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Prospettive e valutazioni relative alla riforma introdotta dalla Legge n

Nel documento Assemblea Generale Milano, 22 gennaio 2022 (pagine 121-126)

Totale nazionale

9. Prospettive e valutazioni relative alla riforma introdotta dalla Legge n

134/2021

Dal 19 ottobre 2021 è in vigore la Legge 27 settembre 2021 n. 134 «Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», che appunto delega il Governo all’attuazione di una profonda riforma del processo penale (art. 1) e introduce, da subito, un serie di norme, fra cui spicca per importanza il nuovo art. 344-bis c.p.p., che prevede la improcedibilità del giudizio di appello dopo il decorso di un tempo di due anni, a partire dal novantesimo giorno successivo al termine di redazione della sentenza di primo grado ex art. 544 c.p.p.

Tale norma, per effetto delle disposizioni transitorie, entrerà a regime solo dopo il 2024, mentre attualmente il termine di improcedibilità è stato fissato in tre anni.

Gli effetti della norma, peraltro, sono già evidenti e gli appelli pervenuti dopo il 19.10.2021 debbono già essere calendarizzati celermente, in quanto il termine, anche per effetto dei ritardi nella trasmissione degli atti da parte di Tribunali, inizierà a scadere, per alcuni processi, all’inizio del 2024.

In questa sede, comunque, in attesa della attuazione della delega, si possono già esporre alcune riflessioni sulla portata delle riforme che ci si accinge a emanare.

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9.1 La riforma del processo penale in primo grado

Nelle relazioni dei Presidenti del Tribunali del distretto si esprime sostanzialmente un giudizio positivo sulle prospettive future per il processo penale in funzione dell’applicazione delle nuove norme di cui alla legge n. 134/2021, che lasciano ben sperare in un effettivo snellimento del dibattimento, per l’incentivo dato alla definizione dei procedimenti da varie disposizioni, a cominciare dall’ampliamento delle ipotesi di possibile archiviazione e dall’agevolazione all’utilizzo dei riti speciali.

In particolare, si fa riferimento: - all'estensione del novero dei reati con citazione diretta, con finalità deflattiva per i procedimenti che vanno portati in udienza preliminare; - alle regole di giudizio per l'archiviazione e per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, richiedendosi una valutazione da parte del giudice sulla inidoneità degli elementi acquisiti a consentire una ragionevole previsione di condanna; - alla scelta di rendere maggiormente appetibili i riti alternativi attraverso l’estensione, quanto al patteggiamento, degli effetti alle pene accessorie e alla confisca facoltativa; - alle modalità di accoglimento, nell’ambito del giudizio abbreviato, della richiesta subordinata a un’integrazione probatoria; - all’ampliamento, per il giudizio immediato, delle possibilità di accesso ai riti premiali, a fronte del decreto del GIP che dispone il giudizio, consentendo all’imputato, in caso di nuove contestazioni in dibattimento, di richiedere l’accesso ai riti alternativi.

Tuttavia, il Tribunale di Milano sottolinea anche che alcune delle norme previste sono idonee a determinare un incremento del carico, soprattutto per l’ufficio GIP-GUP, in relazione:

- alla modifica della regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione e per le pronunce di cui all’articolo 425, comma 3, c.p.p., previste non più quando gli elementi raccolti nelle indagini preliminari «non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio», ma quando «non consentono una ragionevole previsione di condanna», che comporta che ogni difformità di valutazione del GIP rispetto alla richiesta del PM ex art. 409, commi 4 e 5, c.p.p. inneschi una procedura che grava integralmente sulla sezione e che vengano emessi provvedimenti di maggiore complessità;

- alla previsione giurisdizionale di un controllo su eventuali inerzie del PM nell’esercizio delle proprie prerogative dopo la scadenza dei termini per le indagini preliminari o dopo la spedizione dell’avviso di chiusura delle medesime, con il varo di una disciplina che, in ogni caso, rimedi alla stasi del procedimento e comporti un intervento pregnante del GIP.

Quanto al giudizio dibattimentale, si apprezzano le scelte normative relative alla individuazione di un calendario delle udienze e quelle volte a salvaguardare, per quanto possibile, l’acquisizione delle prove già assunte, nell’ipotesi di mutamento del magistrato o di uno dei magistrati componenti del collegio.

Vi sono poi disposizioni che concernono specificamente il procedimento da citazione diretta a giudizio, in cui la novità più rilevante è quella della nuova “udienza predibattimentale”.

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In buona sostanza, il dibattimento da citazione diretta sarebbe preceduto da un’udienza camerale dai contorni sovrapponibili a quelli dell’udienza preliminare, con la quale condividerebbe, quantomeno, gran parte delle funzioni decisionali. Il nuovo istituto porrà, inevitabilmente, problemi applicativi.

Si profila, anzitutto, un evidente problema organizzativo: i Tribunali, anche quelli più piccoli, vedranno di fatto raddoppiato il numero di giudici impegnati a vario titolo in ciascun singolo procedimento (ossia: un giudice per l’udienza “filtro” e un altro per l’eventuale dibattimento), facendo anche i conti con le inevitabili incompatibilità conseguenti all’applicazione di tale nuovo istituto.

In secondo luogo, non è chiaro se l’udienza di nuovo conio finirà per assorbire anche lo snodo delle questioni preliminari. La legge delega tace sul punto, ma è evidente che, se da un lato – quantomeno de iure condito – la delibazione delle questioni preliminari costituisce uno snodo essenziale del momento dibattimentale in senso stretto (sia pure in una fase introduttiva), è anche vero che dar luogo a detta delibazione successivamente alla celebrazione dell’udienza “filtro”

finirebbe per determinare, in presenza di cause di nullità o difetti di competenza, un inutile dispendio di tempo e di risorse.

Qualche criticità si manifesta, invece, in merito alla scelta dei criteri di priorità per l’esercizio dell'azione penale, ritenendo che trattasi di scelta legislativa della quale va attentamente valutata l’incidenza sul principio della obbligatorietà dell'azione penale.

Nel quadro della politica deflattiva, vi è una generale positiva valutazione anche per gli allargamenti dell’ambito di applicazione della procedibilità a querela e per la possibilità di estendere l’applicazione dell'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato a un maggior numero di reati, che si prestino a percorsi riparatori o di socializzazione da parte dell'imputato.

Altrettanto apprezzate sono le scelte di promozione della digitalizzazione del processo penale e l’impiego delle nuove tecnologie, con particolare riferimento al processo da remoto.

Si è commentato che la legge delega è organica, tracciando in modo unitario il canone di giudizio, in capo al PM, per la richiesta di archiviazione e per lo speculare esercizio dell’azione penale;

nonché, in capo al giudice – gip, all’esito dell’udienza preliminare; giudice monocratico, nell’inedita sede dell’udienza filtro predibattimentale –, per il rinvio a giudizio. Si allude al canone della ragionevole previsione di condanna allo stato degli atti.

Questo, dunque, si prospetta come il decisivo banco di prova della riforma, di portata sistematica e non settoriale, perché inciderà non soltanto sulla fase della conclusione delle indagini evitando processi comunque inutili e costosi, ma anche su quella di accesso, sia al rito ordinario, sia agli stessi riti speciali.

Esemplare è il giudizio immediato, rimasto intatto nei suoi presupposti, siccome modificato solo nella cadenza della conversione del rito, ma indirettamente inciso proprio nel canone di giudizio di accesso al dibattimento.

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I diversi gradi di sostenibilità dell’accusa in giudizio, all’esito dell’udienza preliminare o della verifica del presupposto del giudizio immediato, che quel filtro elide perché superfluo, appaiono ora coerentemente unificati dal nuovo e più pregnante vaglio della ragionevole previsione di condanna allo stato degli atti.

Questo filtro, in tutte le sue declinazioni, rappresenterà, dunque, la vera chiave di volta della riforma.

9.2 La riforma del procedimento di appello

Anche per il procedimento d’appello si individuano nella previsione di riforma norme utili al raggiungimento di un effetto deflattivo, che è realmente auspicabile, considerato che l’appello costituisce il vero “collo di bottiglia” del processo penale italiano, sia per il grande arretrato accumulato, sia per i tempi di celebrazione dei processi, superiori ai due anni in ben dieci Corti.

Tra quest’ultime non risulta quella milanese, che nello scorso anno giudiziario ha visto tempi di definizione dei processi penali di 14,4 mesi – dato condizionato dalla necessità di esaurire l’arretrato creatasi durante l’emergenza pandemica –, ma con una durata prognostica (o disposition time) di meno di un anno, mediamente di 11, 9 mesi.

Si spera, comunque, che le modifiche possano avere incidenza effettiva sui tempi del dibattimento e in particolare le seguenti disposizioni, che sembrano presentare un’attitudine maggiormente deflattiva.

Con riguardo all’impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, è previsto che con l’atto di impugnazione dovrà essere depositata – a pena di inammissibilità – dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione.

Si tratta di una regola assai rilevante, in quanto destinata ad evitare molte nullità delle citazioni per erroneità del domicilio o per non attualità della nomina del difensore e molte inutili perdite di tempo (per la ricerca tra le carte del fascicolo delle più recenti nomine o elezioni di domicilio) nella redazione dei decreti di citazione.

In ordine alla disciplina del processo in assenza, la riforma riafferma il principio in base al quale si può procedere in assenza dell’imputato soltanto se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria. Ne segue che, in mancanza di certezza, il giudice dovrà pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere, chiedendo contestualmente che si proceda alle ricerche dell’imputato. E’ previsto, però, che anche al di fuori dell’ipotesi di sentenza di condanna in absentia non impugnata, e quindi passata in giudicato, per cui opera l’istituto previsto dall’art. 629 bis cpp, negli altri casi di assenza lo specifico mandato a impugnare e l’elezione di domicilio attestano la conoscenza del processo ed eliminano i presupposti per i rimedi restitutori.

Ancora più rilevante è la delega al Governo: a) di prevedere che il difensore dell’imputato assente possa impugnare la sentenza soltanto se munito di specifico mandato difensivo, rilasciato dopo

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la stessa pronuncia; b) di prevedere che nel mandato l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; c) di prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un ampliamento del termine per impugnare (tali norme possono costituire un rimedio anche allo zelo a volte eccessivo di presentare impugnazione a favore di imputati ammessi al gratuito patrocinio, pur se divenuti di fatto irreperibili, con rilevanti costi a carico dello Stato).

Di un certo rilievo è anche l’estensione delle ipotesi d’inappellabilità contro alcune categorie di sentenze: quelle di proscioglimento e di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa; quelle di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità.

Si prevede, poi, come regola per il giudizio di appello, la celebrazione con rito camerale non partecipato, salvo che la parte appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore richiedano di essere presenti all’udienza. L’esperienza di quest’ultimo anno presso la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato un considerevole ricorso a tale modalità di celebrazione nei processi penali

“ordinari”, che il più delle volte per la loro cartolarità, per la natura delle questioni da trattare, per l’esaustività dell’atto di impugnazione e delle memorie presentate, possono essere decisi in camera di consiglio, senza discussione in aula e senza pregiudizio per la difesa (che comunque conclude per iscritto), ma anzi con un notevole risparmio di tempo.

Rilevante portata deflattiva potrebbe avere anche l’ampliamento dell’ambito applicativo del concordato sui motivi in appello, tramite l’eliminazione di tutte le preclusioni all’accesso a tale istituto previste dall’art. 599 bis , comma 2, cpp (tra gli altri, i processi per i delitti di cui all’art.

51 co.1 3 bis e 3 quater, la violenza sessuale aggravata e di gruppo, il sequestro di persona a scopo di estorsione, l’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, il traffico di stupefacenti e di tipo mafioso, la tratta di persone e riduzione in schiavitù, il terrorismo e altro).

Anche se è vero che l’istituto non ha trovato un’applicazione quantitativamente significativa dalla sua reintroduzione con la novella del 2017, complici pure le restrittive linee guida in vigore presso la Procura Generale.

Inoltre, relativamente alla vexata quaestio del decorso della prescrizione e del nuovo connesso regime della improcedibilità, si sottolinea il tentativo di conciliare due situazioni contrastanti, quali la tendenza dell’imputato ad abusare dei tempi del processo e l’esigenza di evitare che un soggetto accusato di aver commesso un reato resti per un tempo indefinito sottoposto al procedimento.

Infine, ma non per importanza, la Riforma, giovandosi della positiva esperienza di altri paesi, introduce disposizioni riguardanti la giustizia riparativa: giustizia che, se adeguatamente assistita da adeguati investimenti in termini di risorse umane (specializzate) e materiali, se accompagnata da un mutamento della mentalità comune circa la valenza del principio biblico “occhio per occhio, dente per dente”, se attuata con intelligenza e passione da tutti gli attori del processo, opportunamente formati, potrebbe veramente cambiare le prospettive dell’esecuzione della pena e attuare il principio costituzionale della sua finalità rieducativa. L’accesso ai programmi sarà possibile non solo in fase esecutiva, ma anche in quella della cognizione – e quindi anche in

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appello, ove l’incontro riparativo può essere facilitato dalla maggiore distanza temporale dai fatti – e dovrà riguardare tutte le fattispecie di reato.

Il giudice sarà il garante del rispetto delle garanzie procedimentali e dell’incorporazione, nella sua decisione, dei risultati positivi del percorso.

Nel documento Assemblea Generale Milano, 22 gennaio 2022 (pagine 121-126)