• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3 FALSI MITI SUL BILINGUISMO

3.1 Premessa

L’uso simultaneo di più codici linguistici è sempre stato considerato una potenziale fonte di interferenza nella formazione del bambino. La maggior parte della letteratura della prima metà del secolo scorso vedeva il bilinguismo come principale causa di effetti dannosi sui bambini bilingui. Lo stesso Andrew Wilkinson (in Saunders 1988, 16) ha dichiarato nella sua opera The Foundations of Language che l’acquisizione di una seconda lingua grava e opprime lo sviluppo di entrambe le lingue. Era anche considerato un fenomeno innaturale, in quanto, come espresso da Leo Weisgerber nel 1933, l’uomo sarebbe nato monolingue e destinato a crescere come tale. L’essere bilingue significherebbe voler appartenere a due culture diverse allo stesso tempo. In un articolo pubblicato in Svizzera nel 1928, Reynold dichiarò che il bilinguismo porta alla commutazione dei codici e a una confusione linguistica che risulterebbe in una ridotta abilità del bilingue di pensare e agire con precisione, in una diminuzione dell’intelligenza e in un aumento dell’offuscamento mentale. Nel 1923 Saer, in seguito a un suo studio su 1400 bambini bilingui gallese-inglese tra i 7 e i 14 anni, concluse che il bilinguismo porta a una minore intelligenza.

La maggior parte di questi falsi miti si sono radicati nel pensiero comune a causa di una serie di risultati negativi osservati durante alcuni studi che sono stati effettuati nella prima metà del ‘900. In questo periodo, si credeva che il bilinguismo potesse avere solo effetti deleteri: si riteneva che i bambini bilingui fossero soggetti a ritardi non solo a livello scolastico, ma anche a livello linguistico, psicologico e culturale. Questi pregiudizi sul bilinguismo e sugli effetti che esso avrebbe sullo sviluppo cognitivo dei soggetti bilingui vengono perfettamente riassunti da Ausubel, Sullivan e Ives (in Homel , Palij, Aaronson 1987, 132), studiosi che hanno dato credito ai risultati dei primi studi sul bilinguismo precoce:

Gli studi precedenti sul bilinguismo indicano come questo sia causa di un ritardo durante lo sviluppo linguistico… L’ambiente bilingue sembra essere di poco conto durante la crescita di un bilingue, ciò nonostante resta assodato che questo comporta una confusione riguardo il rapporto parola-significato, la struttura delle lingue e, di conseguenza, è causa di un uso poco corretto e maturo delle lingue. Un ritardo di questo calibro riflette una perdita di vocaboli considerevole nella prima lingua, lacuna che non può essere compensata con l’acquisizione di vari termini nella seconda lingua. I bambini bilingui posseggono un numero inferiore rispetto alla media in entrambe le lingue, e anche il loro “vocabolario combinato” è generalmente inferiore in confronto a quello posseduto dai coetanei monolingui. Benché il bilinguismo non inibisca lo sviluppo dell’intelligenza extraverbale, questo è causa di effetti negativi per quanto riguarda lo sviluppo dell’intelligenza funzionale, come riportato dai risultati di test verbali. Parte di questa influenza negativa può senza dubbio essere attribuita al ritardo linguistico e a fattori socioeconomici.

Solo a partire dal 1962 la situazione è stata ribaltata in seguito allo studio di Peal e Lambert su bambini bilingui di dieci anni frequentanti sei scuole francesi di Montreal. Grazie alla loro ricerca si è arrivati alla conclusione che le osservazioni precedenti erano errate e poco precise in quanto non tenevano conto di certe caratteristiche molto importanti, come ad esempio il contesto socioculturale dei campioni, i loro dati biografici, il loro percorso educativo e le loro capacità linguistiche (Hornby 1977).

L’ipotesi iniziale di Peal e Lambert rispecchiava quelli che erano i risultati degli studi antecedenti: i bilingui e monolingui avrebbero dovuto mostrare punteggi equivalenti nei compiti non verbali, mentre i monolingui avrebbero dovuto ottenere punteggi più elevati nei compiti verbali (Contento 2015). Iniziarono così la loro ricerca pensando che avrebbero trovato riscontro con i risultati degli studi precedenti e con l’intento di documentare come il bilinguismo incidesse in modo negativo sull’intelligenza verbale e quindi di trovare delle possibili soluzioni compensatorie. Ciò nonostante, i dati ottenuti li portarono a concludere che il bilinguismo non è causa di alcun effetto negativo, ma che è risorsa di miglioramento sotto vari aspetti. Infatti, lo studio dimostrò come i

bambini bilingui francese-inglese cresciuti in un ambiente normale ottennero risultati nettamente migliori a livello verbale ed extraverbale rispetto ai coetanei monolingui selezionati per l’esperimento (Cecioni, Borello 1995). In più, scoprirono che i bambini bilingui avrebbero potuto frequentare la classe successiva alla propria rispetto ai monolingui della stessa età, in quanto hanno conseguito risultati migliori anche a livello scolastico (Saunders 1988). Il vantaggio maggiore fu riscontrato nei compiti che richiedevano un riorganizzazione mentale, mentre minore era la differenza nei compiti visuo-percettivi.

A differenza degli studi precedenti, Peal e Lambert hanno abbinato i soggetti di entrambi i gruppi sulla base di fattori quali la classe socio-economica, il sesso, l’età e accertandosi a quale sistema scolastico erano abituati i bambini e che questi fossero bilingui bilanciati (Homel, Palij, Aaronson1987). Gli studiosi utilizzarono test che furono standardizzati sulla base di bambini parlanti francese di Montreal. In seguito al loro studio, Peal e Lambert hanno potuto affermare che non c’è connessione tra bilinguismo e basso quoziente intellettivo, e che non c’è correlazione tra bilinguismo e alcune disfunzioni psicologiche legate alla personalità. Peal e Lambert (in Titone 1996, 112) hanno dichiarato che

Il quadro che emerge dei bilingui francese-inglese a Montreal è quello di un giovane le cui ampie esperienze in due culture gli hanno offerto vantaggi di cui un monolingue non gode. Dal punto di vista intellettuale, la sua esperienza con due sistemi linguistici sembra averlo dotato di una flessibilità mentale, di una superiorità nella formazione di concetti, e di un insieme più diversificato di abilità mentali nel senso che i modelli di abilità sviluppati dai bilingui erano più eterogenei… al contrario, il monolingue sembra avere una struttura d’intelligenza più unitaria che egli deve usare per ogni tipo di compito intellettuale.

Con questa affermazione dimostrarono che i bilingui presentano una maggiore flessibilità cognitiva, ovvero la capacità del soggetto di passare da un compito ad un altro (task-switching), di inventare un diverso uso di oggetti comuni, di adattarsi all’utilizzo di regole differenti e, soprattutto, di saper manipolare il codice linguistico. In più sono state messe in evidenza migliori prestazioni dei

bilingui in compiti di problem solving e creatività. Per esempio, in un compito mirato a valutare la creatività veniva mostrato ai partecipanti un video riguardante un problema di fisica, i quali dovevano proporre delle ipotesi per risolverlo. I bambini bilingui hanno sviluppato soluzioni qualitativamente più complesse e più sofisticate.

Concludo con le parole pronunciate da Peal e Lambert al termine del loro studio con l’augurio che il bilinguismo venga considerato sempre più come un’occasione irrepetibile per crescere i bambini con una visione più aperta del mondo, arricchiti da più culture e con un intelligenza verbale ed extraverbale superiore ai monolingui (in Saunders 1988, 16):

Sembra che i nostri bilingui, invece di lamentare una confusione mentale o un ritardo linguistico, abbiano tratto vantaggio da questa doppia risorsa linguistica.