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CAPITOLO 8 STUDIO DI CASO

8.4 Ipotesi di ricerca e risultati previsti

Quello che mi aspettavo da questa ricerca era la completa, o per lo meno parziale, riprova che il bilinguismo è fonte di una varietà di benefici di natura cognitiva, metalinguistica e sociale. Prevedevo di trovare un riscontro per la maggior parte delle voci descritte nella griglia di osservazione e di poter catalogare anche una serie di esempi che supportassero i dati raccolti.

Basandomi su ciò che ho letto in letteratura (cfr. cap. 4) per ognuna delle caratteristiche citate, avevo ipotizzato che soprattutto i bilingui dimostrassero di analizzare le lingue come sistemi astratti e che riconoscessero la pluralità dei linguaggi, ma non avevo escluso che anche i monolingui fossero in grado di farlo visto che sono comunque stati esposti alla seconda lingua durante il periodo critico (cfr. 2.2.1).

Per quanto riguarda il fenomeno della commutazione, mi aspettavo che fossero solamente i bilingui ad utilizzarla sia a livello fonologico, morfologico che lessicale. Parlare due lingue può significare conoscere più vocaboli in una delle due tralasciando quindi l’equivalente nell’altra: in questi casi, e per altre

ragioni (cfr. 2.2.3), subentra l’utilizzo della commutazione di codice che consente ai bilingui di perseguire comunque il loro scopo comunicativo.

Sempre per lo stesso motivo, prevedevo che soprattutto i bilingui avrebbero fatto ipotesi sui significati delle parole che non conoscevano, utilizzando come base di partenza il significato dell’equivalente di tale termine nell’altra lingua, oppure basandosi su certe regole legate alla composizione dei vocaboli (come prefissi o suffissi) o più semplicemente focalizzandosi sulla somiglianza delle parole.

Mi aspettavo che soprattutto i bilingui, ma probabilmente anche i monolingui, inventassero nuove parole per esprimersi al meglio: partendo da unità minime come i fonemi, i bambini sono in grado di creare neologismi mai sentiti prima. Per quanto riguarda i bilingui, ipotizzavo che creassero nuovi vocaboli anche mediante il mescolamento di morfemi di parole provenienti da lingue diverse.

Prevedevo che fossero specialmente i bambini bilingui a mostrare la presenza del pensiero divergente, mentre nei monolingui mi aspettavo di vedere per lo più comportamenti legati al pensiero convergente. Il pensiero divergente consiste nel vedere la creatività come un modo peculiare di pensare che implica originalità e fluidità e che rompe con i modelli esistenti introducendo qualcosa di nuovo. Il pensiero divergente è quindi la capacità di individuare una serie di possibili soluzioni per un certo problema, soprattutto per quelli che non prevedono un’unica risposta corretta. Il pensiero convergente, invece, implica che il soggetto converga, invece di discostarsene, sull’unica risposta accettabile.

I bambini bilingui tendono a fornire una moltitudine di risposte inusuali mostrando una mente più aperta, elastica e creativa. Ciò deriva dal fatto che sono abituati a doversi confrontare con due sistemi linguistici differenti e hanno quindi più parole per la stessa idea, permettendogli di avere più libertà e ricchezza nel pensiero. Il continuo spostamento tra una lingua e l’altra comporta un incremento nella fluenza, flessibilità, originalità ed elaborazione del pensiero.

Avevo ipotizzato che prevalentemente i bilingui fossero in grado di inibire la lingua non in uso limitando l’interferenza linguistica, anche se molto probabilmente sarebbero stati presenti vari episodi di commutazione di codice.

Ciò nonostante, quest’ultima strategia viene spesso utilizzata per adempiere lacune linguistiche che i bilingui manifestano soprattutto a livello lessicale. A dispetto della commutazione, i bilingui avrebbero dovuto dimostrare di essere in grado di focalizzarsi principalmente nella lingua utilizzata durante l’interazione, tralasciando l’altro codice. Questo perché solitamente i bilingui hanno la capacità di passare rapidamente da un compito all’altro e di focalizzare l’attenzione sui dettagli rilevanti senza essere distratti da quelli irrilevanti. Ciò è possibile perché essendo entrambe le lingue attive simultaneamente nella sua mente, il bilingue deve imparare ad ignorarne una quando sta utilizzando l’altra mediante appositi meccanismi di controllo.

È risaputo che i bambini che vengono accostati ad una seconda lingua non dalla nascita faranno molta fatica ad eguagliare i bilingui precoci soprattutto a livello fonetico. Quest’ultimi, infatti, hanno la preziosa opportunità di avere a disposizione l’intera gamma di fonemi esistenti e di godere di una ricettività molto sottile. Con il passare dei mesi questa ricettività tende a diminuire perdendo la capacità di discriminare le variazioni fonetiche che non fanno parte delle lingue che il bambino sente attorno a sé. Se quest’ultimo non viene esposto fin dalla nascita a certi suoni appartenenti ad una lingua, egli perderà la possibilità di acquisirli con facilità e la sua pronuncia sarà molto difficilmente simile a quella di un madrelingua. Per tutti questi motivi, mi aspettavo che i bilingui dimostrassero di avere un accento da nativo, mentre la parlata dei monolingui sarebbe stata impregnata della cadenza dell’italiano.

Per quanto riguarda il manifestare una maggiore sensibilità alle interazioni socio-linguistiche con altri interlocutori e il saper selezionare la lingua appropriata, avevo previsto che fossero soprattutto i bilingui a mostrare tali capacità. Queste sono dovute dal fatto che i bilingui possiedono una notevole sensibilità comunicativa che gli permette di percepire al meglio le caratteristiche della situazione comunicativa in cui sono coinvolti, consentendogli di adattarsi alle conoscenze e ai bisogni del loro interlocutore. Tale abilità gli dà la possibilità di individuare molto velocemente in quale lingua possono rivolgersi alla persona con cui stanno parlando e in quale situazione l’alternanza di codice è possibile.

Per quanto concerne l’utilizzo di abilità compensatorie, mi aspettavo che sia i bilingui che i monolingui ricorressero a queste strategie per adempiere a certe lacune lessicali. In situazioni in cui l’educatrice si sarebbe rivolta ai suoi alunni in lingua inglese, entrambi avrebbero potuto sentire la necessità di fare ricorso a varie tattiche compensatorie per raggiungere comunque il loro scopo comunicativo. Mentre i bilingui avrebbero potuto appellarsi alla loro abilità di commutare i codici, magari i monolingui sarebbero ricorsi ad altre tecniche di compensazione come sfruttare il contesto (utilizzo di oggetti, riferimenti ad eventi) oppure mediante l’utilizzo di gesti.

La letteratura insegna (cfr. Abdelilah-Bauer 2013) che i bilingui tendono a mostrare un atteggiamento di tolleranza verso altre lingue e culture, mentre i monolingui hanno la tendenza di manifestare comportamenti di esclusione e rifiuto verso il “diverso”. Mi potevo sicuramente sbagliare, ma non ero molto convinta del fatto che questo concetto fosse totalmente applicabile a bambini che hanno un’età tra gli 0 e i 3 anni. Questo perché, probabilmente, essi non avevano ancora sviluppato quella capacità che gli permettesse di riconoscere ciò che è diverso da sé e dal proprio, per ciò forse avrebbero mostrato entrambi di essere aperti ad altre lingue e culture senza esclusione alcuna. La convivenza all’interno di un contesto scolastico in cui ci sono bambini provenienti da varie parti del mondo, è verosimilmente una condizione che influenza positivamente l’accettazione e l’inclusione di ciò che è differente.

È oramai assodato che conoscere più lingue non significa solamente utilizzarle per comunicare, ma implica anche un’apertura verso altre culture, modi di pensare e di vivere. Per questo motivo, i bilingui non acquisiscono solo la capacità di esprimersi in più lingue, ma si appropriano anche di un saper fare culturale. Tale capacità gli consente di saper utilizzare le formule più appropriate alla situazione comunicativa in cui si trova, di saper adattare il suo comportamento linguistico di fronte a interlocutori monolingui e quindi di saper attingere ad un repertorio di saper fare e di conoscenze molto vasto che gli consente di affrontare le varie circostanze.

Mi aspettavo quindi che il bilingue facesse tesoro di queste sue competenze le utilizzasse nelle varie interazioni in cui sarebbe stato coinvolto.

Anche il monolingue avrebbe potuto utilizzare il suo saper fare culturale, ma essendo legato ad una sola lingua, questo sarebbe stato più limitato.

Dato che i bilingui acquisiscono almeno due lingue, si ritiene spesso che essi abbiano difficoltà nell’esprimersi in quanto possiedono un numero contenuto di parole o perché lo sviluppo del linguaggio viene rallentato da periodi silenziosi. Trovavo che questa caratteristica fosse molto soggettiva e quindi mi è stato difficile fare un pronostico, in quanto il carattere del bambino e le sue conoscenze linguistiche influiscono molto sulla sua capacità e volontà di voler interagire con diversi interlocutori. Quindi, mi sono augurata di poter osservare bambini bilingui che mettessero in atto le loro abilità linguistiche e dimostrassero di essere in grado di parlare tanto quanto i monolingui nonostante lo sforzo fosse doppio.