CAPITOLO I - I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI, IL DIRITTO E IL MERCATO
3.2 Modelli di flusso migratorio nell’UE
Gli Stati membri hanno una lunga tradizione di immigrazione che nel complesso ha contribuito alla crescita economica e alla capacità di adattamento del mercato del lavoro, pur considerando che forma e dinamiche dei movimenti migratori hanno mostrato variazioni consistenti da paese a paese e nel corso del tempo. Gli extracomunitari rappresentavano nel 2000 il 4 per cento delle persone residenti nell’UE.125 Nel corso degli anni Novanta, la migrazione netta ha rappresentato la maggior componente di incremento demografico nella gran parte degli Stati membri, fluttuando, negli ultimi anni per l’intera UE, intorno al milione di migranti
internazionali per anno. L’ultimo decennio ha visto ampliarsi e diversificarsi la
tipologia dei migranti, dei modelli di flusso e delle combinazioni tra paese di partenza e di arrivo. Picchi di immigrazione si sono avuti tra il 1992 e il 1997 a causa dei conflitti armati presenti nel mondo. I paesi un tempo terra di emigrazione, quali gli Stati membri meridionali e l’Irlanda, sono divenuti paesi di immigrazione di lavoratori provenienti in maggioranza da paesi terzi. Considerato l’incremento della popolazione giovane
riscontrabile in molti paesi terzi, le differenze sociali ed economiche e l’instabilità politica che li caratterizzano, risulta improbabile un calo della pressione migratoria nel futuro.
Nel 2004 dieci nuovi Stati membri entreranno a fare parte dell’UE e parte di quella che finora è stata considerata immigrazione si trasformerà in mobilità interna. Esperienze
124 Allegato 1 alla comunicazione COM(2003)336.
125 Per informazioni più dettagliate, si consultino in particolare: Eurostat, Women and men migrating to and from the EU, Statistics in focus, Theme 3 - 2/2003; Eurostat, First demographic estimates for 2002, Statistics in focus, Theme 3 - 25/2002. Le cifre qui riportate sono desunte dalle due pubblicazioni citate. Si vedano anche le Figure 1 e 2 delle statistiche.
passate e stime recenti126 suggeriscono che la mobilità della manodopera in partenza dai nuovi Stati membri potrebbe rivelarsi contenuta, anche tenendo conto delle situazioni specifiche nelle regioni di confine. In ogni caso l’incidenza
dell’immigrazione sul cambiamento demografico nel gruppo EU-25 è destinata ad aumentare d’importanza, poiché vecchi e nuovi Stati membri presentano tendenze demografiche simili quanto all’invecchiamento della popolazione attiva.
4 Il diritto migratorio in Italia e i collegamenti con l’ordinamento giuridico comunitario
Può essere utile riassumere l’evoluzione della disciplina migratoria nazionale prima di passare all’analisi delle politiche comunitarie, considerando che queste muovono anche in relazione alla volontà degli Stati membri, rappresentati nel Consiglio.
Nell’ultima decade del XX° secolo la dottrina giuridica italiana dedicava una
particolare attenzione al lavoro immigrato verso il quale, fino a pochi anni prima, aveva mostrato un interesse davvero minimo, tanto da non studiarne l’impatto sul diritto comune del lavoro127: fino agli anni 80 la ridotta dimensione dei flussi migratori non impegnava il legislatore italiano mentre era l’azione amministrativa dei Ministeri a regolamentare con vasta produzione di circolari un fenomeno considerato di
importanza minore, che non era certo di grande interesse per i giuslavoristi. Il
paradigma tradizionale assegnava le questioni relative agli “stranieri”, lavoratori e non, ad altri rami del sapere giuridico.
La disciplina del lavoro degli immigrati era vista nell’ottica delle politiche migratorie e veniva fatta rientrare nel vasto mare del diritto pubblico e costituzionale, in
collegamento con il diritto internazionale attraverso l’art.10 Cost., mentre il sistema giuslavoristico interno la considerava “zona franca” permettendo così il formarsi di una sacca di regressione nel diritto del lavoro nazionale. Autorevole dottrina128 fino agli anni 80 riteneva, sulla base dell’art.10 c.2 Cost., che il legislatore dovesse
regolamentare la condizione giuridica dello straniero conformandosi al diritto internazionale che aveva una rilevanza pratica immediata sul lavoro immigrato. Circolari ministeriali129 regolamentavano l’accesso al lavoro degli extracomunitari lasciando ampia discrezionalità amministrativa e stabilendo un nesso diretto tra licenziamento e decadenza del permesso di soggiorno, con la conseguente espulsione dallo Stato, creando un sistema funzionale alla produttività del singolo datore di lavoro ma non alle esigenze generali del mercato del lavoro.
Di conseguenza il diritto del lavoro italiano concedeva uno spazio modesto alla materia del lavoro degli immigrati con pochissimi interventi di rilievo130 mentre la Corte
Costituzionale, con sent.n.46/77, ammoniva il legislatore disattento a riordinare l’intera
126 Cfr. European Integration Consortium (2001), The impact of Eastern Enlargement on Employment and Labour markets in the EU
member States. Le stime suggeriscono che i flussi dai nuovi Stati membri verso i 15 paesi oggi nell’UE potrebbero, nella fase
iniziale, ammontare a sole 350.000 persone. Il flusso annuale in ingresso dovrebbe diminuire nel corso del tempo, in misura tale da determinare una stabilizzazione del numero totale di persone provenienti dai nuovi Stati membri e residenti nei 15 paesi UE, numero che, nel 2030, è stimato in circa 3,5 milioni di persone. L’introduzione di periodi transitori avrebbe l’effetto di distribuire i flussi in ingresso su un lasso di tempo più ampio.
127 Viscomi Antonio, a.VI n°1, 1992, Lavoro e Diritto
128 Cassese, 1975
129 Circolare del Ministro del lavoro n.51/63
130 Giuseppe Pera, 1974, The legal position of the foreign worker in Italy, IX° congresso di diritto comparato di Teheran; Paolo Vettori, 1976, Il collocamento dei lavoratori extra-comunitari in Italia.
materia relativa alla condizione giuridica degli stranieri. Nei primi anni 80 lo scenario cambia e con l’aumento significativo dei flussi migratori alcuni importanti interventi dottrinali prospettano una riforma della materia sia sotto l’aspetto del diritto
internazionale che del diritto comune del lavoro131. Viene affrontato per la prima volta il tema dei problemi giuridici collegati all’assunzione, alla condizione dei lavoratori extracomunitari, all’ottica della parificazione degli extracomunitari ai cittadini nel diritto al lavoro riconosciuto dall’art.4 Cost.132. Nel 1986 finalmente interviene la legge 943 che raccoglie la dispersione delle circolari ministeriali ma anche si sgancia dalla mera regolazione pubblicistica dell’ingresso degli stranieri e sancisce la garanzia dei principi dell’uguaglianza e della parità di trattamento del lavoratore immigrato rispetto al cittadino. Il nuovo contesto normativo attrae immediatamente l’attenzione della dottrina giuslavoristica che riconduce l’immigrazione extracomunitaria all’ambito del diritto del lavoro, alle problematiche delle politiche attive del lavoro ed agli aspetti classici della disciplina del rapporto individuale133.
Ulteriori e più decise forme di programmazione dei flussi d’ingresso, vennero attuate nel ‘90134 precisando una politica nazionale dei flussi migratori ispirata ad un modello garantista e individuale, basato sulla programmazione dell’ingresso nel mercato del lavoro e sull’integrazione dello straniero nel tessuto economico e sociale. Tuttavia tali politiche erano destinate ad infrangersi negli anni 90 contro gli apocalittici esodi di emigranti dai paesi meno sviluppati e contro le fughe di massa che seguirono al crollo generale dei sistemi sociali delle economie centralizzate. Nel 92 già subentrarono nella materia le politiche comunitarie della cooperazione fra Stati membri in materia di controlli (giustizia e affari interni), pur restando di fatto agli Stati i compiti di regolare gli ingressi degli stranieri, l’accesso al mercato del lavoro e le espulsioni dei
clandestini.
Parte della dottrina interpretava le forme di controllo e di programmazione legale dell’ingresso degli stranieri nei mercati del lavoro, come dei meccanismi ostili e di arginamento della pressione migratoria, ossia politiche di esclusione e di stop agli ingressi, anche se dal 92 il trattato di Maastricht aveva assegnato alla cooperazione fra Stati, le c.d. politiche di terzo pilastro, il fondamentale compito di armonizzare le politiche d’ingresso ed il controllo delle frontiere esterne, condizione necessaria che avrebbe permesso la realizzazione del mercato interno con la libera circolazione delle persone, compresi gli extracomunitari regolarmente soggiornanti, e dei servizi. Ciò comportava la nuova responsabilità degli Stati membri dell’Unione, che si inseriva nel contesto comunitario, di realizzare un’armonizzazione delle politiche migratorie
destinata poi ad evolvere, attraverso la recezione dell’acquis di Schengen, nelle nuove competenze comunitarie in materia migratoria, formalmente assegnate all’Unione dal Trattato di Amsterdam del 1997.
131 Bruno Nascimbene, 1982; Giorgio Grezzi, 1982; Luciano Ventura, 1984; Sforza, Pignatiello, 1982; Faccenda, 1984; Pittau, 1984 e 85; Papperini, 1985.
132 Giorgio Gaja, 1984, Firenze.
133 Carlo Cester, 1988, La disciplina dei lavoratori extracomunitari in Italia, Le nuove leggi civili commentate.
5 Il fenomeno migratorio e l’Unione europea
Il concetto di immigrazione nelle moderne economie occidentali è strettamente collegato al lavoro. I visti d’ingresso di lunga durata sono concessi in relazione ad un’attività lavorativa, salvo casi particolari.
Per l’Unione europea il diritto del lavoro degli stranieri è un nuovo capitolo delle competenze cosiddette di primo pilastro, prende le mosse dai problemi sorti dalla realizzazione del mercato comune interno e da quelli che sorgono dall’incontro di domanda ed offerta nel mercato globale del lavoro, che oltrepassa le frontiere comuni esterne. Il nodo fondamentale dell’immigrazione per lavoro è costituito dalla necessità di accesso al mercato del lavoro interno pur rimanendo all’esterno dei confini
comunitari: condizione pregiudiziale per ottenere un visto per lavoro è di ottenere un’offerta scritta di lavoro. Poi vi sono le procedure di ammissione all’ingresso per lavoro; i problemi collegati alla tutela delle condizioni di lavoro e ai diritti
dell’integrazione; infine i problemi di ordine pubblico e di polizia, sui quali l’attenzione dell’Unione europea si concentra con interesse alterno secondo l’avvicendarsi delle fasi politiche.
L’ingresso nel mercato del lavoro di un paese che offre livelli di vita e di protezione sociale migliori rappresenta, per soggetti provenienti di regola da situazioni socio -economiche assai svantaggiate, la ragione fondante di una scelta individuale di primaria importanza; l’approccio del diritto internazionale al problema migratorio è attento principalmente al fatto che si tratta di scelte individuali dettate da ragioni di
sopravvivenza.
La creazione di un diritto comunitario uniforme per lo straniero lavoratore, deve tenere conto che, mentre da una parte le politiche migratorie fanno riferimento ad un mercato del lavoro europeo come competenza di primo pilastro, dall’altra la politica
comunitaria dei mercati del lavoro regionali e locali segue il c.d. “processo di
Lussemburgo” che spinge al decentramento delle relazioni industriali e contrattuali sostenendo delle politiche locali di diritto del lavoro basate sul sistema contrattuale e sulla concertazione al fine di soddisfare la flessibilità della domanda.
Tali politiche, tradizionalmente di stretta competenza nazionale, non sono facilmente riconducibili “a fattor comune” a livello europeo.
D’altro canto l’eliminazione delle frontiere interne degli Stati membri al fine di realizzare il mercato unico, ha posto il contestuale problema del rafforzamento dei confini comuni quale garanzia del rispetto delle stesse esigenze di miglioramento economico degli Stati europei, esigenze che sono lo scopo preordinato, alle condizioni determinate nei trattati, dell’Unione e delle Comunità europee135. Il rapido processo di globalizzazione dei mercati ha coinvolto nell’ultimo decennio anche il mercato del lavoro sui due fronti delle migrazioni dei lavoratori e delle aziende, rispettivamente verso maggiori e verso minori tutele di lavoro, ed anche questo macroscopico spostamento di energie produttive rappresenta, su scala mondiale, un problema economico affrontato in ambito WTO e che coinvolge strettamente i diritti degli
immigrati extracomunitari. Il Consiglio europeo straordinario di Tampere ha affermato
nell’ottobre ‘99 che l’Unione Europea dovrebbe garantire l’equo trattamento degli immigrati da paesi terzi che soggiornano legalmente sul territorio degli Stati membri ravvicinando il loro status giuridico a quello dei cittadini e indicando gli aspetti cruciali dell’immigrazione quali i controlli delle frontiere esterne, la lotta contro razzismo e xenofobia, il partenariato con i paesi d’origine.
La Commissione europea ha presentato varie proposte su tali temi, attualmente in corso di adozione. Il Consiglio europeo sembra muoversi in questa direzione136 estendendo ai lavoratori cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti in uno Stato membro, il
regime di sicurezza sociale previsto per gli altri i lavoratori migranti, in quanto tali disposizioni non fossero già ad essi applicabili a causa della nazionalità.