A causa del nubifragio sull’area del bacino del Torrente del Cardoso si è abbattuta nella giornata del 19 Giugno 1996 una quantità d’acqua da quattro a cinque volte la media pluviometrica dell'intero mese di Giugno. Infatti, considerando dati pluviometrici di stazioni con una sufficiente serie di dati (tab. 1), la zona più piovosa del versante garfagnino risulta Retignano con ben 96 mm di pioggia media mensile, contro i 400,6 mm registrati nelle 13 ore dell’evento (Rapetti C. & Rapetti F. 1996).
Tabella 1 - precipitazioni in mm medie mensili ed annue registrate dal 1956 al 1985 dalle stazioni pluviometriche presenti sui versanti della Versilia e della Garfagnana (da Rapetti C. & Rapetti F., 1996)
Inevitabili i dissesti idrogeologici avvenuti, le drammatiche conseguenze si ebbero nel pomeriggio, quando le località Cardoso e Fornovolasco vennero investite dall'onda di piena la quale, proseguendo verso valle, danneggiò e in parte inondò anche i comuni di Pontestazzemese e Ruosina, arrivando sino a Pietrasanta, Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi. Si stimò che l'alluvione fu la causa dello spostamento di 3 milioni di metri cubi di materiale, di cui 1 milione devastò la località Cardoso.
Il bilancio fu drammatico, 14 vittime delle quali 12 solo a Cardoso, una a Fornovolasco e una a Pietrasanta. Le famiglie evacuate furono 4500 e la stima dei danni ammontò a circa 200 miliardi delle vecchie lire.
Enormi frane di terra, detriti e tronchi avevano bloccato con sbarramenti temporanei tutte le valli dei corsi d’acqua a monte di Cardoso creando svariati bacini di acqua effimeri i quali cedendo più o meno simultaneamente nel primo pomeriggio hanno dato luogo a onde di piena catastrofiche (Caredio F. et al., 1996).
La presenza dei boschi infatti, in teoria utile a trattenere parte dell'acqua, si rivelò nell'evento un fattore negativo a causa dell’elevata presenza di materiale organico legnoso (tronchi, rami) disperso ed ammassato sulla superficie, pronto per la mobilitazione.
Gli effetti registrati sul territorio sono stati ampiamente analizzati sia per la caratterizzazione al fine di provvedere ad un piano di recupero territoriale, sia per definire le dinamiche di sviluppo per interventi di prevenzione.
Sotto questo aspetto prende nota il lavoro di tesi di laurea svolto in quell’anno dal Prof. Roberto Giannecchini il quale per lo scopo studiò l’area e l’evento reperendo una gran serie di dati mediante numerosi sopralluoghi e interpretazione di foto aeree, effettuando analisi e considerazioni. Parallelamente è stata redatta anche la “Carta degli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso” in scala 1:5.000 (fig. 18) con annesse schede di censimento per la caratterizzazione di ogni frana riconosciuta. La Carta e la banca dati delle frane sono la fonte base dell’attuale progetto di tesi, da essi infatti è possibile recuperare le informazioni necessarie per la produzione di elaborazioni mediante un approccio di studio diverso, utile per fornire un contributo all’analisi degli eventi nonché dell’area stessa.
Figura 18 – Stralcio di Carta degli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso, Giannecchini (1996), centrata sull’abitato di Cardoso. In rosso sono evidenti i perimetri
delle aree in cui si sono verificate le frane e ove presenti anche le relative aree di accumulo; in verde le linee dei solchi di erosione con direzione di flusso e zone di sponda interessate da erosione laterale; le aree gialle rappresentano i depositi alluvionali costituiti da ghiaie e sabbie mentre le aree blu distinguono, in base al retino, i
Sulla base del lavoro sopra menzionato si può prendere spunto per una rapida caratterizzazione dei dissesti che sono avvenuti nel luogo di studio:
• frane
• riattivazione dell’erosione in alveo lungo le aste di ordine inferiore • erosione di sponda
• trasporto in massa nel fondovalle
• esondazione e sovralluvionamento del fondovalle
Frane - Le numerose frane che si sono verificate all’interno del bacino fanno certamente parte
dell’aspetto più importante dei dissesti avvenuti scatenati dal nubifragio e sono le protagoniste principali del presente lavoro.
Per frana è da intendersi una qualsiasi situazione di equilibrio instabile del suolo, del sottosuolo o di entrambi, o fenomeni franosi che interessano i pendii in profondità, in cui si attiva un “movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante” (Cruden, 1991).
Tale situazione è legata in maniera indiscutibile alla gravità, in concomitanza con vari fattori che si combinano tra loro (Varnes & Iaeg, 1984; Einstein 1988):
- litologici: caratteristiche composizionali, tessiturali, strutturali, stratigrafiche, meccaniche, alterazione dei materiali;
- tettonici: storia dell’area, sismicità;
- morfologici: topografia, morfometria dei versanti e degli alvei;
- idrogeologici: idrografia, sorgenti, condizioni di drenaggio, condizioni statiche e dinamiche delle acque nel sottosuolo, caratteristiche delle falde acquifere;
- meteorologici: condizioni climatiche generali dell’area e microclimatiche di ogni sottobacino (regime termo-pluviometrico, escursione termica, intensità e durata degli eventi meteorologici estremi);
- tipo ed uso del suolo: caratteristiche pedologiche, tipo e stato della copertura vegetale, utilizzazione del sottosuolo e tecniche colturali;
- antropici: azioni dell'uomo sull'ambiente che determinano l'alterazione delle condizioni di equilibrio dei versanti (disboscamenti, tagli, costruzione di edifici, ecc.).
Secondo le raccomandazioni del WP/WLI, 1990 - 1994 (Commissione delle Società Geotecniche Internazionali costituita all’interno dell’UNESCO appositamente per il censimento mondiale dei fenomeni franosi: UNESCO International Geotechnical Societies’ Working Party on World Landslide Inventory) e recenti aggiornamenti i fattori che intercorrono nella formazione
dell’evento franoso possono essere distinti e raggruppati in tre tipi ben definiti (Marziano G., 2016):
• cause predisponenti: natura del terreno, litologia, giacitura, andamento topografico, acclività dei versanti, clima, precipitazioni, escursioni termiche, idrogeologia ecc.; • cause preparatrici: disboscamento, erosione delle acque, variazione del contenuto
d'acqua, azioni antropiche ecc;
• cause provocatrici: abbondanti piogge, erosione delle acque, terremoti, scavi e tagli etc;
Le diverse combinazioni possibili di questi fattori generano altrettanti diversi effetti nei fenomeni franosi che vi si producono, rendendoli quindi rappresentabili secondo dei parametri che ne permettono la caratterizzazione e la classificazione (GNGFG, 1987), come ad esempio le dimensioni, tipologia movimento, stato attività, direzione movimento, profondità stimata, quote delle varie parti costituenti etc.
Nella tabella di censimento delle frane compilata da Giannecchini (1996) sono presenti tali parametri e parte del presente lavoro è stata quella di creare un database con i dati della suddetta tabella e di associarlo alle relative frane digitalizzate utilizzando, ove possibile, algoritmi di calcolo per poter ottenere valori ex novo grazie al nuovo approccio di studio. Come si vedrà in seguito la tabella finale ha permesso la parametrizzazione di ulteriori movimenti franosi minori, preliminarmente non considerati, ottenendo un numero di frane totale in tabella maggiorato, passando da 382 a 443, coerentemente con quanto cartografato.
Secondo studi effettuati dall’autore la tipologia che ha avuto un maggior numero di casi nel bacino è il risultato di fenomeni complessi di scorrimento di terra e detrito rapidamente evoluti in colate di terra e detrito, ovvero soil slip – debris flow (Giannecchini R., 1996 secondo le linee guida tratte da Campbell, 1974).
La distinzione del fenomeno complesso in base alla successione temporale dei tipi frana come descrittore dello stile di attività (Cruden & Varnes, 1996) distingue i fenomeni di scorrimento traslativo – colamento (i più diffusi nell’area), scorrimento rotazionale – colamento (1 solo caso avvenuto) ed anche roto/traslativo – colamento (verificatosi in pochi movimenti franosi), sia incanalate che non incanalate (Giannecchini R., 1996 da linee guida di Crosta et al., 1990). A causa della loro elevata fluidità spesso non si riscontra un’area di accumulo, il materiale si riversa negli alvei nei quali si miscela con le acque di deflusso (D’Amato Avanzi G., 1999). Un unico movimento franoso è caratterizzato da crollo, dove il materiale roccioso e/o detritico si distacca da pareti più o meno ripide seguendo un movimento in caduta con conseguente rimbalzo all’impatto.
Nelle schede di censimento riguardo la classificazione inerente al tipo di movimento sono state prese in considerazione le suddivisioni effettuate da Cruden & Varnes (1996), rivisitando la versione proposta da Varnes (1978) e riproposte di seguito in figura 19 e tabella 2:
Figura 19 – Rappresentazione sddivisione tipo di movimento frane proposta da Cruden & Varnes (1996): 1) crollo; 2) ribaltamento; 3) scorrimento; 4) espansione laterale; 5) colamento. Immagine tratta da Rivista Italiana
Geotecnica 2/95
Tabella 2 - Tabella riassuntiva tipi di movimento frane proposti da Cruden & Varnes (1996) in Landslide Types and Processes
Poiché l’associazione di meccanismi diversi rappresenta più la regola che l’eccezione della genesi e dell’evoluzione di un fenomeno franoso, le frane complesse costituiscono in genere una parte rilevante di una carta-inventario delle frane (Canuti P. & Casagli N., 1994).
Lo scorrimento avviene quando c’è il superamento del limite tensionale (resistenza a taglio) sia su ammassi rocciosi sia in terra, lungo superfici già esistenti o di nuova formazione. Esso può essere rotazionale o traslativo. La differenza fra i due movimenti è sostanziale: mentre il primo avviene in terreni o rocce che comunque hanno una certa coerenza e la superficie di sviluppo è concava, il secondo avviene per traslazione lungo una superficie, posta più o meno in profondità, inclinata, che lascia scorrere il materiale che vi è al di sopra. Questa superficie può essere derivata dal contatto fra due materiali diversi, oppure può essere una zona di debolezza meccanica dello stesso materiale. Può interessare ammassi rocciosi (che per esempio scorrono su uno strato di materiale diverso) o ammassi terrosi (Varnes, 1978).
I colamenti sono movimenti franosi che interessano terreni prevalentemente sciolti, sono deformazioni di tipo plastico e presentano velocità e contenuto d’acqua variabili da punto a punto (colamenti di terreni) oppure fenomeni rapidi, innescati da precipitazioni intense, che si muovono per lunghe distanze entro aste torrentizie (colate di detrito incanalate).
Negli ammassi terrosi fini e saturi i colamenti assumono la caratteristica di colate vere e proprie, con velocità molto elevate, distruttive al loro passaggio, con una competenza molto alta, trasportando al loro interno svariate tipologie di materiale.
Nei casi in cui queste colate si sviluppano in versanti molto ripidi, i solchi preesistenti ne sono l’alveo, per sfociare in mare oppure a valle formando il classico ventaglio (Varnes, 1978). Non sono rari i casi in cui più movimenti relativamente vicini e simultanei si innescano con una propria geometria per poi confluire lungo il percorso in un alveo condiviso fondendosi in un unico movimento franoso (fig. 20).
Figura 20 - Frana di colamento di detrito incanalata composta dalla fusione di più movimenti simultanei convogliati lungo un unico canale di frana con area di accumulo
In maniera schematica si riassumono di seguito alcune delle proprietà delle frane presenti nel database e che sono state oggetto di aggiornamento e sviluppo.
Nelle schede di censimento sono stati inseriti alcuni parametri geometrici, per caratteristiche e
dimensioni sono state adottate le linee guida fornite dal “Glossario Internazionale Frane, Riv. It.
Geotecnica, 1995 (Canuti P., Esu F.)” (fig. 21 e fig. 22), non tutte sono state prese di riferimento ma per completezza di informazione si forniscono gli elenchi completi.
Figura 21 - Immagine riguardante le caratteristiche delle frane tratta dal "Glossario Internaz. Frane, Riv. It. Geotecnica, 1995”
In osservazione della figura soprastante si definiscono le seguenti caratteristiche:
1. CORONAMENTO: materiale rimasto praticamente in posto nella parte alta della "scarpata principale".
2. SCARPATA PRINCIPALE: superficie generalmente ripida che delimita l'area quasi indisturbata circostante la parte sommitale delta frana, generata dal movimento del "materiale spostato" (13). Rappresenta la parte visibile della "superficie di rottura" (10) 3. PUNTO SOMMITALE: punto più alto del contatto fra "materiale spostato" (13) e la
"scarpata principale" (2).
4. TESTATA: parti più alte della frana lungo il contatto fra il "materiale spostato" (13) e la "scarpata principale" (2).
5. SCARPATA SECONDARIA: ripida superficie presente sul "materiale spostato" (13) della frana prodotta da movimenti differenziali all'interno del "materiale spostato ". 6. CORPO PRINCIPALE: parte del " materiale spostato " (13) che ricopre la " superficie di
rottura " (10) fra la " scarpata principale " (2) e l' "unghia della superficie di rottura" (11). 7. PIEDE: porzione della frana che si è mossa oltre l' "unghia della superficie di rottura"
(11) e ricopre la "superficie originaria del versante" (20).
8. PUNTO INFERIORE: punto dell "unghia" (9) situato a maggior distanza dal "punto sommitale" (3) della frana.
9. UNGHIA: margine inferiore, generalmente curvo, del "materiale spostato" della frana, situato alla maggior distanza dalla "scarpata principale" (2).
10. SUPERFICIE DI ROTTURA: superficie che forma (o che formava) il limite inferiore del "materiale spostato" (13) sotto la "superficie originaria del versante" (20). L'idealizzazione della " superficie di rottura" può essere definita "superficie di scorrimento".
11. UNGHIA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA: intersezione (generalmente sepolta) fra la parte inferiore della "superficie di rottura" (10) della frana e la "superficie originaria del versante" (20).
12. SUPERFICIE DI SEPARAZIONE: parte della "superficie originaria del versante" (20) ricoperta dal "Piede" (7) della frana.
13. MATERIALE SPOSTATO (o FRANATO): materiale spostato dalla sua posizione originaria sul versante a causa del movimento della frana. Esso forma sia la "massa distaccata" (17) che l' "accumulo" (18).
14. ZONA DI ABBASSAMENTO: parte della frana entro la quale il "materiale spostato" (13) giace al di sotto della "superficie originaria del versante" (20).
15. ZONA DI ACCUMULO: parte della frana entro la quale il " materiale spostato" (13) giace al di sopra della "superficie originaria del versante" (20).
16. ABBASSAMENTO: volume delimitato dalla "scarpata principale" (2), la "massa distaccata" (17) e la "superficie originaria del versante" (20).
17. MASSA ABBASSATA: volume del "materiale spostato" (13) che ricopre la "superficie di rottura " (10) e che giace al di sotto della "superficie originaria del versante" (20). 18. ACCUMULO: volume del "materiale spostato" (13) che giace al di sopra della
"superficie originaria del versante" (20).
19. FIANCO: materiale non spostato adiacente ai margini della "superficie di rottura" (10). I fianchi possono essere identificati mediante l'azimut misurato con la bussola oppure dai termini "destro" e "sinistro", riferiti a chi guarda la frana dal "coronamento" (1).
20. SUPERFICIE ORIGINARIA DEL VERSANTE: superficie del versante che esisteva prima che avvenisse il movimento franoso.
Figura 22 - Immagine riguardante le dimensioni delle frane tratta dal "Glossario Internaz. Frane, Riv. It. Geotecnica, 1995"
In osservazione della figura soprastante si definiscono le seguenti dimensioni:
1. LARGHEZZA DELLA MASSA SPOSTATA Wd: larghezza massima della "massa spostata" misurata perpendicolarmente alla "lunghezza della massa spostata" Ld.
2. LARGHEZZA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA Wr: larghezza massima fra i "fianchi" della frana, misurata perpendicolarmente alla "lunghezza della superficie di rottura" Lr.
3. LUNGHEZZA TOTALE L: distanza minima fra il "punto inferiore" della frana ed il "coronamento".
4. LUNGHEZZA DELLA MASSA SPOSTATA Ld: minima distanza fra il "punto sommitale" ed il "punto inferiore".
5. LUNGHEZZA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA Lr: minima distanza fra l' "unghia della superficie di rottura" ed il "coronamento".
6. PROFONDITA' DELLA MASSA SPOSTATA Dd: profondità massima della "superficie di rottura" sotto la "superficie originaria del versante" misurata perpendicolarmente al piano contenente Ld e Wd.
7. PROFONDITA' DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA D: profondità massima della "superficie di rottura" sotto la " superficie del versante" misurata perpendicolarmente al piano contenente Lr e Wr.
Per caratteristiche morfologiche dell’area interessata dalla frana è stato preso in riferimento quanto esplicato da Panizza M, 1992 nel testo Geomorfologia (fig. 23 e fig. 24).
Figura 23 - Rappresentazione schematica di profili di versante ripresi da Panizza, 1992: 1) rettilineo; 2)
convesso; 3) concavo; 4) convesso-concavo; 5) concavo-convesso
Figura 24 - Rappresentazione schematica di superfici di versante ripresi da Panizza, 1992 (linee
continue: isoipse; linee tratteggiate: massima pendenza): 1) planare; 2) tronco conica convessa; 3)
tronco conica concava
Gli spessori non sono stati di grande entità, si tratta di movimenti che hanno interessato una coltre di suolo di qualche decina di centimetri sino a 2 metri (Giannecchini R., 1996), quindi i volumi mobilizzati da ogni singolo evento non sono stati elevati, il totale stimato è di circa 850.000 m3 (D’Amato Avanzi et al., 2004). La grande quantità di frane avvenute, la rapida evoluzione, la velocità di movimento elevata e la capacità di percorrere grandi distanze con la difficoltà di prevederne l’ubicazione, sono stati fattori che hanno concorso simultaneamente (fig. 25), facendo di questa tipologia un fenomeno notevolmente disastroso (fig. 26).
Figura 25 – Foto rappresentante una parte del bacino teatro della formazione di numerose frane simultanee che hanno modificato il
paesaggio e devastato il territorio. Foto scattata da Giovanni Staiano il 28 luglio 1996, tratta dal sito “meteogiornale” nella sezione “L'alluvione in Alta Versilia del 19 giugno 1996”
Figura 26 - Foto mostrante i danni provocati nel cuore del paese di Cardoso dopo l'alluvione. Foto tratta da "wikipedia"
Riattivazione dell’erosione in alveo lungo le aste di ordine inferiore – Come intuibile, a fronte
dello scarico di una notevole massa d’acqua sopra un’area ricca di versanti, i numerosi impluvi, solchi ed aste idriche di basso ordine gerarchico, talora asciutti o presenziati da un debole ruscellamento, sono stati protagonisti di nuovo drenaggio e nuovo processo erosivo degli alvei. Il contenuto di materiale detritico già presente e quello proveniente dalle quote superiori provocato dal denudamento delle pareti rocciose è stato preso in carico dalle aste torrentizie riattivate dall’imponente volume d’acqua e che grazie anche alla complicità della marcata pendenza, hanno avuto energia sufficiente per mobilitare materiale di granulometria anche grossolana, riversatosi poi verso i fondovalle in tempi rapidi incrementando il carico solido del deflusso torrentizio (Giannecchini R., 1996).
Erosione di sponda – La furia e l’abbondanza di acqua all’interno dei canali ha attaccato anche
le sponde, le quali dipendono la loro resistenza dalla granulometria dei materiali, dallo spessore della protezione e dalla vegetazione sulla sponda.
L’erosione laterale è particolarmente attiva quando il filone della corrente subisce una deviazione o serpeggia attaccando le sponde. A causa di questo fenomeno un corso d'acqua scalza le sue sponde provocando l'allargamento del fondo vallivo ed il frequente cedimento (scivolamenti di sponda) e/o il franamento delle parti sovrastanti (fig. 27). All’interno del bacino i dissesti legati a tale fenomeno risultano di piccole dimensioni. La conseguente immissione di sedimenti nel reticolo idrografico è comunque risultata esigua rispetto a quella associata ad altri fenomeni avvenuti (Giannecchini R., 1996).
Figura 27 - Esempio di erosione laterale con conseguente immissione di ulteriore materiale nel corso d’acqua
Trasporto in massa, esondazione e sovralluvionamento del fondovalle – Come appena
accennato, i due fenomeni sopra descritti, in alcuni tratti incrementati in altri riattivati, hanno fornito ulteriore materiale terrigeno oltre a quello incanalato proveniente dagli accumuli di frana, in un contesto in cui la concomitanza dei diversi fenomeni avvenuti ha generato un carico solido importante in un lasso di tempo davvero ristretto (Giannecchini R., 1996).
In queste condizioni non è difficile immaginare che la notevole quantità d’acqua e di materiale preso in carico abbiano innalzato il livello delle aste idriche. Lungo le ridotte sezioni dei torrenti, in prossimità del cambio di pendenza, talvolta con piccole variazioni locali, l’energia diminuisce e permette il deposito di materiale più grossolano formando locali sbarramenti. Il continuo ed elevato apporto di acqua e materiale ad elevata energia ha causato in primo luogo locali esondazioni e successivamente ha causato lo smantellamento delle barriere provocando onde di piena ad elevato impatto inondando i centri abitati (fig. 28).
Figura 28 - Centro abitato di Cardoso completamente invaso dall'alluvione. Immagine tratta dall'archivio “3B Meteo” sezione
Nella zona di confluenza tra il Canale Capriolo di Cerageta ed il Torrente del Cardoso la coltre detritica depositata ha raggiunto lo spessore massimo di 10 metri (Giannecchini R., 1996). Il sovralluvionamento è stato sicuramente l’effetto che ha determinato i danni più rilevanti, sia alle infrastrutture dei centri abitati (fig. 29) sia in termini di perdita di vite umane.
Circa 4500 abitazioni furono danneggiate sfollando più di 3500 famiglie, per un ammontare di danni pari a 200 miliardi di lire, corrispondenti a oltre 146 milioni di euro attuali, di cui circa 100 (circa 73 milioni di euro) per infrastrutture e opere pubbliche, oltre 40 (oltre 30 milioni di euro) per i danni al settore abitativo e oltre 50 (oltre 36 milioni di euro) per il settore produttivo.
Figura 29 - Foto suggestiva della disastrosa alluvione avvenuta il 19 Giugno 1996, l'intero abitato di Cardoso risulta distrutto e colmo di materiale detritico, solo il campanile della Chiesa di Santa Maria Assunta risulta l'unica
struttura salvata dalla furia dell'evento. Foto tratta dal sito “meteogiornale” nella sezione a cura di Giovanni Staiano “L'alluvione in Alta Versilia del 19 giugno 1996”