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Radici storiche ed evoluzione Cenni.

La prestazione in luogo di adempimento: principali nodi strutturali funzionali ed effettuali.

1. Radici storiche ed evoluzione Cenni.

Come è noto, in forza del congegno declinato dal legislatore del 1942 all’art. 1197 c.c., il debitore può liberarsi della propria obbligazione eseguendo una diversa prestazione qualora il creditore presti il proprio consenso.

Si ritiene così comunemente, valorizzando il tenore letterale della disposizione, che il rapporto obbligatorio si estingua contestualmente all’esecuzione dell’aliud

Dalla rubrica della disposizione in questione si ricava, infatti, che il legislatore ha abbandonato la tradizionale espressione «dazione in pagamento» in favore di «prestazione in luogo di adempimento» estendendo, come osservato da autorevole dottrina, l’applicazione della disciplina de qua oltre il tradizionale e ristretto perimetro applicativo. In precedenza, infatti, l’istituto trovava applicazione unicamente in presenza di cose materiali di cui si trasferiva la proprietà non potendosi riferire a prestazioni di fare e non fare189.

La dottrina190 non ha mancato di porre in luce i contorni imprecisi e sfumati dell’art. 1197 c.c. laddove evidenzia l’assenza di limiti al carattere della prestazione dovuta. Si è osservato, infatti, criticamente, che anche nella fattispecie

de qua l’adempimento si esegue pur sempre con una prestazione, di talchè

l’espressione prestazione in luogo di adempimento non significherebbe nulla. Altre volte, invece, si è posto l’accento sulla superfluità della formula in questione, atteso che la disposizione in esame si limiterebbe a ribadire una regola già contenuta nel concetto stesso di obbligazione.

189 In tal senso, A.B

ARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, II, Milano, 1948, p.p. 146, 147, il quale osserva che il legislatore del ’42 ha reso possibile, adoperando la formulazione prestazione in luogo di adempimento, una dilatazione di questo istituto. La dazione in pagamento ha infatti ad oggetto cose materiali di cui si trasferisce la proprietà. La prestazione in luogo di adempimento trova oggi invece applicazione quantunque manchi la dazione di un qualche cosa, allorquando, ad esempio, la prestazione è una

prestazione di fare. Sul punto S.RODOTÀ, (voce) Dazione in pagamento (Dir. Civ. ) in

Enc. dir., XI, Milano, 1962, p.734 ed ivi per ulteriori citazioni, il quale osserva che in

realtà parrebbe opportuno pervenire a conclusioni assai diverse, atteso che per un verso la dottrina romanistica si esprimeva favorevolmente alla esecuzione di un aliud costituito da una prestazione di facere o non facere e, per altro verso, già la dottrina formatasi nella vigenza del codice del 1865 era orientata in tale senso.

190 In tal senso, C.A.C

ANNATA, op.cit., p.80 ss., il quale osserva che la rubrica dell’art. 1197 c.c. traduce pressoché letteralmente la denominazione corrente in lingua tedesca di

Leistung an erfüllungs Statt, altrettanto imprecisa perché enucleata arbitrariamente dal

contesto del § 360 B.G.B. Secondo A. DI MAJO, Dell’adempimento in generale.

Artt.1177-1200, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca a cura di F.GALGANO, Bologna, Roma, 1994, p. 339, la disposizione sarebbe superflua, limitandosi a riprodurre il noto principio in forza del quale aliud pro alio invito creditori solvi non potest.

Orbene per comprendere le ragioni dei connotati di genericità della disposizione in commento, giova a nostro avviso analizzare preliminarmente le radici storiche dell’istituto che, come è noto, costituisce il precipitato di una lunga evoluzione che prende le mosse dalla tradizione romanistica.

Orbene nel percorrere tale iter evolutivo viene in primo luogo in considerazione l’incipit del giurista Gaio191, che nell’enunciare il paradigma dei modi di estinzione delle obbligazioni afferma che la modalità fisiologica di estinzione consiste nella solutio, ovvero nell’adempimento preciso e puntuale della prestazione dovuta, secondo il granitico principio dell’aliud pro alio invito

creditori solvi non potest che compare a più riprese nelle fonti romane192.

Qualora invece il creditore accetti di essere soddisfatto con una prestazione diversa da quella dedotta si ha la datio in solutum, che la giurisprudenza classica configurava quale negozio liberatorio distinto dalla solutio in senso proprio.

In particolare la distinzione tra la solutio e la datio in solutum emergeva per un verso dalla necessità del consenso del creditore necessario nella datio in

solutum ma non nella solutio e, per altro verso, dalla controversia esistente tra i

giuristi dell’epoca in merito alla sua efficacia liberatoria.

I giuristi Sabiniani ricollegavano infatti alla datio in solutum la piena efficacia liberatoria ed estintiva del rapporto obbligatorio.

I Proculeiani ritenevano, invece, che l’obbligazione persistesse secondo lo

ius civile attribuendole una efficacia estintiva indiretta ope exceptionis.

In tale ottica accordavano al debitore una exceptio doli contro il creditore che domandasse la prestazione dovuta dopo averne accettata una diversa in

solutum193.

Dal punto di vista strutturale il requisito soggettivo della datio in solutum era dunque costituito dalla volontà del debitore di dare la cosa per estinguere il proprio debito avente diverso oggetto e correlativamente dalla volontà del creditore di ricevere la cosa stessa in luogo della prestazione che gli è dovuta.

Entrambe le parti dovevano quindi avere la piena capacità d’agire e di disporre, atteso che il debitore doveva alienare la cosa ed il creditore disporre del proprio credito.

191 Ci dice infatti il giurista Gaio che «tollitur obligatio paecipue solutionis eius quod debetur unde quaeritur, si quis consentiente creditore aliud pro alio solverit, utrum ipso iure liberetur, quod nostris praeceptoribus plaet, an ipso iure maneat obligatus, sed ad versus petentem exceptione doli mali defendi debeat, quod diverseae scholae auctoribus visum est» (3,168. Inst. 3, 29 pr.). Sul punto, G.ASTUTI, (voce) Dazione in Pagamento

(Storia), in Enc. del dir., XI, Milano, 1962, p. 727 ss.

192 Cfr. Paul. Dig. 12, I, 2, I; Marcian. Dig. 46, 3, 46 r.; C. 4, 44, 9; C. 8, 42, 16.

193 Sul punto, G. A

STUTI, op.cit., p. 728, il quale evidenzia come l’ipotesi principale di

datio in solutum con maggior frequenza considerata nelle fonti è quella della dazione di

una cosa, mobile o immobile, in luogo di una somma di danaro. E’ dunque probabile, osserva l’A., che tale ipotesi costituisca il punto di partenza per lo sviluppo dell’istituto e della relativa dottrina. Le fonti ci presentano tuttavia anche ipotesi di dazione di una somma in luogo di un’altra, ovvero di una somma in luogo di una cosa. E’ invece controverso in dottrina se per il diritto classico potesse darsi in pagamento un credito, data la difficoltà di eseguirne la cessione, in virtù del principio di intrasmissibilità del rapporto obbligatorio a titolo singolare. La cessione di un credito al proprio creditore

solvendi causa, se effettuata tramite stipulazione delegatoria o novativa, avrebbe integrato

Sul piano strutturale le fonti giustinianee evidenziavano altresì accanto alla

datio in solutum c.d. volontaria, una datio in solutum necessaria o coattiva, in

forza della quale allorquando il debitore di una obbligazione pecuniaria non era in grado di adempiere ed era nel contempo titolare di un bene immobile non facile da vendere, il creditore era tenuto ad accettare in pagamento il trasferimento della proprietà di terreni secondo la giusta stima194.

Nell’ipotesi in cui avesse luogo la dazione di una cosa in luogo di danaro sorgeva poi la controversia in ordine ai rimedi spettanti al creditore in caso di evizione della res in solutum data . Sul punto si era infatti registrata una discrasia tra i testi che riconoscono al creditore evitto l’azione derivante dal credito originario195 e quelli che invece gli accordavano un’ «actio utilis ex empto» qualificando la datio in solutum come «vicem venditionis obtinet» quasi si trattasse di una vendita della cosa per un prezzo uguale all’importo del debito196

Tale contrapposizione produceva evidenti riflessi sull’alternativa tra la ricostruzione della natura giuridica dell’istituto quale mezzo di pagamento in senso tecnico ovvero quale contratto di compravendita.

Invero parrebbe che nella concezione classica la datio in solutum si atteggi a negozio liberatorio analogo alla solutio, laddove nei testi interpolati di epoca giustinianea l’istituto si atteggia ad autentico contractus obbligatorio, in forza del quale la vecchia obbligazione viene novata e sostituita con due nuove obbligazioni, rispettivamente di vendere e di acquistare, per un prezzo corrispondente all’ammontare del debito originario197.

L’evoluzione dell’istituto nelle epoche successive ha dunque risentito di questa insanabile antinomia contenuta nei testi di epoca giustinianea, che ha affaticato non poco tanto la dottrina pandettistica che gli interpreti del diritto comune.

In particolare il punctum dolens era costituito dallo iato esistente tra la estinzione del rapporto obbligatorio per effetto della datione in solutum e la reviviscenza della obbligazione originaria nella ipotesi di inesattezza della attribuzione patrimoniale dell’aliud. Si riconosceva, infatti, in tal caso al creditore

194 Si veda Nov. 4, c.3 pr.(a. 535) ove si legge «subtili aestimatione facta rerum debitoris,

dari secundum quantitatem debiti possessionem immobilem». Sul punto, G. ASTUTI,

op.cit., pp. 729,733. La datio in solutum necessaria fu poi nuovamente elaborata dagli

interpreti del diritto comune, configurando un vero e proprio beneficium dationi in

solutum, accordato al debitore per sopperire alle difficoltà di coloro i quali non erano in

grado di pagare i loro debiti pecuniari. Osserva l’A. che il beneficium in questione quale forma di soddisfazione del creditore imposta iussu iudicis è presente altresì nel diritto statutario delle nostre città. La datio in solutum c.d. necessaria regolata dalle RR. CC. del 1770 (III, 32, 39-43) che consentivano la facoltà di riscattare entro un anno le cose date in pagamento, fu abolita con l’emanazione del codice civile albertino che all’art. 1333 riproduceva l’analoga disposizione del Code Napoleon. Il congegno de quo sembrerebbe vagamente richiamare mutatis mutandis la moderna disciplina della cessione di beni o diritti edificatori in luogo dell’indennizzo dovuto in sede di espropriazione di cui si parlerà infra cap. IV.

195 Si veda Marcian. Dig. 46, 3, 46 pr.; Paul. Dig. 46, 3, 98 pr. Sul punto G. A

STUTI,

op.cit., p. 729.

196 Si veda Ulp. Dig. 13,7 24 pr; CC. 8,44,4, a. 212. Sul punto G. A

STUTI, op.ult.cit.

197 Sul punto, G. A

la scelta di ritornare al suo credito esigendo la prestazione originariamente dedotta in obbligazione.

Si giunse così successivamente alla emanazione del codice civile italiano del 1865, il quale per un verso sanciva l’abrogazione della c.d datio in solutum necessaria enucleata dagli interpreti di diritto comune e, per altro verso, non annoverava tuttavia espressamente la datio in solutum volontaria tra i modi di estinzione delle obbligazioni di cui all’art. 1236 c.c.

Soltanto l’art 1929 c.c., infatti, contemplava la fattispecie in cui il creditore accettava volontariamente un immobile ovvero qualunque altra cosa in pagamento di un debito, liberando il fideiussore dalla propria obbligazione, quantunque il creditore subisse successivamente un’evizione.

L’istituto della datio in solutum sotto la vigenza del codice civile del 1865 non era tuttavia nella pratica ignorato dalla autonomia privata, né avversato dalla dottrina.

Quest’ultima, infatti, non riteneva possibile, in armonia con la tradizione romanistica, escludere la possibilità di estinguere un’obbligazione mediante la consegna di un aliud rispetto al bene dovuto dal debitore .

Orbene la successiva reintroduzione dell’istituto ad opera del legislatore del 1942, ebbe a risolvere molti dei problemi che avevano affaticato nei secoli la dottrina. Ciò nondimeno rimanevano tuttavia insolute, come vedremo meglio tra breve, molteplici questioni di ordine strutturale effettuale e funzionale.

2. Profili strutturali. La vexata questio sulla natura reale ovvero consensuale

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