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L’effetto estintivo quale conseguenza mediata del negozio Datio in solutum e novazione Cenn

La prestazione in luogo di adempimento: principali nodi strutturali funzionali ed effettuali.

4. L’effetto estintivo quale conseguenza mediata del negozio Datio in solutum e novazione Cenn

A questo punto giova esaminare altra corrente di pensiero secondo cui l’effetto estintivo sarebbe riconducibile soltanto in via mediata ed indiretta al negozio che, atomisticamente considerato, assumerebbe una funzione e sarebbe orientato alla produzione di effetti diversi dalla estinzione del rapporto obbligatorio.

Tale filone dottrinale senza peccare per eccessivo schematismo222, si articola in quattro correnti di pensiero, che, più precisamente, qualificano l’istituto in chiave di contratto di scambio id est compravendita, di novazione, di modificazione oggettiva del rapporto ed, infine, di negozio solutorio.

La tesi del contratto di scambio223 appartiene oramai alla storia della datio

in solutum, di talchè per esigenze di economicità espositiva non appare opportuno

soffermarsi su di essa.

Quanto invece alla teoria della novazione224 giova evidenziare che segnatamente nel secolo scorso, la differenziazione di tale istituto dalla datio in

solutum non è apparsa sempre netta in dottrina.

In particolare una corrente dottrinale, diffusa in particolar modo in Germania, affermava, muovendo dal § 364 co 2 BGB, che la novazione sarebbe una sorta di prestazione in luogo di adempimento che determina, sul piano contenutistico, la costituzione di una nuova obbligazione.

222 Sul punto, E. B

ILOTTI, op.cit., p. 25.

223 Come si evince agevolmente dal § 1.

224 La teoria in questione è sostenuta da R.C

ICALA, L’adempimento indiretto dell’obbligo

altrui. Disposizione novativa del credito ed estinzione dell’obbligazione nella teoria del negozio, Napoli, 1968; del medesimo autore si veda anche (voce) Espromissione, in Enc.Giur., XIII, Roma, 1989, p. 4.

Altra corrente dottrinale, diffusa prevalentemente in Francia, affermava invece che la datio in solutum è una species del genus novazione con la particolarità che la nuova obbligazione viene attuata contestualmente alla sua costituzione225.

Spostandoci ora sul versante della dottrina nostrana, la premessa concettuale di fondo che anima l’orientamento favorevole ad una assimilazione della novazione alla datio in solutum pare rinvenibile nella necessità di superare la rigida alternativa tra estinzione satisfattoria dell’obbligazione in chiave di realizzazione del credito ed estinzione non satisfattoria per rinuncia del creditore. Tale alternativa, era figlia dell’approccio seguito in precedenza dai fautori della tesi c.d. della rinunzia onerosa, tanto nell’affrontare il problema costruttivo della prestazione in luogo di adempimento che nella trattazione delle altre figure di adempimento indiretto226.

Orbene secondo i fautori della assimilazione dei due istituti, la soluzione preferibile sarebbe quella di sussumere la prestazione in luogo di adempimento nella categoria degli atti c.d. di disposizione novativa del credito, quale tertium

genus di potere dispositivo, che si affianca alle più note categorie della

alienazione e della rinuncia. La c.d. attività di disposizione novativa, intesa quale attività dispositiva del credito si caratterizzerebbe, infatti, per la circostanza che tende alla realizzazione di un interesse che travalica il bene materiale dovuto, proiettandosi piuttosto verso l’utilità di scambio od indiretta che si ricava da esso.

Si tratterebbe dunque di un atto di esercizio del credito in un certo qual modo parificabile sul piano funzionale dell’interesse alla disposizione traslativa, dalla quale differirebbe unicamente sul piano effettuale, atteso che la novazione produce una vicenda tout court estintiva del diritto laddove l’atto di alienazione produce una vicenda meramente modificativa227.

Sempre sul piano funzionale tanto l’attività novativa che quella traslativa si differenzierebbero a loro volta dalla disposizione rinunciativa che, essendo connotata dai requisiti propri del negozio abdicativo, tende alla realizzazione di un interesse esterno rispetto al diritto dimesso.

La teoria in commento si erge più precisamente sulla elaborazione dogmatica del genus «effetto estintivo senza attributo» che si atteggia a vicenda estintiva tout court cui si affiancherebbe la categoria dell’«effetto estintivo

corrispettivo». Seguendo tale impostazione nella ipotesi in cui, come nella datio in solutum, ricorra un nesso di corrispettività tra una vicenda estintiva ed un altro

225 Sul punto, O. B

UCCISANO, La novazione oggettiva ed i contratti estintivi onerosi, Milano, 1958, p. 150, il quale osserva che ambedue le costruzioni sono in contrasto con l’intento specifico delle parti e con lo schema funzionale risultante dalla normativa propria dei due istituti. La prima, infatti, non tiene conto del rilievo autonomo che assume la costituzione del nuovo obbligo nella novazione, laddove l’adempimento e l’inadempimento non influiscono sulla sorte del debito originario oramai definitivamente estinto. La seconda tesi, invece, presuppone la costituzione di un nuovo obbligo che nella prestazione in luogo di adempimento non si verifica.

226 Sul punto, E. B

ILOTTI, op.cit., p. 53.

227 In tal senso, R. C

ICALA, L’adempimento, cit., p. 157 ss., ID. Espromissione, cit., p. 4;

aderiscono alla teoria in questione P. RESCIGNO, (voce) Novazione (diritto civile), in

Noviss. D.I., XI, Torino, 1965, p.432; P.PERLINGERI, Remissione del debito e rinunzia al

effetto, sia esso traslativo, estintivo o costitutivo, non ci troveremo, quindi, dinanzi ad una disposizione abdicativa id est rinunciativa.

Quest’ultima, infatti, per sua natura non può atteggiarsi a tassello di un più ampio programma negoziale.

Piuttosto sul piano effettuale la prestazione in luogo di adempimento produce, oltre alla vicenda estintiva, effetti che sono ad essa collegati sul piano sinallagmatico228.

Donde la datio in solutum che come già anticipato, unitamente al contratto di novazione ed alla compensazione volontaria costituisce una species del più ampio genus degli atti c.d. di disposizione novativa, a differenza di quanto avviene nella rinuncia, non realizza un interesse esterno ma interno al credito, riunificando così gli interessi del debitore e del creditore che la teoria della rinunzia onerosa aveva dissociato229.

Il creditore potrebbe dunque ottenere la realizzazione del suo interesse tanto conseguendo una prestazione diversa da quella dovuta come avviene nella datio in

solutum, quanto con la costituzione di un nuovo diritto di credito, come avviene

nella novazione, oppure ancora con la estinzione di un debito secondo uno schema proprio tanto della datio in solutum che della compensazione convenzionale.

La tesi in commento ha tuttavia costituito oggetto di critiche secondo cui opererebbe una indebita sovrapposizione tra il piano dell’assetto di interessi programmato dalle parti sotto il profilo causale del negozio quale giustificazione delle attribuzioni patrimoniali che da esso si dispiegano, ed il piano dell’interesse sotteso al diritto soggettivo.

Si è infatti osservato che gli interessi cristallizzati nel programma negoziale, non entrano a far parte del contenuto del diritto.

La dottrina in commento, invece, adoperando tale sovrapposizione, avrebbe ingenerato il convincimento che la giustificazione causale dell’atto di disposizione

228

Sul punto, E. BILOTTI,op.cit., p. 55, il quale osserva come l’esclusione di una rinuncia

corrispettiva e la identificazione di una specifica facoltà di disposizione novativa del credito non assolve un rilievo meramente dogmatico, ma altresì operativo. In particolare, assolve rilievo in merito alla ipotesi di adempimento diretto dell’obbligo altrui, allorchè la

datio in solutum, la novazione e la compensazione volontaria siano stipulate dal creditore

con un terzo. In tal caso, infatti, non può riconoscersi rilevanza ex art. 1236 c.c. alla dichiarazione del debitore di non voler profittare della remissione. Argomentando in questi termini la dottrina in commento ritiene che la datio in solutum di terzo unitamente alle altre fattispecie c.d. di adempimento indiretto dell’obbligo altrui debbano essere sussunte nello schema di cui all’art. 1180 c.c. Ciò in aperto contrasto con la tesi della rinuncia onerosa che porterebbe per, converso, all’applicazione del regime giuridico dell’art. 1236 c.c. e, quindi, attribuirebbe rilevanza alla dichiarazione del debitore di non volersi avvalere della remissione.

229 Come osserva O. B

UCCISANO, op.cit., p. 56, al fondo di tale teoria vi è dunque una scomposizione del potere di disporre in due entità fondamentali. Da un lato la facoltà di disposizione traslativa novativa il cui esercizio soddisfa un interesse interno al diritto di credito, consistente nel valore di scambio del bene o della prestazione dovuti. Dall’altro la facoltà di disposizione abdicativa il cui esercizio soddisfa un interesse esterno al diritto di credito. Tale impostazione costituisce, osserva l’A. un superamento della impostazione tradizionale che qualificava le forme di adempimento indiretto come equivalenti dell’adempimento.

possa contribuire a caratterizzare sul piano ontologico l’effetto giuridico che promana dall’atto230.

A ciò si aggiungerebbe sul piano logico una insanabile contraddizione di fondo della teoria in commento.

L’utilità indiretta del credito sulla quale poggia la teoria della disposizione novativa può infatti identificarsi anche nella realizzazione di un intento liberale.

Orbene posto che tale intento può caratterizzare sul piano funzionale tanto la rinuncia che il negozio traslativo, una distinzione tra i due negozi che riposi sul piano funzionale dell’interesse, diverrebbe labile ed evanescente, atteso che tanto nell’uno che nell’altro caso l’utilitas perseguita è indiretta.

230 In tal senso, O. B

UCCISANO op. cit, p. 62;A.MAGAZZÙ, (voce) Novazione (dir.civ.), in

Enc. Dir., XXVIII, Milano, 1968, p. 797 ss., il quale osserva che quando si parla di

realizzazione del diritto di credito ci si intende riferire alla realizzazione dell’interesse del creditore tramite l’esecuzione della prestazione dovuta, intesa in senso soggettivo come attività del debitore, ovvero in senso oggettivo come attività del debitore o di un terzo diretta al conseguimento del bene dovuto. Secondo l’A. la considerazione unitaria delle categorie dell’adempimento diretto ed indiretto tanto del debitore che del terzo, intesi quali atti comunque volti al soddisfacimento dell’interesse del creditore, è in realtà il frutto di un equivoco. L’interesse del creditore a conseguire l’utilitas cui aspira non è immanente al diritto, ma si trova piuttosto al di fuori di esso, nell’atto di disposizione. L’interesse allo scambio non si realizza, infatti, per il tramite dell’atto di esercizio della facoltà traslativa o novativa, ma in virtù del contratto di disposizione cui partecipa anche il debitore od un terzo. Donde l’esercizio del potere di disposizione costituirebbe unicamente un momento del contratto, atteso che lo scambio si concreta in un interesse nuovo dedotto dalle parti nell’esercizio del loro potere di privata autonomia. Né tantomeno l’ equiparazione delle due categorie dell’adempimento diretto ed indiretto può fondarsi sull’art. 1180 c.c., inteso quale norma che allineerebbe sul piano dell’interesse del creditore l’adempimento indiretto e quello diretto del terzo. L’art 1180 c.c. non è, infatti, predisposto nell’interesse esclusivo del creditore, ma nell’interesse del terzo in quanto coincidente con l’interesse del creditore o del debitore. A ciò aggiungiamo che l’art 1180 c.c. non si applica alle ipotesi di adempimento indiretto del terzo, atteso che il creditore può rifiutare la novazione dell’obbligo offerta dal terzo indipendentemente dall’opposizione del suo debitore, al contrario di quanto avviene nelle ipotesi di adempimento diretto. La equiparazione tra atti di disposizione traslativi e novativi in contrapposizione a quelli rinunciativi apparirebbe parimenti incoerente sul piano giuridico. Un inquadramento unitario è infatti possibile unicamente inserendo tali categorie di atti in una categoria unitaria, comprendente tutti gli atti di disposizione e, quindi, anche la rinunzia e la remissione, che producono la modificazione o l’ estinzione del diritto. Il tutto in contrapposizione alla categoria degli atti di fruizione che determinano la consumazione ovvero la realizzazione del diritto. Tale classificazione non sarebbe immune da un vizio logico, atteso che negli atti dispositivi è necessario distinguere tra l’interesse espresso dall’atto, l’interesse comune ai soggetti che vi partecipano e l’interesse interno al diritto che inerisce al soggetto titolare del diritto medesimo. I negozi dispositivi e, segnatamente, la novazione si accomunano per la circostanza che contrariamente a quanto sostenuto dalla teoria criticata realizzano non già un interesse unilaterale ed interno al diritto di cui si dispone, ma un interesse bilaterale nuovo e comune alle parti che hanno perfezionato l’atto. E’ dunque questo sul piano oggettivo il collante comune dei negozi di disposizione a prescindere dall’interesse espresso dall’atto e dal tipo di efficacia che assicura la sua realizzazione.

Residuerebbe, infatti, una differenza che poggia unicamente sul piano effettuale, atteso che la disposizione traslativa da luogo ad una vicenda modificativa laddove la rinuncia ad una vicenda estintiva.

Ne deriva l’ulteriore corollario che verrebbe parimenti meno la distinzione tra la categoria della c.d. disposizione novativa e quella della disposizione rinunciativa, atteso che, posta l’identità effettuale delle vicende promanati dai due negozi, l’unico elemento discretivo, secondo la tesi criticata, sarebbe rinvenibile proprio sul piano funzionale dell’utilità indiretta perseguita dalle parti con la disposizione novativa.

In definitiva, quindi, allorquando la disposizione novativa e quella rinunciativa perseguono sul piano funzionale un intento liberale, emergerebbero le illogicità e le incongruenze del criterio discretivo adottato.

In tale ottica la soluzione preferibile parrebbe quella di impostare sul piano metodologico la distinzione tra i due istituti senza radicalizzare la contrapposizione tra la novazione, intesa quale contratto a contenuto necessariamente obbligatorio e la datio in solutum, quale contratto ad effetti reali. Una tale rigida contrapposizione parrebbe, infatti, fondarsi su una concezione dell’effetto attributivo come avulsa dal complessivo congegno funzionale, frazionando nel contempo l’intento pratico perseguito dalle parti sul piano programmatico.

E’ vero, infatti, che nella novazione l’estinzione dell’obbligazione implica l’attribuzione di un nuovo credito al titolare di quello originario laddove nella

datio in solutum alla estinzione della obbligazione originaria si accompagna

l’attribuzione al creditore di un diritto di credito ovvero di un diritto reale. Ciò nondimeno nella datio in solutum l’ obbligazione originaria si estingue con la riscossione del credito costituito o ceduto in luogo dell’adempimento. Donde nella

datio in solutum l’ estinzione del rapporto obbligatorio coincide con un

incremento patrimoniale del creditore.

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