CAPITOLO I - I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI, IL DIRITTO E IL MERCATO
7.2 L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’economia europea
L’impatto del cambiamento demografico sull’occupazione e sulla crescita economica comunitaria è stato frequentemente oggetto di dibattito170. Le statistiche indicano un decremento di popolazione in età lavorativa, un effetto della riduzione dei tassi di fertilità registrata a partire dalla metà degli anni Settanta, cui si accompagna l’aumento degli ultra 65enni.
La rappresentazione fatta da Eurostat per il gruppo EU-25 dimostra che, a parità dei livelli attuali di immigrazione171, l’invecchiamento demografico porterà la popolazione
in età lavorativa da 303 milioni, a 297 milioni nel 2020, e 280 milioni nel 2030172. Mentre attualmente nell’UE ad ogni pensionato corrispondono mediamente tre lavoratori, nel 2040 ci sarà un pensionato ogni lavoratore e mezzo. La proiezione mostra che il numero di ultra 80enni nel gruppo EU-25 raggiungerà circa i 30 milioni nel 2030.
168 H. Brückner, "Can international Migration Solve the Problems of European Labour Markets?", Istituto tedesco di ricerche economiche, aprile 2002, p. 34.
169 J. Coppel e altri (2002), ibid.
170 Si vedano per esempio la relazione congiunta della Commissione e del Consiglio “Accrescere il tasso di attività e prolungare la vita attiva” e le relazioni sulla situazione sociale nell’Unione europea per il 2002 e, rispettivamente, 2003.
171 L’attuale scenario di riferimento di Eurostat prevede, per il gruppo EU-15, un flusso annuale netto di migranti in ingresso piuttosto basso, ovvero intorno a 630.000 individui, equivalenti a un aumento netto della popolazione in età lavorativa di circa 450.000 persone.
172 Su tali presupposti (le proiezioni di lungo termine per l’Unione non tengono conto di alcune evoluzioni di lungo periodo, come l’eventuale ingresso nell’Unione della Turchia), il numero di ultra 65enni passerà da 71 milioni nel 2000 a 93 milioni nel 2020, fino ai 110 milioni del 2003, portando con ciò il tasso di dipendenza degli anziani dal 23 al 40 per cento (si vedano le Figure 6 e 7 delle statistiche), portando il rapporto lavoratori / ultra65enni dal 2,7 del 2010, al 2,2 nel 2020, 1,8 nel 2030 e 1,5 nel 2040; se il tasso di occupazione superasse l’obiettivo di Lisbona crescendo fino al 75% tra il 2010 e il 2020, il calo nel rapporto sopra indicato sarebbe meno marcato, arrivando a 2,4 nel 2020.
Il significato di questa evoluzione demografica, rapportato con i livelli occupazionali, può essere così illustrato (vedi la figura che segue): supposto che nel 2010 si raggiunga l’obiettivo di Lisbona di raggiungere il tasso di occupazione del 70% della popolazione attiva; supposto che il tasso di occupazione rimanga in seguito costante; nell’ipotesi che i flussi migratori non aumentino significativamente, il decremento generale di
popolazione in età lavorativa farà calare progressivamente i livelli di occupazione dopo il 2010 generando, fino al 2030, una diminuzione del numero di occupati di 13 milioni di lavoratori per l’attuale Unione europea, di 20 milioni di lavoratori per il gruppo EU-25. La cosa non cambia significativamente anche se si superassero i livelli
occupazionali del 70 previsti dal Consiglio di Lisbona. Il calo dell’occupazione non può essere invertito neppure da un aumento del tasso di fertilità dato che i nuovi nati raggiungerebbero l’età lavorativa dopo 20 anni.
Scenario dei futuri livelli di occupazione (EU-25, periodo 2000-2030) Numero totale di occupati (in milioni)
assumendo un tasso costante di occupazione del 70 % a partire dal 2010 e fino al 2030
oiché la crescita economica è il prodotto di livello occupazionale e produttività, il calo artire 180 190 200 210 220 230 240 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 Num er o di o ccupat i
EU25: crescita del tasso di occupazione (70% nel 2010)
P
di occupati comporta un contributo negativo all’economia, che andrebbe compensato con la crescita della produttività (misurata dalla crescita del PIL misurato in anni successivi)173, per mantenere il livello di crescita economica costante. Nell’UE a p
173 Cantarelli Davide, 1996, Lezioni di Economia Politica, 3° Ed. CEDAM Padova: il prodotto interno lordo, PIL, è un indice (Y) della Contabilità dello Stato; …<<è la somma di tutte le remunerazioni percepite dai fattori di produzione per le loro prestazioni nel periodo>>, al lordo degli ammortamenti dei costi di capitale e beni fissi.
Poiché il PIL equivale al reddito nazionale prodotto nell'arco dell'anno da tutti i soggetti economici, persone e società, residenti entro il territorio dello Stato, comprende anche il reddito prodotto dal lavoro degli stranieri residenti nel periodo.
_Si rappresenta concettualmente come la Sommatoria dei ricavi meno i costi eventualmente sottratta dei ricavi già conteggiati dai soggetti dai quali lo stesso bene ha già ricevuto un valore aggiunto: Y ≡ ∑ (pi xqi-ci) – (pi-1 x qi-1)
facendo cioè attenzione agli errori di duplicazione che si possono fare se non si tiene conto dei redditi già conteggiati in precedenza (mentre il costo iniziale va sottratto una sola volta). La Somma contiene cioè i soli valori aggiunti alla materia prima, nelle varie fasi di lavorazione, in ogni settore produttivo di beni o servizi (che corrisponde alla Somma dei guadagni di persone e società in ogni stadio di lavorazione, per ogni settore produttivo di beni o servizi).
_La misura pratica del PIL si ottiene dai dati fiscali (dichiarazioni dei redditi), sommando: Consumi delle famiglie e collettivi (Cf+Cc), + Investimenti netti (In), + Ammortamenti (D) + Esportazioni(X), ± Scorte(∆A), - Importazioni (-M).
Y ≡ Cf + Cc + In + D + X ± ∆A - M
I dati numerici contabili sono deducibili con esattezza dalle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche e d’Impresa, presentati per il periodo in esame. In conclusione, la somma dei dati fiscali dell’anno in esame è identicamente uguale alla somma di quanto è stato
dal 1990, il PIL cresce mediamente del 2,5 per cento. Per mantenere costante la crescita economica, poiché il livello di occupazione passa a 196 milioni (se il tasso occupazione rimane del 70%) con un decremento netto del 7%, allora la crescita del PIL dovrebbe passare al 2,8-3 % fino al 2030.
In altre parole le statistiche confermano che la produttività dovrebbe aumentare significativamente per compensare il minor numero di lavoratori.
La possibilità che la produttività cresca fino al 3% risulta difficile, poiché l’analisi storica della produttività del lavoro nell’UE-15, mostra che il PIL è cresciuto del 4,5 per cento negli anni 60, del 2,5 per cento negli anni 70 e del 2 per cento negli anni 80, per poi calare fino a stabilizzarsi intorno all’1,2 per cento.
Bisogna poi tenere conto che la stessa forza lavoro attiva invecchia e ciò ha un impatto negativo sulla produttività.
Certo, l’introduzione di nuove tecnologie consente economie di manodopera che in parte possono rispondere alla contrazione del mercato del lavoro, alla difficoltà dei lavoratori anziani di adattarsi alle nuove esigenze di flessibilità fortemente affermate dagli imprenditori, alla modifica del tasso di risparmio che condiziona gli
investimenti174, ad un diverso andamento degli investimenti nella ricerca175 tenuto conto che negli obbiettivi dell’Unione di arrivare ad un’economia competitiva, il capitale umano dovrebbe venire sempre più indirizzato in questi settori.
E’ comunque dubbio che la crescita di produttività arrivi a compensare il calo netto del numero di occupati. Senza un consistente aumento dei flussi d’immigrazione, la
crescita media del PIL nell’UE, calcolata in base allo scenario descritto, è destinata a rallentare fino a raggiungere l’1 per cento nel periodo 2010-2020 e lo 0,6 per cento nel periodo 2020-2030.
L’economia può cercare di intervenire nel grado necessario ritoccando variabili quali i tassi di cambio e di interesse, il livello e la composizione del risparmio, consumi e investimenti, nonché i flussi internazionali di capitali, beni e servizi tra le aree interessate dall’invecchiamento della popolazione. Nella Relazione annuale
sull’economia del 2002, la Commissione ha incluso questo tipo di effetto in un modello di equilibrio generale, stimando che l’impatto dell’invecchiamento demografico sulla crescita del PIL pro capite comporti una riduzione dello 0,4 per cento del tasso annuo di crescita nel periodo 2000-2050. Queste stime, tuttavia, non prendono in
considerazione la possibilità che l’azione politica si modifichi per rispondere alle dinamiche di invecchiamento, né gli effetti positivi di tali modifiche sulla crescita complessiva176.
prodotto in quell’anno entro il territorio nazionale (nell'ipotesi che tutti i beni e servizi prodotti siano dichiarati come reddito secondo le norme tributarie) e quindi vale: ∑(pi xqi-ci)–(pi-1 x qi-1) ≡ Cf + Cc + In + D + X ± ∆A - M
174 Rispettando il modello del ciclo di vita, si dovrebbe prevedere un certo calo del tasso di risparmio in funzione dell’invecchiamento. Tuttavia, l’effetto negativo a carico degli investimenti potrebbe essere attenuato da nuove opportunità legate all’aumento dei rendimenti degli investimenti diretti esteri (si veda la Relazione annuale sull’economia 2002, capitolo 4).
175 Si veda in particolare l’obiettivo di Barcelona di intensificare gli investimenti nella ricerca (COM(2003)226 e SEC(2003)489).
176 Le cifre riportate nella Relazione annuale sull’economia del 2002 non sono direttamente comparabili con quelle indicate negli scenari demografici, poiché queste ultime fanno riferimento al PIL e non al PIL pro capite e partono dall’assunto che si realizzi l’obiettivo di Lisbona di un tasso di occupazione del 70%.
Già è possibile registrare, tuttavia, un impatto considerevole dell’invecchiamento demografico sui sistemi di protezione sociale177. Un aumento del numero di lavoratori immigrati e la loro integrazione avrebbe l’effetto di ridurre il rallentamento della
crescita economica. Tuttavia il tasso di dipendenza degli anziani continuerebbe in ogni caso a crescere proporzionalmente al numero degli ultra 65enni (si veda la Figura 7 dell’allegato), anche mantenendo invariato nei decenni seguenti il tasso di occupazione del 70 per cento ipoteticamente raggiunto nel 2010.
Pertanto è necessario sottolineare che l’immigrazione può contribuire ad una maggiore sostenibilità della spesa pensionistica, nella misura in cui riesce a limitare il calo
tendenziale del volume di occupati dopo il 2010. Tuttavia, in un periodo più lungo, solo un aumento significativo dei tassi di fertilità può limitare l’impatto dell’invecchiamento sui sistemi di protezione sociale.