La recente applicazione della datio in solutum in ambito urbanistico.
3. Segue L’art 11 l 241 /90 e la cessione sostitutiva di esproprio: nuovi spunti ricostruttivi?
Come è noto, l’art. 11 l. 241/90, modificato dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, ha introdotto la figura dei c.d. accordi atipici c.d. sostitutivi ed integrativi del provvedimento finale. Più precisamente, in accoglimento di osservazioni e proposte presentate dai privati, l’amministrazione procedente può concludere, nel perseguimento del pubblico interesse e senza pregiudicare i diritti dei terzi, accordi atipici che determinano il contenuto discrezionale del provvedimento finale (c.d. accordo integrativo) ovvero in sostituzione di questo (c.d. accordo sostitutivo). Ci si interroga in questa sede se tale disciplina contenga o meno nuovi indici normativi di riferimento che consentano di risolvere almeno in parte la vexata quaestio sulla natura degli accordi sostitutivi del decreto di espropriazione. A tale scopo, quindi, è necessario indagare preliminarmente se la disciplina degli accordi atipici c.d. sostitutivi, ex art. 11 l. 241/1990339 sia, integralmente ovvero parzialmente applicabile alla cessione sostitutiva di esproprio.
Ed invero in un primo momento, è prevalsa l’opinione secondo cui gli accordi atipici c.d. sostitutivi sarebbero una sottocategoria degli accordi facoltativi, in guisa che troverebbero applicazione unicamente allorquando l’amministrazione è titolare di un’ opzione alternativa tra l’esercizio del potere provvedimentale ed il perfezionamento di un accordo. L’applicazione di tale schema convenzionale andrebbe, infatti, esclusa allorquando il legislatore abbia contemplato lo strumento consensuale, non a caso definito «accordo
necessario»340 quale modulo vincolato di esercizio del potere provvedimentale.
338 In tal senso, G. F
ILANTI, op.ult.cit.
339
Come è noto, la legge n. 15/2005, in un’ottica c.d. di amministrazione di risultato, ha ricondotto ad una dimensione atipica l’agire consensuale della P.A. eliminando l’inciso
«nei casi previsti dalla legge», contenuto originariamente all’art. 11 comma 1 l. 241/90,
in guisa che gli accordi sostitutivi hanno assunto, salvi i divieti espressi formulati dal legislatore, una portata generale che travalica i confini angusti tracciati dai tradizionali istituti della cessione sostitutiva di esproprio e delle convenzioni di lottizzazione.
340
Tale distinzione è stata recepita da Cass., 15 aprile 1992, n. 4572 in Giust. civ.
Mass.,1992, c. 4, Giust. civ. 1992, I, p. 2037., Nuova giur. civ. comm. 1993, I, p. 163 con
nota di Pintucci; Rass. avv. Stato, 1992, p. 451, secondo la quale gli accordi con i quali il privato, al fine di ottenere il rilascio della concessione edilizia sui suoli di sua proprietà, si obbliga a determinati comportamenti nei confronti della P.A. o compie determinate rinunzie, rientrano nello schema del c.d. modulo convenzionale nel procedimento
strumentale all'emissione del provvedimento amministrativo. In tale ottica non
Ad ogni buon conto l’atteggiamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità sulla estensione della disciplina degli accordi alla cessione sostitutiva di esproprio si presenta oscillante.
Ed invero, dopo una prima fase in cui era prevalso l’ orientamento favorevole a tale estensione con il conforto, peraltro, del parere reso in sede consultiva dal Consiglio di Stato 341, nonché da una consistente dottrina342, il Supremo Collegio ha mutato indirizzo con un revirement delle Sezioni Unite nel 1994 343. Successivamente si registrò per un breve periodo una linea di tendenza favorevole ad estendere il perimetro applicativo dell’istituto a tutte le principali manifestazioni delle convenzioni di diritto pubblico recepite dalla legislazione vigente o, comunque, esistenti nella prassi amministrativa344.
Recentemente, tuttavia, la giurisprudenza ha assunto nuovamente un indirizzo restrittivo, che, con una sentenza emanata dalle Sezioni Unite nel 2010345, nega l’ applicazione della disciplina degli accordi atipici alla cessione atteso che, sul piano funzionale, quest’ultima costituisce un modulo alternativo e non sostitutivo di chiusura del procedimento ablatorio346. Tale impostazione suscita perplessità poichè, spingendosi oltre un rigido formalismo terminologico, tanto nella cessione che negli accordi atipici, è di palmare evidenza che ci troviamo sostanzialmente dinanzi alla sostituzione del provvedimento finale (costituito, nel caso della cessione, dal decreto di espropriazione) con un accordo perfezionato tra privato e P.A.347.
di regolamento degli interessi in gioco. Gli accordi facoltativi, quindi, non sarebbero dei
veri e propri contratti. Sul punto, G.GRECO, Accordi amministrativi tra provvedimento e
contratto, Torino, 2003, p. 156.
341 Ci si riferisce al parere sulla l. 241/90 espresso in sede consultiva dal Consiglio di
Stato nella Ad. Gen n. 7 del 1987; si veda anche Cons. st., 25 novembre 1991, n. 969, in
Foro Amm. Cons. st.,1991, I, p. 1678. Sul punto,G. GRECO, op. cit., p. 156.
342 Sul punto, G. G
RECO, op. ult. cit.
343 Cass. S. U., 4 novembre 1994, n. 9130, in Giust. civ., Mass., 1994, p. 1324.
344 In tal senso, su tutte, Cass. S. U., 29 agosto 1998, n. 8593,
in Giust. civ., Mass. 1998,
c. 1805; Urb. app., 1998, p. 1195.
345
Cass., S. U., 6 dicembre 2010, n. 24687, in Giust. civ. Mass., 2010, 12, p. 1572.
346 Il Supremo Collegio osserva che «la cessione volontaria degli immobili assoggettati
ad espropriazione e la determinazione amichevole della relativa indennità non possono derogare in alcun modo dai prestabiliti parametri legali, e che la funzione stessa di tale cessione e quella di rappresentare un modo tipico di chiusura del procedimento di esproprio, secondo modalità ritenute necessarie dalla legge in forza di una relazione legale e predeterminata di alternatività della cessione volontaria rispetto al decreto ablatorio, e non già di mera "sostituzione" di questo che ne consenta l’inquadramento tra gli accordi sostitutivi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 1 i quali sono liberi nell'an e nel quomodo, a differenza degli accordi espropriativi che sono, invece, liberi soltanto nell'an».
347 La pronuncia pare condizionata dalle successive considerazioni di ordine processuale.
Muovendo dal noto principio lex specialis derogat legi generali, il Supremo Collegio afferma, infatti, la giurisdizione del giudice ordinario e, più precisamente, la competenza funzionale della Corte d’appello in tutte le controversie sorte in sede di determinazione dell’indennizzo. Trattandosi di procedimento speciale, infatti, il criterio di riparto della giurisdizione originariamente previsto all’art 19, l. 22 ottobre 1971, n. 865, non sarebbe stato scalfito dalla successiva introduzione dell’art. 11 l. 241/90, che contempla la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L’orientamento giurisprudenziale in
Peraltro, come opportunamente osservato dalla dottrina348, che tradizionalmente ha sempre indicato per antonomasia, quale esempio di accordo ex art. 11, proprio la cessione sostituiva di esproprio, l’indirizzo de quo svilisce il rilievo e la portata applicativa degli accordi relegandoli al rango di «procedimento
virtuale» 349. Piuttosto pare preferibile un’ applicazione in parte qua della disciplina ex art. 11 l.241/90 alla cessione sostitutiva di esproprio, nei limiti di quanto non sia espressamente disciplinato dalle norme speciali dettate dal D.P.R. 327/2001.
E’ noto, infatti, che il principio lex posterior generalis non derogat legi
priori speciali, come si evince dal tenore dell’art. 15 c.p., si esplica su un piano
squisitamente applicativo e non già di validità ed efficacia delle norme giuridiche, in guisa che la norma generale si applica, comunque, a quegli aspetti di disciplina non espressamente regolati dalla norma speciale350. Ed infatti il legislatore non ha fornito alcuna indicazione sulle norme applicabili alla fase esecutiva della cessione, limitandosi a dettare una scarna disciplina tutta incentrata sugli aspetti procedimentali afferenti alla fase programmatica dell’accordo e, segnatamente, agli artt. 20 ss. al procedimento di determinazione della indennità sostitutiva. L’unica eccezione è data dall’art. 25 del T.U., in forza del quale gli effetti della cessione non vengono meno neppure se l’acquirente non corrisponde l’indennizzo nei termini concordati. Con ciò stabilizzando in sede di esecuzione dell’accordo
commento suscita, quindi, perplessità atteso che si basa su un’impostazione metodologica che trae surrettiziamente conseguenze di ordine sostanziale da norme di carattere squisitamente processuale.
348 In tal senso, G. G
RECO, op. cit., p.157.
349
Secondo C. GALLUCCI, op.cit., pp. 3-9, il testo vigente dell’art. 45, D.P.R. 327/2001,
sembra risolvere almeno in parte alcuni dei problemi posti dall’istituto. In particolare l’art. 45 prevede che l’accordo di cessione volontaria possa concludersi tra il proprietario ed il soggetto beneficiario, con ciò ribadendo implicitamente che quest’ultimo possa essere anche un soggetto privato. Donde l’accordo potrebbe essere stipulato anche da due parti private in armonia con il dettato dell’art. 1, d.lgs. 327/2001, il quale sancisce che il T.U. regola l’espropriazione di beni immobili o di diritti immobiliari relativi alla esecuzione di opere pubbliche anche a favore dei privati. Sarebbe pertanto arduo ascrivere l’istituto nel novero degli accordi ex art. 11 l.241/90. Si tratterebbe comunque, secondo l’autore, di un indice normativo rivelatore di una ratio legis diretta a svalutare i profili soggettivi nell’ambito di un’attività sostanzialmente amministrativa.
350 Per l’applicazione del principio di specialità, si ponga mente, a titolo esemplificativo,
all’art. 46 co 3, D.P.R. 327 del 2001 che, per un verso, enuncia il principio in forza del quale «l’accordo di cessione produce gli stessi effetti del decreto di esproprio» e, per altro verso, «che non li perde se l’acquirente corrisponde la somma entro il termine
concordato». Nessuno può dubitare che si tratti di una norma speciale, derogatoria
rispetto al regime giuridico di cui all’art. 11 e destinata, quindi, a prevalere. Analogo ragionamento può operarsi con riferimento alla circostanza che la cessione può pregiudicare, a differenza degli accordi sostitutivi, i diritti dei terzi, dispiegando un effetto estintivo dei diritti reali e personali sul bene trasferito. Ulteriore elemento specializzante, che, lungi dal confutare la ricostruzione qui proposta, ne costituisce una conferma, risiede nella circostanza che parte della cessione sostitutiva può essere non soltanto la P.A., ma anche un concessionario.
l’acquisto del diritto dominicale in capo al c.d. beneficiario ed escludendo la possibilità per l’espropriato di esperire il rimedio risolutorio ex art. 1453 c.c.351.
In definitiva, quindi, per colmare le lacune insite nella disciplina speciale, è opportuno fare riferimento all’art. 11 comma 2, l. 241/90, che rinvia apertis verbis ai principi dettati dal codice civile in tema di obbligazioni e contratti, nonché all’art. 1 comma 1 bis, in forza del quale la P.A., allorquando pone in essere atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato. Su un piano pratico operativo i riflessi di tale ricostruzione si esplicano, a mero titolo esemplificativo, nella identificazione di un solido fondamento normativo della estensione alla fattispecie de qua dell’azione ex art. 2932 c.c. con la quale l’espropriato potrebbe domandare l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo del beneficiario di concludere la cessione. Parimenti, nel silenzio del legislatore, troverebbe applicazione il principio della forma scritta ad substatiam ex art. 11, trovando così soluzione le problematiche afferenti alle modalità di espletamento dell’onere della trascrizione 352.
Peraltro se la cessione fosse integralmente avulsa dall’istituto degli accordi atipici, secondo l’impostazione condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, non sarebbe agevole rinvenire un solido fondamento normativo del contiguo istituto della cessione di diritti edificatori in solutum in luogo del decreto di espropriazione, diffuso nell’esperienza delle legislazioni regionali, che, come si vedrà meglio infra, è destinata a regolamentare proprio la fase esecutiva della cessione.
In definitiva, quindi, pare possibile rinvenire un rapporto di continenza tra gli accordi ex art. 11 e la cessione sostitutiva di esproprio, valorizzando l’introduzione ad opera del legislatore del 2005, dell’art. 1 comma 1 bis della l. 241/90 che, per quanto attiene alla disciplina di tutti gli atti di natura non autoritativa adottati dalle P.A., tra i quali può annoverarsi tanto la cessione sostituiva di esproprio che gli accordi di cui al successivo art. 11, rinvia alle norme di diritto privato nella misura in cui non sia diversamente previsto dalle norme di settore. In tale ottica, si può ricostruire il sistema come incardinato su tre cerchi concentrici, e, più precisamente, una prima macrocategoria costituita dagli atti di natura non autoritativa emanati dalla P.A., un secondo genus costituito dagli gli accordi atipici ex art. 11 l.241/90 ed un terzo cerchio costituito dalla cessione sostitutiva di esproprio e dagli accordi di trasferimento dei diritti edificatori in solutum 353.
351 Sul punto, C. G
ALLUCCI, op.cit., p. 9. Si ponga altresì mente alla disciplina della
retrocessione di cui agli artt.46-48, afferente all’ipotesi in cui la P.A. non abbia eseguito in tutto o in parte l’opera pubblica o di pubblica utilità.
352 In caso contrario l’accordo dovrebbe rivestire quantomeno la forma della scrittura
privata autenticata da notaio o accertata giudizialmente. Sul punto, C. GALLUCCI, op.cit.,
p. 9.
353 Analogamente, G. G
RECO, op. cit., p.147, che identifica una scansione gerarchica tra le
norme di settore dello specifico atto convenzionale, le disposizioni contenute nell’art. 11, i principi in tema di obbligazioni e contratti e le clausole del singolo accordo. A questo schema è necessario aggiungere la categoria delle norme di diritto privato, trattandosi di atti di natura non autoritativa.
4. Segue Nuovi spunti ricostruttivi successivamente all’introduzione dell’art. 11, L. 241/90: reductio ad unum dell’istituto?
Una volta ricostruito il sistema degli accordi perfezionati dalla P.A. nel senso che la loro disciplina è applicabile in parte qua alla cessione sostitutiva di esproprio, nei limiti di quanto non è espressamente previsto dalle norme speciali, è opportuno, come già evidenziato nell’apertura del presente lavoro, dare più ampio respiro al dibattito sulla natura dell’istituto, tramite i contributi dottrinali e giurisprudenziali formatisi nell’ultimo ventennio sulla natura degli accordi ex art. 11 l. 241/90, che, come si avrà modo di osservare, sottendono la soluzione dei medesimi nodi logico sistematici che hanno contraddistinto il dibattito sulla natura della cessione.
Come già evidenziato in precedenza, il legislatore del ’90, prima, e quello del 2005 poi, hanno introdotto nuovi indici normativi di riferimento. In particolare, vengono in considerazione il già menzionato art. 11 comma 2, in forza del quale agli accordi si applicano in quanto compatibili le norme dettate dal codice civile in tema di obbligazioni e contratti, nonché l’art. 1 bis della legge 241/90 apposto in novella dalla legge n. 15/2005, in forza del quale la P.A. nell’adottare atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, valorizzati dalla dottrina quali indici rivelatori della natura contrattuale degli accordi atipici.
In particolare, è significativa la circostanza che il legislatore ha sostituito all’art. 1 bis la pilatesca354 formulazione principi, adoperata in precedenza, che rendeva incerto il perimetro applicativo della disciplina privatistica, con la più chiara espressione norme in guisa che, come sarà precisato infra si è ritenuta ammissibile un’applicazione integrale della disciplina civilistica alla fase esecutiva degli accordi atipici355.
Ne deriva un rinnovato vigore della tesi c.d. panprivatistica che propugna la natura contrattuale degli accordi atipici ed aveva trovato in un primo momento il conforto di una giurisprudenza di legittimità minoritaria e risalente356 ed, in tempi relativamente recenti, del Consiglio di Stato357. L’indirizzo in commento fa leva
354 L’espressione è di G. G
RECO, op. cit., p. 101, il quale osserva come tale norma scarica integralmente sull’interprete la ricostruzione del regime applicativo dell’istituto. Non si capisce, infatti, cosa debba intendersi per «principi del codice civile in tema di
obbligazioni e contratti» nonchè per «compatibilità», termine adoperato dal legislatore
anche in altre occasioni. In ogni caso, osserva l’A., proprio il criterio di compatibilità non esclude che possano esservi delle diversità strutturali del’atto fonte. Il criterio è, infatti, adoperato dal legislatore anche all’art. 1324 c.c. in tema di negozi unilaterali, laddove sancisce l’applicazione della disciplina dei contratti in quanto compatibile.
355 Quantunque le norme civilistiche applicabili concretamente agli accordi si riducano, in
definitiva, a quelle dettate in tema di obbligazioni e contratti. Sul punto M. RENNA, Il
regime delle obbligazioni nascenti dall’atto amministrativo, in Dir. Amm., 2010, 1, p.38.
356 In tal senso, Cass., 15 aprile 1992, n. 4572, in Giust. civ., I, 1992, p. 2037; Cass., S.U.,
24 giugno 1992, n. 7773, in Le regioni, 1993, p. 970; sulla ricostruzione dogmatica dell’istituto quale contratto con oggetto pubblico si veda Cons. st., 13 marzo 2000, n. 1327, in Foro Amm., 2000, p. 891.
357 In tal senso, Cons. st., 20 gennaio 2000, n. 264 in Foro Amm., 2000, p.114, Riv. trim.
appalti, 2000, p. 523 con nota di Zanetti, secondo il quale «Una volta che l’amministrazione opti per lo strumento contrattuale, in luogo di quello provvedimentale,
su una esegesi letterale del termine «accordi» già adoperato dal legislatore all’art. 1321 c.c. per definire il contratto, negando che dove c’è consenso possa esserci autorità, a prescindere dalla attribuzione ex lege di poteri risolutivi o modificativi in capo ad una delle parti, nonché sulla qualificazione dell’istituto de quo quale contratto in senso tecnico358. Il contratto ed il provvedimento amministrativo, sarebbero pertanto fungibili in virtù della capacità di diritto privato di ogni amministrazione, che può optare alternativamente tra lo strumento consensuale ovvero l’esercizio della propria potestà provvedimentale.
Gli accordi atipici, prescindendo dalla eterogeneità ontologica delle volontà che si fondono nell’accordo, integrerebbero in altri termini una sorta di «autoregolamento unitario». Il termine accordo, infatti, non può che richiamare per sua natura la congruenza delle volontà delle parti, che, secondo lo schema tratteggiato all’art. 1321 c.c., sono dirette a «costituire, regolare ovvero ad
estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale».
Donde il difetto di pariteticità dei contraenti non vale ad escludere in re
ipsa359 la natura contrattuale dell’istituto, atteso che le vicende giuridiche che promanano da esso incidono, in piena consonanza con la formula di cui all’art. 1321 c.c., su rapporti di contenuto patrimoniale. Ed invero, è oramai pacifica360, a seguito del riconoscimento giurisprudenziale della risarcibilità degli interessi legittimi, la rilevanza economica del provvedimento amministrativo e la sua attitudine, quindi, ad incidere su situazioni giuridiche di contenuto patrimoniale. Né tale qualificazione può essere esclusa dalla presenza di diritti potestativi unilaterali di tipo risolutivo o modificativo, quali, ad esempio, il diritto di recesso unilateralmente attribuito alla p.a. ex art. 11 co 4, l.241/90 per ragioni sopravvenute di pubblico interesse. Tali poteri, infatti, non incidono sul principio di vincolatività del contratto ex art. 1372 co 1 c.c.
Tanto basterebbe per sostenere una reductio ad unum degli accordi intesi quali unico atto-fonte di effetti giuridici ovvero, secondo altra definizione,
strumento paritetico di tipo negoziale. Il tutto superando agevolmente le formule
sovrastrutturali di matrice pubblicistica, già esaminate in tema di cessione sostitutiva di esproprio, che, con diverse sfumature, qualificano l’istituto adoperando categorie classificatorie incolori quale «negozio giuridico bilaterale
non contrattuale, provvedimento emanato previo atto di sottomissione del
la stessa è vincolata al contratto, salva la possibilità di recesso unilaterale per sopravvenuti motivi di pubblico interesse (ai sensi dell’art. 11 co 4 l. n. 241/90.) Comunque , finchè non venga esercitato il potere di recesso, l’accordo resta vincolante e la P.A. non può assumere determinazioni unilaterali in contrasto con l’accordo stesso».
Il diritto di recesso, infatti, «si esplica su un piano pattizio». Si tratterebbe, quindi, in altre parole, di un diritto di recesso non dissimile da quelle molteplici forme di recesso legale di cui è costellato l’ordinamento privatistico.
358 In tal senso, G. G
RECO, op.cit., pp.101-107, il quale osserva che, secondo l’indirizzo in
commento, si tratterà di stabilire se il contratto in questione, che ha una vincolatività
rebus sic stantibus non inferiore a quella di qualsivoglia altro contratto privatistico,
costituisca una sottospecie del contratto privatistico, ovvero una species che si affianca al contrato ex art. 1321, appartenente ad un genus più ampio costituito dal contratto come “figura generale di pensiero appartenente alle discipline giuridiche”. In tal senso, M.
RENNA, op.cit., p. 37.
359 Per un analitico esame della tesi panprivatistica si veda G
RECO, op. cit., pp. 104 ss.
360 In tal senso, G. G
privato», ovvero rinvengono nel consenso del privato un «atto di adesione inteso quale requisito di efficacia del provvedimento finale».
Sulla base di tali premesse, gli elementi essenziali dell’istituto de quo, ed in particolare, ovviamente, quello dell’accordo, richiamato dalla norma nel suo tenore letterale, coinciderebbero con i requisiti essenziali del contratto ex art. 1325 c.c.361. La distanza tra il contratto civilistico e gli accordi di cui all’ art. 11, atterrebbe, quindi, all’oggetto e non alla natura. In altre parole l’elemento discretivo tra le due figure sarebbe dato dalla circostanza che l’oggetto degli accordi sostitutivi coincide con quello del provvedimento amministrativo. L’art. 11 ammetterebbe, quindi, per la prima volta la negoziabilità del potere discrezionale, consentendo il perfezionamento di contratti aventi ad oggetto la negoziazione della funzione pubblica362.
Infine è stato valorizzato il dettato dell’art. 11, comma 4 bis, l. 241/90, che ha enucleato una previa determinazione della P. A., prodromica all’adozione dell’accordo, confinando così la discrezionalità della P.A. nella fase genetica, allorquando viene adottata la determinazione sulla opportunità dell’accordo dallo stesso organo deputato all’emanazione del provvedimento finale363.
Si creerebbe, in definitiva, una sorta di cesura tra la fase antecedente al perfezionamento dell’accordo, governata dalle norme di diritto amministrativo364
361 Una particolare attenzione, sulla base delle considerazioni fin qui svolte, deve essere