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L'eclettismo di Seneca

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 38-44)

2. LO STOICISMO A ROMA PROBLEMATICHE

2.1. La coerenza come progetto teorico e pratico

2.1.2. Lo sviluppo dello stoicismo romano

2.1.2.2 L'eclettismo di Seneca

Possiamo affermare che nel I secolo d.C. l’influenza della Stoa raggiunse propriamente il suo apice con Seneca. Una possibile ragione del successo di tale movimento filosofico può essere rinvenuta nella marcata sottolineatura data alla

virtus pratica come ideale per lo Stato e per l’individuo, orientandosi verso un’etica

individuale dai risvolti assai rigoristici e cinici. Sotto Claudio e Nerone, in un

41 Cfr. Erler [2003], pp. 737-738.

42 Cfr. Gill [2003], § 6, p. 49: “Thinkers such as Cicero [...] in the late Republican period focused on

finding exact Latin equivalents for Greek technical philosophical terms”.

periodo in cui la vita del singolo non era più garantita, si sentì fortissimo il bisogno di testi che aiutassero ad affrontare i costanti pericoli della vita quotidiana, ad affrontare le proprie debolezze e a prepararsi alla morte, la quale poteva calare in un qualsiasi momento della propria esistenza. Ma come fece esattamente lo stoicismo ad insinuarsi nella vita dei romani? In seguito alle guerre civili dell’ultimo periodo della Repubblica, la pace di Augusto aveva dato la possibilità di volgersi al panteismo stoico e alla sua visione del cosmo, portando ad una fiducia nel corso naturale delle cose e alla convinzione che non si debba dare tanto importanza ai fatti esterni, quanto alla coscienza interiore. Ovviamente alla base di questa concezione sta l’idea di un ordine del mondo in cui la natura (Φύσις), insieme all’intelletto (λόγος), agiscono finalisticamente come principio divino.

“L’influsso crescente della dottrina stoica fra le classi dirigenti sembra che sia stato legato anche a determinate situazioni di pericolo [...] è innegabile che la Stoa offrisse argomentazioni a favore della rinuncia alla vita pubblica, per giustificarla o nasconderla. Seneca visse in un’epoca nella quale si compì il passaggio dal principato al potere imperiale: il rapporto fra l’aristocrazia senatoriale e l’imperatore era caratterizzato da una reciproca sfiducia”44.

Non possiamo a questo punto fare a meno di proseguire senza considerare un’altra delle figure di capitale importanza per la filosofia romana. Una doppia erma rinvenuta a Roma lo vede raffigurato insieme a Socrate; “his death, vividly described by Tacitus (Ann. XV 62-4), and partly modeled on the death of Socrates, as presented in Plato’s Phaedo, was conceived as a gesture of defiance and of heroic fortitude”45; di certo, anche Seneca (1/4 a.C. - 65 d.C.), come la filosofia ellenistica per Cicerone, vide la vita del filosofo greco come un modello da imitare. La sua carriera, che comunque lo portò ad alti livelli di potere, non lo risparmiò certo da considerevoli contraccolpi: si vide perciò costretto a dover coniugare le esigenze della filosofia con la vita pratica di ogni giorno46 (a tal proposito si dice perfino che “as we will see,

44 Ivi, pp. 743-744.

45 Cfr. Gill [2003], § 2, p. 34. 46 Cfr. Erler [2003], pp. 745-746.

there are indeed indications that in the last stage of his life Seneca resorted to techniques of camouflage”47). Addirittura spesso gli si è rinfacciato di mancare di coerenza tra vita vissuta e dottrina professata; con queste parole lo difende Inwood, chiarendo il punto di vista senecano in merito alle accuse di non saper coniugare etica teorica e pratica: “the relationship between ethical theory and pratical advice was itself a subject of discussion in this period, notably by Seneca. Seneca stresses that both parts of ethics are distinct but interdipendent, and he insists (in contradiction to Aristo, for instance) that both parts have their own validity”48. Ciononostante gli si deve concedere di aver tentato di esercitare la filosofia con la dovuta serietà, considerando come suo compito primario il favorire la volontà di perfezionamento. In tal senso Seneca non si interessò mai ad esporre sistematicamente un sistema dottrinale o una maniera originale di filosofare: “i suoi scritti dovevano aiutare ad alleviare l’imperfezione umana (Dialogi, 7 17 4)”49. Ciò che realmente importa è il formare spiritualmente un pubblico avente almeno già una minima conoscenza delle idee di base delle maggiori scuole filosofiche; secondo Erler Seneca si considerava dunque una vera e propria guida spirituale50. Di differente avviso pare Gill, il quale afferma che “not all the figures noted earlier as Stoics would have regarded themselves as Stoic ‘teachers‘, at least not in the same sense. [...] Seneca was himself a Roman aristocrat at the centre of power; although he though of himself as a Stoic and composed a series of important Stoic essays, he would not have characterised himself as a ‘Stoic teacher’”51.

Il suo stile si caratterizza non da ultimo per la componente retorica del metodo filosofico applicato, ritenendo che uno stile buono sia utile anche a conquistare i neofiti in filosofia (considerazione che mi pare richiamare lontanamente alcune concezioni di Frontone alle prese col suo giovane allievo imperatore). Vicino a questi

47 Cfr. Reydams-Schils [2005], p. 6. 48 Cfr. Gill [2003], § 5, p. 43. 49 Cfr. Erler [2003], p. 747. 50 Ibidem.

aspetti vanno poi certamente accostati l’autoterapia del conforto verso se stessi e il tentativo di avere un’influenza politica (“to understand notorious Roman encounters between philosophy and politics such as [...] Seneca’s oscillation between distance and partecipation in politics (and his political interpretation of noninvolvement), or the so-called senatorial opposition to the emperor’s rule, it helps to place them in the larger context of ongoing philosophical debates about involvement”52, o ancora: “Seneca’s life encapsulates two striking features of the first century A.D. On the one hand, significant numbers of upper-class Romans found in Stoicism a guiding ethical framework for political involvement. On the other hand, Stoic ideals could also provide a theoretical basis for moral disapproval of a specific emperor or his actions and for principled disengagement or suicide”53).

Principalmente si tratta di occuparsi di un processo teso alla ripetuta meditazione di principi sicuri che, richiamati continuamente alla mente, contribuiscono al raggiungimento della saggezza stoica: l’obiettivo è una vita felice (qui il pensiero senecano mi pare avvicinarsi notevolmente a quello di Marco Aurelio nelle

Meditationes). I testi di Seneca risultano utili al lettore perché ne favoriscono (anche

grazie agli artifizi retorici) il grado di meditazione, che possono aiutarlo a proteggersi dalle avversità della sorte e a formulare nuovi pensieri da condividere, oltre che soprattutto giungere ad una più elevata conoscenza di sé tramite l’esame di coscienza e “l’effetto catartico di immagini martellanti”54. Eppure egli considera di primaria importanza la fisica, riservandole la parte più illustre (non a caso Gill sottolinea quanto “Seneca was dismissive of logic”55).

Ad ogni modo Seneca è ben consapevole di riuscire a vedere più in là perché altri l’hanno preceduto, perciò non intende assolutamente proporre una filosofia innovativa, bensì soltanto accrescere il patrimonio di conoscenze che gli è stato lasciato in eredità (infatti “as Seneca’s Letters indicate, meditating on wisdom also

52 Cfr. Reydams-Schils [2005], pp. 6-7. 53 Cfr. Gill [2003], § 2, p. 34.

54 Cfr. Erler [2003], p. 748. 55 Cfr. Gill [2003], § 3, p. 37, n. 9.

involves reading the great works of the past, including those of the founders of the Stoic school. Thus it would be fair to conclude that even though Seneca did not write in the same manner as a Chrysippus, he still had a sufficient knowledge of central doctrines”56). Quindi sebbene il filosofo originario di Cordova si dichiari apertamente uno stoico, egli stesso segue l’autorità del caposcuola in maniera non propriamente pedissequa, anzi talvolta si discosta del tutto dalle argomentazioni del suo maestro reclamando per se stesso una strada diversa: spesso si concede divagazioni nei campi d’interesse d’altri filosofi, prendendo a prestito ciò che gli sembra utilizzabile e degno di considerazione, senza trascurare nemmeno le norme etiche di Epicuro. Perciò possiamo asserire a maggior ragione che Seneca è stato un filosofo eclettico57. Anche per quanto riguarda questi ultimi aspetti sollevati (la meditazione continua, la riconoscenza ai padri fondatori, l’eclettismo di fondo) le similitudini con l’imperatore filosofo sono profonde; oserei dire che sono caratteri spesso dettati dai cambiamenti nell’orizzonte filosofico dell’epoca, la quale reclamava una certa condotta di rimando, e perciò condivisi dai più.

Sulle impronte della tradizione socratica, Seneca vide nella conoscenza di sé l’inizio di ogni aspirazione alla saggezza. In principio stanno la conoscenza e l’ammissione di ogni imperfezione, le quali nel pensiero senecano sono una debolezza che accomuna ogni uomo. In realtà tutto parte unicamente dalla volontà del singolo, senza la quale mancherebbe l’impulso per l’ambizione umana, la quale può accrescersi solamente tramite l’esercizio continuativo della virtù operante. La filosofia assume allora, sempre nella prospettiva di Seneca, sfumature di carattere dinamico; essa non implica il mero possesso del soddisfacimento delle proprie aspirazioni ma anche, in senso platonico, la tensione alla saggezza e alla felicità in vari gradi: “il superamento delle passioni più basse (avaritia, libido), quindi dei mala

animi, sino all’esperienza della vita reale, quando le passioni sono già superate”58 (“there are substantial works of practical ethics from the Imperial period [...]. For

56 Cfr. Reydams-Schils [2005], p. 11. 57 Cfr. Erler [2003], p. 752.

instance, Seneca’s On benefits [...] draw on Stoic advice about appropriate actions in specific types of situations, and Seneca’s On anger uses Stoic thinking about the nature and therapy of the passions”59).

Quindi il giusto modo di valutare le cose ed un’esistenza orientata alla ragione aiutano a raggiungere la vera libertà. Perciò anche la conoscenza del mondo torna utile alla conoscenza del sé: osservando la natura si rende manifesta l’azione sottesa della Provvidenza che governa ogni cosa, si nobilita l’animo umano e lo si eleva alla conoscenza di Dio. Le disgrazie (le quali possono essere previste dall’uomo accorto e di conseguenza attenuate) nel loro insieme non devono apparire come dei mali, bensì come prove volute da Dio. In Seneca vige insomma forte la convinzione che ci si possa salvare da se stessi60, nessuno escluso, neppure gli schiavi, dato che secondo gli stoici «nessuno è schiavo per natura»61 (considerazioni molto simili si possono rinvenire anche in Marco Aurelio, come indicherò più dettagliatamente in seguito).

L’attenzione che si è posta nell’evidenziare la tendenza senecana all’interiorizzazione per esempio del concetto di Dio o dell’otium sono da collocare nell’ambito dello sforzo di collegare ancora una volta la filosofia greca con le idee romane62, mentre con la centralità della voluntas, che Seneca considera di importanza capitale per ogni processo conoscitivo, arriviamo ad una vera e propria accentuazione di tale concetto di “ellenizzazione del pensiero romano”, dato che non ve n’era mai stata traccia precedentemente nella Stoa63.

59 Cfr. Gill [2003], § 5, pp. 41-42.

60 Come testimonia effettivamente il suo imperativo «fac te ipse felicem», “renditi felice da te” in

Seneca [1987], 4.31, pp. 228-229.

61 Cfr. Erler [2003], p. 753. 62 Cfr. nota 10, p. 29. 63 Cfr. Erler [2003], p. 754.

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 38-44)