• Non ci sono risultati.

Educazione bilingue a scuola in età prescolare

CAPITOLO 6 EDUCAZIONE BILINGUE

6.2 Educazione bilingue a scuola in età prescolare

Acquisire all’asilo nido una lingua straniera viene vissuto dai bambini come un gioco e dai genitori come un’opportunità in più data ai figli per imparare una lingua che gli sarà utile per tutta la loro vita. Accostare i bambini ad una lingua in età prescolare rappresenta per loro un gioco, tant’è che la imparano attraverso canzoni, ascoltando favole ed eseguendo varie attività in lingua. In questo modo la acquisiscono senza sforzi e senza bisogno di un’istruzione linguistica esplicita.

In casa, di norma, si sta bene insieme, si respira un’atmosfera di fiducia e di confidenza, l’espressione e la comunicazione verbale sono semplificate e gratificanti. Per una continuità casa-scuola è necessario che quest’ultima costituisca per ogni bambino un ambiente sereno, in cui è bello giocare e svolgere attività in coppia o in gruppo e dove è possibile instaurare piccole conversazioni con i coetanei e gli insegnanti (Spini 1982, 124). Gli educatori dovrebbero creare un ambiente accogliente, amichevole e sicuro dove i bambini non si sentano giudicati, ma piuttosto motivati e dove sappiano che l’acquisizione è possibile e, si spera, divertente (Santipolo 2012, 203).

All’interno di un contesto scolastico, il termine “insegnamento” risulta pressoché inadeguato: è scorretto credere di poter insegnare formalmente le lingue in qualsiasi fascia d’età, ma soprattutto ai bambini. Al contrario, è bene attivare il processo di acquisizione linguistica in maniera naturale seguendo le tappe evolutive senza mai sovvertirle. Per tali ragioni, risulta più opportuno parlare di accostamento linguistico da intendersi come esposizione frequente e ridondante a una o più lingue in un contesto positivo, stimolante e rassicurante (Daloiso 2009a, 59) . Si tratta di un graduale accostamento alla seconda lingua inteso come scoperta di un codice espressivo diverso attraverso attività di sensibilizzazione linguistica. La lingua non deve essere una “materia” da apprendere, ma un veicolo per avviare piacevoli e nuove attività. In questo modo il bambino diventerà

cosciente del nuovo codice e lo acquisirà in maniera naturale e induttiva attraverso esperienze concrete, coinvolgenti e guidate (crf.1.2).

Uno dei ruoli degli educatori è per tanto quello di creare le condizioni migliori affinché l’acquisizione linguistica si realizzi fornendo un ambiente di supporto (cfr. 2.2.3.), ossia un contesto facilitante che renda comprensibile l’input, fornisca situazioni comunicative e stimoli per la crescita del bambino. Per crearlo dovrebbero proporre attività glottodidattiche che rafforzino le competenze già possedute dal bambino e al contempo lo stimolino a compiere naturalmente il passo successivo (Daloiso 2009a, 59 e 97).

Nelle scuole italiane si è da tempo adottato, almeno sul piano teorico, l’approccio comunicativo23, ovvero un metodo di origine statunitense che non considera la lingua come un qualcosa di a sé stante da analizzare e studiare, ma come uno strumento per comunicare i bisogni, i pensieri e le emozioni. Al centro non c’è più la lingua vista come oggetto di studio, ma la persona che la parla. Questo approccio è stato successivamente perfezionato in Italia da Giovanni Freddi, il quale ha ampliato il ruolo della lingua straniera vista non solo come strumento comunicativo, ma anche formativo. Da qui ne è nato l’approccio comunicativo-formativo, che ha prodotto a sua volta una metodologia particolarmente valida per la prima infanzia: la glottodidattica esperienziale (Santipolo 2012, 177-178).

Principio fondante di questa metodologia è l’utilizzo della lingua straniera come veicolo di apprendimento, ovvero come uno strumento attraverso il quale gli allievi possono acquisire nuove conoscenze e competenze nei diversi campi di esperienza (Daloiso 2009a, 171). È noto che i bambini di quest’età apprendono tramite le esperienze che maturano, processo che li conduce alla conoscenza diretta della realtà che li circonda e alla presa di coscienza di loro stessi vivendo esperienze di tipo pratico. L’interazione con l’ambiente e le esperienze percettive multisensoriali sollecitate dalle educatrici promuovono la loro crescita cognitiva. Solitamente queste esperienze prevedono il coinvolgimento dei bambini in attività

23 Gli assunti di base dell’approccio comunicativo sono: il raggiungimento di una buona

competenza comunicativa (e non solo quella linguistica); un equilibrio tra correttezza formale e la capacità di perseguire scopi e ottenere certi risultati duranti gli atti comunicativi; la lingua straniera

pratiche e ludiche spesso frammentate in ambiti temporali e spaziali precisi (cfr. 5.2).

Sul piano glottodidattico è possibile definire la glottodidattica esperienziale come una metodologia che propone esperienze di apprendimento (Daloiso 2009b, 112-113):

-delle lingue: promuove l’acquisizione di automatismi linguistici procedurali legati ad una seconda lingua favorendo un contatto tra il bambino e le lingue fondato su percezione, osservazione, azione ed interazione; perciò l’acquisizione avrà luogo se verranno coinvolte la dimensione sensoriale (percezione), cognitiva (osservazione), motoria (azione) e relazionale (interazione);

-dalle lingue: l’incontro con una nuova lingua è per il bambino fonte di nuove scoperte. La prospettiva esperienziale non rinnega l’importanza della scoperta della diversità linguistica e culturale (che rappresenta l’obiettivo prioritario della “sensibilizzazione linguistica”), ma colloca questo obiettivo in un contesto più vasto che comprende anche un’iniziale acquisizione delle lingue a cui il bambino è esposto;

-in lingua: la glottodidattica esperienziale implica la possibilità di predisporre esperienze di apprendimento non linguistiche (cognitive, motorie, relazionali, ecc.) da svolgersi, almeno parzialmente, in lingua straniera. Infatti, grazie ai meccanismi di acquisizione implicita il bambino è in grado di interiorizzare aspetti della lingua simultaneamente ad altri tipi di apprendimento senza la necessità di una focalizzazione esclusiva sul codice linguistico;

-con le lingue: in una prospettiva esperienziale le lingue sono per il bambino uno strumento d’azione pragmatico, che gli consentono di soddisfare i propri bisogni (giocare, disegnare, manipolare, ecc.) nei contesti educativi predisposti dall’educatrice.

La glottodidattica esperienziale prevede che la didattica della lingua debba essere di natura ludica. Con dimensione ludica si intende una didattica basata sul gioco da considerarsi non solo come svago (play), ma soprattutto come modalità per imparare una lingua e per fare cose con essa (game). Mentre gioca, il bambino

utilizzerebbe la lingua per raggiungere uno scopo reale: la lingua diventa autentica e significativa perché il gioco che la veicola è autentico e significativo.

Attraverso il gioco il bambino fa esperienza dell’ambiente, lo esplora e comprende il suo posto nel mondo (Santipolo 2013, 74). Il gioco è un’attività che promuove lo sviluppo totale del bambino: se viene inserito in un ambiente ricco di stimoli e di compagni si verifica una consistente crescita dei dendriti nella corteccia (cfr. 2.1.1.), nonché delle connessioni sinaptiche corticali (Daloiso 2009b).

Con la didattica ludica il bambino è coinvolto attivamente e totalmente nel processo di acquisizione; nel gioco egli è il protagonista dell’attività che sta facendo. La ludicità permette anche di coinvolgere tutte le capacità e le abilità del bambino: un gioco non interessa solo le capacità cognitive del soggetto, ma anche le abilità sensomotorie (Luise, Serragiotto, 18).

L’apprendimento in chiave ludica garantisce la partecipazione di tutti i bambini, anche di coloro che hanno un ritmo di apprendimento linguistico più lento rispetto ai compagni o che stanno attraversando la fase del silenzio24, grazie all’assegnazione di ruoli o alla definizione di gruppi di lavoro con obbiettivi differenziati, in modo da rispettare i tempi di apprendimento di ciascun bambino (Santipolo 2013, 75).

Il gioco e la ludicità creano un ambiente motivante, privo di stress e ansia, cosicché il bambino si trova in un contesto favorevole per l’acquisizione. Egli infatti non dovrebbe sentire la necessità di innalzare quello che Krashen ha definito il filtro affettivo, ovvero una sorta di barriera emotiva che non permette l’acquisizione duratura, ma soltanto l’apprendimento momentaneo. Questa tende ad alzarsi in situazioni ansiogene non consentendo il passaggio dell’input.

Il gioco diventa terreno ideale perché venga applicata quella che Krashen ha denominato Rule of forgetting, secondo la quale si acquisisce una lingua quando ci si dimentica che la si sta acquisendo, quando l’attenzione si sposta dalla forma linguistica ai significati che servono per realizzare il gioco, in quanto i fini del gioco e quelli linguistici coincidono. Il bambino non gioca per imparare la

lingua, ma gioca solo e soltanto per giocare; egli acquisisce indirettamente la lingua mentre fa qualcosa durante l’attività (learning by doing).

Tornando all’importanza degli input linguistici, durante il processo di acquisizione di qualsiasi lingua il bambino deve essere esposto a input abbondanti. Per favorire l’acquisizione di una lingua straniera, l’educatrice non deve limitarne l’uso a pochi momenti di gioco e attività didattica, ma dovrebbe favorirne l’utilizzo all’interno delle reali situazioni comunicative.

È essenziale che gli input siano ricchi a livello linguistico ed extralinguistico, ed è necessario promuovere un’esposizione alla lingua ridondante e frequente, e che eventualmente questa si avvicini, sul versante linguistico, al ‘linguaggio materno’ (cfr. 7.2.2.). Ciò nonostante, questa modificazione è accettabile purché risulti realistica e naturale, e che tale adattamento non comprometta la grammaticalità degli enunciati. A livello extralinguistico, anziché ridurre e modificare eccessivamente l’input linguistico, può essere proficuo proporre facilitazioni e supporti extralinguistici che sostengano la comprensione linguistica senza compromettere la qualità e la quantità dell’input.

Gli input offerti dall’educatrice devono essere il più possibile corretti, non solo sul versante linguistico, ovvero quello fonetico, morfosintattico e lessicale, ma anche sociolinguistico e pragmatico (ossia adeguato alla situazione comunicativa). I bambini facilmente apprendono e imitano fonemi che sentono, perciò la pronuncia dell’educatrice deve essere impeccabile. (Santipolo 2012, 201). L’attivazione dei meccanismi di memoria implicita (cfr. 2.2.5.) genera nei bambini comportamenti linguistici automatizzati difficilmente modificabili, perciò gli input formalmente scorretti condurrebbero alla formazione di automatismi linguistici inappropriati (Daloiso 2009a, 60).

Come si può evincere da tutti questi elementi, l’educatrice all’interno di un contesto scolastico ricopre una posizione molto importante. Oltre ad essere una figura tutoriale, dovrebbe dimostrare un atteggiamento positivo verso le lingue, cosicché il bambino si avvicini alle lingue in modo sereno. Quando l’educatrice si diverte ed è entusiasta mentre insegna, questo entusiasmo viene percepito dagli

allievi che a loro volta saranno molto motivati a continuare il loro avvicinamento alla lingua.