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La regolamentazione dell’accesso negli accordi bilaterali

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 80-87)

CAPITOLO II - LAVORATORI E CITTADINANZA, DIRITTO COMUNITARIO E INTERNAZIONALE

11.2 La regolamentazione dell’accesso negli accordi bilaterali

In materia di accesso al lavoro assumono rilievo gli accordi bilaterali tra gli Stati membri dell’unione ed i paesi terzi. Dopo il Consiglio europeo straordinario di

Tampere del 1999, L’Unione europea ha incrementato le politiche di cooperazione con i paesi terzi stabilendo che gli accordi relativi debbano contenere clausole riguardanti la materia migratoria. Negli accordi bilaterali in vigore attualmente, le norme che

pongono obblighi agli Stati riguardo il lavoro degli stranieri sono pochissime e non riguardano mai il lavoro subordinato. Sono infatti presenti nei trattati di amicizia, commercio e navigazione le clausole di libero ingresso con cui gli Stati si impegnano a permettere l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dell’altro Stato finalizzato all’esercizio di “professioni, arti e mestieri”336 talora precisando quali attività possono essere

svolte337.

Alcuni accordi stabiliscono il “trattamento della nazione più favorita”338, in taluni casi a condizione di reciprocità339, il principio di eguale trattamento in determinati settori lavorativi340. Nella prassi mancano spesso le disposizioni amministrative dirette ad attuare la disciplina posta dagli accordi bilaterali la cui attuazione è rimessa a scelte dell’esecutivo, spesso incuranti degli obblighi derivanti dagli accordi341.

Ben si comprende dunque che le tradizioni degli Stati membri inducano molta prudenza negli atti adottati dalla Comunità europea, come è avvenuto ad esempio con le direttive del 2000 in materia di parità di trattamento fra le persone342 e di non discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro 343, le quali fissano al 2 dicembre 2003 il termine per l’attuazione da parte degli Stati membri ma contengono una clausola che esclude dal campo di applicazione le discriminazioni basate sulla nazionalità, lasciando impregiudicate le disposizioni nazionali che disciplinano l'ammissione e il soggiorno

335 Foglia, Santoro Passatelli, 1996, Profili di diritto comunitario del lavoro, Torino

336 Giorgio Conetti, 1981, Diritto internazionale e comunitario del lavoro, Novissimo digesto italiano Appendice, Torino. Utet, pp. 1203.

337 A.Adinolfi, 1992, op. citata, p.139

338 Ad es. l’accordo tra l’Italia e l’Argentina: Convenzione commerciale del 1° giugno 1894, resa esecutiva con legge 5 marzo 1896 n.66 (G.U. 21 marzo 1896 n.68) entrata in vigore il 28 febbraio 1896.

339 Trattato tra l’Italia e l’Arabia Saudita del 10 febbraio 1932, reso esecutivo con regio decreto 31 marzo 1932 n.295, G.U. 15 apr. 1932 n. 88, entrato in vigore il 22 aprile 1932.

340 Accordo di emigrazione e stabilimento tra l’Italia e l’Australia per costituire una “intesa per l’emigrazione finanziariamente assistita”, reso esecutivo con d.p.r. 9 dic. 1970 n.1430 (G.U. 14 aprile 1971 n.92) entrato in vigore il 8 luglio 1971; l’accordo stabilisce che ai cittadini di ciascuna parte contraente siano riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini dell’altra parte nel costituire società, imprese commerciali e industriali e nell’esercitare arti e mestieri.

341 Bruno Nascimbene, 1988, Lo straniero nel diritto italiano, Milano, Giuffrè, p.260, cita il caso della circolare del ministero

dell’Interno 27 maggio 1986 la quale dispone trattamenti di favore per determinate categorie di lavoratori giapponesi senza che vi fosse alcun accordo internazionale in merito, escludendoli dal blocco degli ingressi sempre disposto con circolare del ministero del lavoro 22 gennaio 1987 n.3.

342 Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica

343 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

dei cittadini dei paesi terzi e il loro accesso all'occupazione e alle condizioni di lavoro, pur affermando che in generale la disciplina di pari trattamento dovrebbe applicarsi anche nei confronti dei cittadini dei paesi terzi344.

12 Il trattamento dei lavoratori cittadini di paesi terzi

L’origine economica della Comunità europea ha sempre ispirato le Istituzioni comunitarie a svolgere la loro attività in funzione dell’instaurazione del mercato comune e dell’unione economica e monetaria e di conseguenza a prendere in

considerazione gli interessi individuali solo in quanto il loro riconoscimento avesse un senso economico e di mercato. La libera circolazione dei lavoratori comunitari

caratterizza principalmente una libertà del mercato interno345, più che i diritti fondamentali della persona, ed il concetto di cittadinanza346 è principalmente e immediatamente collegato a tale diritto.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia347 è in armonia con tale concezione funzionalista348 e, benché il trattamento degli extracomunitari non fosse neppure considerato una materia che rientrava nell’ambito della competenza comunitaria349, aveva affermato fin dall’87 una limitata competenza in materia di politiche migratorie sulla base dell’ex art. 118 trattato CEE, (ora art.137 del trattato CE) che poteva

costituire la base giuridica per la realizzazione di una politica sociale, poiché ciò poteva dare adito ad una tutela degli interessi dei lavoratori immigrati provenienti da paesi terzi proprio al fine di evitare un dumping sociale che avrebbe danneggiato i lavoratori cittadini comunitari creando distorsioni del mercato del lavoro.

La competenza comunitaria riguardo al trattamento dei lavoratori subordinati

extracomunitari fa oggi anzitutto riferimento all’art.137 par.3, 5° trattino del trattato CE, ai sensi del quale il Consiglio delibera all’unanimità, su proposta della

Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo su <<condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio della comunità>>, al fine di conseguire gli obbiettivi previsti dall’art. 136: promuovere l’occupazione, migliorare le condizioni di lavoro, valorizzare le risorse umane ed

eliminare l’emarginazione. La disposizione venne inserita nel trattato CE dal Trattato di Amsterdam ed era già contenuta nell’Accordo sulla politica sociale, allegato al Trattato di Maastricht del 92. Tuttavia la Corte di Giustizia già in una sentenza del 1987350

affermava che <<non può essere accolta la tesi secondo la quale la politica migratoria nei confronti dei paesi terzi sarebbe del tutto estranea ai settori sociali per i quali

l’art.118 (ora art.137, sostanzialmente modificato) contempla la collaborazione tra Stati

344 13° considerando della Direttiva 2000/43/CE: <<Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o l'origine etnica nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe pertanto essere proibita in tutta la Comunità. Tale divieto di discriminazione dovrebbe applicarsi anche nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, ma non comprende le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e lascia impregiudicate le disposizioni che disciplinano l'ingresso e il soggiorno di cittadini dei paesi terzi e il loro accesso all'occupazione e all'impiego>>.

345 art.3 Trattato istitutivo della Comunità europea

346 artt.17 e 18 del Trattato istitutivo della Comunità europea

347 Sentenze 9 luglio 1987, cause nn.281, 283, 284, 285, 287 del 1985, in Raccolta p.3203

348 L.S.Rossi, 2000, Gli Stranieri, a cura di Antonio Tizzano in Il diritto privati dell’Union europea, Torino, Giappichelli, vol.1

349 B.Nascimbene, 1995, Libertà di circolazione delle persone, diritti dei cittadini dell’Unione e dei Paesi terzi, in Da Schengen a Maastricht, Milano, p.95

membri>> (allora tali politiche erano comprese nel c.d. 3° pilastro). La Corte aveva perciò concluso che <<la politica migratoria … può rientrare nel campo sociale ai sensi dell’art.118 (ora art.137) solo per quanto riguarda la situazione dei lavoratori dei paesi terzi sotto il profilo dell’influenza che essi esercitano sul mercato comunitario

dell’occupazione e sulle condizioni di lavoro>>. La Corte di Giustizia aveva dunque ricavato implicitamente dal Trattato, in assenza di qualunque norma che disponesse sulle “condizioni di impiego dei cittadini di paesi terzi”, la competenza della Comunità a regolare le condizioni di occupazione di costoro, poiché essa era funzionale alla tutela delle condizioni di occupazione dei cittadini europei. La Corte considerava infatti il pericolo potenziale, rappresentato dal circolo vizioso dell’offerta a ribasso, che si sarebbe innescato nel mercato del lavoro comunitario qualora fosse stato consentito di stabilire condizioni di lavoro discriminatorie le quali, nell’immediato, avrebbero creato un vantaggio occupazionale per i lavoratori extracomunitari.

La competenza affermata dalla Corte non venne esercitata dalla Comunità anche se vi fu una proposta di direttiva351 sulla parità di trattamento nelle trasferte oltrefrontiera dei lavoratori cittadini di paesi terzi dipendenti di un’impresa con sede in uno Stato

membro.

L’art.137 par.3, 5° trattino del trattato CE, fornisce attualmente il fondamento giuridico per specifici atti della Comunità diretti a regolare le condizioni di lavoro dei lavoratori extracomunitari. Le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 Ottobre 1999, dedicato alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e

giustizia, affermano che occorre garantire ai cittadini degli Stati terzi che soggiornano legalmente negli Stati membri dell’Unione, <<diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’UE>>, nonché <<una serie di diritti uniformi il più possibile simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’UE>>.

Sembra ragionevole ritenere352 che gli atti che verranno emanati sulla base della nuova norma contenuta nell’art. 137 del trattato tenderanno ad allineare le condizioni di tutti i lavoratori dell’Unione europea.

Una importante proposta di direttiva COM(2001)386 final, in attesa dell’adozione finale del Consiglio, concerne le condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo353; preparata dalla Commissione a Bruxelles l’11 luglio 2001, è stata inviata dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo il 27 nov. 2001, da quale è stata approvata con emendamenti dal Parlamento il 14 gennaio 2003.

La base giuridica della Direttiva è l’articolo 63, paragrafo 1, punto 3, lettera a) del trattato CE, il quale prevede che <<il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 67 [cioè all’unanimità, su proposta della Commissione o su iniziativa di uno Stato membro, previa consultazione del Parlamento europeo] entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam [1° maggio 99] adotta: [….] 3) misure in materia di politica dell'immigrazione nei seguenti settori: a) condizioni di

351 Proposta di direttiva Com.doc. (1999) 003 def del 12 febbraio 1999

352 A.Adinolfi, La circolazione e il trattamento dei lavoratori subordinati cittadini di Stati terzi, in Diritto dell’Unione europea, a cura di G.Strozzi, Torino, Giappichelli

353 Proposta della Commissione di direttiva del Consiglio concernente le condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo ((COM(2001) 386 – C5-0447/2001 – 2001/0154(CNS)), GUCE C 332 del 27.11.2001 pag 248

ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare […]. Il Parlamento ha approvato la proposta di direttiva chiedendo di essere nuovamente consultato qualora il Consiglio intenda modificare sostanzialmente la proposta della Commissione che, a norma dell’art. 250 par.2 del trattato CE, può introdurre modifiche in ogni fase delle procedure di adozione fino alla delibera finale del Consiglio.

Nella relazione del 23 gennaio 2003 sulla proposta della Commissione volta a

regolamentare le condizioni d’ingresso per lavoro, il Parlamento europeo chiarisce nel merito la propria posizione in tema di trattamento dei lavoratori immigrati da paesi terzi, riportando le motivazioni addotte dalle Commissioni parlamentari europee interessate alla questione. La “Commissione parlamentare per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni”, relatrice Anna Terrón Y Cusí, afferma che il blocco dell'immigrazione, sinora prevalentemente praticato, doveva essere

indubbiamente abolito mediante una nuova politica comune dell'immigrazione, da attuare con urgenza, non solo per la previsione contenuta nel trattato di Amsterdam che definisce le competenze della Comunità nel settore dell'immigrazione, ma anche per le esigenze del mercato del lavoro e dell'economia, minacciati dal decremento

demografico della popolazione europea a causa del quale l'età media della popolazione sta progressivamente aumentando, per cui la percentuale della popolazione attiva si riduce sempre più. Questo problema può essere risolto soltanto attraverso

un'immigrazione accuratamente disciplinata e attraverso l’inserimento sociale degli immigrati, che rappresenta il nucleo centrale della politica europea dell'immigrazione, sia per garantire il mantenimento della stabilità economica e della sicurezza sociale, sia per motivi di ordine umanitario. D’altra parte è necessario offrire anche agli

extracomunitari che si trovano sul territorio dell'UE per ragioni non lavorative la

possibilità di esercitare legalmente un'attività, nella misura in cui esista la domanda sul mercato del lavoro UE, condizione imprescindibile per inserirli nel sistema sociale; l’integrazione degli immigrati con la popolazione residente è ritenuta dal Parlamento urgente e necessaria, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ne possono derivare e il lavoro è ritenuto il principale strumento di inserimento sociale.

La proposta di direttiva risponde all’esigenza di regolamentare un aspetto molto significativo della politica comunitaria in materia di immigrazione, vale a dire la legislazione relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi ai fini di un’occupazione subordinata o dell’esercizio di una attività economica autonoma in uno Stato membro. La proposta della Commissione ha l'obiettivo di armonizzare il diritto degli stranieri degli Stati membri all'immigrazione a fini lavorativi. Essa comprende criteri e procedure comuni relative all'ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo.

Il concetto fondamentale alla base della proposta è creare standard uniformi in tutta Europa.

La proposta di direttiva mira a creare un quadro unitario delle condizioni di ingresso e soggiorno dei lavoratori migranti introducendo quattro miglioramenti sostanziali rispetto alla situazione attuale:

_maggiore trasparenza, che comporterebbe per gli Stati membri l’obbligo di aderire alla politica europea e a pubblicizzarla, evitando di negare l'accesso al mercato del lavoro europeo per un deficit di informazione;

_ semplificazione delle procedure, poiché la domanda di permesso di lavoro e di soggiorno vengono unificate;

_ evita la fuga di cervelli dai paesi terzi, tutelandone gli interessi, con la previsione della mobilità della forza lavoro extracomunitaria tra UE e paesi d’origine,

salvaguardando i loro diritti pensionistici e riconoscendo loro il diritto di cercare lavoro nell'UE anche dopo il rientro in patria, per un periodo di tempo;

_ armonizzazione di concetti nelle materie migratorie per lavoro che agevolerà la preparazione di una politica comune della migrazione.

Infine la direttiva contiene disposizioni relative alla revoca del permesso di soggiorno per motivi di sicurezza e ordine pubblico.

Il Parlamento critica la proposta di direttiva per due carenze sostanziali.

La prima è l’obbligo per l’immigrato di occupare per il maggior tempo possibile lo stesso posto di lavoro, richiedendo un'autorizzazione per qualsiasi cambiamento per tre anni e, anche nel caso siano soddisfatte le previste condizioni (contratto regolare e posto non occupabile in altro modo), non è stabilito il diritto giuridico alla concessione dell'autorizzazione. Ciò contrasta con le esigenze di mobilità e flessibilità della

domanda dell’attuale mercato del lavoro, che richiede lavoro a tempo determinato in misura crescente. Ciò richiederebbe una politica di autorizzazioni rapida ed efficace per rispondere alle esigenze dinamiche del mercato del lavoro; una maggiore mobilità tra gli Stati membri dei migranti ammessi all’ingresso per lavoro in uno di essi; una accentuata flessibilità nella scelta e nella durata del lavoro, che si traduce nella possibilità per i lavoratori migranti di rispondere alle reali esigenze del mercato del lavoro, senza imporre loro restrizioni giuridiche che non tengono conto delle necessità espresse dalla domanda del mercato stesso.

Il secondo elemento negativo della direttiva proposta è costituito dal fatto che tiene conto solo in parte del lavoro nero. La direttiva offre alle persone che soggiornano legalmente sul territorio dell'UE (per esempio con un visto turistico) la possibilità di presentare una richiesta di permesso di lavoro senza però tenere conto della situazione di coloro che soggiornano illegalmente nel territorio dell'UE. Il lavoro nero opprime il mercato del lavoro poiché è oggetto di sfruttamento ed offrendo lavoro a minor costo, anche in quanto non soggetto a imposizioni fiscali e detrazioni di ordine sociale, realizza nell'UE una concorrenza illegale con effetti negativi sul sistema sociale e sull'atteggiamento nei confronti degli stranieri. Ciò comporta, come unica soluzione, di offrire ai clandestini la possibilità di rientrare nella legalità affinché non alimentino il lavoro sommerso, consentendo loro di cercare legalmente un lavoro per potere

regolarizzare la loro posizione.

La direttiva prevede che la richiesta di concessione di un permesso di lavoro, e di soggiorno per lavoro, sul territorio dell'UE, sia consentita solo se l’interessato già risiede legalmente, cosicché gli illegali dovrebbero uscire dal territorio per poter

presentare la richiesta; pur rispondendo coerentemente agli obbiettivi europei della lotta contro la clandestinità ed il lavoro nero, fenomeni collegati che rappresentano un

ostacolo alla promozione dell’occupazione, appare illusorio pensare che i clandestini facciano ritorno al loro paese per richiedere il permesso d’ingresso regolare. Il

Parlamento presentando alcuni emendamenti, cerca di risolvere entrambi i problemi proponendo un percorso di legalizzazione delle situazioni di clandestinità.

La commissione giuridica e per il mercato interno, relatore Joachim Wuermeling, ha approvato gli emendamenti facendo però un importante rilievo sulla base giuridica della proposta di direttiva. La Commissione europea ha scelto l'articolo 63, paragrafo 3, lettera a) del trattato CE quale base giuridica per la misura proposta. Tale articolo

prevede "misure in materia politica dell'immigrazione" nel settore delle "condizioni di ingresso o soggiorno". Le misure finora concesse conformemente a quanto previsto all'articolo 63, paragrafo 3, lettera a) del trattato CE riguardano ambiti di

regolamentazione specifici, come il riconoscimento reciproco delle decisioni di

allontanamento degli stranieri terzi354, la libera circolazione dei titolari di un visto per soggiorni di lunga durata355 e il diritto al ricongiungimento familiare356 Con

l'espressione "misure in materia politica dell'immigrazione" va quindi intesa una regolamentazione nel campo dell'immigrazione al fine di affrontare un problema

concreto quanto all'applicazione del diritto nazionale nello spazio giuridico comune. La proposta della Commissione uniforma invece tutta la materia giuridica, il che non rientra nel concetto di "misure in materia politica dell'immigrazione ".

Anche il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 chiede solo "un

avvicinamento" delle disposizioni giuridiche dei singoli stati in tale settore, anziché una sostituzione delle normative nazionali con quelle UE. Secondo la Commissione

giuridica per il mercato interno, un'armonizzazione a livello comunitario viola anche il principio di sussidiarietà. Le differenze rilevate dalla Commissione tra le normative degli Stati membri, nel settore dell’immigrazione per lavoro, prese singolarmente non dimostrano la necessità di un'armonizzazione. Le differenti normative derivano da differenti necessità e tradizioni esistenti negli Stati membri e dall'eterogeneità della situazione del mercato del lavoro a livello nazionale. Secondo la Commissione

giuridica, solo gli Stati membri possono garantire la flessibilità orientata alle esigenze nazionali, regionali e settoriali del mercato del lavoro. “Siffatto allineamento delle disposizioni sarebbe pertanto necessario se a ciascun immigrato ammesso in uno Stato membro fosse consentito di lavorare in qualsiasi Stato membro. Non vi è però alcuna intenzione di proporre tale norma, né sarebbe sensato farlo, in quanto renderebbe impossibile una politica delle immigrazioni specifica al mercato del lavoro.”

La Commissione per l’occupazione e gli affari sociali, relatore Jean Lambert, approva la proposta di direttiva osservando che essa risponde all’esigenza di regolamentare un aspetto molto significativo della politica comunitaria in materia di immigrazione, vale a dire la legislazione relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi ai fini

354 Direttiva 2001/40/CE del Consiglio del 28 maggio 2001 relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, adottata visto l'articolo 63, paragrafo 3 del trattato che istituisce la Comunità europea. GU L 150 del 6 giugno 2001, pag. 34

355 Regolamento (CE) n. 1091/2001 del Consiglio del 28 maggio 2001 sulla libera circolazione dei titolari di un visto per soggiorni di lunga durata, adottato visto l'articolo 62, paragrafo 2, lettera b), punto ii) e l'articolo 63, paragrafo 3, lettera a) del trattato che istituisce la Comunità europea, GU L 150 del 6 giugno 2001, pag. 4

356 Proposta di direttiva del Consiglio relativa al diritto di ricongiungimento familiare, adottata visto l'articolo 63 del Trattato CE. COM (1999) 638 – CNS 1999/0258, GU C 116 del 26 aprile 2000, pag. 66.

di un’occupazione subordinata o dell’esercizio di una attività economica autonoma in uno Stato membro. Infatti secondo la comunicazione della Commissione357 su una politica comunitaria in materia di immigrazione, l’assenza di vie giuridiche appropriate

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 80-87)