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2 2.1 Il pericolo dell’altro

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 48-52)

“Con Cicerone inizia in Roma la sistematica riflessione filosofica e attraverso la sua figura è possibile osservare il confrontarsi della filosofia sia con le circostanze contingenti della vita individuale che con le esperienze della propria arte professionale (in questo caso la retorica dell’avvocato e la stessa pratica dell’uomo politico)”75. Così procede il quadro filosofico con Marco Aurelio e con gli aderenti allo stoicismo che lo precedettero, come Seneca ed Epitteto: il rapporto con l’altro è sentito come fondamentale, dunque ciascun autore confronta la propria filosofia con la realtà della sua vita pubblica, impostando di conseguenza il proprio comportamento verso ogni uomo. In questo paragrafo mi concentrerò allora principalmente sulla figura dell’imperatore filosofo, tirando prima le somme sulle considerazioni fatte nel precedente paragrafo sulla coerenza, per poi arrivare ad una prima e più compiuta esposizione della mediazione che Marco Aurelio attuava tra filosofia e politica.

74 Cfr. Citroni Marchetti [1994], § 1, p. 4547. 75 Ibidem.

Come accennato più sopra, per Marco Aurelio mantenere sotto controllo il proprio

hêgemonikon è fondamentale; allo stesso modo egli “suggerisce di guardare agli altri

uomini scrutando la loro anima (il loro hêgemonikon) per ritenerne a mente le caratteristiche e il tipo di azioni; ciò permetterà di prevederne le reazioni e sentirci rassicurati e, contemporaneamente, di metterci nei panni dell’altro per scrutare che giudizio abbia di noi e come siamo noi stessi76. Ovviamente non deve mancare una giusta dose di prudenza in questo gioco di relazioni, perché pur sempre si tratta di un giudizio che, dunque, in quanto tale, non può essere di per sé affidabile”77.

Si tratta quindi della conoscenza dell’altro come ulteriore precauzione nella difesa di noi stessi. Ma come può l’uomo, secondo Marco Aurelio, conoscere gli altri? In maniera puramente intuitiva. Come è stato sopra riassunto, questo è l’imperativo: “Entra nell’egemonico di ciascuno e offri ad ogni altro di entrare nel tuo proprio egemonico”78. Questo comportamento verso l’altro non è che la conseguenza di quello che abbiamo nei confronti del cosmo e del nostro ego; è necessario perciò entrare nell’animo del tutto, dell’altro e di noi stessi per trovare la ragione delle azioni altrui79. Infatti è bene prestare una grande attenzione al punto di vista degli altri80, dal momento che esiste la sia pur minima possibilità di una qualche comprensione istantanea. “Se incontriamo un altro, dobbiamo subito rivolgerci a noi stessi chiedendoci quali sono i suoi principi sul bene e sul male; questo preannuncio che noi ci facciamo su di lui ci rende sicuri riguardo alla sua azione futura”81.

76 Cfr. Marco Aurelio [2008], 7.62, p. 291; 9.27, p. 343. 77 Cfr. Maso [2012], cap. 5, § 5.5, p. 198.

78 Cfr. Marco Aurelio [2008], 8.61, p. 327: si noti qui il richiamo di Marco Aurelio al tema della

συµπάθεια (sympatheia) per i propri simili.

79 Ivi, 9.22, pp. 335-337: “ [...] e certo più facilmente si potrebbe trovare un elemento terrestre che non

si congiunga a nessun altro che non un uomo che sia staccato da un altro uomo”.

80 Ivi, 6.53, p. 265: “Abituati a stare attento a quanto un altro dice e, per quanto possibile, mettiti

nell’anima di chi parla”.

Inoltre il nostro “sguardo nell’altro” ci segnala le sue mancanze, dunque ci tranquillizziamo sull’immagine che questi ha di noi, poiché non può essere del tutto veritiera e quindi non bisogna temerla. Difatti “denudando” l’anima altrui col nostro sguardo interiore ci poniamo al sicuro da ogni possibile danneggiamento (ma anche giovamento) da parte dell’altro82. È lo stesso sguardo di Dio83; tuttavia il movimento intuitivo che mi dà accesso all’altro è, da un certo punto di vista, opposto allo sguardo con cui affermo la mia diversità, con cui mi stacco dal mondo altrui, negando la mia adesione. Vedremo meglio più avanti come si articola quest’ultimo punto.

La dimensione altrui resta comunque un grosso azzardo nell’universo di Marco Aurelio e va utilizzata con notevole cautela nelle nostre rappresentazioni: “l’attenzione all’altro non deve farci rischiare l’alienazione da noi stessi”84. Congetturare sull’animo del proprio vicino distoglie l’attenzione dal proprio demone interiore, mettendo in pericolo quella vicinanza con noi stessi che è sorgente e garante della nostra autobenevolenza. Quando non ci rispettiamo, quando ci trascuriamo per timore del giudizio altrui e delle opinioni fallaci che hanno su di noi, ecco che cadiamo nell’errore e la salvaguardia della nostra preziosa interiorità è a rischio: “è infelice chi non osserva i movimenti della propria anima, non chi non segue i movimenti dell’anima altrui”85.

Dunque congetturare sull’altro ha senso nella misura in cui c’è un fine per l’utilità comune, pur restando costantemente un pericolo. Perciò il nostro sguardo interiore

82 Cfr. Marco Aurelio [2008], 9.34, p. 347: “Abbi l’abitudine di vedere nude le povere anime di

costoro”.

83 Ivi, 12.2, p. 407: “Dio vede tutti gli egemonici nudi dei loro involucri materiali [...] Se anche tu ti

abituassi ad agire così, ti libereresti di gran parte della tua agitazione”.

84 Ivi, p. 4589.

deve puntare senza indugio al nostro cammino di vita, senza disperdersi vanamente a causa dei giudizi altrui86.

I motivi primari di questo continuo esitare nel movimento verso gli altri, soprattutto nella tenace oscillazione fra l’attrazione subitanea e la necessità del distacco, vanno ricercati, a parere della Citroni Marchetti, “nella concezione dell’universo che ha Marco Aurelio, ed anche nella sua particolare condizione di Cesare”87. A tal proposito vorrei ricordare l’opinione di Guido Cortassa in merito alla figura del limite; egli sottolinea alcuni pensieri di Marco Aurelio (“la vita è una guerra”88; “l’arte di vivere è più simile all’arte della lotta che a quella della danza”89), evidenziando quanto ci si confronti quotidianamente con un mondo difficile se non avverso; le nostre idee, per quanto possano essere salde, sono in realtà pur sempre passibili di ripulsa e di cambiamenti. Preponderante in tal senso risulta il peso che Marco Aurelio conferisce al concetto stoico dell’agire, inteso e compiuto con riserva90, in quanto può sempre interporsi ad esso una insuperabile difficoltà esterna. “Si può ben dire che del senso dell’ostacolo, del limite, del confronto duro e crudele con la realtà siano impregnati tutti i Pensieri”91. L’ostacolo in realtà è dentro (le opinioni che ci influenzano) e fuori di noi (gli altri): se c’è un sentire assai pronunciato nell’opera dell’imperatore filosofo è quello della debolezza umana. Nonostante sia incessantemente concentrato nello sforzo di autoperfezionarsi secondo i propri princìpi filosofici, “Marco Aurelio sa bene che deve accontentarsi, che la perfezione è pressoché irraggiungibile per un uomo”92. Anche Salvatore

86 Ivi, 4.18, p. 189: “ [...] Non prestare attenzione a un comportamento oscuro, ma corri diritto alla

linea di arrivo senza disperderti”.

87 Cfr. Citroni Marchetti [1994], cap. V, § 1, p. 4590. 88 Cfr. Marco Aurelio [2008], 2.17, pp. 157-159. 89 Ivi, 7.61, p. 291.

90 Ivi, 4.1, p. 181; 6.50, pp. 263-265; cfr. inoltre n. 167 p. 447 e n. 379 p. 464: “Meth’hypexhairéseos:

‘con riserva’, ossia dicendo ‘se è possibile’ [...] Il desiderio retto è solo di ciò che è in nostro potere; per il resto, si procede con riserva”.

91 Cfr. Cortassa [1984], p. 53; il corsivo è mio. 92 Ibidem.

Natoli, nel suo saggio sull’esperienza del dolore, dà a mio parere un interessante interpretazione della finitezza umana: “La sofferenza [...] coincide con l’esperienza del proprio limite e ci mantiene aperti sul limite: configurandosi nel limite si muta in affanno, si fa tutt’uno con il sentimento della finitudine”93.

In Epitteto il pericolo rappresentato dagli altri spaziava dal rischio di inimicarci un Cesare fino al normale esser malvisti e giudicati dal popolo. Le possibili maniere con cui affrontare la situazione andavano dal semplice tentativo di recuperare il proprio io distaccandosi dagli altri, sino al rendersi totalmente diversi, lasciati in balìa di una volontà nemica. Ma, in questo caso, colui che rischia dinanzi all’avanzante dimensione dell’altro è proprio un Cesare. E “poiché si tratta di un imperatore- filosofo è ovviamente fuori questione la paura del tiranno per la risposta ai propri atti ingiusti: il potere che qui si reclama per sé è proprio quello di osare l’atto e la parola giusta, di giudicarsene degni anche tra il biasimo altrui. Il pericolo dell’imperatore- filosofo non riguarda la propria vita o il proprio potere, ma il proprio valore”94.

Nel documento Marco Aurelio: filosofia e potere (pagine 48-52)