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I limiti posti dalla normativa internazionale alla libertà di regolare gli ingressi

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 66-69)

CAPITOLO II - LAVORATORI E CITTADINANZA, DIRITTO COMUNITARIO E INTERNAZIONALE

9.1 I limiti posti dalla normativa internazionale alla libertà di regolare gli ingressi

Le politiche della regolazione degli ingressi e dell’accesso al mercato del lavoro, nel duplice aspetto di accesso dall’esterno (pregiudiziale per l’ottenimento del visto

d’ingresso per lavoro) e dall’interno (riguardante il diritto di accesso al lavoro una volta che l’extracomunitario è regolarmente soggiornante), stanno a monte di ogni altro diritto del lavoratore extracomunitario260, poiché una volta ammesso il lavoratore proveniente da Stati terzi è tutelato dalla normativa internzionale, ed oramai anche da quella nazionale, contro l’espulsione ed i trattamenti discriminatori. In altre parole la materia dell’ingresso, in cui non sono posti limiti al potere dello Stato, costituisce un problema migratorio primario.

Secondo l’ Art. 6 del trattato UE l'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri; rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario. Inoltre l’Unione sostiene l’OIL e nelle sedi internazionali (ad es. in ambito WTO) ne riconosce il ruolo istituzionale nella materia del diritto del lavoro a livello mondiale. Ciò è illustrato nel capitolo dedicato alle politiche europee sui diritti dei lavoratori affermate all’esterno della Comunità.

Tuttavia le Convenzioni internazionali non pongono limiti alla libertà degli Stati di ammettere gli stranieri sul proprio territorio.

La pace di Vestfalia261 e la nascita degli Stati nazionali affermarono il principio della sovranità dello Stato, che implica l’assenza di limiti al potere dello Stato di adottare decisioni entro i propri confini. E’ opinione largamente condivisa262 che in base al diritto internazionale generale non siano riscontrabili limiti nella libertà dello Stato di ammettere lo straniero all’ingresso entro i propri confini; tale discrezionalità non è mai stata posta in dubbio dalla prassi giudiziaria dei tribunali europei263 ed americani

259 Bruno Nascimbene, 1984, Il trattamento dello Straniero nel diritto internazionale ed europeo, Milano, Giuffrè, pag.237

260 Vedi Adinolfi, 1992, op.citata, p. 273

261 La pace di Vestfalia fu conclusa il 24 ottobre 1648 fra tutte le potenze coinvolte nella guerra dei trent’anni, che vide lo scontro sanguinoso di cattolici e protestanti in tutta Europa. Con i trattati di pace finisce l’idea di un’Europa unificata sotto il “Sacro romano impero” e viene riconosciuta la sovranità degli Stati e la loro libertà di ammettere al loro interno religioni diverse da quella cattolica.

262 Adelina Adinolfi, 1992, I lavoratori extracomunitari, Il Mulino, Bologna

263 Corte Costituzionale italiana, sentenza 244 del 1974, in Giurisprudenza costituzionale, 1974, p.2363: <<… lo straniero non ha, di regola, un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno in altri Stati>>; sentenza n. 104 del 1969 ibidem 1969 p.1589; sent. n. 144 del

mentre nei casi in cui era stato negato l’accesso a propri cittadini, gli Stati hanno agito in via diplomatica invocando soltanto la violazione di norme di origine pattizia.

L’esigenza di individuare dei limiti a tale piena libertà degli Stati non più rispondente alle esigenze della comunità internazionale, è stata largamente avvertita dalla dottrina che ha cercato tali limiti nelle esigenze del commercio internazionale, in un obbligo dello Stato all’accoglienza a fronte alla libertà individuale di emigrare264, comunemente ammessa. Più recentemente un altro limite, benché assai tenue, è stato individuato da vari autori265 nel diritto umanitario e in particolare nel principio di non discriminazione, affermando che nella prassi emergerebbero dei vincoli espressi nel divieto degli Stati di escludere immotivatamente o in maniera discriminatoria gli stranieri e che tali vincoli operano come limite delle leggi sia nelle decisioni dei casi concreti, derivandone l’esigenza di motivare i provvedimenti di rifiuto. Nella pratica i limiti generali di questo tipo sono il divieto delle restrizioni all’ingresso fondate su motivi razziali o etnici ed anche la Comunità europea ha adottato misure su tali materie266 ed altre sono in corso di adozione.

Per quanto riguarda il permesso d’ingresso per motivi di lavoro, aspetto di principale interesse nel diritto del lavoro degli extracomunitari, non esiste nessuna prassi che limiti la libertà degli Stati nel modellare la propria politica migratoria sulle proprie esigenze economiche. Anzi, è proprio la funzione protezionistica del mercato del lavoro che ha ispirato negli Stati norme limitative degli ingressi267, senza che per

questo sia mai stata sollevata alcuna violazione di obblighi internazionali da parte degli Stati di emigrazione.

Neppure la restrizione degli ingressi sulla base della cittadinanza, unico caso nel quale vi potrebbe essere una tenue possibilità di far valere il principio di non discriminazione, è ritenuto applicabile salvo che le restrizioni si riferiscano all’origine etnica, caso che nella prassi attuale tuttavia non si riscontra. Neppure provvedimenti di blocco totale degli ingressi, adottati negli anni 60 da alcuni Stati europei, hanno suscitato reazioni da parte dei paesi di forte emigrazione.

E’ invece attraverso norme convenzionali che gli Stati limitano la loro libertà di ammettere lavoratori stranieri ma sempre in casi specifici, dimostrando anzi una certa riluttanza ad accettare vincoli generalizzati al potere di ammettere lavoratori

stranieri268. Le norme convenzionali generali non riguardano mai l’ingresso e il soggiorno di stranieri ma incidono piuttosto sul trattamento, in particolare quelle di diritto umanitario.

1970, ibidem 1970 p.1665: lo straniero che intende recarsi in un latro Stato deve, “per prassi internazionalmente ammessa”, munirsi di visto di ingresso precisando le ragioni e la durata del soggiorno.

264 Adelina Adinolfi, vedi nota 6 a p. 46. di op. citata.

265 G.S.Goodwin-Gill; R.Arnold; G.Calamia; nota 8 p.46 op. citata di A.Adinolfi

266 Decisione del Consiglio del 27 novembre 2000 che istituisce un programma d'azione comunitario 2001-2006, per combattere le discriminazioni (2000/750/CE); Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica; Risoluzione legislativa del Parlamento, secondo la procedura di consultazione, sulla proposta di decisione-quadro del Consiglio sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (COM(2001) 664 – C5-0689/2001 – 2001/0270(CNS)).

267 Adelina Adinolfi, 1992, I lavoratori extracomunitari, Il Mulino, Bologna

Il Patto sui diritti civili e politici269 e il Protocollo n.4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sanciscono il diritto di ogni individuo a lasciare il proprio paese senza però stabilire l’opposto obbligo degli Stati all’ingresso270.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che l’Unione europea si è impegnata a rispettare271, può indirettamente comportare una limitazione alla discrezionalità

nell’ammettere lo straniero, poiché richiede un bilanciamento di tale potere con i principi di tutela in essa enunciati272. I principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo costituiscono un parametro di legittimità delle misure discrezionali adottate dagli Stati in materia d’ingresso e soggiorno di stranieri273. Tali principi rilevano in particolare sul ricongiungimento familiarexxii. Nella sentenza Abdulaziz contro Regno Unito274 la Corte europea dei diritti dell’uomo si è conformata all’orientamento della Commissione affermando di escludere che misure prese nel campo migratorio debbano compromettere il diritto al rispetto della vita familiare.

Neppure le convenzioni che disciplinano direttamente le materie della migrazione per lavoro toccano il potere discrezionale degli Stati. L’art. 18 della Carta sociale europea pur fissando tra le parti firmatarie, fra cui i paesi membri della Comunità, “il diritto di esercitare sul territorio di un'altra Parte ogni attività a fini di lucro a parità di condizioni con i cittadini di quest'ultima parte” precisa “ con riserva di ogni limitazione fondate su seri motivi di natura economica o sociale”.

Le Convenzioni OIL 97275 e 143276 sui diritti dei lavoratori migranti non riguardano l’ammissione del lavoratore straniero; tuttavia dalla Convenzione OIL n. 143 erano stati derivati dei limiti alla libertà degli Stati quanto alla “valutazione di opportunità sull’accesso” al mercato del lavoro di lavoratori ancora residenti nel loro paese277, limiti che, secondo tale dottrina, andrebbero ad incidere anche sull’ammissione poiché troverebbero la loro concretizzazione nel divieto delle politiche protezionistiche e di blocco generalizzato degli ingressi e sarebbero giustificati solo da motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato.

Sia la Convenzione europea di stabilimento del 1955, che la Convenzione sullo status giuridico del lavoratore migrante del 1977, concluse tra gli stati membri del Consiglio d’Europa e riguardanti i soli lavoratori dei paesi contraenti, non ponevano comunque alcun limite alla libertà degli Stati di stabilire i presupposti per l’ingresso ma solo limitazioni generiche riguardanti l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Un’interessante limite alla libertà dello Stato di ammettere all’ingresso i lavoratori migranti deriva dall’asilo umanitario nel caso dei cosiddetti rifugiati economici: la

269 Patto internazionale sui diritti civili e politici, Adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione n. 2200 A (XXI) del 16 dicembre 1966; entrata in vigore il 23 marzo 1976.

270 A.M.Calamia, 1980, Ammissione ed allontanamento degli stranieri, Milano, Giuffrè, p.66, afferma che tali norme convenzionali tendono a favorire la circolazione delle persone senza per questo porre dei vincoli in ordine alla loro ammissione.

271 Trattato istitutivo dell’Unione europea, art.6

272 In tal senso si è costantemente orientata la Commissione europea dei diritti dell’uomo: decisione 8041/77; 9114/80, 9473/81, 9474/81

273 Così si è espressa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella risoluzione 40/144

274 Rivista di diritto internazionale, 1987, p.356

275 Convenzione OIL C97, Convenzione sui lavoratori migranti, adottata 01/07/1949, entrata in vigore : 22/01/1952

276 Convenzione OIL C143, sui lavoratori migranti, disposizioni complementari, adottata a Ginevra conferenza n.60 del 24/06/1975, entrata in vigore : 09/12/1978; Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti

277 Valerio Cerritelli, 1986, commento agli art. 5-7 della legge 943, in La disciplina dei lavoratori extracomunitari in Italia, Le nuove leggi civili commentate, a cura di Carlo Cester, p. 1035

definizione di rifugiato data dalla convenzione di Ginevra sembra idonea a

ricomprendere anche quei lavoratori le cui condizioni di vita non sono minimamente garantite nel paese di origine così da costituire delle condizioni lesive della dignità umana. Anche gli artt. 6, 7 e 8 del Patto internazionale sui diritti civili e politici278 e gli art. 2 e 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo279, proteggendo il diritto alla vita e vietando trattamenti che ledano il diritto alla vita e alla dignità umana, portano a dare un rilievo all’asilo umanitario per motivi economici280.

Nel documento LL Università degli Studi di Padova (pagine 66-69)