispone il diritto di accesso al lavoro, nello Stato membro di residenza, del coniuge e dei figli minori del lavoratore comunitario migrante.
Anzitutto ai membri della famiglia del lavoratore è assicurata la parità di trattamento rispetto ai nazionali, sulla base del principio di non discriminazione per nazionalità stabilito dall’art. 12 del trattato CE, anche quando i familiari siano extracomunitari. La Corte di Giustizia ha infatti interpretato476 l’art.7 par.2 del regolamento 1612/68
affermando che il trattamento dei familiari rientra nei vantaggi sociali del lavoratore cittadino europeo rispetto ai quali opera il principio di non discriminazione: <<il principio della parità di trattamento stabilito dall’art. 7 del regolamento 1612/68 nei confronti dei lavoratori cittadini di uno Stato membro e indirettamente dei loro familiari si applica indipendentemente dalla cittadinanza dei familiari stessi>>. L’art.11 del Regolamento 1612/68 disponendo che il coniuge e i figli a carico del lavoratore europeo migrante (anche extracomunitari ammessi al ricongiungimento familiare secondo il giudizio della Corte di Giustizia), hanno diritto di accedere al
mercato del lavoro subordinato nello Stato ove risiedono (anche se sono cittadini di uno Stato terzo), non precisa però se l’accesso “a qualsiasi attività subordinata” debba
avvenire in condizioni di eguaglianza rispetto ai lavoratori di quello Stato, come
prevede il trattato per i cittadini di altri Stati membri. Tuttavia nella citata sentenza Gül, la Corte di Giustizia ha affermato che il trattamento non discriminatorio del coniuge extracomunitario del lavoratore comunitario è connesso ai diritti di libera circolazione di quest’ultimo e che pertanto il diritto ad esercitare un’attività lavorativa deve poter essere esercitato nello stesso modo in cui il lavoratore titolare esercita tale diritto; ciò implica il diritto ad esercitare anche attività sottoposte a regimi di autorizzazione amministrativa e a specifiche norme professionali (nella fattispecie concreta, la professione di medico).
Dunque, la giurisprudenza della Corte equipara pienamente il diritto di accesso al lavoro del familiare cittadino di uno Stato terzo, al diritto del lavoratore da cui egli dipende.
L’art. 12 del regolamento 1612/88477 e la direttiva promozionale 77/486 del 6 agosto 1977, prevedono inoltre il diritto all’istruzione e alla formazione professionale dei figli
475 A.Adinolfi, op. citata
476 caso Deak, sent 20 giu. 1985, causa 98/84, Raccolta 1881; caso Lebon, sent.18 giu. 1987, causa 316/85, Raccolta 2811
477 Reg. 1612/68, Articolo 12
del lavoratore migrante, indipendentemente dalla cittadinanza. La Corte ha interpretato in maniera estensiva tali norme478 dichiarando che la parità di trattamento riguarda tutti i tipi di scuola e università ed ogni vantaggio sociale collegato ad esse, compresa la formazione in altro Stato membro, poiché la finalità delle norme richiede condizioni ottimali di integrazione della famiglia del lavoratore europeo migrante nello Stato membro ospitante, e solo nel rispetto della dignità la circolazione del lavoratore è veramente libera. Riguardo al requisito della residenza, la Corte ha affermato479 che se una normativa nazionale non subordina la concessione di una borsa di studio a favore dei figli di lavoratori nazionali alla circostanza che il figlio risieda nello Stato, tale requisito non può essere imposto neppure ai figli di lavoratori cittadini di altri Stati membri. Ciò comporta una equiparazione dei lavoratori transfrontalieri, che di norma risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede la famiglia, con quelli dello Stato di residenza e implica anche la non discriminazione del figlio cittadino di uno Stato terzo.
17 La politica dell’immigrazione e i controlli alle frontiere
La politica comunitaria dell’immigrazione e la libera circolazione delle persone sono due argomenti strettamente correlati nel diritto comunitario. Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha significativamente aggiunto all’art.3, dopo la lettera c) che enuncia le quattro libertà fondamentali che caratterizzano il mercato interno fra le quali quella di circolazione delle persone, la lettera d), dove si prevede che, per raggiungere i fini propri, l’azione comunitaria comporta << misure relative all’entrata e alla circolazione delle persone come previsto dal titolo IV°>>”, con il quale titolo viene introdotta la materia migratoria nel diritto comunitario.
La creazione di una politica comune sulla materia migratoria è la condizione necessaria per risolvere il problema della libera circolazione all’interno dell’Unione.
Infatti libera circolazione significa specialmente assenza di controlli sistematici e ciò implica l’inscindibilità, entro i confini comunitari, di cittadini e stranieri.
Finché le politiche d’ingresso degli extracomunitari erano nazionali, non era possibile attuare completamente la libera circolazione delle persone entro la comunità, poiché ad una diversità di interessi economici interni corrispondeva una pluralità di criteri stabiliti per l’ingresso degli extracomunitari; tale pluralità di criteri d’ingresso confliggeva con le ragioni di comune interesse degli Stati, maturate in tempi relativamente recenti ed in stadi successivi, corrispondenti alla creazione di un mercato europeo (trattato istitutivo della CEE, Roma, 1950) comune e poi di un mercato interno (Atto unico europeo del 1986 e trattato di Maastricht del 1992). La Comunità europea era originariamente ispirata ad una logica prettamente economica in cui la libertà di circolazione era intesa come realizzazione della libertà di circolazione dei fattori produttivi, e tra questi vi era
i corsi d'insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono.
Gli Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a questi giovani di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni.
478 caso Casagrande, sent. 3 lugl. 1974, causa 9/74, raccolta 773; caso Michel, sent. 11 apr. 1973, causa 76/72, Raccolta 457; caso Echternach e Moritz, sent. 15 marzo 1989, cause riunite 389 e 390/87, Raccolta 756; caso Carmina di Leo, sent. 13 nov. 1990, causa 308/89, Raccolta 4185
479 caso Meeusen, sent 8 giu. 1999, causa C- 337/97; caso Kermascheck, sent. 23 nov. 1976, causa 40/76, Raccolta 1669; caso Taghavì, sent. 8 luglio 1992, causa C-243/91, Raccolta 4401; caso Schmid, sent. 27 mar. 1993, causa 310/91, Raccolta 3011
la manodopera, sul presupposto che da tale libertà sarebbe derivata la migliore
allocazione delle risorse e in definitiva il progresso economico ed il miglioramento del tenore di vita480. Di conseguenza il diritto all’ingresso e al soggiorno in Stati membri diversi da quello di appartenenza era originariamente riconosciuto solo in quanto costituiva un presupposto indispensabile per l’esercizio di un’attività lavorativa, secondo un’interpretazione restrittiva del Trattato. Il concetto venne poi ampliato, in primo luogo ad opera della Corte di Giustizia che interpretò estensivamente il campo di applicazione della libertà di circolazione delle persone generalizzandolo anche ai
fruitori di servizi481, ed in seguito, le tre direttive del Consiglio del 90 lo estesero ai pensionati, agli studenti e ai cittadini degli Stati membri che non fossero beneficiari ad altro nome del diritto di libera circolazione482.
La libera circolazione delle persone era fin dall’origine uno dei presupposti necessari per la realizzazione degli obbiettivi di sviluppo enunciati dall’art.2 del trattato CE. Infatti ai sensi dell’art.3 del trattato Istitutivo, l’azione comunitaria comporta un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone. Il mercato interno è stato realizzato pienamente con il trattato di
Maastricht e con l’introduzione della moneta unica in quasi tutti i paesi membri; tuttavia, quanto alla libera circolazione delle persone, continuano a sussistere ostacoli di ordine formale riguardanti l’individuazione dei beneficiari del diritto all’ingresso e al soggiorno. Tale esigenza comporta la permanenza formale dei controlli, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne; le premesse comunitarie per l’eliminazione definitiva di tali controlli formali sulle persone, sono state poste solo con il Trattato di Amsterdam che, al titolo IV° <<Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone>>, conferisce alla Comunità nel settore delle politiche migratorie le competenze ad adottare varie “misure”, finalizzate ad assicurare che entro cinque anni non vi siano controlli sulle persone all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne483.
Le misure derivanti dalle disposizioni del titolo IV° riguardanti l’abolizione dei
controlli sulle persone alle frontiere interne, anche marittime ed aeree, sono dirette sia ai cittadini dell’Unione europea che dei paesi terzi; invece le misure che regoleranno i regimi d’ingresso e di soggiorno dall’esterno riguarderanno i soli cittadini di paesi terzi.
Per i cittadini europei, il regime generale di libera circolazione attraverso le frontiere intracomunitarie, è posto dall’art. 18 del trattato CExli, dalle disposizioni del trattato sulla circolazione dei lavoratori (artt. 39 – 42 del trattato CExlii) e da varie norme
480 Art.2, 3 e art.136 trattato CE; in particolare l’art. 136 indica che il miglioramento delle condizioni di vita risulterà dal funzionamento del mercato comune, dalle procedure previste dal trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative.
481 Caso Luisi e Carbone, 31 gen 84, cause riunite 286/82 e 26/83, Raccolta 377; Caso Cowan, 2 feb 89, causa 186/87, Raccolta, 195
482 Le tre Direttive del Consiglio sono: 90/364/CEE relativa al diritto di soggiorno; 90/365/CEE relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non, che hanno cessato l’attività; 90/366/CEE sostituita poi dalla Direttiva 93/96, relativa al diritto di soggiorno degli studenti. La base giuridica di tali direttive fu la norma del trattato CE che si richiama alle teoria dei “poteri impliciti”, prevista per evitare stasi dell’attività comunitaria dovute a lacune dei trattati, considerando che tale azione era <<…necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti…>> Vedi Fausto Pocar, 2002, Diritto dell’Unione e delle Comunità europee, Milano, Giuffrè, p. 150; Adelina Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone, in Girolamo Strozzi (a cura di), Diritto dell’Unione europea, vol 2 parte speciale, Torino, Giappichelli, p.70
derivate. Quanto ai beneficiari del diritto alla libera circolazione, originariamente l’art.14 par.2 del trattato utilizzava il termine “persone” che andava ragionevolmente riferito ai soli lavoratori cittadini di Stati membri poiché poi le disposizioni volte a realizzare tale diritto si trovano nel titolo III, “Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali”, che si riferisce ai lavoratori degli Stati membri, anche se il termine “persone” non precludeva un’interpretazione più estensiva diretta a
comprendere anche i cittadini di Stati terzi484. Tuttavia i beneficiari della libertà di circolazione sono individuati dal Trattato CE nei cittadini degli Stati membri, lavoratori dipendenti o autonomi, questi ultimi caratterizzati dalle due libertà di diritto di
stabilimento e prestazione dei servizi485. Anche se la giurisprudenza della Corte di Giustizia e, più tardi, le tre direttive del Consiglio portarono nel ‘90 ad estendere a tutti i cittadini la libera circolazione e ad ampliare la ristretta concezione economica che caratterizzava in origine tale libertà, permane la condizione che il cittadino comunitario per soggiornare in uno Stato ospitante deve essere munito di un’assicurazione che copra i rischi di malattia e deve disporre di risorse sufficienti tali da evitare che egli divenga un peso per tale Stato486; condizioni che la Corte di Giustizia ritiene però non vincolanti per l’ingresso487, né può essere richiesto ai cittadini interessati “di fornire la prova del loro diritto a soggiornare”.
La libertà di circolazione ha trovato ulteriore generalizzazione nelle disposizioni sulla cittadinanza dell’Unione introdotta dal Trattato di Maastricht nel ‘92.
Anche se la libertà di circolazione costituisce la prima e più evidente attribuzione di diritto derivante dalla cittadinanza dell’Unione, l’art.18 par.1 trattato CE fa “salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”. I limiti all’ingresso e al soggiorno cui si fa riferimento sono quelli dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanità pubblica.
Sia il tribunale di I° grado che la Corte di Giustizia hanno confermato che l’art. 18 non consente l’ingresso in uno Stato membro senza controlli formali “finché non siano state adottate disposizioni comuni relative ai controlli alle frontiere esterne della Comunità” cosicché il cittadino europeo deve comprovare tale sua condizione per esercitare i diritti di libera circolazione488.
D’altra parte l’art. 18 comporta che i limiti alla libera circolazione dei cittadini
dell’Unione vengano interpretati più restrittivamente489 ed anche l’orientamento della