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La strategia del soggetto in Marco Aurelio

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 84-89)

2 2.2 Il rischio nella Stoa romana

3. L’INFLUENZA DI EPITTETO

3.3. La dottrina dei tre tópo

3.3.3. La strategia del soggetto in Marco Aurelio

I tre τόποι finora esaminati da Epitteto, a detta di Pierre Hadot, vengono ripresi

con una certa costanza anche nei Pensieri di Marco Aurelio. Secondo lo studioso, essi vengono richiamati diffusamente in più punti dell’intera opera, talvolta con riflessioni incentrate su tutti e tre i topoi messi insieme, altre volte solo su due, o addirittura su uno soltanto. Tali tre tematiche irrinunciabili, inquadrate dal filosofo frigio nell’ambito degli esercizi spirituali o ἄσκησις, si adattano perfettamente secondo Hadot alla tripartizione filosofica in Marco Aurelio, ovvero alla disciplina del desiderio, dell’impulso e dell’assenso84. Max Pohlenz, tuttavia, avrebbe mancato

di ravvisare nei Pensieri tale corrispondenza, notando invece quanto il Manuale di Epitteto compilato da Arriano rispecchi minuziosamente tale modello ternario85.

Di per sé, risulta chiaramente impossibile esaminare come ogni aforisma di Marco Aurelio si possa connettere a tale teoria generale; possiamo però ragionevolmente analizzarne le affinità e le divergenze prendendo a modello le sentenze di uno dei

83 Cfr. Hadot [2006], cap. 5, § 4, p. 97; cfr. anche Bonhöffer [1996], cap. II, § 1, p. 32: “It is true that

according to Epictetus it is not specifically ethics, but the whole of philosophy, which falls into these three parts [...] in a certain respect the same thing corresponds to the division into physics, ethics, and logic”.

84 Cfr. Hadot [2005], cap. 2, § 3, pp. 141-142.

85 Cfr. Pohlenz [1978], p. 108, n. 5: “Arriano ha costruito il Manuale, per quanto possibile, in base ai

tre topoi. Premessa la suddivisione generale, egli tratta delle ὀρέξεις e della vita interiore dell’uomo, poi caratterizza chiaramente col lemma καθήκοντα (cap. 30) il secondo topos; i cc. 31-32 comprendono in primo luogo i doveri verso gli dèi, il c. 33 contiene una rassegna degli altri doveri secondo lo schema paneziano, seguono delle questioni particolari; il terzo topos è solo brevemente accennato nel c. 52”.

libri dei Pensieri. Ho scelto il IV, a causa della frequenza con cui si manifestano esempi utili al confronto delle due concezioni tripartite.

La prima tematica della disciplina del desiderio si basa, come abbiamo potuto vedere nel precedente paragrafo, sulla primaria differenza tra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Abbiamo detto che dipendono dalla nostra volontà i nostri atti liberi, mentre non dipendono da noi tutti quegli accidenti che hanno una causa esterna alla nostra stessa volontà. Dovremo perciò ambire soltanto al sommo bene, il quale è identificabile col desiderare, tendere e giudicare rettamente secondo ragione; riguardo invece a ciò che non ci compete, il primo esercizio richiede di non provare né desiderio né rifiuto, bensì di dimostrarci indifferenti. Con l’espressione “indifferenza” (ἀδιάφορον, adiaphoron) s’intende un ben preciso atteggiamento, cioè appunto il non provare differenza, amando indistintamente ogni cosa che accade (e che perciò non dipende da noi). La spiegazione sta nel fatto che è la natura medesima che si ama, generando quella ben nota catena necessaria di eventi che è il Fato o Destino: Marco Aurelio propone quindi la concezione dell’evento voluto dalla Natura, così come noi dobbiamo imparare a volerlo, proprio in quanto è la natura universale che ama produrlo86. Si veda in proposito il famoso passo dei Pensieri: “A

me ben si adatta, o mondo, ogni cosa che a te si adatta: non viene per me in anticipo né in ritardo ciò che per te è tempestivo. È per me frutto ogni cosa mi rechino le tue stagioni, o natura: da te viene ogni cosa, in te è ogni cosa, a te va ogni cosa”87.

S’invita dunque ad un atteggiamento sostanzialmente di coerenza di fondo, quella coerenza con se stessi e con il logos universale a cui si è già accennato nel capitolo 2: si tratta allora di sapersi collocare sapientemente nel circolo eterno degli eventi cosmici, orientando razionalmente il proprio agire e conformandosi al Destino, evitando perciò di esserne trascinati imprecando inutilmente contro gli dèi88.

La disciplina del desiderio raggiunge infine il suo apice rivelandosi come amore, come affetto compiaciuto per gli eventi voluti dalla natura: ecco riallacciato il

86 Cfr. Hadot [2005], cap. 2, § 3, pp. 142-143. 87 Cfr. Marco Aurelio [2008], 4.23, p. 193. 88 Cfr. cap. 2, pp. 27-47.

legame con la fisica, come in Epitteto, ricollegando così la vicenda umana nella sua interezza all’interno dello svolgimento cosmico. Per mettere in pratica tale fisica, cuore pulsante della dottrina del desiderio, è necessario per Marco Aurelio definire un metodo rigoroso, valido per ogni tipologia di evento che possa capitarci: è il metodo della divisione di un oggetto nelle sue singole parti: “Quando non si tratta di virtù e di quanto ne deriva, ricordati di ricorrere alla scomposizione in parti, per pervenire con la divisione al disprezzo di quelle cose. Trasferisci il medesimo procedimento all’intera vita”89.

Di per sé, poi, la fisica porta allo sviluppo di ulteriori tematiche legate alla disciplina del desiderio, ovvero alla familiarità con la natura stessa90, alla grandezza

d’animo, cioè al riconoscimento della piccolezza delle cose umane91, e al

conseguente consenso gioioso dinanzi al mondo, ovvero alla pietà92.

Anche per il secondo ambito ricorre in Marco Aurelio una intensa coloritura affettiva: bisogna infatti amare pienamente l’umanità, considerando come gli esseri razionali che la compongano siano ben più che la somma delle parti di un tutto, cioè membra di uno stesso corpo93. Com’è oramai noto, il secondo campo affronta lo

sconfinato tema delle azioni appropriate, i καθήκοντα: si tratta di quelle azioni che riguardano ciò che non dipende da noi, e che sono perciò conformi alla nostra razionalità. Inoltre, “per essere buone, tali azioni devono essere fatte con uno spirito comunitario, per amore dell’umanità, conformemente alla giustizia”94.

Tale disciplina comprende anche il principio dell’azione «con riserva», come è già avvenuto per Epitteto: dobbiamo fare tutto il necessario per riuscire nel nostro

89 Cfr. Marco Aurelio [2008], 11.2, p. 385. 90 Ivi, 3.2, pp. 161-163. 91 Ibidem; ivi, 11.2, p. 365. 92 Ivi, 3.9, p. 173. 93 Ivi, 7.13, p. 273. 94 Cfr. Hadot [2005], cap. 2, § 3, p. 146.

intento, ma sempre con la consapevolezza che il compimento dell’azione non dipende da noi, bensì dalla totalità delle cause, dal Fato95.

Il terzo ambito, quello dell’assenso, richiede il disciplinamento del λόγος interiore,

e quindi della maniera di pensare, ma anche del λόγος esterno, cioè della maniera di esprimersi: anche quest’ultimo dei tre esercizi spirituali si può ricondurre senza troppe difficoltà alla disciplina dell’assenso, del giudizio o della rappresentazione, così come appaiono nei Pensieri.

Il primo ed il secondo tema, rispettivamente la disciplina del desiderio e dell’azione, sono rinvenibili in diversi pensieri dell’εἰς ἑαυτόν; in particolare quelli

dedicati al primo ambito sono i più numerosi, sparsi diffusamente per tutto il libro IV preso in esame96. Il secondo ambito, di per sé, propone invece certuni pensieri che

espongono direttamente “precetti relativi all’azione nella comunità umana”97.

Il terzo ed ultimo ambito è quello meno progredito dei tre: riassuntivamente si può affermare che in Marco Aurelio il male non risiede nelle cose, bensì nel giudizio che conferiamo alle cose stesse; inoltre è necessario criticare i propri giudizi senza lasciarsi plasmare dal giudizio degli altri, così come il filosofo non abbisogna di saperi in eccesso, dato che la razionalità gli è sufficiente98.

In conclusione esamineremo le differenti interpretazioni degli studiosi che hanno preso in considerazione i tre topoi di Epitteto con la regola di vita tripartita di Marco Aurelio. Il primo che abbia mai notato una qualche relazione tra la dottrina del filosofo frigio ed il modello ternario di Marco Aurelio è stato proprio Adolf

Bonhöffer, il quale, secondo la prospettiva che ci fornisce Pierre Hadot, paradossalmente non ha fatto caso a quanto questo legame potesse essere significativo per l’interpretazione dell’intero εἰς ἑαυτόν. Bonhöffer ha

95 Cfr. Marco Aurelio [2008], 4.1, p. 181. 96 Ivi, 4.8, 19-20, 23, 27, 49, 50.

97 Cfr. Hadot [2005], cap. 2, § 3, p. 151; cfr. anche Marco Aurelio [2008], 4.2, 6, 12, 13, 16, 18, 24,

28, 38, 51.

98 Cfr. Marco Aurelio [2008], 4.7 e 4.39 per i giudizi sulle cose; 4.11 per l’influenza altrui; 4.30 per la

compiutamente esposto i tre τόποι di Epitteto, afferma Hadot, ha evidentemente

compreso che tale tripartizione era opera di Epitteto medesimo e che Marco Aurelio la riprende nei suoi Pensieri. Ha pure evidenziato direttamente che i possibili parallelismi rinvenibili tra i tre topoi e “quel che si potrebbe pensare di scoprire in Cicerone e in Seneca” si dimostrano assai divergenti dalla tripartizione proposta da Epitteto e Marco Aurelio99. Eppure tale lavoro di Bonhöffer è passato

sostanzialmente sotto silenzio di fronte ai suoi illustri successori, tra i quali si annovera Max Pohlenz100. Secondo Pierre Hadot si è trattato di un fraintendimento

che si è diffuso tra gli studiosi riguardante alcune partizioni binarie che appaiono in Marco Aurelio, corrispondenti ai primi due temi del consenso alla volontà universale della natura e dell’agire conformemente alla ragione naturale. Tali partizioni hanno indotto gli interpreti a credere ad un riferimento al Teeteto platonico, precisamente ad un passo101 in cui si abbinavano pietà e giustizia, teoria suffragata da alcuni paralleli

in Cicerone che garantirebbero l’origine posidoniana di questo schema. In questo modo, sottolinea Hadot, si è persa di vista la connessione tra gli schemi ternari di Marco Aurelio e i topoi di Epitteto, poiché si è scambiato il raggruppamento delle prime due tematiche, che certamente risalgono a Platone, con una specie di rappresentazione tipica dell’età ellenistica, ovvero l’unione della pietà nei confronti degli dèi con i doveri nei confronti dell’umanità. In realtà, questi primi due temi, il consenso alla volontà della natura universale e all’azione razionale, acquisiscono sfumature molto più diversificate in Marco Aurelio102.

Possiamo infine ribadire, seguendo il percorso interpretativo propostoci da Pierre Hadot, che i tre τόποι di Epitteto costituiscono realmente uno dei modi per

comprendere più a fondo l’A se stesso di Marco Aurelio. Infatti sono anch’io

99 Cfr. Bonhöffer [1996], cap. II, pp. 30-165. 100 Cfr. Pohlenz [1978].

101 Cfr. Platone [2005], 176b, p. 129: “È per ciò che bisogna sforzarsi di fuggire quanto prima da qui

verso lassù. Fuga è il rendersi per quanto possibile simili al dio; e questo rendersi simili è diventare giusti e santi, acquistando saggezza”.

dell’opinione che, ad ogni pensiero scritto, Marco Aurelio è ben conscio di ciò che fa: si addestra nella disciplina del desiderio, dell’azione o dell’assenso. “Così facendo, filosofa: fa della fisica, dell’etica, della logica”103.

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 84-89)