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Profili strutturali La vexata questio sulla natura reale ovvero consensuale dell’istituto.

La prestazione in luogo di adempimento: principali nodi strutturali funzionali ed effettuali.

2. Profili strutturali La vexata questio sulla natura reale ovvero consensuale dell’istituto.

Giungendo all’analisi dei profili strutturali dell’istituto giova preliminarmente evidenziare che la prestazione in luogo di adempimento riveste, secondo l’opinione espressa dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominante, natura contrattuale e reale198. In tale ottica si osserva comunemente, muovendo dal tenore letterale della disposizione, che il rapporto obbligatorio si estingue contestualmente all’esecuzione dell’aliud.

Quanto alla natura contrattuale, infatti, si suole ribadire, muovendo dai noti principi dell’aliud pro alio invito creditori solvi non potest e da quello speculare dell’ aliud pro alio invito debitori peti non potest, che l’effetto tipico di estinzione del rapporto obbligatorio conseguente alla esecuzione di una prestazione diversa di quella dovuta, non può prescindere dal concorso delle volontà dispositive del debitore e del creditore199.

198 Osserva A. Z

ACCARIA, op.cit., p. 52, che l’idea secondo cui la datio in solutum riveste carattere reale compare costantemente negli scritti di coloro che si sono occupati dell’istituto. La diffusa concordanza delle opinioni parrebbe tuttavia apparente, atteso che in molti casi la tesi in questione viene recepita acriticamente. Gli autori che tentano di fornire una dimostrazione della tesi in discorso, invece, al di là della terminologia adoperata, intendono la realità con un significato profondamente diverso.

199 Sul punto, E.B

ILOTTI, La prestazione in luogo di adempimento, in I Modi di estinzione

tra surrogati dell’adempimento e vicende liberatorie, diretto da E. BURDESE, E. MOSCATI, Padova, 2008, p. 22. Per la natura contrattuale si veda anche S. RODOTÀ, (voce) Dazione in pagamento (Dir. Civ.) in Enc. del dir., XI, Milano, 1962 p.737-738, il

Tanto si evincerebbe, infatti, inequivocamente dal tenore letterale dell’art. 1197 c.c. il quale, pur non prendendo partito espressamente sulla struttura giuridica della fattispecie, sancisce che il debitore possa liberarsi dalla obbligazione originariamente contratta soltanto «quando il creditore vi consenta». Ne deriva che all’offerta del debitore di eseguire una diversa prestazione deve fare riscontro l’accettazione del creditore formando così l’accordo delle parti e, quindi, un contratto200.

In tale ottica un punto fermo costantemente ribadito è che le volontà dispositive del creditore e del debitore possono essere manifestate contestualmente ovvero anche in momenti cronologicamente distinti.

Più precisamente, come si vedrà meglio infra, nell’ipotesi in cui il consenso delle parti venga manifestato preventivamente ricorrerebbe, secondo taluni, la fattispecie del c.d. pactum de in solutum dando, inteso quale variante della c.d.

datio in solutum tipica.

Giova tuttavia segnalare un’opinione minoritaria ma autorevole201 secondo la quale l’accordo non rivestirebbe valore essenziale nell’economia della fattispecie. La tesi contrattuale, infatti, attribuirebbe eccessiva rilevanza alla proposta dell’aliud pro alio solvere, che in ipotesi potrebbe anche difettare. L’unica manifestazione di volontà rilevante sarebbe, infatti, l’atto con il quale il creditore accetta di ricevere in adempimento una prestazione diversa da quella dovuta attribuendo ad essa lo stesso ruolo che nell’obligationsprogramm era rivestito dalla prestazione originaria. Il tutto come se la prestazione eseguita fosse stata prevista sin ab origine nel programma negoziale.

Donde l’accordo delle parti sarebbe superfluo, atteso che l’atto di accettazione del creditore non si salda con il consenso del debitore all’esecuzione dell’atto traslativo, ma qualifica il trasferimento ex art. 1197 comma 2 c.c. quale adempimento, con ciò assolvendo piuttosto la funzione di ricongiungerlo alla sua causa che si identifica, appunto, nell’obbligazione originaria da adempiere202. quale qualifica apertis verbis l’istituto in questione quale contratto estintivo, laddove la vicenda estintiva consegue a due contrapposte attribuzioni patrimoniali, l’esecuzione

dell’aliud e la liberazione del creditore.C.M.BIANCA, L’obbligazione, cit., pp. 439-440,

il quale ipotizza l’applicazione delle norme sul contratto in generale e sul pagamento.

200 In tal senso, A.Z

ACCARIA, op.cit., p. 32, il quale sostiene, al di là dei riferimenti di carattere normativo, la natura necessariamente contrattuale dell’istituto de quo considerato che a rigore il rapporto obbligatorio deve vivere ed attuarsi nei termini in cui è stato originariamente costituito. Il tutto nell’interesse del creditore e del debitore, di talchè perché l’effetto estintivo possa dispiegarsi a seguito della esecuzione di una prestazione diversa da quella dovuta è necessario l’accordo in tal senso di entrambi i soggetti.

201 È quanto sostiene C.A. C

ANNATA, op.cit., p. 81 ss.

202 Così C.A. C

ANNATA, op.cit., p. 82, il quale formula al riguardo due ipotesi esemplificative. Il primo è il caso più semplice in cui il creditore presti il proprio consenso alla prestazione di un aliud consistente nella consegna di cose in proprietà, e non al puro trasferimento della proprietà. In tal caso, infatti, per effetto del consenso del creditore, l’atto della consegna riceve la qualificazione giuridica di adempimento dell’obbligazione, come se quest’ultima avesse avuto sin ab origine ad oggetto tale prestazione.

La seconda ipotesi che, invece, denota maggiore complessità, attiene alla fattispecie in cui il creditore presti il proprio consenso alla esecuzione di un aliud che richiede la redazione

Tanto premesso, analizzando più da vicino la ricostruzione dell’istituto in chiave di realità, giova evidenziare che l’opinione in questione poggia, secondo l’insegnamento tradizionale, sulla considerazione che l’effetto estintivo tipico si produce al momento della esecuzione dell’aliud.

Il carattere reale dell’istituto non parrebbe, infatti, inficiato dalla circostanza che l’esecuzione dell’aliud possa astrattamente consistere in un dare ovvero in un

facere203. Piuttosto tale costruzione consentirebbe di superare quelle impostazioni sovrastrutturali di matrice germanica e francese, secondo cui l’istituto è il risultato della combinazione di una pluralità di atti autonomi, quali, ad esempio, accordi modificativi dell’oggetto dell’obbligazione seguiti da un adempimento in senso tecnico, ovvero il risultato della combinazione di un atto di rinuncia del creditore alla prestazione originaria con un successivo contratto, avente il suo fondamento causale nella precedente rinuncia, che programma la prestazione di un aliud204.

Ci si è tuttavia interrogati in dottrina sulla opportunità di ricostruire la nozione di realità in un’accezione che travalichi il suo tradizionale significato dogmatico di traditio rei, atteso che nella datio in solutum il contratto si perfeziona non già necessariamente con la consegna di una cosa, ma con la esecuzione di un aliud che può consistere anche nel trasferimento di un diritto.

Si è infatti osservato205 che la predicata nozione di realità mal si attaglia alla

datio in solutum a meno di non volerla adoperare in senso improprio.

di un atto in forma scritta. In questi casi, infatti, le parti adoperano nella prassi negoziale congegni che soltanto con evidente forzatura possono essere ricondotti allo schema della

datio in solutum. Si ponga mente all’esempio del trasferimento di un bene in luogo della

prestazione originaria consistente nel pagamento di una somma di danaro a titolo di mutuo. Le parti ricorreranno in tal caso ad una compravendita indicando che il corrispettivo è stato già versato con il pagamento della somma data a mutuo. Tale meccanismo, tuttavia, implicherebbe una compensazione volontaria tra due crediti e non consisterebbe perciò, propriamente, in una datio in solutum. Evidenzia, infatti, l’A. che la compensazione volontaria, costituisce un modo di estinzione del rapporto obbligatorio autonomo da qualsiasi altro, in guisa che si differenzia in special modo dall’adempimento. Rispetto a quest’ultimo, infatti, la datio in solutum costituisce una

species. Perché si possa parlare di datio in solutum il debitore avrebbe dovuto riconoscere

in forma scritta l’esistenza del debito di mutuo ed il creditore avrebbe dovuto contestualmente manifestare il proprio consenso a ricevere in pagamento un bene (ad esempio un fondo) a titolo di mutuo. Il debitore avrebbe dovuto altresì dichiarare di trasferire il bene a titolo di restituzione della somma ricevuta a mutuo ed il creditore di accettare tale trasferimento. In tale schema la dichiarazione di accettazione non si salda tuttavia con il consenso del debitore ma rimane confinata al rango di presupposto autonomo della sua realizzazione.

203 In tal senso, S. R

ODOTÀ, op.cit., p. 738, che al riguardo parla di preoccupazione meramente scolastica .

204 Ancora S. R

ODOTÀ, op.cit. p. 738, il quale osserva che tali concezioni appaiono tuttora ancorate ad una concezione della datio in solutum quale vendita ovvero quale novazione, laddove il nostro sistema circoscrive con decisione l’effetto estintivo della datio in

solutum. Per la tesi della realità si veda anche C. M.BIANCA, L’ obbligazione, cit., pp. 432,433 il quale precisa che l’effetto reale va riferito all’esecuzione dell’aliud quale requisito legale dell’effetto solutorio del contratto.

205 In tal senso, F. G

Ciò parrebbe tanto più vero con riferimento specifico all’ipotesi di cui all’art. 1197 co 2 c.c., laddove l’oggetto del contratto è costituito dal trasferimento di un diritto.

In tale ipotesi, infatti, la prestazione dell’aliud è eseguita allorquando si dispiega l’effetto traslativo, per effetto del perfezionamento dell’accordo ex art. 1376 c.c., ovvero se la cosa è generica, con la specificazione ex art. 1378 c.c.

Donde un consistente indirizzo dottrinale ha avvertito, con diverse sfumature, l’esigenza di enucleare una nozione di realità lato sensu intesa, che si affranchi da quella tradizionale, trasfondendola mutatis mutandis nel congegno della datio in solutum.

In particolare la dottrina contraria ad una ricostruzione in chiave contrattuale dell’istituto, ha sostenuto quale logico corollario delle sue premesse dogmatiche, che la realità andrebbe riferita alla solutio piuttosto che ad una sovrastruttura contrattuale.

La costruzione dell’istituto in chiave contrattuale tenterebbe infatti di rispondere più che altro all’esigenza di rinvenire un punto di riferimento all’effetto reale nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’aliud consista nel trasferimento della proprietà su un bene, laddove la volontà di accettazione del creditore permarrebbe invece autonoma senza fondersi con la volontà dispositiva del creditore al trasferimento del cespite.

Deve infine essere segnalata l’opinione secondo cui 206 la realità andrebbe indentificata non già quale traditio rei ma quale spostamento patrimoniale, che nella datio in solutum può consistere anche nel trasferimento di un diritto.

Sarebbe dunque sovrastrutturale, fare dipendere il trasferimento del diritto dal principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c., atteso che il trasferimento del diritto più che a risultato finale programmato, si atteggia a veicolo del suo perfezionamento. Si tratterebbe, quindi, non di un effetto sostantivo finale del contratto, ma di un effetto procedimentale e strumentale al perfezionamento della fattispecie stessa. Soltanto allora, una volta perfezionata la fattispecie, è consentita all’autonomia privata la integrazione dell’effetto finale e sostantivo.

Altro filone dottrinale207, invece, ricostruisce marcatamente l’istituto in chiave consensuale.

206 In tal senso R. F

ERCIA, op. cit., p. 463 ss. L’A. osserva che il trasferimento non sarebbe quindi un’applicazione dl principio consensualistico ex art. 1376 c.c., ma della diversa regola della «investitura formale del diritto» che si traduceva nel diritto romano nella necessità di trasmissione al fine del trasferimento della proprietà. Donde il trasferimento rivestirebbe la medesima posizione dell’accettazione secondo il più noto schema dell’art. 1326 c.c., quale tassello di chiusura del ciclo dell’autonomia privata procedimentale nella sede genetica del contratto.

207 In tal senso, A. Z

ACCARIA, op.cit., p. 64, il quale sostiene la ricostruzione in chiave di realità sia il frutto di un equivoco di fondo. Per lungo tempo, antecedentemente alla ridefinizione dell’istituto enucleata dall’art. 1197 c.c. come formulato dal legislatore del 1942, per dazione in pagamento si intendeva, infatti, unicamente il trasferimento con il consenso del creditore di una res diversa da quella pattuita, escludendo la esecuzione di prestazioni di facere. Tale teoria trovava il suo baluardo in una affermazione del Pothier il quale scrisse che la dation en paiement ne se fait que par la tradition, et meme par la

translation de la propriètè de la chose donnèe en paiament. Si trattava, dunque, di una

prospettiva fortemente influenzata del congegno romanistico di circolazione dei beni assiso sulla distinzione tra titulus adquirendi e modus adquirendi. L’affermazione

L’assunto fondamentale sul quale si regge tale orientamento che come vedremo meglio infra ricostruisce l’istituto sul piano effettuale quale contratto produttivo di una vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, è costituito dalla circostanza che nell’ ipotesi in cui il creditore abbia manifestato preventivamente il proprio consenso alla esecuzione di un aliud, il c.d. pactum de in solutum

dando, ci troveremo dinanzi ad un negozio in fieri. Conclusione quest’ultima

definita inaccettabile dall’indirizzo in questione.

Il creditore rimarrebbe in tal caso, infatti, libero di cambiare idea successivamente alla stipulazione del pactum, esigendo la prestazione originaria ed incorrendo tutt’al più in una mera responsabilità di carattere precontrattuale.

Conclusione che parrebbe ancor più grave, se si tiene conto che il contratto

de quo viene prevalentemente stipulato al fine di venire incontro alle esigenze del

debitore che incontri delle difficoltà nell’adempimento della prestazione originaria.

A ciò si aggiungerebbe, su un versante più prettamente tecnico giuridico, l’esistenza di un contrasto con alcuni principi basilari dettati in tema di disciplina generale del contratto.

La ricostruzione dell’istituto de quo sul piano strutturale quale contratto reale ed il conseguente corollario della ricostruzione del pactum de in solutum

dando quale negozio in fieri mal si concilia, infatti, con la identificazione sul

piano effettuale di una vicenda modificativa del regolamento obbligatorio originario.

Il nostro ordinamento, si è detto, ammette, infatti, il negozio diretto a «regolare un rapporto giuridico patrimoniale» configurandolo quale negozio già completo nei suoi elementi costitutivi. Donde un valido contratto di prestazione in luogo di adempimento può essere concluso a prescindere dall’adempimento della prestazione successivamente convenuta, salve le indagini sul contenuto che assume concretamente il c.d. pactum de in solutum dando208.

Altra parte della dottrina, infine, propugna una tesi per così dire intermedia, che valorizza il tenore letterale dell’art. 1197 c.c. il quale si riferisce apertis verbis ad una prestazione in luogo d’adempimento. Si sostiene così, in consonanza con il dettato dell’art. 1376 c.c., il quale eleva il principio consensualistico a regola generale del nostro ordinamento, che la datio in solutum si perfeziona in virtù parrebbe prima facie alquanto strana se si pone mente alla circostanza che il Pothier è uno dei principali sostenitori del principio consensualisitco. Ciò nondimeno, secondo l’A., la possibile spiegazione si rinviene nella circostanza che la definizione della datio in

solutum quale contratto reale deriva da un fraintendimento della posizione del Pothier, le

cui modalità di ragionamento possono essere ricostruite in questi termini. Dare in

solutum, infatti, significa estinguere una prestazione originaria per mezzo del

trasferimento della proprietà di un bene diverso da quello convenuto. Il trasferimento della proprietà può avvenire sì per mezzo del consenso delle parti liberamente manifestato, ma unicamente nel caso della compravendita. Perché possa dirsi realizzata una dazione in pagamento occorrerebbe, dunque, anche la consegna della diversa res. Donde la prospettiva del giurista francese sarebbe stata erroneamente ricostruita, nel senso che la consegna si atteggia ad elemento perfezionativo del contratto in questione, laddove invece secondo il Pothier la consegna occorre unicamente per il trasferimento della proprietà della res. Donde si sarebbe dunque trasformato in reale un negozio che in precedenza non era mai stato ascritto in tale novero.

208 In tal senso, A. Z

dell’accordo delle parti, allorquando abbia ad oggetto il trasferimento della proprietà su una res in luogo della prestazione originariamente dedotta in obbligazione.

Nelle altre ipotesi, invece, assumerebbe i connotati di un contratto reale laddove la realità andrebbe tuttavia riferita non alla traditio rei ma alla esecuzione di un aliud e, quindi, alla prestazione.

La soluzione preferibile, come si vedrà meglio infra, consiste nel cogliere gli interessanti spunti di riflessione offerti dai fautori della tesi della realità.

I rilievi critici mossi dalle tesi consensualistiche non paiono invero appieno convincenti, essendo mossi da un approccio metodologico incardinato su un concetto rigido di fattispecie che attribuisce al consenso delle parti un rilievo statico ed atomistico, e, quindi, sempre identico. Rilievo peraltro avulso dal contesto dinamico del ciclo dell’autonomia privata in cui è inserito.

È invece preferibile a nostro avviso valorizzare la tesi della realità offrendone una diversa chiave di lettura evincibile dall’analisi dei c.d. procedimenti di contrattazione reale sullo sfondo del’autonomia privata procedimentale nella fase di esecuzione del contratto.

Giova infatti evidenziare,209 che la tesi della realità della dazione in pagamento, nel prisma della autonomia privata procedimentale, si arricchisce di ulteriori significati, che si possono cogliere unicamente se si rivolge l’attenzione alla duplice qualificazione che la volontà negoziale del creditore riveste nell’istituto in questione.

Non può infatti tacersi che, come vedremo, in un quadro di duttile cooperazione tra programmazione ed esecuzione, la volontà del creditore si atteggia per un verso a volontà negoziale esecutiva, avente cioè ad oggetto l’ingresso della prestazione del debitore nella propria sfera soggettiva.

Per altro verso si atteggia a volontà programmatica, avente questa volta ad oggetto l’estinzione del rapporto obbligatorio che, come vedremo, è legata alla qualificazione dell’aliud quale equipollente dell’ adempimento.

Orbene in mancanza di un approccio metodologico procedimentale, tale ambivalenza è stata a nostro avviso foriera di equivoci tanto nella elaborazione della tesi del negozio unilaterale, che nella elaborazione della tesi del contratto consensuale.

Riteniamo infatti che a ben vedere l’ambivalenza in questione si rifletta in un’ inversione della ordinaria sequenza logica e cronologica tra volontà programmatica e volontà esecutiva.

Ciò in ragione del fatto che la volontà negoziale ed esecutiva del creditore a ricevere la prestazione, precede di un istante ideale la volontà programmatica indirizzata verso l’ estinzione del rapporto obbligatorio.

Ma tale inversione non deve stupire l’interprete, se soltanto si pone mente ancora una volta al motivo ricorrente della presente trattazione secondo il quale, come abbiamo evidenziato a più riprese, «i privati agiscono molto più di quanto

non regolino».

Abbiamo avuto già modo di osservare, infatti, che il dato normativo rivela l’esistenza di talune fattispecie, quali, ad esempio, il testamento e la donazione nulli ex artt. 590 799 c.c., ove si assiste mutatis mutandis ad una inversione logico

cronologica delle fasi del ciclo dell’autonomia privata, nel senso che l’esecuzione precede cronologicamente la efficacia del programma negoziale.

A tal proposito ci sembra dunque opportuno ribadire ancora una volta che l’efficacia del contratto è il presupposto del dispiegamento di un effetto impegnativo e nel contempo il termometro del grado di concreta realizzazione sul piano esecutivo dell’assetto di interessi divisato dalle parti.

Ne deriva che tra l’efficacia del contratto e l’esecuzione, al di là della loro collocazione cronologica nel ciclo seriale dell’autonomia privata, vi è sempre una cooperazione che trova conferma anche nelle fattispecie de quibus.

Se tutto questo è vero, è del tutto fisiologico che per un verso la manifestazione di volontà esecutiva a ricevere la prestazione diversa, seguita dalla effettiva esecuzione dell’aliud, sia sufficiente a perfezionare il contratto de quo secondo lo schema della contrattazione reale.

Tale manifestazione di volontà rinvia ad una successiva, rectius quasi contestuale210, manifestazione di volontà programmatica, questa volta estintiva del rapporto obbligatorio.

Ciò è tanto più vero in virtù della impostazione, accolta in questa sede, secondo cui un comportamento esecutivo, con soluzioni di diversa graduazione, richiama sempre un assetto di interessi programmatico.

La manifestazione di volontà estintiva opera, infatti, sul piano dell’efficacia e, quindi, della complessiva rilevanza dell’atto per l’ordinamento, intersecandosi con la legittimazione del creditore ad esperire gli ordinari rimedi della responsabilità contrattuale. Legittimazione che sorge, non a caso, per effetto della manifestazione di consenso a ricevere la prestazione diversa, divenendo, si ribadisce, il termometro del grado di attuazione dell’assetto di interessi divisato

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