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Realizzazione della banca dati GIS relativa alla carta degli effetti dell'evento meteorologico estremo del 19 giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso (Alpi Apuane meridionali)

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INDICE

RIASSUNTO ... 3

ABSTRACT ... 5

1 – INTRODUZIONE ... 7

1.1 – Premessa ... 7

1.2 – Finalità ed approccio metodologico ... 8

2 – QUADRO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO DELL’AREA ... 10

2.1 – Inquadramento geografico ... 10

2.2 – Evoluzione tettonica dell’area ... 12

2.3 – Geologia del Bacino del Torrente Cardoso ... 16

2.4 – Caratteristiche Idrogeologiche ... 22

2.5 – Aspetti morfologici e idrografici del Bacino del Torrente Cardoso ... 25

3 – L’ALLUVIONE DEL 19 GIUGNO 1996 ... 29

3.1 – Il violento nubifragio abbattutosi sulla Toscana settentrionale ... 29

3.2 – Gli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel

bacino del Torrente del Cardoso ... 33

4 – MATERIALI E METODI ... 46

4.1 – L’ambiente GIS ... 47

4.1.1 – La rasterizzazione ... 52

4.1.2 – La georeferenziazione ... 54

4.2 – La digitalizzazone degli elementi della “Carta dei principali effetti causati

dall’evento meteorologico estremo del 19 giugno 1996 nel bacino del Torrente del

Cardoso (LU)” ... 63

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4.2.2 – Linee Elementi Geomorfologici 19_06_96 ... 70

4.2.3 – Alluvioni evento 19_06_96 ... 71

4.2.4 – Linee contorno frane 19_06_96 ... 72

4.2.5 – Identificativo frane ... 77

4.2.6 – Tabelle di correlazione ... 81

4.2.7 – Poligoni Frane ... 86

4.2.8 – Lunghezza Frane ... 88

4.2.9 – Linee coperture (contorni forme e depositi dovuti alla gravità) ... 89

4.2.10 – Poligoni Coperture ... 92

4.3 – Modello tridimensionale TIN del Bacino del Torrente del Cardoso ... 94

4.3.1 – Primi dati ricavati da TIN ... 102

4.3.2 – Carta acclività da TIN ... 104

5 – ANALISI DI DISTRIBUZIONE DELLE FRANE ... 111

5.1 – Distribuzione delle frane all’interno dei sottobacini ... 111

5.2 – Distribuzione delle frane rispetto alle caratteristiche litologiche del substrato

... 115

5.3 – Distribuzione delle frane rispetto all’esposizione e alla pendenza dei versanti

... 118

5.4 – Distribuzione delle frane rispetto al tipo di copertura ... 122

5.5 – Considerazioni finali ... 125

6 – CONCLUSIONI ... 126

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RIASSUNTO

In alta Toscana, precisamente nella zona dell’entroterra versiliese e del territorio garfagnino confinante, il 19 Giugno 1996 è una data che tristemente e prepotentemente si è inserita negli annali delle catastrofi naturali. In tale giorno, infatti, si è abbattuto un nubifragio di straordinaria intensità che ha interessato un’area di circa 150 km2 e ha fatto registrare nelle zone più colpite un totale di 474 mm di pioggia in 13 ore.

La furia delle acque ed i numerosi dissesti hanno devastato il territorio, provocando la perdita di 14 vite umane. Dei numerosi Comuni quelli colpiti maggiormente risultano Stazzema (versante versiliese dell’Appennino Settentrionale) e Vergemoli (versante garfagnino dell’Appennino Settentrionale).

Ogni anno se ne celebra l’anniversario, in un clima di massima riflessione e rispetto, con manifestazioni di commemorazione effettuate nei vari paesi e centri abitati che furono interessati dall’evento. Tra questi è di riferimento l’abitato di Cardoso, situato all’interno del Bacino del Torrente del Cardoso, gravemente devastato e semidistrutto.

Data l’eccezionalità dell’avvenimento sono stati eseguiti numerosi studi in tutto l’areale interessato e massimo interesse è stato riconosciuto anche a livello nazionale.

Diversi autori hanno prodotto articoli riguardanti la caratterizzazione dell’alluvione e del luogo sotto ogni aspetto possibile, al fine di ottenere un quadro sempre più completo sulle cause ed i fattori che hanno concorso nella formazione dei dissesti avvenuti in rapida risposta, quasi simultaneamente, alla violenta precipitazione (frane, sovralluvionamento dei fondovalle, erosione di sponda ecc.).

A tal proposito assume principale rilievo il lavoro di Tesi di Laurea svolto dal Prof. Roberto Giannecchini, all’epoca dei fatti studente laureando del Corso di Laurea in Scienze Geologiche dell’Università di Pisa che ha comportato l’esame a terra con innumerevoli sopralluoghi e l’esame delle foto aeree allo stereoscopio, recuperando una gran quantità di dati con i quali sono stati esaminati in maniera esaustiva tutti gli aspetti riguardanti l’evento, l’area e gli effetti, con relative descrizioni, elaborazioni ed analisi. Inoltre, l’elaborato è corredato di una carta geologica in scala 1:5.000 del Bacino del Torrente del Cardoso nella quale sono messi in evidenza i principali effetti causati dall’evento disastroso.

Scopo del presente lavoro è stato quello utilizzare tale Carta come base di studio al fine di poter fornire un contributo, anche a distanza di anni dall’evento, all’apprendimento del territorio e delle frane avvenute, sia dal punto di vista del censimento che delle analisi di distribuzione areale, in un’impronta in chiave moderna grazie a nuove tecniche di applicazione, elaborazione ed analisi tipiche dell’ambiente GIS (Geographic Information System).

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Scopo parallelo è stato anche quello di riprodurre la banca dati, in versione digitale, realizzata e corredata di tutte le informazioni disponibili, che completano la Carta con tutti i dati raccolti, georeferenziati in un geodatabase.

La digitalizzazione è stata effettuata utilizzando il programma ArcMap della suite di programmi ArcGis di ESRI®.

La riqualificazione di alcuni aspetti (quelli possibili in base all’elaborazione) ha fornito una quantità di dati utili per la produzione di nuove analisi di distribuzione delle frane (frequenza nei sottobacini, geologia del substrato, inclinazione dei versanti e tipo di copertura).

Le analisi risultano in linea con quanto fornito all’epoca dell’avvenimento dall’autore della Carta, riscontrando delle naturali differenze dovute al numero ed alla classificazione delle entità coinvolte.

Infatti, l’autore della Carta rilevò 443 eventi franosi totali definendo e caratterizzando quelli di maggior rilievo, ossia 382. Potendo contare sulla riproduzione digitale è stato possibile tenere conto anche delle frane minori preliminarmente non considerate, comprendendole nel nuovo database che ora definisce tutti i 443 eventi franosi all’epoca riscontrati.

Il lavoro di digitalizzazione della Carta, costruita per identificare gli effetti di un evento disastroso ben documentato ma che ai giorni d’oggi, dopo numerosi interventi di ripristino ed i naturali riassestamenti, sarebbe stato ben difficile se non impossibile valutare, evidenzia e conferma come le caratteristiche del territorio dal punto di vista geologico, geomorfologico ed idrogeologico siano state cause predisponenti di gran rilievo nella formazione delle frane e che l’area merita un accurato sviluppo di studi al fine di poter identificare le zone più vulnerabili per la gestione del rischio.

Sotto questo aspetto si prevede la possibilità di un futuro sviluppo di questo progetto in un’ottica di continuo aggiornamento, valutando il lavoro effettuato non solo fine a sé stesso ma come punto di partenza per ulteriori indagini, studi, elaborazioni, affinamenti, analisi e divulgazioni al fine di comprendere sempre meglio il Bacino del Torrente del Cardoso e i dissesti avvenuti, finalizzato allo sviluppo di applicazioni previsionali nella definizione della suscettibilità di frana nelle aree pedemontane.

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ABSTRACT

In upper Tuscany, precisely the area of the Versilia hinterland and the neighboring Garfagnana territory, June 19, 1996 is a date that sadly and forcefully entered the annals of natural catastrophes. On that day, in fact, a storm of extraordinary intensity hit an area of around 150 km2 and recorded a total of 474 mm of rainfall in 13 hours.

The fury of the waters and the numerous failures that occurred have destroyed the territory, buildings, factrories and roads, causing the loss of 14 human lives. Of the numerous Municipalities, those most affected are Stazzema (Versilia side of the Northern Apennines) and Vergemoli (Garfagnana slope of the Northern Apennines).

Each year the anniversary is celebrated, in a climate of maximum reflection and respect, with commemorative events held in the various countries and inhabited centers that were affected by the event. Among these is the town of Cardoso, located within the Cardoso Torrent Basin, which unfortunately is the most devastated.

Given the exceptional nature of the event, numerous studies were carried out in the whole area involved and maximum interest was also recognized at national level.

Several authors produced articles concerning the characterization of the flood and the place in every possible aspect, to the the aim of obtaining an increasingly complete picture of the causes and factors that contributed to the formation of the disruptions that occurred in rapid response, almost simultaneously, to the violent precipitation (landslides, valley bottoms, bank erosion, etc.). In this regard, the work of Degree Thesis carried out by Giannecchini (1996), at the time of the graduate student on the Degree Course in Geological Sciences of the Department of Earth Sciences of the University of Pisa, is of major importance. The elaborate, complete in an exhaustive way with every aspect concerning the event, the area and the effects, with relative descriptions, elaborations and analyzes, is accompanied by a geological map on a scale of 1: 5.000 of the Torrente del Cardoso basin in which are highlighted the main effects caused by the disastrous event.

The purpose of this work was to use this map as a basis of study in order to be able to contribute, even years after the event, to the learning of the territory and of landslides occurred, both from the point of view of the census and of the distribution analysis, in a modern key thanks to new application techniques, processing and analysis typical of the GIS environment (Geographic Information System).

Parallel purpose was also to produce a new format of the documdng itself which, as a result of the implemented procedures, is digitized, acquiring a greater degree of detail by subdividing and adding information levels and receiving updates in various aspects.

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The updating and requalification of some aspects (those possible based on the data obtained) have provided a quantity of useful data for the production of new landslide distribution analyzes (frequency in the sub-basins, bedrock features, slope inclination and cover).

The analyzes are in line with what was provided by Giannecchini (1996), finding natural differences due to the number and classification of the entities involved.

In fact, the author of the Map found 443 total landslide events defining and characterizing the most important ones, namely 382. Being able to count on digital reproduction it was possible to take into account also the minor landslides previously not considered, including them in the new database that now defines all the 443 landslides reported at the time.

The target of the map digitization work was to identify the effects of a well documented disastrous event but that today, after numerous restoration interventions and natural readjustments, would have been very difficult if not impossible to evaluate.

Furthermore, it highlights and confirms that the geological, geomorphological and hydrogeological characteristics of the territory have been major predisposing causes in the formation of landslides.

For these reasons, the area deserves careful study development in order to identify the most vulnerable areas for risk management.

From this point of view, the possibility of a future development of this project in a perspective of continuous updating is foreseen, evaluating the work carried out not only as an end in itself but as a starting point for further investigations, studies, elaborations, refinements, analyzes and disclosures in order to better understand the Torrente del Cardoso basin and the failures that occurred, aimed at the development of forecasting applications in the definition of landslide susceptibility in foothill areas.

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1 – INTRODUZIONE

1.1 – Premessa

La costruzione digitale della “Carta degli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso”, con tabelle annesse e l’aggiornamento del database delle frane, è stato un lavoro mirato allo scopo di ricercare nuovi riscontri da metodi di elaborazione ed analisi applicati ai Sistemi di Informazione Geografica, i software “GIS”, in concomitanza alla realizzazione dell’area di studio e degli elementi caratterizzanti come nuova fonte su base informatica.

Non si ritrattano quindi le dinamiche dell’evento né si ricondurranno da zero i diversi studi risultati già ampiamente esposti da molti autori e professionisti del settore, i quali hanno condotto indagini anche a livello storico (D’Amato Avanzi G. & Giannecchini R., 2003) al fine di poter ottenere contributi nella caratterizzazione dell’evento. Si valuterà, invece, l’efficacia del proseguimento dell’indagine delle frane avvenute, partendo da una base di lavoro resa disponibile da studi pregressi, mediante la costruzione di un supporto caratterizzato da diversi livelli informativi.

Oltre a quanto ricavabile dagli algoritmi del programma in uso, a supporto del lavoro è stato utilizzato materiale informativo disponibile sul geoportale della Regione Toscana “Geoscopio”. Di rilevante utilità è risultata la disponibilità di materiale vettoriale in formato “.dxf” che ha reso possibile la creazione di un particolare tipo di modello 3D del terreno, un “DEM vettoriale” costituito da una serie di triangoli irregolari (o TIN: Triangulated Irregular Network) il quale fornisce informazioni topografiche più precise e con maggiore risoluzione rispetto ai modelli classici di tipo grid (maglia di celle quadrate).

È riconosciuto che le ricerche svolte tramite programmi GIS producono esiti importanti in quanto è possibile elaborare vaste porzioni di territorio, integrando gli studi precedentemente svolti con nuove metodologie, maggior precisione, ciclicità, obiettività e senza la necessaria presenza fisica sul posto.

Infatti, nonostante siano stati effettuati numerosi sopralluoghi sul sito, la situazione critica prodotta dall’evento non è ovviamente più riscontrabile a distanza di anni grazie agli interventi di ripristino e ai normali riassestamenti.

La Carta a disposizione registra come una fotografia la situazione geologica e geomorfologica dell’area e la mappatura dei dissesti avvenuti all’epoca dei fatti.

Si riscopre quindi il vantaggio di poter operare sia a distanza fisica che temporale offrendo nuova base per una migliore gestione dei dati sotto molti punti di vista, facendo risultare efficace questo approccio di studio.

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1.2 – Finalità ed approccio metodologico

Lo scopo del lavoro è stato quello di riprodurre digitalmente la Carta stilata da Giannecchini (1996) rappresentante il Bacino del Torrente del Cardoso e gli effetti avvenuti a causa dell’alluvione del 19 Giugno 1996, ponendo particolare attenzione alla mappatura delle frane, mirando a fornire un nuovo supporto di consultazione ed elaborazione.

La realizzazione di una nuova piattaforma di lavoro, articolata secondo i livelli informativi e tabelle annesse, ha prodotto esiti positivi. Grazie all’interattività ed alla possibilità di aggiungere e/o modificare, mediante opportuni criteri, informazioni rappresentate da dati sia vettoriali che raster, si è potuto riscontrare il vantaggio dell’utilizzo delle tecniche GIS sotto diversi aspetti. Per poter avere un quadro più chiaro del contesto geografico e geologico-geomorfologico sono state dapprima affrontate nozioni generali sulla storia tettonica dell’Appennino Settentrionale, per poi scendere nel particolare descrivendo le caratteristiche del Bacino del Torrente del Cardoso e quindi le cause predisponenti dei dissesti accaduti.

Per comprendere al meglio la causa scatenante è stata analizzata anche l’evoluzione dell’evento alluvionale.

A seguire è stata trattata la tematica dell’ambiente GIS, esponendo gli aspetti generali sulle caratteristiche e tecniche di elaborazione dei dati.

Trattando la risorsa come un SIT (Sistema Informativo Territoriale) le metodologie risultano legate all’utilizzo del software di gestione dei dati GIS “ArcMap” (della suite di programmi ArcGis della ESRI®), sequenziate secondo un determinato ordine logico impostato sia dal punto di vista concettuale che dipendente da regole legate all’utilizzo stesso del programma.

Il primo approccio con la Carta ha visto la scannerizzazione della stessa per passare dal formato cartaceo a quello digitale. Successivamente è stata eseguita la digitalizzazione delle entità e realizzazione delle tabelle relative, riferite ai perimetri di frana, alle coperture, alle aree alluvionate, agli elementi lineari e puntuali.

Elevata attenzione è stata rivolta a tutti i sottoprodotti vettoriali ottenuti dalle diverse elaborazioni mediante algoritmi di calcolo e di selezione, al fine di poter sfruttare al meglio i parametri derivanti per completare il database ricreato.

Sotto quest’ultimo aspetto, la migliore gestione dei dati mediante l’utilizzo di relazioni tra le tabelle ha permesso di poter sviluppare una più marcata e precisa ricerca dei valori.

Ciascun risultato ottenuto è stato controllato e, ove necessario, modificato manualmente al fine di poter fornire dati rappresentativi veritieri e coerenti.

Una volta ottenuti tutti i possibili parametri, anche grazie all’ausilio di tecniche di analisi sul modello digitale 3D del terreno, appositamente costruito mediante TIN (Triangulated Irregular Network), è stato possibile effettuare nuove analisi statistiche di distribuzione delle frane con il programma di calcolo Excel di Microsoft® della suite di programmi Office.

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Il riscontro ha evidenziato una ottima corrispondenza con gli studi pregressi, confermando la validità del lavoro.

Come esito si può affermare che la nuova base informatica appositamente realizzata, costituita da una particolare interazione tra carta digitale, livelli informativi e relativi contenuti tabellari, algoritmi di elaborazione e l’utilizzo del programma di calcolo, ha fornito un nuovo approccio di studio che ha consentito di ottenere una conoscenza dell’area e delle frane avvenute.

Si riconoscono le condizioni sfavorevoli del Bacino del Torrente del Cardoso sotto il punto di vista geologico-geomorfologico, per il quale le diverse caratteristiche sono risultate cause predisponenti ad alto potenziale: il fattore scatenante dell’eccezionale alluvione non era sostenibile dall’area, che non aveva i requisiti per poter gestire il rilevante apporto d’acqua. Non di meno il nuovo database consente di poter effettuare operazioni ciclicamente con il vantaggio di minor tempo di elaborazione, riduzione dell’errore umano, possibilità di sperimentazione ed applicazione di nuovi algoritmi.

Inoltre, l’aggiunta di ulteriori livelli informativi può favorire la possibilità di reperire nuove informazioni e nuovi parametri per ottenere un quadro sempre più dettagliato e completo. Le prospettive future del presente lavoro di tesi non rimangono confinate alle diverse modalità di studio dell’area ma mirano a poter utilizzare i dati e le analisi svolte anche sotto l’aspetto previsionale, sia nel bacino in esame che in altri vicini, dalle caratteristiche geologiche e geomorfologiche simili.

Le informazioni ricavate, infatti, forniscono i valori necessari per poter effettuare delle simulazioni al fine di prevedere e valutare i possibili effetti in un’ottica previsionale per la mitigazione del rischio.

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2 – QUADRO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO DELL’AREA

2.1 – Inquadramento geografico

Il bacino del Torrente Cardoso si colloca nell’area meridionale delle Alpi Apuane e si trova all’interno del territorio del Comune di Stazzema (Provincia di Lucca) situato nella parte Nord-Occidentale della regione Toscana (Fig. 1).

Figura 1 - Ubicazione e confini amministrativi del Comune di Stazzema in provincia di Lucca

Cartograficamente il territorio comunale è compreso all’interno dei seguenti Fogli in riferimento alla cartografia CTR 1:10.000 e 1:5.000 della Regione Toscana:

• 1:10000: 249160 (Terrinca) - 250130 (Trassilico) - 260040 (Stazzema) - 261010 (Pescaglia)

• 1:5000: 249161 (Pania della Croce) - 249162 (Cardoso) - 249163 (Terrinca) - 250133 (Monte Croce) - 260041 (Stazzema) - 261014 (Palagnana)

Il territorio presenta un assetto morfologico collinare-montano in cui i settori di fondovalle ospitano elementi idrografici significativi.

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Le vette di maggior rilievo, quali Pania della Croce, Costa Pulita, Monte Forato, Monte Procinto, I Bimbi, Monte Alto ed i relativi crinali che li collegano, ben evidenti nella zona nordorientale e nordoccidentale, costituiscono l’ossatura del complesso denominato “Alpi Apuane” nell’area di studio e costituiscono parte dello spartiacque del bacino. Meno evidenti i rilievi nella porzione inferiore dove la dorsale del Monte Procinto provvede a definire il limite meridionale.

Le Alpi Apuane contano numerose cime (censite 453), 94 delle quali al di sopra dei 1300 metri. La montagna più alta è il monte Pisanino con i suoi 1947 metri di altezza, a seguire troviamo monte Cavallo (1895 m), monte Tambura (1891 m), Pania della Croce (1858 m), monte Grondilice (1808 m), monte Contrario (1788 m), Pizzo d’Uccello (1783 m), Penna di Sumbra (1770 m) etc.

La quota più alta dell’area è sicuramente quella registrata dalla vetta del monte Pania della Croce con 1859 metri s.l.m. (la quarta in ordine di altezza delle Alpi Apuane), mentre quella più bassa si trova nella sezione di chiusura del bacino a Pontestazzemese con 160 metri s.l.m.

È evidente che il bacino assume in uno spazio ristretto la forma di una “conca” con sagoma quasi triangolare (fig. 2), dove il tessuto urbano è disposto alternativamente in area di mezza costa, come ad esempio gli abitati Pruno e Volegno o presso il fondovalle come Cardoso e Pontestazzemese.

Figura 2 – Ubicazione e delimitazione dello spartiacque del bacino del Torrente Cardoso all’interno del complesso delle Alpi Apuane. Immagine tratta da Google Earth con visualizzazione 3D leggermente inclinata

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2.2 – Evoluzione tettonica dell’area

L’edificio dell’Appennino settentrionale è formato dalla sovrapposizione di varie unità tettoniche, deformate e scollate, parzialmente o totalmente, dal proprio basamento.

Esistono numerose teorie sulla genesi della catena appenninica settentrionale proposte da vari autori, in linea generale si ritiene che le fasi tettoniche che hanno prodotto l’impilamento delle falde, abbiano avuto inizio probabilmente a partire dal Cretaceo - Eocene, interessando due domini paleogeografici, il “dominio ligure” ed il “dominio toscano-umbro”, quando l'instaurarsi di una subduzione a vergenza adriatica cominciò a determinare l'apertura del Mar ligure-piemontese prima (fig. 3) e del Tirreno poi (Elter & Marroni, 1991).

Figura 3 - Ricostruzione della posizione della placca Europea e di quella Africana, con la microplacca Adria, divise dall'oceano Ligure-Piemontese (immagine tratta da ambientecultura.it)

L'impilamento delle falde, determinato dalla convergenza tra la placca Europea e quella dell'Adria (Boccaletti et al., 1971; Doglioni C. 1991) e dalla loro successiva collisione (fig. 4), evidenzia la sovrapposizione di unità tettoniche depositatesi sia su crosta oceanica sia su crosta continentale (domini paleogeografici diversi) avvenuta nel corso della formazione di un prisma di accrezione orogenico e della sua evoluzione (Principi & Treves, 1984; Treves, 1984).

Procedendo da Ovest verso Est, cioè dall'interno verso l'esterno della catena, si incontrano i terreni appartenenti al Domino Ligure (o Interno), rappresentato da un complesso di terreni frutto dell’evoluzione sedimentaria e tettonica dell'Oceano Ligure - Piemontese, sovrapposti a quelli del Dominio tosco-umbro (o Esterno), nel quale si riconoscono l'evoluzione sedimentaria e tettonica del margine continentale adriatico.

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Figura 4 – Schema rappresentante la subduzione della Placca Adria al di sotto di quella Europea con evidenza dell’orogenesi Appenninica (Doglioni C., 1991)

Il Dominio Ligure è ripartito, da Ovest verso Est, in un Dominio Ligure Interno (Elter & Pertusati, 1973), costituito dal basso verso l’alto dell’impilamento dall’Unità di Colli/Tavarone, l’Unità del Bracco/Val Graveglia e dall’Unità del Gottero (attribuibili al bacino dell’Oceanico Ligure - Piemontese; Meccheri & al., 1986), in un Dominio Ligure Esterno (Unità del Flysch ad Elmintoidi) riferibile alla deposizione all'interno di un bacino il cui basamento era costituito da crosta continentale assottigliata e posto in corrispondenza del margine del paleocontinente africano e un Dominio Subligure (Unità di Canetolo, costituito da un complesso di terreni sedimentari di transizione tra i domini precedenti).

Il Dominio Umbro e quello toscano, rappresentano invece il Dominio Esterno della catena appenninica; il primo è posto in posizione esterna e sostanzialmente si trova in una situazione di autoctonia sul suo substrato, mentre il secondo si trova in posizione più interna ed in parte alloctono e sovrascorso sul precedente.

La genesi dell'Appennino Ligure - Toscano è conseguenza, come detto, della lunga e complessa storia deformativa di quest’area paleogeografica, caratterizzata da una successione di importanti eventi compressivi, a partire dal Cretaceo superiore (fig. 5).

Durante l’Oligocene ha avuto luogo la sedimentazione del Macigno (toscano e ligure) e dell’Unità di Canetolo, ma già al passaggio con il Miocene si ebbe una fase tettonica di sovrascorrimento della suddetta Unità di Canetolo sulla Falda Toscana.

Tale avanzamento consentì alle unità liguri di sovrapporsi definitivamente sul dominio toscano e questo fu accompagnato, a partire dal Tortoniano, anche dalla progressiva sovrapposizione della stessa Falda Toscana al dominio Umbro-Marchigiano nel corso di quella che può essere definita la fase principale del sovrascorrimento.

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Figura 5 - Evoluzione della catena appenninica ed identificazione dei Domini

geologici caratterizzanti (Carmignani & Kligfield, 1990)

I rapporti geometrici tra le varie unità tettoniche dell’Appennino settentrionale sono rappresentati in figura seguente (fig. 6).

Figura 6 - Rappresentazione schematica dei rapporti

geometrici allo stato attuale delle Unità Tettoniche principali

dell'Appennino Settentrionale; da Elter,

1994

Dopo il Tortoniano ed all’inizio del Messiniano, in concomitanza con l’apertura del bacino tirrenico, mentre sul versante padano continuava il regime compressivo, si instaurò un regime distensivo che avrebbe portato successivamente alla formazione di strutture ad horst e graben dirette NW-SE coinvolgendo la struttura a falde della catena appenninica precedentemente formatasi, originando bacini lunghi e stretti (come le Fosse tettoniche della Lunigiana e della

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Garfagnana; fig. 7) destinati poi ad essere riempiti di sedimenti di origine fluvio-lacustre (Messiniano Sup-Quaternario).

Figura 7 - Schema strutturale prospettico delle strutture a horst&graben della Toscana settentrionale con evidenziate le

principali faglie riconosciute nella zona (modificato da Bernini, Papani, 2002)

Il fronte della distensione migrò dall'attuale Versilia all'area Lunigiana-Garfagnana dando origine ai bacini di Pontremoli e Aulla - Olivola in Lunigiana e di Castelnuovo di Garfagnana e di Barga in Garfagnana.

Nel corso del Pleistocene medio-superiore si depositarono le conoidi alluviali la cui genesi è legata soprattutto a fenomeni climatici (glaciazioni quaternarie); evidenze di sollevamento tettonico regionale relative a questo periodo sono da ricercarsi nel progressivo approfondimento del livello di base dell'erosione tra le conoidi più antiche e quelle più recenti.

In riferimento al modello evolutivo proposto da Carmignani e Kligfield (1990) ed alle due fasi principali che strutturano il complesso Apuano si riconoscono una prima compressiva D1 legata alla collisione del basamento europeo con il basamento africano della microplacca adriatica ed una successiva distensiva D2 post-collisionale che porta al riequilibrio isostatico della crosta ispessita (con risalita delle porzioni più profonde e la formazione del core-complex apuano). Si rileva che la fase D1 è ben conservata soprattutto nelle Alpi Apuane Settentrionali.

Nelle interazioni tra terreni dell’Autoctono e della Falda Toscana, specie nel territorio delle Alpi Apuane meridionali in cui ricade ampia parte del Comune di Stazzema, sono state individuate ulteriori fasi tettoniche tardive (D3 e D4 - Carosi et al 2002), due nell’Unità Apuana e una nella Falda Toscana, fasi associate allo sviluppo di pieghe orizzontali e verticali tra loro parallele, in regime compressivo meno sviluppato dell’evento D1.

Alcune osservazioni di queste fasi tardive, applicate alla ricerca sui giacimenti di “Pietra del Cardoso” sono state effettuate da Coli e Livi (2003); a livello di strutture maggiori, comunque rimane valido il modello classico di Carmignani et al. (1990;1993).

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2.3 – Geologia del Bacino del Torrente Cardoso

In relazione all’assetto tettonico e strutturale generale descritto nel paragrafo precedente, si richiamano di seguito i principali elementi geologici presenti nell’area, rappresentati da formazioni metamorfiche dell’Autoctono (Auctt.), attribuibili alla copertura mesozoica e terziaria ed al basamento paleozoico, e della Falda Toscana non metamorfica.

Con la ricomposizione della geologia complessiva del massiccio apuano, operata nella pubblicazione della Carta del Parco delle Apuane (2001), sono state eliminate le suddivisioni tettoniche dell’Unità delle Panie e delle Scaglie Parautoctone di Stazzema (Carmignani et al., 1993), la differenza strutturale tra le ex Unità è stata ridotta a contatti tettonici di ordine inferiore. Le formazioni geologiche, ristrette a quelle di interesse per le porzioni di territorio indagato, sono di seguito illustrate. La carta rappresentata è stata tratta dalla versione più aggiornata a disposizione derivante dal database della Regione Toscana (fig. 8).

Figura 8 - Carta delle formazioni geologiche presenti nell'area del Bacino del Torrente Cardoso con vestizione ufficiale ricavata dal database della Regione Toscana e su base topografica 1:25.000 (fogli 249b e 250a)

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Dal 2002 al 2006 la Regione Toscana ha realizzato la copertura completa del territorio regionale attraverso la Carta Geologica Regionale in scala 1:10.000.

Da tale cartografia, a seguito di un processo di verifica e raccordo geometrico ed informativo, condotto nel periodo 2009-2011 dal Centro di GeoTecnologie (CGT) dell'Università degli Studi di Siena con la collaborazione di INFN e DST di Pisa, è stata curata la realizzazione del Continuum Geologico della Regione Toscana.

I livelli informativi del Continuum sono stati successivamente acquisiti all'interno del database Geologico ed i dati relativi a frane, depositi superficiali, forme e processi geomorfologici sono periodicamente integrati. Grazie a questa risorsa disponibile sul portale “Geoscopio” della Regione Toscana è stato possibile riconoscere le seguenti formazioni geologiche:

UNITÀ TOSCANE METAMORFICHE

Autoctono (Auctt.)

Basamento Paleozoico

• FAF – Filladi inferiori. Filladi quarzitico muscovitiche, spesso cloritiche con alternanze di Quarziti e più raramente Filladi grafitiche; lenti di Metavulcaniti basiche.

Cambriano? – Ordoviciano inf.?

• PRS e MRQ – Porfiroidi, Scisti Porfirici e Metarenarie quarzose. Metarenarie quarzose, Metarenarie arcosiche, Quarziti e Quarziti filladiche. Porfiroidi e Scisti porfirici, Metavulcaniti a composizione riolitica, con fenocristalli di quarzo e feldspato in matrice quarzoso muscovitica, Metarcosi e Filladi muscovitiche cloritiche con abbondanti cristalli di quarzo vulcanico. Si presentano a coronamento della estesa area delle Filladi Inferiori sopra descritte.

Ordoviciano medio? – Sup.?

• OTH, OTHa e OTHb – Dolomie cristalline ad Orthoceras, filladi grafitiche nere e calcari nodulari (OTH). Dolomie grigie e più raramente Quarziti nere (liditi) (OTHb). Filladi grafitiche nere, liditi e metarenarie (OTHa) localmente, abbondanti resti di crinoidi e Ortocheras.

Siluriano? – Devoniano

• LCS – Calcescisti e filladi carbonatiche cloritico-muscovitiche (LCS). Siluriano sup.? – Devoniano inf.

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Successioni Mesozoiche e Terziarie

• VINa e VINb – Formazione di Vinca. Quarziti, metarenarie feldspatiche e filladi con intercalazioni di Dolomie.

Carnico? – Norico

• GRE – Grezzoni. Dolomie con limitate modificazioni microstrutturali metamorfiche (esteso boudinage). Alla base brecce metamorfiche ad elementi dolomitici, nella parte intermedia dolomie grigio scure stratificate, nella parte alta dolomie a patina di alterazione giallastra con tracce di filladi lungo i giunti di stratificazione. Talvolta presenti noduli o liste di selci nere. Dolomie brecciate grigio-giallastre con struttura a “cellette” talvolta “cariate".

Norico

• MMG – Marmi a Megalodontidi. Marmi saccaroidi, massicci o grossolanamente stratificati, con scarsa muscovite e clorite lungo i giunti di strato. Frequenti molluschi, brachiopodi e lumachelle a megalodontidi.

Retico

• BSE – Brecce di Seravezza. Brecce poligeniche metamorfiche a elementi marmorei subordinatamente dolomitici, con matrice filladica a cloritoide di colore rossastro o verdastro.

Retico (– Lias inf.?)

• MDD – Marmi Dolomitici. Marmi dolomitici alternati a livelli di dolomie grigio chiare o rosate, più o meno ricristallizzate. Frequenti alghe, gasteropodi, brachiopodi e lamellibranchi. Spesso presenti dolomie cristalline massicce grigio chiare.

Lias inf.

• MAA – Marmi. Marmi di colore variabile dal bianco al nero al grigio, con rari e sottili livelli di Dolomie e Marmi dolomitici giallastri. Brecce monogeniche metamorfiche ad elementi marmorei da centimetrici a metrici. Brecce poligeniche metamorfiche a prevalenti elementi marmorei e subordinati di dolomia, selci grigio chiare e rosse, talvolta con matrice filladica rossastra o violacea.

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• CLF – Metacalcari Selciferi. Metacalcilutiti grigio scure, con liste e noduli di selci e rari livelli di metacalcareniti, in strati di potenza variabile, spesso alternati con strati più sottili di calcescisti e filladi carbonatiche grigio scure con tracce di pirite e ammoniti piritizzate. Lias medio – sup.

• MDI – Diaspri. Metaradiolariti rosso violacee e verdastre sottilmente stratificate con intercalazioni di Filladi quarzitiche. Nella parte superiore della formazione sottili livelli di Calcari silicei metamorfici e Filladi carbonatiche.

Malm

• SSR – Scisti sericitici. Filladi muscovitiche verdastre, rosso e rosso violacee e più raramente grigie, con rari e sottili livelli di Filladi carbonatiche, Marmi a clorite e Metaradiolariti rosse.

Cretacico inf. – Oligocene

• MCP – Cipollini. Calcescisti verdastri o rosso violacei, Marmi e Marmi a cloritoide, livelli di Metacalcareniti grigie a macroforaminiferi.

?Eocene – Oligocene

• PSM – Pseudomacigno. Metarenarie quarzoso feldspatico micacee alternate a Filladi grigio scure. Rappresenta il termine più alto della serie post-paleozoica. Le qualità merceologiche più metarenacee dello Pseudomacigno, favoriscono l’estrazione della “Pietra del Cardoso”, il cui piano di sviluppo si è ampliato dalla classica area omonima ad altre località presso Stazzema e Pomezzana, dove locali escavazioni di pietra nella variante Filladica, sono utilizzati in edilizia.

Oligocene sup. – ?Miocene inf.

FALDA TOSCANA

• CCA – Calcare Cavernoso. Calcari dolomitici e dolomie grigie brecciati e con struttura a “cellette” e dolomie cariate.

Trias sup.

• RET – Calcari a Rhaetavicula Contorta. Calcari, calcari dolomitici e dolomie con sottili intercalazioni di marne. Generalmente nella parte inferiore prevalgono calcari, calcari

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dolomitici e dolomie grossolanamente stratificati, cui seguono calcilutiti nere alternate con sottili livelli di marne grigio scure a patina d’alterazione giallastra.

Retico

• MAS – Calcare Massiccio (MAS). Calcari e calcari dolomitici grossolanamente stratificati e massicci.

Lias inf.

DEPOSITI QUATERNARI

Depositi Del Pleistocene Medio-Superiore

• c8b – Depositi di versante periglaciali. Depositi di versante stratificati di origine periglaciale

Depositi Olocenici

• b4a – Depositi da debris flow e mud flow. Colate detritico fangose incanalate; depositi alluvionali e misti, confinati in alvei ad elevata acclività.

• bna – Depositi alluvionali recenti, terrazzati e non terrazzati. Ghiaie eterometriche, Sabbie e Limi soggetti ad evoluzione con ordinari processi fluviali.

• a3a – Detriti di falda. Falde di detrito, talus detritici, coni di detrito coalescenti, anche a grossi blocchi, prevalentemente al piede delle pareti in roccia.

• aa – Depositi di versante. Accumuli lungo i versanti di frammenti litoidi, eterometrici, angolosi, talora stratificati, con matrice sabbiosa o sabbioso-limosa.

• h – Depositi antropici (h). Si distinguono: Discariche di cave, ravaneti (h3) e Discariche di miniere (h2).

Nel 2000, l’Ente Parco delle Apuane ha finanziato la stampa e la diffusione di due fogli, in formato 100 x 70 cm, che contengono il primo la Carta geologica del Parco delle Apuane, in scala 1:50.000 (fig. 9), il secondo le sezioni geologiche e gli schemi strutturali delle Alpi Apuane (fig. 10). La pubblicazione è stata curata dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università

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degli Studi di Siena e ne sono stati autori scienziati e ricercatori come Luigi Carmignani, Gaetano Giglia e Marco Meccheri.

Figura 9 - Estratto Carta Geologica del Parco delle Alpi Apuane 1:50000 redatta da Carmignani et al., 2000; AUTOCTONO (AUCTT.): Basamento Paleozoico (fl – Filladi inferiori; pf – Porfiroidi e scisti porfirici, Metarenarie

quarzose; co – Dolomie scistose a orthoceras, calcari rossi nodulari); Successione mesozoica e terziaria (gr – Grezzoni; md – Marmi a Megalodontidi, Brecce di Seravezza, Scisti a Cloritoide e Marmi Dolomitici; m – Marmi; cs

– Calcari Selciferi; sc – Calcari a Nummuliti, Cipollini, Scisti Sericitici; pmg – Pseudomacigno); DEPOSITI QUATERNARI: dt – Depositi di versante, frane, accumuli di frammenti litoidi eterometrici con matrice sabbiosa o

sabbioso-limosa in quantità variabile

Osservando lo stralcio di figura 9 in raffronto con la figura 8 ricavata dal database della Regione Toscana si possono riscontrare differenze minime. È indubbia la predominanza della formazione Pseudomacigno e delle Filladi Inferiori, affioranti nella parte centrale del bacino, sovrastate perifericamente dai Marmi, Grezzoni e Marmi a Megalontidi.

In parallelo all’osservazione della sezione mostrata in figura seguente (fig. 10) si evidenzia come la struttura dei rilievi sia caratterizzata da un assetto quasi “standardizzato” in cui le vette sono costituite da termini carbonatici mentre a livello basale le formazioni risultano arenaceo-filladiche.

c

c’

'

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Figura 10 - Estratto della sezione geologica C-C' (direzione SW-NE) del Foglio delle Sezioni Geologiche e Schemi Stratigrafico-Strutturali delle Alpi Apuane in scala 1:50.000. Carmignani et al., 2000. Il tratto di sezione di

riferimento è riportato in figura 9

2.4 – Caratteristiche Idrogeologiche

Il bacino del Torrente Cardoso è caratterizzato dalla presenza di formazioni dalle diverse caratteristiche litologiche. Dal punto di vista dell’assetto idrogeologico la zona in esame è fortemente condizionata dalla natura carbonatica delle rocce affioranti, quali Marmi Dolomitici, Marmi e Grezzoni, una situazione ben nota e tipica dell’intera struttura delle Alpi Apuane. Queste presentano infatti caratteristiche idrogeologiche particolari attribuibili all’interazione di importanti fattori quali: il differente grado e tipo di permeabilità, la natura litologica e la disposizione geometrica tra litotipi dovuta all’assetto strutturale.

Le rocce carbonatiche risultano sovrapposte alle rocce impermeabili e/o semipermeabili e la loro permeabilità risulta elevata in quanto è il risultato della combinazione tra quella di tipo primario, già per natura considerevole, e quella di tipo secondario, anch’essa di grado da medio ad elevato. Quest’ultima è dipendente dallo sviluppo di sistemi di fratturazione in cui l’acqua infiltrandosi amplifica le aperture, in parte meccanicamente in parte grazie al fenomeno del carsismo. Nelle strutture carsiche l’acqua circola molto più velocemente e con moto turbolento generando nel tempo una rete sotterranea di condotti che smaltiscono le acque d’infiltrazione convogliandole rapidamente verso le sorgenti.

Come importante conseguenza il ruscellamento superficiale è praticamente assente, se non in occasione di piogge particolarmente intense. Gli spartiacque superficiali non hanno in pratica

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alcun effetto sulla circolazione delle acque sotterranee e l’idrografia sotterranea è svincolata da quella superficiale (Piccini L., 2007).

Le Alpi Apuane difatti per queste caratteristiche sono sede di numerose forme carsiche: quelle sotterranee (o ipogee) sono più sviluppate e numerose rispetto a quelle superficiali (od epigee), le grotte ad esempio assumono notevole importanza non solo dal punto di vista geomorfologico ma anche dal punto di vista speleologico-turistico dato che alcune di esse si sviluppano in strutture importanti sia per estensione che complessità (fig. 11).

Figura 11 - Esempio di sviluppo di forme carsiche all'interno delle formazioni carbonatiche delle Alpi Apuane

Due delle più famose grotte a livello nazionale nonché europeo risultano proprio in prossimità dell’area di studio: l’Antro del Corchia e la Grotta del Vento.

La prima si sviluppa all’interno del massiccio del Monte Corchia, poco distante dal bacino, a Ovest del Gruppo delle Panie, è la più grande d’Italia e tra le prime cinque in Europa. Si tratta di un reticolo tridimensionale racchiuso in un volume di marmi e dolomie di circa 2 km di lunghezza, 1 km di larghezza e quasi 1200 m di altezza. Vanta una rete di gallerie dall’estensione totale di 70 km (anche se recenti studi stimano che il complesso abbia una rete da esplorare ancora più estesa).

La Grotta del Vento si trova anch’essa al di fuori del bacino di studio in direzione completamente opposta all’Antro del Corchia ed esterna all’ambito comunale di Stazzema, infatti si trova nel versante Garfagnino delle Alpi Apuane, all’interno del Comune di Vergemoli ad Est del gruppo delle Panie, precisamente sviluppata all’interno del monte più orientale ovvero la Pania Secca.

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La Grotta è lunga circa 4500 m, l'unico ingresso conosciuto è a 640 m sul livello del mare e l’altro sul versante opposto è situato intorno ai 1400 m, questa conformazione è la causa del forte vento che la caratterizza e da cui ne prende il nome. Il forte dislivello e la differenza di temperatura dell’aria provoca infatti un continuo flusso d’aria che nel passato veniva usato dagli abitanti della zona come frigorifero naturale. La rete di gallerie finora conosciuta ha, come detto, una lunghezza totale di circa 4 km ma è destinata ad aumentare nel tempo con i continui studi ed esplorazioni. Come precedentemente accennato anche all’interno del bacino in esame l’acqua sviluppa una serie di percorsi sotterranei proprio per la presenza di rocce carbonatiche più o meno fratturate impostate sopra strati di rocce impermeabili o poco permeabili. Nella zona di contatto tra i diversi litotipi non è rara la formazione di sorgenti, molte di queste alimentano i vari torrenti presenti quali lo stesso Torrente del Cardoso, il Canale della Capriola ecc. (Giannecchini R., 1996). Sono di riferimento i complessi della Pania della Croce e del Monte Alto (vedere fig. 10) in cui si riscontra molto bene un limite di permeabilità definito tra i calcari sopra e le filladi e/o porfiroidi al di sotto.

Le sorgenti di contatto presenti e censite hanno quindi il compito di drenare i soprastanti rilievi scaricando l’acqua nei vari impluvi all’interno del bacino ed una di queste risulterebbe come dreno del complesso del Corchia, ovvero la sorgente denominata “Le Fontanacce” situata a quota 176 m.s.l.m. poco a monte di Pontestazzemese (Piccini L., 2007). La portata media risulta di 120 l/s (Cazzante et al., 1988) e non è captata ma scarica direttamente nel Torrente Cardoso.

Il complesso acquifero principale, caratterizzato da una permeabilità elevata dovuta alla fratturazione e ai fenomeni carsici, è quello costituito dalla serie carbonatica formata da Marmi, Marmi Dolomitici, Grezzoni e, localmente, dai Calcari Selciferi. Naturalmente, la circolazione idrica in acquiferi di questo tipo avviene lungo le superfici di discontinuità (giunti di strato, faglie e fratture minori) e all’interno dei condotti e delle cavità carsiche, con un moto che generalmente non è lineare; questo fa sì che la velocità di flusso dell’acqua sia elevata e che le sorgenti alimentate siano conseguentemente soggette a frequenti variazioni di portata.

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2.5 – Aspetti morfologici e idrografici del Bacino del Torrente Cardoso

Confermando quanto riportato sopra, la struttura morfologica del Bacino del Torrente Cardoso è condizionata dall’assetto strutturale e dalla litologia, sulle quali la lunga storia evolutiva ha interessato in maniera selettiva sulle formazioni presenti generando le forme attuali.

In un’area totale di circa 13 km2 si hanno dislivelli molto marcati, basterebbe prendere in considerazione il punto a quota superiore e quello a quota inferiore per dedurre quanto lo sviluppo morfologico sia caratterizzato dalla contrapposizione della presenza delle alte creste con gli impluvi più o meno solcati e sedi di torrenti.

Situati in punti contrapposti del bordo del bacino, estremità NE per la quota più alta fornita dal monte Pania della Croce (1858,46 m s.l.m.) ed estremità SW per la quota più bassa sita in Pontestazzemese (159,81 m s.l.m.), la differenza di quota risultante mostra un dislivello totale di circa 1698,65 metri, in una distanza in linea d’aria da punto a punto (lunghezza apparente) di circa 4.700 metri.

Considerando tali valori ed associando nell’area uno sviluppo topografico che si conforma in modo tutt’altro che proporzionale, si riscontrano zone a pendenze con angoli minori di 10° contrapposte a pareti rocciose con inclinazioni di 60° ed oltre (lo studio e l’elaborazione della carta sotto questi aspetti sarà trattato in seguito).

Il comportamento della risposta all’alterazione e la geometria dell’assetto struttale accertano tre macrogruppi litologici cui associare le pendenze riscontrate suddivise per classi.

Partendo dalle quote più alte, lungo il perimetro del bacino seguendo la linea dello spartiacque, i versanti sono più acclivi con pendenze tra i 50° - 60° gradi ed oltre, taluni con pareti quasi verticali. Si confermano le formazioni appartenenti alle litofacies carbonatiche, i principali sono i Marmi, Marmi Dolomitici, Calcari a Raethavicula, Calcare Cavernoso e i Marmi Cipollini. La loro natura e la presenza di sistemi di fratturazione sono la causa principale della formazione di una morfologia accentuata in risposta alle disgregazioni chimico-fisiche, spesso inadatta ad ospitare vegetazione di alcun tipo.

Scendendo di quota, spostando quindi l’osservazione verso l’interno del bacino, le pendenze si fanno meno accentuate rimanendo comunque importanti. Si parla infatti di circa 30° - 50° gradi di inclinazione da attribuire alle formazioni arenaceo-filladiche sottostanti i carbonati, come lo Pseudomacigno, Dolomie ad Orthoceras, Filladi Superiori, Porfiroidi e Scisti Porfirici, Filladi Inferiori e i Grezzoni. In questa fascia si riscontra una pendenza minore non solo a causa della diversa risposta all’alterazione di queste formazioni ma anche per il continuo apporto di materiale proveniente dalle quote più alte. Nel tempo la completa alterazione chimico-fisica ne ha favorito la formazione di suolo dallo spessore medio di 0,5/2 m (Giannecchini R., e Pochini A., 2006) adatto alla crescita di vegetazione di alto fusto.

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L’ultima fascia di pendenze, 0°- 30°, si riscontra sia come area nella porzione più interna del bacino, quindi nel fondovalle, sia in molte porzioni delle zone a mezza costa, interponendosi tra le pendenze superiori addolcendo localmente la topografia. Questo è da attribuire a depositi che, con il loro accumulo e progressivo modellamento nel tempo, diminuiscono la pendenza. Si tratta di materiale più o meno propenso alla mobilitazione e non a caso il bacino, nell’evento del 19 Giugno del 1996, è stato teatro della genesi di più di 400 fenomeni franosi.

Alcuni degli impluvi ospitano i torrenti tributari del Torrente del Cardoso come il Fosso del Greppovecchi, unico affluente di sinistra, il Fosso dell’Oreto, il Rio della Pasquina, il Canale di Deglio, il Fosso Carpiolo di Cerageta ed il Fosso di Casalina come affluenti di destra (fig. 12).

Figura 12 - Rappresentazione del percorso del Torrente del Cardoso ed i relativi tributari principali (tra parentesi è indicato il numero d'ordine gerarchico)

In figura 12 (ottenuta eseguendo operazioni su software ArcMap) sono rappresentati i tributari principali del Torrente del Cardoso, classificati secondo il numero d’ordine gerarchico. Il reticolo idrografico del bacino è stato analizzato attraverso l’elaborazione di dati vettoriali in formato “.dxf” forniti dal portale Geoscopio parallelamente alla consultazione del geoportale Lamma, entrambi della Regione Toscana.

Per precisazione il Torrente del Cardoso viene nominato tale esattamente dopo aver ricevuto le acque dal tributario Fosso Capriolo di Cerageta mentre il tratto prima verrebbe nominato, secondo

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gli strumenti di cui sopra, Canale Versilia. Il bacino, secondo il criterio di ordinamento di Strahler (1952), che si basa sulla gerarchizzazione degli elementi costitutivi del reticolo idrografico, risulta di V ordine in quanto il valore “n” assegnato al Torrente del Cardoso è pari a 5.

Il numero d’ordine si ottiene assegnando il valore “n+1” ad ogni nuovo ramo uscente dal nodo generato dall’unione di due o più tributari di ordine “n” uguale. Il canale che non ha sbocchi in altri corsi d’acqua nel bacino fornisce il valore definitivo dell’ordine gerarchico (fig. 13).

Figura 13 - Schema esemplificativo di assegnazione del numero d'ordine gerarchico ad ogni ramo del reticolo idrografico secondo il metodo di Strahler

Una delle operazioni eseguite con il software di elaborazione ArcMap è stata quella di utilizzare il materiale reperito focalizzando l’attenzione su topografia e idrografia. Tramite precise istruzioni ed algoritmi è stato possibile ottenere il profilo longitudinale delle principali aste torrentizie precedentemente elencate (fig. 14). Osservando la figura 14 si può valutare distintamente l’andamento di ogni asta torrentizia dalla sorgente al punto finale. Il risultato è dipendente sia dalla dimensione dei singoli elementi della matrice costituente il modello 3D del bacino sia dalla distanza e quantità dei punti nelle polilinee dei rami fluviali.

Figura 14 – Profili longitudinali delle aste torrentizie principali del bacino del Torrente del Cardoso ottenuti tramite elaborazione di dati vettoriali mediante software ArcMap

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L’andamento a gradini dei vari profili è causato dall’intersezione vettoriale, giustificato dal fatto che alcuni punti rientrano nelle stesse celle di quota (esempio zone di piccole anse o semplicemente punti troppo ravvicinati), quindi il dato finale andrebbe osservato secondo un’ottica di interpolazione per una visione più pulita e naturale.

Fatta questa premessa, osservando la figura si nota quanto precedentemente riferito a riguardo delle diverse fasce di pendenza dai bordi del bacino verso l’interno.

Partendo da un’inclinazione più o meno accentuata alla sorgente (localizzata al contatto tra i calcari e le formazioni impermeabili/semipermeabili) si arriva a valori più blandi nel fondovalle, con un percorso inciso più o meno rettilineo.

Interessante notare come il profilo del Canale del Deglio mostra a circa quota 530 m s.l.m. un cambio di pendenza più marcato verso la verticale dovuta alla presenza della cascata dell’Acquapendente. Si tratta di un balzo roccioso di circa una ventina di metri, la cascata è visibile nei periodi piovosi e si presenta in due rami principali separati tra loro. Prima dell’alluvione del 1996 alla base della cascata erano presenti alcune pozze dove era possibile fare il bagno, ora purtroppo risultano riempite di detrito.

Una delle considerazioni da effettuare riguardo la geometria del bacino e la presenza della rete idrografica è proprio la distribuzione asimmetrica e le differenti dimensioni areali di destra e sinistra orografica rispetto al Torrente del Cardoso.

Il bacino ha un’area calcolata di 13 km2 ca. entro un perimetro di 15,834 km, osservando la forma del bacino ed il percorso del Torrente esso risulta fortemente asimmetrico. Infatti, l’area di destra orografica, che ospita cinque tributari, ha un’estensione di circa 10 km2, mentre l’area di sinistra orografica, con il solo affluente Fosso del Greppovecchi, solo 3 km2.

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3 – L’ALLUVIONE DEL 19 GIUGNO 1996

3.1 – Il violento nubifragio abbattutosi sulla Toscana settentrionale

La dinamica dell’evento pluviometrico che si è scatenato in alta Versilia e che ha colpito maggiormente il bacino oggetto di studio il 19 Giugno 1996 parte da una situazione meteorologica molto particolare.

L'evento in questione, che si riferisce ad un’area relativamente ristretta del nostro territorio, è stato causato da una brusca accelerazione dell'attività termoconvettiva e la sua ridottissima estensione superficiale non ne ha consentito la previsione. Il bollettino meteorologico diffuso il mattino del 18 giugno dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare e valido fino alle ore 7,00 del giorno 19 prevedeva, per la costa Tirrenica, condizioni di cielo generalmente sereno o poco nuvoloso, con possibili addensamenti pomeridiani nelle zone interne.

Non si è trattata quindi di una perturbazione ordinaria visibile con gli strumenti di controllo satellitare e non è stato possibile prevederne l’evoluzione (fig. 15).

Figura 15 - Immagine satellitare del 19/06/1996 ore 2:00; si nota ammasso nuvoloso in formazione localizzato sul mare di fronte alla Versilia. Immagine tratta dal sito "neteservice.it"

L'esame delle immagini trasmesse dal satellite Meteosat, peraltro, confermano che l'addensamento eccezionale e concentrato sul bacino del Fiume Versilia è avvenuto repentinamente a partire dalle ore 3:00 della mattina del 19, degenerando successivamente con una velocità non comune.

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Le nuvole che danno origine ai violenti nubifragi si formano per la differenza di temperatura tra il suolo e l’atmosfera. L'aria calda proveniente dal mare sale fino a incontrare correnti più fredde che la fanno condensare e facilitano la formazione di nubi temporalesche. Nel periodo estivo, quando le acque marine sono più calde, questi fenomeni sono più frequenti perché la differenza tra masse d'aria aumenta.

Si tratta di eventi che si verificano a causa del riscaldamento globale. Acqua più calda significa maggiore umidità e maggiore differenza di temperatura tra l'aria che sale dal mare e quella incontrata in atmosfera. Le nubi si fanno sorprendentemente più cariche ed è più facile che liberino il loro contenuto in un solo evento generando acquazzoni.

I rovesci temporaleschi si possono in qualche modo prevedere, ma la quantità di pioggia che scaricheranno è imprevedibile.

L’area colpita è caratterizzata da rilievi situati in prossimità del mare, dove è più facile che si formino correnti ascensionali di aria molto calda e che entrino a contatto con temperature più basse. Oltretutto non si sta trattando di rilievi qualsiasi della nostra penisola ma della catena montuosa più alta a breve distanza dal mare: le Alpi Apuane.

Le caratteristiche climatiche delle Alpi Apuane infatti derivano dall’interazione tra i fattori geografici-morfologici ed alla circolazione atmosferica a livello locale e generale (D’Amato Avanzi G. & Giannecchini R., 2012).

Sfortunatamente, proprio per la particolare configurazione e posizione l’area è una delle più piovose in Italia, dove la pioggia può superare i 3.000 mm all’anno (D’Amato Avanzi et al., 2009). Seguendo questo filo logico, nel giorno dell’alluvione la forma della valle ha favorito la canalizzazione e il forte dislivello ha determinato l’amplificazione dell’ascesa delle correnti calde (fig. 16).

Figura 16 - Immagine satellitare del 19/06/1996 delle ore 12.00 circa; l'ammasso nuvoloso circoscritto nell’area dell’alta Toscana si è espanso in poche ore; immagine tratta dall'archivio “3B Meteo” sezione “meteostoria”

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La pioggia intensa ha cominciato a battere sulla zona alle ore 5:00 di mercoledì 19 giugno, già intorno alle 8:00 erano state segnalate le prime frane, in particolare intorno a Pomezzana che tra l’altro fornisce i dati pluviometrici dell’area.

Grazie alle stazioni presenti nei sottobacini del Fiume Versilia per il versante occidentale dell’Appennino e nei sottobacini del Fiume Serchio per il versante orientale, i dati raccolti dal Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale mostrano chiaramente l'intensità eccezionale del fenomeno e la sua estrema localizzazione, come mostrato dalla carta delle isoiete di quel giorno (fig. 17).

Figura 17 - Carta delle isoiete del 19/06/1996. È evidente la circoscrizione del fenomeno ed i valori di precipitazione massima proprio sull’area di studio. Immagine tratta da “apuangeopark.it”

I due pluviometri situati nel bacino del Fiume Vezza hanno segnalato 474 millimetri di pioggia a Pomezzana e 400 a Retignano nelle 13 ore trascorse, dalle 5:00 del mattino fino alle ore 18:00 di mercoledì 19. Si evidenziano anche le due punte massime rispettive di 158 millimetri/ora e 78 millimetri/ora, tra le 7:00 e le 8:00 della mattina,

Il telepluviometro di Fornovolasco, versante Garfagnino, nel bacino della Turrite, è andato fuori uso alle 15.45 dopo aver indicato una quantità cumulata di precipitazione di 406 millimetri, con una punta massima di 150 mm/ora tra le ore 13:00 e le 14:00. L'avaria della stazione fu dovuta all'eccezionale intensità della precipitazione.

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Dai dati riferiti emerge con chiarezza sia l'eccezionale intensità delle piogge, sia la loro circoscritta localizzazione: oltre 400 mm a monte, 474 mm registrati dalla stazione pluviometrica di Pomezzana (D’Amato Avanzi et al., 2004) e solo 21 mm a valle, ancora meno sulla costa. I massimi localizzati al primo mattino a Pomezzana e nelle ore del primo pomeriggio a Fornovolasco rendono conto di come nelle prime ore dell'evento esso si sia manifestato con massima violenza nella parte meridionale dell'area interessata, mentre, dopo la pausa verificatasi tra le 11:00 e le 12:00, il nucleo temporalesco che ha originato le precipitazioni più intense ha insistito sul settore più settentrionale.

Tale andamento è confermato anche dalle mappe con le isoiete della giornata che mostrano come nel settore tra Pomezzana e Palagnana circa il 90% della precipitazione totale fosse già giunta al suolo alle 13:00, mentre la percentuale di precipitazione caduta nel pomeriggio è molto più alta a Fornovolasco. L'area di Retignano è stata invece investita in maniera quasi identica dai due nubifragi, rimanendo al mattino al margine nord del nucleo più perturbato e al pomeriggio al margine sud.

L'onda di piena si è quindi propagata con grande velocità facendo registrare, tra le ore 15:00 e le 16:00, un livello di 4,14 metri all'idrometro di Seravezza e di 4,43 metri all'idrometro di Ponte di Tavole. Queste sono le due ultime misure disponibili poiché la piena eccezionale ha causato l'avaria dei due sensori. Tra le ore 16:00 e le ore 17:00, l'onda di piena del Fiume Versilia ha scavalcato gli argini in località La Rotta, creando una ampia rottura nell'argine, ed allagando parzialmente il territorio dei comuni di Pietrasanta, Forte dei Marmi e, in modo più contenuto, Montignoso.

Danni gravissimi sono stati provocati nel comune di Stazzema e nella parte limitrofa del comune: la frazione di Cardoso è stata travolta e semidistrutta rimanendo per molti giorni raggiungibile solo in elicottero o a piedi.

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3.2 – Gli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel

bacino del Torrente del Cardoso

A causa del nubifragio sull’area del bacino del Torrente del Cardoso si è abbattuta nella giornata del 19 Giugno 1996 una quantità d’acqua da quattro a cinque volte la media pluviometrica dell'intero mese di Giugno. Infatti, considerando dati pluviometrici di stazioni con una sufficiente serie di dati (tab. 1), la zona più piovosa del versante garfagnino risulta Retignano con ben 96 mm di pioggia media mensile, contro i 400,6 mm registrati nelle 13 ore dell’evento (Rapetti C. & Rapetti F. 1996).

Tabella 1 - precipitazioni in mm medie mensili ed annue registrate dal 1956 al 1985 dalle stazioni pluviometriche presenti sui versanti della Versilia e della Garfagnana (da Rapetti C. & Rapetti F., 1996)

Inevitabili i dissesti idrogeologici avvenuti, le drammatiche conseguenze si ebbero nel pomeriggio, quando le località Cardoso e Fornovolasco vennero investite dall'onda di piena la quale, proseguendo verso valle, danneggiò e in parte inondò anche i comuni di Pontestazzemese e Ruosina, arrivando sino a Pietrasanta, Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi. Si stimò che l'alluvione fu la causa dello spostamento di 3 milioni di metri cubi di materiale, di cui 1 milione devastò la località Cardoso.

Il bilancio fu drammatico, 14 vittime delle quali 12 solo a Cardoso, una a Fornovolasco e una a Pietrasanta. Le famiglie evacuate furono 4500 e la stima dei danni ammontò a circa 200 miliardi delle vecchie lire.

Enormi frane di terra, detriti e tronchi avevano bloccato con sbarramenti temporanei tutte le valli dei corsi d’acqua a monte di Cardoso creando svariati bacini di acqua effimeri i quali cedendo più o meno simultaneamente nel primo pomeriggio hanno dato luogo a onde di piena catastrofiche (Caredio F. et al., 1996).

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La presenza dei boschi infatti, in teoria utile a trattenere parte dell'acqua, si rivelò nell'evento un fattore negativo a causa dell’elevata presenza di materiale organico legnoso (tronchi, rami) disperso ed ammassato sulla superficie, pronto per la mobilitazione.

Gli effetti registrati sul territorio sono stati ampiamente analizzati sia per la caratterizzazione al fine di provvedere ad un piano di recupero territoriale, sia per definire le dinamiche di sviluppo per interventi di prevenzione.

Sotto questo aspetto prende nota il lavoro di tesi di laurea svolto in quell’anno dal Prof. Roberto Giannecchini il quale per lo scopo studiò l’area e l’evento reperendo una gran serie di dati mediante numerosi sopralluoghi e interpretazione di foto aeree, effettuando analisi e considerazioni. Parallelamente è stata redatta anche la “Carta degli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso” in scala 1:5.000 (fig. 18) con annesse schede di censimento per la caratterizzazione di ogni frana riconosciuta. La Carta e la banca dati delle frane sono la fonte base dell’attuale progetto di tesi, da essi infatti è possibile recuperare le informazioni necessarie per la produzione di elaborazioni mediante un approccio di studio diverso, utile per fornire un contributo all’analisi degli eventi nonché dell’area stessa.

Figura 18 – Stralcio di Carta degli effetti causati dall’evento meteorologico estremo del 19 Giugno 1996 nel bacino del Torrente del Cardoso, Giannecchini (1996), centrata sull’abitato di Cardoso. In rosso sono evidenti i perimetri

delle aree in cui si sono verificate le frane e ove presenti anche le relative aree di accumulo; in verde le linee dei solchi di erosione con direzione di flusso e zone di sponda interessate da erosione laterale; le aree gialle rappresentano i depositi alluvionali costituiti da ghiaie e sabbie mentre le aree blu distinguono, in base al retino, i

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Sulla base del lavoro sopra menzionato si può prendere spunto per una rapida caratterizzazione dei dissesti che sono avvenuti nel luogo di studio:

• frane

• riattivazione dell’erosione in alveo lungo le aste di ordine inferiore • erosione di sponda

• trasporto in massa nel fondovalle

• esondazione e sovralluvionamento del fondovalle

Frane - Le numerose frane che si sono verificate all’interno del bacino fanno certamente parte

dell’aspetto più importante dei dissesti avvenuti scatenati dal nubifragio e sono le protagoniste principali del presente lavoro.

Per frana è da intendersi una qualsiasi situazione di equilibrio instabile del suolo, del sottosuolo o di entrambi, o fenomeni franosi che interessano i pendii in profondità, in cui si attiva un “movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante” (Cruden, 1991).

Tale situazione è legata in maniera indiscutibile alla gravità, in concomitanza con vari fattori che si combinano tra loro (Varnes & Iaeg, 1984; Einstein 1988):

- litologici: caratteristiche composizionali, tessiturali, strutturali, stratigrafiche, meccaniche, alterazione dei materiali;

- tettonici: storia dell’area, sismicità;

- morfologici: topografia, morfometria dei versanti e degli alvei;

- idrogeologici: idrografia, sorgenti, condizioni di drenaggio, condizioni statiche e dinamiche delle acque nel sottosuolo, caratteristiche delle falde acquifere;

- meteorologici: condizioni climatiche generali dell’area e microclimatiche di ogni sottobacino (regime termo-pluviometrico, escursione termica, intensità e durata degli eventi meteorologici estremi);

- tipo ed uso del suolo: caratteristiche pedologiche, tipo e stato della copertura vegetale, utilizzazione del sottosuolo e tecniche colturali;

- antropici: azioni dell'uomo sull'ambiente che determinano l'alterazione delle condizioni di equilibrio dei versanti (disboscamenti, tagli, costruzione di edifici, ecc.).

Secondo le raccomandazioni del WP/WLI, 1990 - 1994 (Commissione delle Società Geotecniche Internazionali costituita all’interno dell’UNESCO appositamente per il censimento mondiale dei fenomeni franosi: UNESCO International Geotechnical Societies’ Working Party on World Landslide Inventory) e recenti aggiornamenti i fattori che intercorrono nella formazione

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