4.2.2.2 «Tutto è opinione»
4.3. L’azione nei confronti degli altr
4.3.5. La pietà e l’amore verso il prossimo
L’apporto personale di Marco Aurelio all’ambito della giustizia e del diritto è individuabile nella benevolenza o pietà, la quale mitiga la giustizia. Così l’imperatore filosofo, volendo dare una definizione dell’uomo di buona volontà, lo identifica con colui che sa accontentarsi della parte assegnatagli dalla provvidenza, ma che allo stesso tempo si compiace di agire secondo giustizia e con benevolenza133.
130 Cfr. cap. 2, § 2.1, p. 43.
131 Cfr. Pesce [1959], cap. II, § 8, pp. 70-71. 132 Cfr. Grimal [2004], cap. III, p.100. 133 Ivi, cap. VI, p. 195.
In precedenza abbiamo detto che gli uomini si ritrovano nel male contro la loro volontà. Marco Aurelio, infatti, rammentandosi che gli uomini non hanno cattive intenzioni, e che “peccano per ignoranza”, ammette che sono degni di pietà, dato che “in qualche modo sono atti a suscitare compassione a causa dell’umana ignoranza del bene e del male”134. Tale espressione (“in qualche modo atti a suscitare compassione”) si riferisce alla tradizionale critica stoica rivolta al concetto di pietà, considerata come una malattia dell’anima, una debolezza. Ad ogni modo, anche se Epitteto e Marco Aurelio restano fedeli alla dottrina stoica, essi definivano la «pietà» piuttosto come un’assenza di rabbia o di odio nei confronti di chi ignora i veri valori135. Secondo Parain, Marco Aurelio, nelle proprie manifestazioni di pietà, oltrepassava addirittura la misura comune: “si è potuto dire che era insieme il più convinto dei filosofi e il più zelante dei devoti”136. Eppure, aggiunge Grimal, l’ignoranza nella quale è immersa la maggior parte degli uomini accrebbe in Marco Aurelio il senso della propria superiorità spirituale, nella quale egli trovò giustificazione del proprio diritto di giudicare gli altri137.
Tuttavia, non è sufficiente avere pietà o compassione per gli uomini; dobbiamo realmente aiutarli, ammonirli dei loro errori, insegnargli i veri valori: “in generale, ti è lecito, insegnandoli, far cambiare idea a colui che erra. Chiunque sbagli manca l’obiettivo che gli sta di fronte ed erra”138.
Come vedremo, la sublimazione della giustizia nella pietà e nella compassione troverà il suo punto culminante nell’amore verso il prossimo, fondato “sullo slancio profondo della natura umana, sulla coscienza dell’appartenenza al corpo di tutti gli esseri ragionevoli”139.
134 Cfr. Marco Aurelio [2008], 2.13, pp. 153-155. 135 Cfr. Hadot [2006], cap. 8, § 11, pp. 206-207. 136 Cfr. Parain [1993], cap. IV, p. 66.
137 Cfr. Grimal [2004], cap. VI, p. 195.
138 Cfr. Marco Aurelio [2008], 9.42, pp. 351-353. 139 Cfr. Di Stefano [2006], cap. 2, § 8, p. 135.
Abbiamo così messo in luce un ulteriore aspetto della disciplina dell’azione: il dovere di soccorrere spiritualmente gli altri, di avvertirli delle proprie colpe, di mostrar loro i veri valori, di correggerne le errate opinioni, in quel continuo oscillare tra i due poli fondamentali dell’azione che avevamo individuato già in precedenza, ovvero “il comune (to koinon) e il proprio (to idion) sono i due poli distinti che determinano la tensione vitale alla conoscenza e all’azione, entrambi perfettamente in sintonia con la ragione che nella natura si esprime”. In conseguenza a tutto ciò, prosegue Maso, è ovvio che l’azione di un uomo “in cui la ragione si manifesti senza riserve” sarà utile all’intera società; così, riconducendo le sue azioni allo scopo sociale, l’uomo razionale realizzerà finalmente se stesso140.
È dunque l’utilità sociale, o meglio, il bene della comunità umana a fondare il valore dell’azione. Questa sarà «buona», nel caso in cui contribuisca ad assicurare la sopravvivenza della società, cattiva nel caso opposto141.
“In che misura Marco Aurelio ha svolto effettivamente questo ruolo?”, si chiede infine Hadot? “Non lo sappiamo. Possiamo supporre, in ogni caso, che egli si sia sforzato di diffondere intorno a sé una visione stoica della vita e del mondo”142.
Come abbiamo detto, la disciplina dell’azione raggiunge il suo apice nell’amore per il prossimo, dato che quest’amore si fonda, sottolinea Hadot, “sul profondo slancio della natura umana”143:
È proprio dell’anima razionale anche l’amare il prossimo, la verità, il rispetto e il fatto di non anteporre alcunché a sé, ciò che è proprio anche della legge; cosicché non differiscono in nulla la retta ragione e la ragione della giustizia144.
140 Cfr. Maso [2012], cap. 5, § 5.6, p. 200. 141 Cfr. Grimal [2004], cap. VIII, p. 265. 142 Cfr. Hadot [2006], cap. 8, § 11, p. 209. 143 Ivi, cap. 8, § 12, p. 210.
Augusto Fraschetti nota una cosa interessante a proposito del modo in cui è ritratto Marco Aurelio sulla famosa colonna Antonina; le posture dell’imperatore filosofo dimostrano infatti che egli già in vita subì un processo di “deificazione”, una sorta di trasformazione da uomo a divinità per quanto riguarda la considerazione che lo circondava. “È un destino un po’ singolare appena si torni alle sue stesse considerazioni, espresse nei Pensieri, quando esortava se stesso a non «cesarizzarsi»”, rileva Fraschetti. Come non dargli torto? “Nonostante ogni richiamo alla sua condizione umana sempre presente nei Pensieri [...] lo stesso Marco durante tutti gli anni del suo lunghissimo regno [...] si sentì di fatto superiore agli altri”145. Ciò a cui qui si sta facendo riferimento è un sentimento di autentica superiorità, un’altissima opinione di se stesso, anzi un “vero e proprio «egotismo»”, conclude lo storico, collegando persino tale egocentrismo con le pozioni a basi di oppio con cui Galeno curava ogni sua malattia, con tutte le conseguenze che una oppiomania può comportare146. Teniamo per il momento queste notevoli contraddizioni nell’animo e nella vita di Marco Aurelio da parte, riservandoci successivamente un giudizio.
Tornando all’amore verso il prossimo, Hadot tiene a specificare che non è possibile, dunque, affermare che «amare il prossimo come se stessi» sia un’invenzione specificatamente cristiana, o che perlomeno entrambe le concezioni dell’amore (stoica e cristiana) non abbiano lo stesso nucleo (il logos, la Ragione insita nell’uomo), facendo notare come nello stoicismo non manchi nemmeno l’amore per i nemici147. D’altronde Horn, parlando dell’abbandono dell’antico concetto di filosofia in Foucault, sottolinea che, mentre Hadot ascrive la responsabilità del cambiamento solo a certe tendenze del cristianesimo (in particolare all’alta scolastica), Foucault riconduce la perdita dell’antica cura di sé al
145 Si veda quanto abbiamo accennato prima a proposito della pietà a p. 129.
146 Cfr. Fraschetti [2008], p. XXIV-XXV: “si trattava di pozioni che contenevano notevolissime
quantità di oppio e che, una volta assorbite quotidianamente, avevano reso a tutti gli effetti lo stesso Marco un oppiomane, con tutte le conseguenze che una simile dipendenza non poteva non comportare per un Augusto sul trono”.
cristianesimo nel suo complesso e alla «società disciplinare» da esso prodotta, delineando così una netta frattura tra le due tradizioni148.
A mio parere ritengo che sia facile rinvenire parallelismi tra la dottrina di Cristo e alcuni dogmi stoici, come l’amore per il prossimo ripreso da Marco Aurelio, ma ritengo altrettanto imprescindibile tener da conto il parere di Augusto Fraschetti, secondo il quale l’imperatore filosofo, per essere uno che predicava nei suoi Pensieri la fratellanza di tutti gli uomini, trattò gli stessi Cristiani come avversari del sistema politeistico romano, vedendo in loro soltanto nemici da combattere senza tregua e senza pietà. Anzi, secondo Fraschetti non si potrebbe individuare il fine di tali feroci persecuzioni neanche in una volontà di difesa dell’ordine costituito, poiché le stesse comunità cristiane non avrebbero mai mancato di professare la loro lealtà verso Roma e verso lo stesso Marco Aurelio149.
La spiegazione a queste continue contraddizioni che ho finora cercato di porre alla pari, tra la dottrina filosofica stoica riccamente sviluppata nei Pensieri, magistralmente interpretata da Pierre Hadot ed arricchita se non talvolta contestata da altri notevoli pareri (dagli apporti degli storici, degli storiografi e degli antropologi su Marco Aurelio, i quali tendono a rappresentare l’imperatore-filosofo più tramite la cruda realtà dei fatti e delle testimonianze che altro), troveranno finalmente compimento nel prossimo capitolo, dedicato a delineare definitivamente il quadro filosofico-politico della vita di Marco Aurelio.
148 Cfr. Horn [2005], cap. 6, p. 215. 149 Cfr. Fraschetti [2008], pp. XVI-XVII.