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La materia migratoria nella convenzione di Schengen

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 100-103)

CAPITOLO III - IL PROCESSO EVOLUTIVO DELLE POLITICHE MIGRATORIE EUROPEE

15.2 La materia migratoria nella convenzione di Schengen

Nell’ambito delle relazioni internazionali, al di fuori del contesto comunitario, la cooperazione tra Stati membri della Comunità nella materia della libertà circolazione delle persone aveva trovato attuazione con l’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 e con la Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990 alla quale si erano aggiunti ai firmatari originari (Francia, Germania e Benelux) tutti gli altri paesi membri della Comunità europea, ad esclusione di Regno Unito e Irlanda, ed anche Islanda e

Norvegia, paesi che già facevano parte dell’accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE)xxxvi. La Convenzione prevede l’abolizione dei controlli sulle persone alle frontiere tra gli Stati firmatari con l’introduzione di una disciplina comune per l’attraversamento di quelle esterne, assoggettate a severi controlli, ed indicava i

presupposti per l’ingresso dei cittadini di Stati terzi attraverso l’adozione una disciplina comune di visti per il transito e il soggiorno non superiore a tre mesi. Le misure di maggiore rilievo sono: l'abolizione dei controlli alle frontiere comuni e il loro trasferimento alle frontiere esterne; la definizione comune delle condizioni di

attraversamento delle frontiere esterne; la separazione, negli aeroporti e nei porti, dei viaggiatori che si spostano all'interno dello spazio Schengen da quelli di diversa provenienza; l'armonizzazione delle condizioni di ingresso e di concessione dei visti per i brevi soggiorni; l'avvio di un coordinamento fra le diverse amministrazioni per la sorveglianza delle frontiere (ufficiali di collegamento, armonizzazione delle istruzioni e della formazione impartite al personale); la definizione del ruolo dei trasportatori nella

386 U.Draetta e N.Parisi, op. citata, p.76

lotta contro l'immigrazione clandestina; la dichiarazione obbligatoria per tutti i cittadini di paesi terzi che circolino da un paese all'altro; la definizione di norme sulla

responsabilità delle domande di asilo; l'istituzione di un diritto di pedinamento e di inseguimento da un paese all'altro; il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione

dell'esecuzione delle sentenze penali; la creazione del sistema d'informazione Schengen (SIS).

Fra le varie misure c.d. “di accompagnamento” si prevedeva l’obbligo

dell’allontanamento per mancanza dei requisiti, la predisposizione di una lista dei paesi terzi soggetti alla disciplina comune, l’obbligo del controllo di polizia tramite la

consultazione del sistema di rete informatica SIS (sistema informativo Schengen) prima del rilascio di visti d’ingresso e di permessi di soggiorno, l’impegno delle Parti

contraenti ad attuare misure di espulsione dei clandestini e infine misure di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

I beneficiari della libera circolazione nell’area Schengen sono i cittadini europei mentre gli extracomunitari divengono stranieri per l’area Schengen, salvo casi specifici.

Il sistema Schengen tende essenzialmente a distinguere gli immigranti indesiderati, ad impedirne l’ingresso ed a facilitarne l’espulsione al di fuori delle frontiere comuni. Non ha la pretesa di creare una politica attiva di accoglimento degli stranieri nello spazio comune, ha una impostazione tecnica, volta a minimizzare i costi derivanti

dall’instaurazione di un mercato interno comune mentre tralascia i temi collegati al riconoscimento di diritti fondamentali degli individui migranti, ricompresi in

contingenti d’ingresso o quote collegate a mutevoli logiche congiunturali. Il c.d. “modello di controllo integrato” che nasce da Schengen abbina risolutamente la libera circolazione delle persone ai diversi contesti del controllo dell’immigrazione e della lotta alla criminalità stabilendo anche l’intensificazione della cooperazione interna tra le forze di polizia attraverso il SIS (sistema informativo integrato). Si obbietta che il generale inasprimento dei controlli migratori non può che aumentare il fenomeno della clandestinità387 e inoltre che la sostanziale discrezionalità di cui godono le polizie nazionali nell’inserimento dei dati nel SIS renderebbe più precarie le condizioni dei residenti regolari ponendo anche inquietanti interrogativi della tutela della riservatezza negli scambi informatizzati nella prospettiva di una così estesa ragnatela informatica tesa su tutta l’area Schengen388.

L’armonizzazione delle politiche nazionali e le cooperazioni di polizia nella materia migratoria sono delineate in senso tecnico, come un perfezionamento degli strumenti di controllo, non ispirati alla garanzia verso i diritti della persona e della libertà di

circolazione. Il quadro viene completato da una serie di accordi di riammissione che vari Stati europei hanno stipulato con i paesi immediatamente circostanti alle frontiere comuni, costituendo una cintura protettiva di Stati – cuscinetto che, nell’ambito di uno scambio politico, cooperano nel rafforzare il controllo delle frontiere comuni e godono di un trattamento favorevole nell’assegnazione delle quote annuali d’ingresso o

nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.

387 Gianluca Bascherini, 2000, Europa, cittadinanza, immigrazione; Diritto Pubblico

388 L.S.Rossi, 1995, La protezione dei dati personali negli accordi di Schengen alla luce degli standard fissati dal Consiglio d’Europa e dalla Comunità europea, in B.Nascimbene (a cura di) Da Schengen a Maastricht, Milano, p.173 ss

L’abolizione dei controlli alle frontiere interne ha concretamente inasprito le condizioni d’ingresso degli extracomunitari. Rispetto al modello del controllo integrato di

Schengen il trattato di Maastricht si è limitato ad attribuire alla Comunità una

competenza a stabilire l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di visto per entrare nel territorio della Comunità; con regolamenti di attuazione si è stabilito poi un modello uniforme di visto e di transito a breve termine e stabilito

l’elenco dei paesi389, il quale lascia comunque liberi gli Stati membri ad imporre il visto d’ingresso anche ad altri Paesi non compresi nell’elenco. Una seconda Convenzione del 90, collegata a quella dell’85, prevede la possibilità per gli stranieri muniti di un visto uniforme, di entrare nell’area Schengen per un soggiorno inferiore ai tre mesi, sempre che soddisfino a condizioni di completa autosufficienza, assai restrittive ed onerose se non contraddittorie vista la genesi di necessità dei flussi migratori; invece il visto d’ingresso per lunghi periodi resta di competenza degli Stati. Lo straniero non deve essere segnalato nel SIS e tale valutazione di gradimento non è disciplinata ma rimessa alla più ampia discrezionalità dei sistemi amministrativi degli Stati. Le condizioni d’ingresso nell’area Schengen sono così gravose da schiacciare quella parvenza di libertà di circolazione che sembrava garantita anche all’extracomunitario che varcasse legittimamente le frontiere esterne390.

Scopo della convenzione del 90, applicativa degli accordi di Schengen dell’85 che tendevano principalmente ad abolire i controlli alle frontiere interne, appare quello di limitare la circolazione degli stranieri più che quello di assicurare la libera circolazione delle persone all’interno dell’area, divenendo pertanto un improprio strumento di politica migratoria.

In positivo il sistema di Schengen estende agli immigrati regolari alcuni diritti sociali, abolisce il visto di reingresso che andava richiesto per ogni uscita dal territorio

nazionale e introduce la libera circolazione dei residenti stranieri tra i paesi Schengen. Restano tuttavia per essi indefiniti il sistema previdenziale comune e l’assistenza sanitaria.

Le Istituzioni Comunitarie391 avevano sempre giudicato positivamente gli accordi di Schengen, definendoli un laboratorio europeo destinato a trovare realizzazione nella Comunità, dato che la libera circolazione delle persone era uno degli obbiettivi fondamentali posti dal trattato CE, anche se la realizzazione ad opera di non tutti gli Stati membri e al di fuori delle garanzie del contesto comunitario rappresentate dal Parlamento e dalla Corte di Giustizia, avevano posto il problema, specie dopo il trattato di Maastricht del 92 che aveva riguardato gli stessi temi, di una doppia disciplina in ambito comunitario e internazionale sulle materie della libera circolazione e

dell’immigrazione. La successiva integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito comunitario, fatta dal Trattato di Amsterdam, ha portato a superare parzialmente il problema, dato che la particolarità delle norme del titolo IV del trattato CE da un lato assegnano al Parlamento una funzione meramente consultiva, non solo in via

transitoria, dall’altro sottraggono alcune materie oggetto di competenza concorrente al controllo della Corte di Giustizia.

389 Regolamenti 1683/95 e 2317/95 in GUCE 14 lugl 95 e 3 ott 95.

390 L.S.Rossi, op. citata; G.Bascherini, op. citata

Un apposito protocollo allegato al Trattato di Amsterdam definisce il c.d. acquis di Schengen come l’insieme delle disposizioni dell’Accordo, della Convenzione applicativa e dei numerosi atti successivamente adottati, e stabilisce che esso costituisca parte integrante dei trattati comunitari attraverso una decisione del

Consiglio392 volta a determinare il fondamento giuridico di ogni singola disposizione dell’acquis. Parte di esse sono state “comunitarizzate” includendole nel titolo IV del trattato CE; parte nel c.d. terzo pilastro fondandole sul titolo VI del trattato UE e in particolare nella cooperazione di polizia; per le restanti, quali le disposizioni sul SIS, la mancanza di un accordo tra gli Stati entro il Consiglio ne ha impedito la

determinazione. Il protocollo sottrae alla Corte di Giustizia il controllo di legittimità rispetto ai trattati, delle misure messe in atto dagli Stati membri in materia di

mantenimento dell’ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza sociale, anche se va osservato che spetta pursempre alla Corte accertare quali disposizioni rientrano nella deroga, dato che la norma di deroga non è stata sottratta alla sua competenza,

analogamente a quanto avviene nel caso dell’art.68 par.4, titolo IV del trattato CE. E’ stato inoltre fatto autorevolmente osservare393 che la stessa inclusione delle

disposizioni dell’acquis di Schengen nel trattato CE (1° pilastro) o nel trattato UE (3° pilastro), attuata con Decisioni del Consiglio, è soggetta al controllo di legittimità degli atti da parte della Corte di Giustizia, a norma dell’art. 230 del trattato CE.

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