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Effetti delle riforme nel settore penale

Nel documento Assemblea Generale Milano, 22 gennaio 2022 (pagine 108-114)

Totale nazionale

2. Effetti delle riforme nel settore penale

Fra le novità introdotte dalla Legge delega n. 134/2021, oltre a quelle già in vigore dal 19.10.2021, si evidenziano, per la Corte d’Appello, tre importanti istituti che determineranno importanti innovazioni sul piano processuale e che modificheranno, in termini di efficienze a celerità, il processo di secondo grado.

2.1 La cartolarizzazione del processo d’appello.

Attualmente, come si è già accennato, per effetto dei provvedimenti sullo stato di emergenza emessi dal marzo del 2020 e rinnovati fino al dicembre 2022 (con la prospettiva di una loro introduzione definitiva ex l. n. 134/2021), gran parte dei processi di appello si celebra in forma cartolare in applicazione dell’art. 23-bis del D.L. 137/20, senza interventi delle parti (salvo che

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nei periodi di agosto e settembre 2021 e gennaio 2022 in cui tale forma di celebrazione è rimasta sospesa).

La cartolarizzazione del processo si presenta come uno strumento che senza ledere i diritti della difesa (che può sempre chiedere la trattazione orale) presenta molti vantaggi e può veramente contribuire alla riduzione dell’arretrato. Infatti, nell’esperienza milanese, circa il 70% dei processi è definito con “rito cartolare” e ciò ha permesso non soltanto di celebrare giornalmente un maggior numero di processi, ma anche di superare una serie di cause di rinvio dovute principalmente a legittimo impedimento o concomitanti impegni professionali o ragioni di salute.

Con conseguente abbattimento dei rinvii ad altra udienza.

Va, pertanto, valutato positivamente l’art. 1 comma 13, lettera G della Legge n. 134/2021, che delega il Governo ad emettere una normativa che preveda la celebrazione del giudizio di appello con rito camerale non partecipato, salvo che la parte appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore richiedano di partecipare all’udienza.

La riforma dovrà affrontare alcune questioni applicative particolarmente rilevanti e tuttora controverse quali:

- la partecipazione all’udienza dei detenuti;

- la forma di celebrazione delle camere di consiglio ex art. 127 c.p.p. o 666 c.p.p. che vengono normalmente trattate in concomitanza con le udienze in presenza;

- Il mantenimento della forma camerale in casi di rinvio.

La riforma, inoltre, dovrà essere combinata con la piena attuazione del giudizio penale telematico.

Ciò significa, in particolare:

1. disponibilità del fascicolo del procedimento in forma digitale, accessibile da apposita piattaforma tramite il computer assegnato ad ogni Magistrato;

2. inserimento nella piattaforma degli atti delle parti e relative conclusioni (come già ora avviene in alcune Sezioni utilizzando a tal fine una cartella comune “in cloud” con il programma One Drive fornito dalla Amministrazione);

3. possibilità di emettere dispositivi e motivazioni in forma solamente digitale, sulla medesima piattaforma, senza passaggio al cartaceo;

4. utilizzazione di tale strumento per tutte le notificazioni e le comunicazioni.

2.2 Concordato con rinuncia ai motivi d’appello

L’istituto del “concordato” in appello, già introdotto con la legge 23.6.2017 n. 104 mediante inserimento degli artt. 599-bis e 602 comma 1-bis c.p.p., a distanza ormai di quattro anni continua a risultare scarsamente applicato.

È probabile che tale situazione sia influenzata dai limiti tuttora posti all’applicazione dell’istituto e dal fatto che la prescrizione continua a decorrere per i reati commessi in data anteriore all’ 1 gennaio 2020 (addirittura senza sospensioni “strutturali”, dopo la sentenza di primo e secondo grado, per i reati commessi prima della entrata in vigore della legge n. 104/2017), con ciò inducendo le difese a puntare decisamente verso la estinzione del reato.

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Nuove prospettive, invece, si apriranno con l’attuazione della delega contenuta nella Legge n.

134/2021 sulla riforma del processo penale.

Secondo il comma 13 lettera h) dell’art. 1, il legislatore delegato dovrà rimuovere in sede di attuazione tutti i limiti tuttora vigenti, eliminando ogni preclusione alla sua applicazione.

Attualmente il concordato non è possibile per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p.; per i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis , 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 609-bis , 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

È evidente che la eliminazione di questi limiti – peraltro discutibili, solo se si pensa che per alcuni gravi reati come la pandemia o i disastri dolosi è oggi possibile concordare – dovrà essere bilanciata da un vaglio attento del Procuratore generale e della Corte, ma si tratta, in fondo, del normale esercizio della giurisdizione che deve essere, per sua essenza, libero e sovrano, in quanto dipendente soltanto dalla legge.

Questa riforma, comunque, potrà essere attuata soltanto se verranno costantemente ridotti i tempi di definizione degli appelli, così da non incorrere nella sanzione della “improcedibilità”

introdotta dal nuovo art. 344-bis c.p.p. e da non favorire la tendenza delle parti a ritardare il passaggio in giudicato delle sentenze.

Va anche detto che, per evitare questo effetto negativo e quindi favorire il concordato, il legislatore delegato dovrà sbarrare la strada alle impugnazioni presentate per mero scopo dilatorio, imponendo un rapporto “reale” fra difensore e imputato attraverso l’obbligo di eleggere o dichiarare domicilio e l’uso sistematico delle comunicazioni telematiche fra Ufficio e Parti.

2.3 Rinnovazione istruttoria

Come noto, la legge n. 103 del 23 giugno 2017, c.d. Riforma Orlando, aveva introdotto una importante novità nell’ambito dei giudizi di appello, prevedendo che “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”.

La norma aveva recepito ripetuti interventi della Corte CEDU e, in parte, della giurisprudenza di legittimità, introducendo il principio che una condanna in appello preceduta da un’assoluzione in primo grado, è ammissibile solo se la Corte instauri un contatto diretto con i testimoni e con le prove dichiarative in genere, allo scopo di formare un convincimento autonomo sui fatti.

L’impatto di tale innovazione normativa è risultato piuttosto gravoso per lo svolgimento delle udienze di appello.

Ciò si è riflesso, in primo luogo, nella organizzazione dei calendari delle udienze, nella formazione di collegi fissi idonei alla trattazione, in più udienze, dello stesso processo, nella predisposizione della stenotipia per i verbali e nell’impegno maggiorato per il personale di cancelleria, costretto a organizzare la presenza anche nei pomeriggi di udienza.

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La Corte d’Appello di Milano si è sempre, da subito, orientata verso una interpretazione rigorosa della norma, nel senso di limitare la riassunzione della prova dichiarativa ai casi in cui si debba valutare la credibilità della persona offesa, con esclusione, quindi, della interpretazione giuridica che di quei fatti, indiscussi, abbia operato il giudice.

Si è pure rigorosamente distinto il caso in cui la sentenza di assoluzione sia basata esclusivamente, o principalmente, sulla prova dichiarativa, da quello in cui la prova sia derivata da ulteriori elementi documentali, per limitare soltanto ai primi casi la necessità della riassunzione probatoria.

Tale impostazione è stata in qualche modo accolta nella recente riforma del processo penale.

Nel corso del prossimo anno, infatti, si dovrà attuare la delega prevista dalla Legge n. 134/2021 che prevede che “nel caso di appello contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia limitata ai soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado” (art. 2, comma 13, lett. L).

2.4 Applicazione dell’art. 131-bis cp

Secondo quanto riportato dai tribunali del distretto, l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto non ha avuto nel periodo considerato una significativa incidenza deflattiva in dibattimento. Tuttavia, si registra la tendenza - già rilevata lo scorso anno - ad un incremento, a fronte della riduzione delle sentenze dibattimentali ex art. 131 bis c.p., delle archiviazioni emesse allo stesso titolo dagli Uffici G.I.P. del Distretto, ove il furto è la figura di reato più spesso oggetto di provvedimenti ex art. 131-bis c.p.

Un ulteriore impulso all’attuazione di tale norma potrebbe derivare dall’art. 9 della legge delega n. 134/2021, nel quale, riconoscendosi la particolare potenza deflattiva dell’istituto, si è ritenuto di estendere l’operatività della causa di non punibilità in questione ai reati con pena non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, dando rilievo anche alla condotta susseguente al reato, ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa. Ciò consentirà, rispetto alla disciplina vigente, di applicare l’art. 131-bis c.p. a fatti di minima importanza riconducibili ad una gamma di reati numericamente e concretamente significativi oggi esclusi (es. i delitti di: falsità materiale del pubblico ufficiale in atti pubblici – art. 476 c.p.); calunnia (art. 368 c.p.), falsa testimonianza (art. 372 c.p.), furto aggravato (art. 625 c.p.) e ricettazione (art.

648 c.p.).

Si conferma, poi, come per l’anno passato lo scarso numero di pronunce di estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p., anche se, pure per tale istituto, si segnala una maggiore applicazione dell’istituto presso l’Ufficio G.I.P. – G.U.P.

2.5 Messa alla prova e lavori di pubblica utilità

Molti uffici giudiziari confermano la costante e consistente richiesta, da parte delle persone giudicate, di conversione della pena irrogata in Lavori di Pubblica Utilità, soprattutto in materia di violazioni del Codice della Strada, nonché di ammissione alla Messa alla Prova, istituti che -come già rilevato lo scorso anno - danno buona prova di sé e consentono una efficace definizione dei

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procedimenti (tuttavia non sempre sollecita per i tempi tecnici legati alla complessità delle procedure). Confermano, altresì, la presa d’atto di un effetto positivo dell’applicazione delle pene alternative sugli imputati, che frequentemente dimostrano di aver tratto beneficio dalle attività svolte, momento importante per l’instaurazione di contatti e per l’inserimento in realtà sane e diverse da quella criminosa.

A fronte delle aumentate richieste di applicazione degli istituti in discorso, si rileva ancora un forte rallentamento dell’effettivo svolgimento dei lavori di pubblica utilità, sia come pena sostitutiva, sia nell’ambito della messa alla prova, da mettere in relazione al diffondersi dell’infezione da Covid 19, che ha impedito a molti degli enti coinvolti di accogliere gli imputati.

E ciò ha moltiplicato i tempi di definizione dei procedimenti e il numero di udienze necessarie per pervenire all’esito, oltre che un accumulo delle domande.

Va, anche, rimarcato che alcuni tribunali (ad esempio Monza e Lecco) hanno elaborato vademecum o protocolli, adeguati periodicamente per apportare i miglioramenti suggeriti dalla pratica, per definire le prassi operative, la durata della “messa alla prova” in funzione di fasce di reati e per elaborare i programmi di trattamento, in condivisione con la Procura Repubblica, l’Avvocatura, UEPE ed Enti/Associazioni convenzionati, con conseguente, rilevante incremento dell’applicazione dell’istituto.

Si evidenzia, altresì che, anche grazie alla predetta programmazione, la gran parte dei procedimenti con sospensione per messa alla prova ha avuto esito positivo.

2.6 L’istituto della assenza e la rescissione del giudicato

I Tribunali del distretto, in relazione alla disciplina in materia di processo in assenza (legge n. 67 del 28.04.2014), rilevano l’avvenuta sospensione, nel periodo di riferimento, di numerosi procedimenti, sia con rito monocratico, sia collegiale, anche in una percentuale che supera il 10%, a motivo dell’effettuazione delle prescritte ricerche degli imputati: si tratta di un dato con una inevitabile tendenza all’incremento, atteso che il tasso di rintraccio degli irreperibili, per lo più soggetti stranieri e irregolari sul territorio dello Stato, è molto basso.

Al riguardo, il Tribunale di Como ha sottolineato che le ordinanze di sospensione del procedimento per assenza dell’imputato sono passate da 13, emesse nel periodo precedente, a 92 nell’annualità in osservazione e quindi si è del tutto avverata la previsione di notevole aumento dei provvedimenti di sospensione, quale naturale conseguenza della sentenza delle Sezioni Unite n. 23948 del 2020 (che ha statuito che “la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis cod. proc.

pen., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso”).

Nel corso di questo anno, poi, sono generalmente aumentate le decisioni della Corte, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, di rimessione in termini o di declaratoria di non esecutività della

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sentenza di condanna, mancando del dato di “effettiva” conoscenza del processo, in conseguenza del mancato rapporto fra difensore e imputato.

Questo orientamento rigoroso riguarda anche lo strumento rescissorio (art. 606-bis c.p.p.), considerandosi ormai non più sufficiente l’elezione di domicilio dell’indagato presso il difensore di ufficio nominato nel verbale di identificazione redatto dalla polizia giudiziaria nella prima fase investigativa. Sotto questo profilo appare evidente che, da parte dei giudici di primo grado, dovrà essere maggiormente selettivo il sindacato circa la dichiarazione di assenza dell’imputato, recuperando alla norma che stabilisce la nullità della sentenza impugnata per illegittima dichiarazione di assenza dell’imputato (art. 604 co. 5-bis cpp) la sua funzione preventiva rispetto alla formazione di un giudicato instabile.

Sul piano operativo, inoltre, appare opportuno che i giudici di primo grado, nel dubbio, dispongano le ricerche dell’imputato attraverso lo strumento dell’art. 420-quater c.p.p. che consente di avvalersi della polizia giudiziaria per la notifica della citazione in giudizio. Questo strumento, oltretutto, innesca automaticamente l’inserimento del nominativo nella banca dati delle forze di polizia, che determina una ricerca incessante dell’imputato attraverso i controlli di polizia sul territorio e ai confini.

In prospettiva futura le norme che verranno introdotte dalla riforma in via di attuazione dovrebbero limitare al minimo i casi di processi contro soggetti inconsapevoli del giudizio anche attraverso il limite posto agli appelli con la previsione della inammissibilità, ove non sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione (art. 1, comma 13, lett. A Legge n. 134/2021).

2.7 Incidenza delle norme del “Codice Rosso”

Rispetto all’applicazione della normativa di cui alla legge 19 luglio 2019 n. 69, che ha introdotto il c.d. “Codice Rosso” per la tutela delle vittime di violenza domestica e, in generale, delle fasce deboli, gli Uffici G.I.P. del distretto segnalano l’incremento delle richieste di applicazione di misura cautelare (già registrato, peraltro, lo scorso anno).

Il Tribunale di Milano, poi, come altri uffici del ristretto, ha rimarcato che la normativa in esame ha introdotto la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 572 co. 2 c.p., per cui la competenza per la trattazione per tale ipotesi è passata dal giudice monocratico a quello collegiale e l’impatto numerico della modifica è di una certa consistenza, comportando difficoltà operative che hanno prolungato i tempi medi per la trattazione della materia specializzata, dal momento che la celebrazione del processo richiede l’impiego di tre giudici anziché uno, senza che vi sia una parallela riduzione della competenza monocratica.

Ne consegue che, pur rimasto immutato l’impegno monocratico di ogni giudice specializzato, si è quasi raddoppiato quello collegiale, in processi peraltro a trattazione prioritaria, essendo spesso l’imputato sottoposto a misura cautelare ed appartenendo la persona offesa alle c.d. fasce deboli.

Si è anche specificato che la risposta all’elevata domanda di giustizia in questo settore è stata da ultimo ulteriormente condizionata dagli effetti delle restrizioni sanitarie connesse all’emergenza pandemica: il lockdown e le limitazioni alla circolazione, infatti, hanno dato luogo a un significativo

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aumento del rischio di manifestazione dei reati attinenti alla violenza domestica, con particolari quanto gravi ripercussioni sui minori (e le donne) esposti ad essa. I fatti di reato segnalati nel periodo, e oggi all’attenzione del giudice del dibattimento, sono stati percentualmente più numerosi e di più intensa gravità ed hanno spesso richiesto interventi di messa in sicurezza del nucleo madre/figli, anch’esso reso più difficile dalle disposizioni sanitarie.

Il rallentamento causato dall’emergenza sanitaria, poi, non ha consentito di verificare, sinora, gli effetti delle interazioni derivanti dall’applicazione dell’art. 64 bis cpp., norma a sua volta introdotta dal codice rosso, grazie alla quale dovrebbe essere garantita una costante sinergia tra l’autorità giudiziaria penale, quella minorile e quella civile, che a diverso titolo vengano a occuparsi del medesimo nucleo familiare.

Ancora si sottolinea, per quanto riguarda la materia delle misure di prevenzione, che la modifica legislativa conosciuta come “codice rosso” ha ampliato la categoria delle persone a pericolosità sociale qualificata – ancorata cioè alla consumazione di una fattispecie di reato tipica –, consentendo l’applicazione di misure di prevenzione anche ai soggetti indiziati del delitto di cui all’art. 572 c.p. e ciò anche parallelamente alla celebrazione del relativo procedimento penale.

Si tratta di una scelta di politica giudiziaria che gli organi proponenti di Milano (segnatamente Questura e Procura della Repubblica) stanno progressivamente consolidando per tutelare in maniera più efficace le vittime.

E, infatti, si è specificato che, nell’ambito delle misure di prevenzione personali sono stati adottati dalla sezione specializzata del Tribunale di Milano provvedimenti innovativi sul piano dell’analisi personologica di figure quali stalker, maltrattanti, pedofili, con la conseguente applicazione di prescrizioni mirate a contenere il profilo specifico di pericolosità sociale accertato (ingiunzioni terapeutiche, interdizione ai perimetri spaziali frequentati dalla persona offesa dei reati), anche in un’ottica di riavvio alla legalità del soggetto proposto e con una immediata comunicazione del provvedimento adottatoalla persona offesa del reato da tutelare, in diretta attuazione della c.d.

Direttiva ‘vittime’ del 2012/12 UE.

Le proposte formulate in questo settore, di contrasto alla pericolosità sociale determinata dalla consumazione di reati orientati dal genere, interessano ormai quasi il 30% di tutti gli affari pervenuti alla sezione competente, con un amento del 5% rispetto al periodo temporale riferito all’anno precedente.

Nel documento Assemblea Generale Milano, 22 gennaio 2022 (pagine 108-114)