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Le nuove competenze comunitarie in materia migratoria

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 104-114)

CAPITOLO III - IL PROCESSO EVOLUTIVO DELLE POLITICHE MIGRATORIE EUROPEE

15.4 Le nuove competenze comunitarie in materia migratoria

un atteggiamento di forte chiusura verso gli extracomunitari in cerca di lavoro397. Europol, l’ufficio di polizia europea con sede all’Aja, avrebbe migliorato la cooperazione di polizia ospitando l’organizzazione di un sistema di scambio informativo. L’attività di III° pilastro in materia migratoria portò nel 1994 a tre risoluzioni, ispirate al concetto della preferenza comunitaria sviluppato in materia di libera circolazione delle merci398; la prima di esse subordina l’accesso dei cittadini di paesi terzi sul territorio dell’Unione per fini lavorativi salariati alla disponibilità di lavoratori cittadini europei o di residenti extracomunitari; la seconda subordina l’ingresso di lavoratori autonomi al valore aggiunto che la loro attività avrebbe

comportato per l’interesse economico o culturale dello Stato ospitante; la terza invitava gli Stati membri ad evitare la trasformazione di permessi di studio in soggiorno

permanente. Sull’obbligatorietà delle risoluzioni, adottate nell’ambito del III° pilastro, le posizioni dottrinali divergono ed inoltre le risoluzioni citate precisano che i principi in esse contenuti non sono vincolanti per gli Stati membri e che non costituiscono il fondamento per azioni legali da parte dei singoli cittadini o stranieri residenti che ritengano di subire una lesione ai propri interessi da condotte dello Stato contrastanti con esse, (anche se poi fissano, contraddittoriamente, una data per l’applicazione di quei principi); in ogni caso va rilevato che esse tracciano le linee di una politica migratoria nell’insieme restrittiva, in cambio di presunti vantaggi per i cittadini comunitari o per gli stranieri regolarmente residenti, negando loro in definitiva un diritto soggettivo azionabile.

Critiche generali sono state mosse allo scarso coinvolgimento della Commissione e del Parlamento nelle materie del c.d. III° pilastro, lasciandole invece in sostanza alle

decisioni degli esecutivi nazionali coadiuvati dal Consiglio svolge una funzione di coordinamento nella cooperazione fra Stati membri, e soprattutto al fatto che gli atti adottati in tale ambito sono sottratti alla competenza della Corte di Giustizia, salvo esplicita previsione delle convenzioni. Una “disposizione passerella”, avrebbe invero consentito il trasferimento nel primo pilastro, vale a dire alla competenza della

Comunità e delle sue Istituzioni, di parte delle materie relative all’immigrazione ed al trattamento degli extracomunitari, ma il requisito dell’unanimità degli Stati ha lasciato tale detta previsione.

Il trattato di Maastricht ripropone in sostanza alla competenza comunitaria di III° pilastro gli stessi temi migratori sui quali a Schengen gli Stati avevano già concluso accordi internazionali, ed inoltre le disposizioni del trattato in tali materie non soddisfano le aspettative del Parlamento europeo che auspicava un superamento dell’approccio della cooperazione fra Stati. La reductio ad unum dei due sistemi equivalenti e coesistenti, con il definitivo passaggio alla competenza comunitaria propria di tali materie non avvenne se non col trattato di Amsterdam del 97.

15.4 Le nuove competenze comunitarie in materia migratoria

397 Raccomandazione del 22 dic 195 in GUCE n. C-5/1 1996 sul miglioramento dei mezzi di controllo, lotta per combattere l’immigrazione illegale e lavoro nero; raccomandazione 27 set 96 in GUCE n. C-304/1, 1996, sulla lotta al lavoro illegale degli extracomunitari; B.Nascimbene, 1997, La politica in materia di immigrazione e asilo, in Bonvicini-Checchini (a cura di) Italia senza Europa? , Milano, p.144 e ss.

Il trattato di Amsterdam del 97 incorpora l’acquis di Schengen nel quadro dell’Unione e riconfigura istituzionalmente le competenze in materia di politiche degli immigrati incorporandole nel titolo IV° – Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone – trasportando nell’ambito del c.d. 1° pilastro buona parte delle materie oggetto della cooperazione fra Stati, abolizione dei controlli sulla libera circolazione delle persone, asilo, cooperazione giudiziaria, amministrativa, di polizia e in materia penale.

L’entrata in vigore del trattato segna un punto di svolta in materia di politiche comunitaria degli stranieri399 modificando il 5° punto dell’art.2 del trattato UE, che riconosce fra gli obbiettivi fondamentali dell’Unione quello di <<conservare e

sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima>>. Tale modifica propone una sintesi degli sviluppi intercorsi tra gli Stati a Schengen e a Maastricht nelle materie di immigrazione e controllo della criminalità riconducendo la politica migratoria alle competenze proprie della Comunità. La necessità di intensificare i controlli amministrativi e di polizia, discende dal fatto che il contesto migratorio è facile campo d’azione della criminalità organizzata e che la migrazione clandestina alimenta il mercato del lavoro nero; tuttavia bisogna ricordare che nell’ordinamento nazionale la necessità di affrontare efficacemente l’immigrazione ha portato a non considerarla esclusivamente un

problema di ordine pubblico ma un fattore naturale principalmente collegato al lavoro, e come tale è stato affrontato soprattutto nella dimensione del mercato del lavoro, con gli idonei strumenti del diritto del lavoro.

L’assegnazione di nuove competenze alla Comunità europea in materia migratoria è ispirata a criteri di prudenza e progressività, criteri collegati non solo alla difficile conciliazione delle diverse politiche migratorie nazionali ma anche agli interrogativi sollevati dalla incerta gestione delle nuove frontiere esterne comuni. L’esercizio delle nuove competenze è assegnata al Consiglio, espressione dei governi degli Stati

membri, che adotta le misure all’unanimità, su proposta della Commissione e dopo consultazione del Parlamento; il controllo esercitato dagli esecutivi nazionali attraverso il Consiglio non è guidato da alcuna enunciazione particolare di criteri e principi in materia migratoria: manca una presa di posizione politica della Comunità che ponga degli obblighi più espliciti di quelli comunque derivanti dagli impegni di carattere generale contenuti all’art.6 trattato UE e, dopo Nizza, nella Carta dei diritti

fondamentali dell’Unione Europea.

Per alcune materie le misure devono essere adottate nel termine temporale di cinque anni: l’art.61 lett. a parla di libera circolazione, eliminazione dei controlli sulle persone, cittadini e stranieri, alle frontiere interne e “misure di accompagnamento” relative alle prime, ossia maggiori controlli alle frontiere esterne e misure di lotta alla criminalità; l’art. 62 specifica meglio: 1) misure volte a garantire, in conformità all'articolo 14400,

399 A.Adinolfi, La circolazione dei cittadini di stati terzi, obblighi comunitari e normativa nazionale, in B.Nascimbene (a cura di) La libera circolazione dei lavoratori, Milano, p.123 ss; B.Nascimbene, 1998, L’Unione europea e i cittadini dei paesi terzi, in Il diritto dell’Unione europea, p.511 ss.

che non vi siano controlli sulle persone, sia cittadini dell'Unione sia cittadini di paesi terzi, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne; 2) misure relative

all'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, che definiscono norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l'effettuazione di controlli sulle persone alle suddette frontiere; regole in materia di visti relativi a soggiorni di durata non superiore a tre mesi, che comprendono: un elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo; le procedure e condizioni per il rilascio dei visti da parte degli Stati membri; un modello uniforme di visto; norme relative a un visto uniforme; 3) misure che stabiliscono a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi hanno libertà di spostarsi all'interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi.

Per altre materie invece la competenza comunitaria è prevista senza termine temporale dall’art.61, lettere b) c) d) e), del trattato CE, determinando, a parere di parte della dottrina, una situazione transitoria sine die dal quale la materia migratoria non trae certamente maggior certezza di diritto: si tratta di “altre misure” nei settori dell'asilo, dell'immigrazione e della salvaguardia dei diritti dei cittadini dei paesi terzi; misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile (come previsto all'articolo 65); misure per incoraggiare e rafforzare la cooperazione amministrativa (come previsto all'articolo 66); misure nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale volte ad assicurare alle persone un elevato livello di sicurezza mediante la prevenzione e la lotta contro la criminalità all'interno dell'Unione, in conformità alle disposizioni del trattato sull'Unione europea. L’art. 63 prevede poi l’adozione, sempre senza termine, di misure volte a equilibrare gli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; misure in materia di politica dell'immigrazione nei settori delle condizioni di ingresso e

soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di

ricongiungimento familiare; misure che definiscono con quali diritti e a quali

condizioni i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri.

L’adozione delle ultime due misure da parte del Consiglio “non osta a che uno Stato membro mantenga o introduca …disposizioni nazionali compatibili con il presente trattato e con gli accordi internazionali”; si tratta di competenze concorrenti o condivise con gli Stati membri, a norma dell’art 63 u.c. del trattato CE.

Negli art.62 e 63 si prevede il dettaglio delle misure da adottare entro cinque anni, un periodo che impone un dovere al Consiglio ma non è considerato un termine di

decadenza da una parte della dottrina401, dato che la lettera dell’art.67 prevede, al

1. La Comunità adotta le misure destinate all'instaurazione del mercato interno nel corso di un periodo che scade il 31 dicembre 1992, conformemente alle disposizioni del presente articolo e degli articoli 15, 26, 47, paragrafo 2, 49, 80, 93 e 95 e senza pregiudizio delle altre disposizioni del presente trattato.

2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato.

3. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, definisce gli orientamenti e le condizioni necessari per garantire un progresso equilibrato nell'insieme dei settori considerati.

trascorso dei cinque anni, modifiche alla procedura decisionale del Consiglio, non più gravata dall’unanimità. L’art.67 fa salve alcune deroghe dalla procedura decisionale del Consiglio per materie riguardanti i visti di breve durata: le misure riguardanti gli

elenchi dei paesi terzi i cui cittadini devono entrare con visto ed i modelli uniformi di visto, vengono adottate a maggioranza qualificata sia prima che dopo i cinque anni; le misure riguardanti condizioni e procedure sul rilascio dei visti da parte degli Stati membri e le regole dei visti uniformi, richiedono invece la delibera del Consiglio secondo la procedura di codecisione (ex art.251 TCE)402, dopo lo scadere dei cinque anni, mentre prima seguono la regola generale.

Trascorsi i cinque anni, l’unanimità del Consiglio può decidere di assoggettare tutti o parte dei settori del titolo IV° alla procedura di codecisione di cui all’art.251 TCE. Altra parte della dottrina403 ritiene invece che le misure prospettate nel titolo IV° del trattato CE debbano essere adottate obbligatoriamente dalle istituzioni nel termine dei cinque anni e che la eventuale inazione possa dare luogo ad un ricorso in carenza. Benché la materia incida fortemente sui diritti fondamentali della persona, il

Parlamento europeo è semplicemente consultato dal Consiglio.

L’impostazione delle politiche migratorie del trattato è attenta ai controlli

amministrativi e all’armonizzazione degli sforzi fra gli Stati membri; l’assegnazione alle competenze proprie della Comunità è prudente e progressiva così da non alterare gli equilibri esistenti. Vengono sottratte alla competenza degli Stati membri solo quelle competenze minime necessarie a disciplinare quelle materie riguardanti gli

extracomunitari che non avrebbero potuto venire affrontate in sede nazionale, secondo i principi di sussidiarietà e necessarietà, di cui all’art. 5 del trattato UE404 e all’art.5 del trattato CE405.

In coerenza con tale impostazione la competenza in via pregiudiziale della Corte di Giustizia (ex art.234 trattato CE), regolata dall’art.68, è bensì estesa al nuovo titolo ma interpretata restrittivamente. La competenza a chiedere alla Corte un giudizio

interpretativo spetta al solo giudice di ultima istanza che, se lo ritiene necessario, deve procedere al rinvio.

Parte della dottrina ritiene che tale previsione configuri una mera facoltà, da parte del giudice nazionale di ultimo grado, di domandare alla Corte di pronunciarsi sulla

questione, salvo vi sia una diversa indicazione dello Stato firmatario del trattato. Viene affermato in dottrina406 che tale modalità si risolve in una discriminazione dello

straniero sotto il profilo della tutela giurisdizionale poiché, mentre il cittadino europeo

402 Vedi nota vii nelle note di chiusura

403 Adelina Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone, in Girolamo Strozzi (a cura di), Diritto dell’Unione europea, vol 2 parte speciale, Torino, Giappichelli, pag 79

404 Trattato sull’Unione europea, Articolo 5

Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia e la Corte dei conti esercitano le loro attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti, da un lato, dalle disposizioni dei trattati che istituiscono le Comunità europee, nonché dalle disposizioni dei successivi trattati e atti recanti modifiche o integrazioni delle stesse e, dall'altro, dalle altre disposizioni del presente trattato.

405 Trattato CE, Articolo 5

La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.

406 Gianluca Bascherini, 2000, Europa, cittadinanza, immigrazione; Diritto Pubblico, p.785; LS.Rossi, 2000, Gli Stranieri, a cura di Antonio Tizzano in Il diritto privato dell’Union europea, Torino, Giappichelli, vol.1

può tutelare il proprio diritto alla libera circolazione assicurata dal titolo III° TCE, chiedendo il rinvio alla Corte di Giustizia in ogni grado di giudizio a norma dell’art.234 trattato CE, la tutela dell’extracomunitario è invece lasciata all’ultimo grado di giudizio rimanendo nella facoltà degli Stati decidere se estendere tale diritto ai gradi inferiori di giudizio. L’opposta decisione comporta per lo straniero un aggravio di tempi e costi per accedere alla tutela della Corte di Giustizia delle Comunità europee.

Il problema è aggravato dalla sottrazione alla competenza della Corte delle misure di ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza adottate da uno Stato a seguito

dell’abolizione dei controlli sulle persone alle frontiere interne. Si tratta di misure lasciate alla discrezionalità degli esecutivi nazionali e destinate ad avere un forte impatto sulla sfera dei diritti soggettivi degli extracomunitari, contro le quali si profila l’impossibilità per lo Straniero di rivolgersi alla Corte rilevando eventuali contrastanti col diritto comunitario contenuti in atti amministrativi adottati nelle materie suddette. Si introduce invece una competenza aggiuntiva e autonoma di tipo “consultivo – pregiudiziale” (mutuata dal modello di competenza interpretativa previsto per la Convenzione di Bruxelles del 1968) per Consiglio, Commissione e Stati membri, i quali possono provocare una pronuncia della Corte sulla interpretazione delle norme del titolo IV° e degli atti derivati, nonché sulla loro validità, con la precisazione che sono fatti salvi i giudicati. Tale competenza supplisce in parte alla minor competenza della Corte in materia migratoria introducendo altresì potenziali conflitti fra giudicati e problemi di coordinamento delle competenze407.

L’introduzione di un diverso standard di tutela giurisdizionale per gli stranieri e per i cittadini comunitari solleva il problema del rispetto dei diritti fondamentali della

persona da parte dell’ordinamento comunitario, anche in relazione ai principi affermati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione del 2000. La diversa sede di

regolamentazione del diritto alla libera circolazione degli extracomunitari, rispetto ai cittadini europei il cui diritto alla libera circolazione è disciplinato nel titolo III°, riporta l’idea della caratteristica discriminante costituita dal possesso della cittadinanza; viene fatto osservare che mentre nelle sedi internazionali (come in ambito WTO), l’Unione europea adotta politiche molto garantiste nei confronti dei diritti fondamentali della persona, pretendendo garanzie sul rispetto di tali diritti da parte dei paesi meno

sviluppati (per le implicazioni economiche e concorrenziali collegate alla produzione a bassi costi di manodopera, laddove non siano rispettati i diritti fondamentali del

lavoratore), non corrisponde invece una pari tempestività nell’impegno politico

dell’Unione quando si tratta di considerare, nel proprio territorio, i diritti fondamentali delle persone immigrate dagli stessi paesi. L’estensione dei possibili atti adottabili nell’ambito del III° pilastro, cooperazione di polizia, viene visto da parte della dottrina come un aumento degli strumenti del controllo amministrativo408 potenzialmente diretti agli immigrati in alternativa alla scelta politica di integrazione degli stessi.

407 Bruno Nascimbene, 1998, L’unione europea e i diritti dei cittadini dei paesi terzi, in Il diritto dell’Unione europea, p.511

408 Gianluca Bascherini, 2000, Europa, cittadinanza, immigrazione; Diritto Pubblico: Con il trattato di Amsterdam, gli atti adottabili nell’ambito del III° pilastro, sono stati estesi da semplici posizioni comuni dell’Unione rispetto ad una data materia e convenzioni (vigenti se adottate a maggioranza semplice degli Stati membri e attuabili con la maggioranza dei due terzi) a decisioni quadro, che analogamente alle direttive pongono obblighi di risultato, e decisioni, che sono atti vincolanti ma attuabili con ulteriori misure del Consiglio. Tale estensione, da un lato aumenta i possibili livelli di accordo e cooperazioni tra gli esecutivi all’interno del Consiglio moltiplicando i canali di convergenza parziale, dall’altro non soddisfa però alle esigenze di trasparenza e semplificazione e non

Il concetto europeo di cittadinanza aggiunge alcuni diritti, non certo nuovi, rispetto a quelli nazionali, quali la libertà di circolazione e soggiorno nel territorio comunitario, i diritti di elettorato, di protezione diplomatica comune, l’assistenza del Mediatore europeo. Ciò identifica un concetto di cittadinanza di tipo amministrativo, funzionale ad un ordinamento di tipo economico, che complementa quello nazionale e non sembra suscettibile di evoluzioni409. Parte della dottrina410 è propensa a ritenere che con il trattato di Amsterdam sia possibile una evoluzione della cittadinanza europea che ricomprenda in futuro i diritti sociali fondamentali dei lavoratori cui fa menzione il preambolo del trattato U.E. La cittadinanza europea attuale discende dall’estensione a tutti i cittadini degli Stati membri di diritti afferenti alla sfera economica e lavoristica, principalmente per facilitare la libera circolazione dei lavoratori, mentre il rapporto tra individuo lavoratore ed Unione europea deve ancora consolidarsi411.

Nel frattempo la Corte di Giustizia ha, per proprio conto, avanzato nell’affermazione dell’esistenza di un legame tra l’esercizio di una attività lavorativa ed il diritto di circolazione e di stabilimento nell’Unione anche per il lavoratore extracomunitario al quale ha esteso tali diritti, inizialmente riconosciuti al solo cittadino comunitario e in seguito estesi ai suoi familiari ed infine anche agli studenti e pensionati. Un importante cambio di atteggiamento è rappresentato dalla sentenza C-295/90 del 7 luglio 92, che annullò le direttive 364, 365 e 366 del 90 relative al diritto di soggiorno di determinate categorie di non – lavoratori, per erronea scelta della base giuridica (art.235 TCE, finalizzato al funzionamento del mercato comune) adottata per tali direttive dal Consiglio che aveva ignorato le indicazioni della Commissione di ricorrere a tal fine all’art.7 (ora 12) che vieta invece le discriminazioni basate sulla nazionalità. La Corte non collegava più il diritto di soggiorno alla sfera economica e professionale ma affermava la prevalenza del principio di non discriminazione.

Parte della dottrina afferma che il fallimento del tentativo di comunitarizzare le politiche migratorie sulla base di soli presupposti economici, farebbe emergere la

necessità di un cambio di fronte basando sui diritti fondamentali della persona le nuove politiche migratorie; in altre parole si manifesterebbe la necessità di fondare la

disciplina della materia migratoria sul piano dei principi412. Ciò rinvia inevitabilmente al discorso sulla necessità di una costituzione europea e sul significato della Carta dei

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