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Elementi “femministi” nelle opere atwoodiane

Fin dagli inizi della sua carriera letteraria, la Atwood si è occupata della questione femminile, includendola in una più generale preoccupazione per la deriva della politica e della società occidentale. I suoi romanzi hanno, così, influenzato e plasmato la coscienza critica di molteplici generazioni di lettrici, donne e femministe; l’analisi del suo macrotesto, in quest’ottica, aiuta a riflettere sulla sua posizione rispetto al movimento

atwood-handmaids-tale-author-feminism-women-not-always-right-a7847316.html, consultato in data 21-06- 18.

143Cfr. https://www.theglobeandmail.com/opinion/am-i-a-bad-feminist/article37591823/, consultato in data

femminista contemporaneo. L’autrice ha del resto anticipato alcune delle tematiche care al femminismo, come il rovesciamento dei ruoli patriarcali e la rivalutazione di un ruolo femminile autonomo.

All’epoca del suo primo romanzo, The Edible Woman (1969), la scrittrice dichiarò: “I do not consider it feminism, but only social realism”144, sostendendo che l'etichetta di “femminista” può essere applicata solo agli scrittori che operano intenzionalmente e consapevolmente all’interno del movimento. In ogni caso, nelle sue opere affiorano temi quali le difficoltà fisiche e psicologiche alle quali le donne sono sottoposte, difficoltà concepite sia in termini di sopravvivenza individuale, sia di “sorellanza” e solidarietà di genere. Molto spesso troviamo personaggi secondari che svolgono la funzione di “sorella” e confidente rispetto alla protagonista. Questi personaggi, rientrando comunque nella tipologia dell’“umano”, possono anche diventare pericolosi e infidi come gli uomini, come avviene nel caso di Ainsley in The Edible Woman o di Anna in Surfacing; mnella maggior parte dei casi essi mostrano, comunque, una capacità di sostegno che agli uomini risulta fondamentalmente impossibile. Moira in The Handmaid’s Tale e Lora in Bodily Harm, per esempio, sono figure dotate di una tempra superiore a quella delle stesse protagoniste.

Inoltre, la Atwood affonta spesso il tema della riscoperta e del ritrovamento della madre, un paradigma pervasivo nella produzione letteraria femminista. In alcune poesie della raccolta Two-Headed Poems, come “Five Poems for Grandmothers”, la scrittrice si concentra sul legame profondo fra le donne, particolarmente forte se unito a quello di sangue; in “A Red Shirt” compare l’immagine potente di “the procession / of old leathery mothers […] passing the work from hand to hand, / mother to daughter, / a long thread of red blood, not yet broken”.145Ma, come Persefone, molte delle protagoniste sono state strappate alla madre, fattore che contribuisce o è addirittura sintomatico del loro isolamento: Joan Foster in Lady Oracle non riesce a mettere a fuoco la propria identità, in parte perché non è capace di ricomporre i tasselli della figura materna; la protagonista di Surfacing è una delle poche donne descritte dalla Atwood che riesce a ritrovare la madre, seppur in senso simbolico, e di conseguenza è in grado di riconoscere sé stessa e affermare la propria identità.

Le figure di madri e sorelle sono altresì donne a tutti gli effetti, prive del manto allegorico di streghe, dee o altre figure mitologiche. La volontà della Atwood di non

144 Cfr. https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/news/margaret-atwood-handmaids-tale-

author-feminism-women-not-always-right-a7847316.html, consultato in data 16-06-18.

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dipingere le donne nei termini totalizzanti di reincarnazioni di miti, il suo tentativo di “take the capital W off Woman”146, sono aspetti della sua produzione letteraria che hanno suscitato perplessità in alcune critiche femministe. La convinzione della scrittrice riguardo al fatto che le donne siano responsabili quanto gli uomini nel processo di vittimizzazione, e che i problemi legati alla condizione femminile siano “part of a larger non-exclusive picture […] men can be just as disgusting, and drastically more so, towards other men”147, suggerisce come la Atwood non intenda calarsi totalmente nei precetti ideologici del movimento femminista, abbracciando una visione più ampia. In molte interviste, infatti, ha affermato di essere contraria a qualsiasi idea di abuso di potere, sia esso detenuto dagli uomini o dalle donne: “there’s no point in destroying a male child instead of a female one”148. Le donne, dunque, non rappresentano un “ideale” da salvare e custodire ciecamente, ma si profilano come esseri umani capaci a loro volta di tutte le atrocità e gli sbagli comuni all’umanità.

Detto questo, bisogna però aggiungere che, tra i suoi numerosi volti, la Atwood ne ha anche uno femminista. La protagonista del primo romanzo, The Edible Woman, è, anche se all’inizio inconsciamente, alla ricerca di una propria identità, diversa da quella che una società ancora conservatrice offriva alle giovani donne, con una base fondata sul matrimonio e sulla maternità. La Atwood ha spiegato, infatti, che l’ispirazione per la stesura del libro arrivò “while gazing […] at a confectioner’s display window full of marzipan pigs […] I’d been speculating for some time about symbolic cannibalism. Wedding cakes with sugar brides and grooms were at that time of particular interest to me”.149La torta diventa un’effige dell’identità di Marian, un prodotto di consumo in una società consumistica. Dal canto suo, Marian si sente estranea a un mondo in cui “every other woman of [her] acquaintance is either pregnant or would like to be, and Marian finds herself surrounded with fecundity of a nature she finds appalling”.150 Il suo rapporto difficile col cibo è sintomatico di un rifiuto dei ruoli prescritti, compreso quello della maternità, che per lei coincide con il rischio di una perdita dell’autonomia, di una sudditanza nei confronti di un “ospite alieno” nel proprio corpo. Se le scelte personali inerenti alla vita e al futuro appaiono minacciate, soggette alle prescrizioni di ruolo e ai desideri o progetti altrui, Marian si ritaglia disperatamente un ambito di autonomia

146M. Atwood, Second Words, Anansi, Toronto 1983, p. 227. 147

Ivi, p. 282.

148K. Hammond, “An Interview with Margaret Atwood”, The American Poetry Review, vol. 8, n. 5, Sep. –

Oct. 1979, p. 29. Cfr. http://www.jstor.org/stable/j.ctt1rfsrqs.13, consultato in data 10-05-18.

149M. Atwood, Second Words, cit., p. 369. 150

decidendo se mangiare o meno. I disturbi alimentari associati a un rapporto problematico con i ruoli di genere sono situazioni molto frequenti anche nei romanzi successivi: è il caso, per esempio, di Joan Foster in Lady Oracle, che sente di poter cambiare la propria vita solo attraverso la perdita di peso; dall’altro lato, mangiando molto, può cambiare la propria fisionomia in modo da allontanarsi dalla figura dominante della madre, non solo rifiutando di somigliarle, ma anche creandosi un “cuscino” di resistenza, “protected in a cocoon of fat, a magic cloak of blubber and invisibility”.151

L’anoressia sarebbe invece, in molti casi, un tentativo di sottrarsi alla crescita, al cambiamento da bambina a donna, un rifiuto dell’identità femminile: così come Joan preferisce sottrarsi alle attenzioni sessuali maschili ed allontanarsi da ciò che il suo psichiatra definisce un prerequisito per il matrimonio, Marian gravita tra le polarità di vittima e carnefice, proiettandosi in una dimensione che la fa sentire innocente, debole, infantile. Alla fine, però, l’atto di pseudo-cannibalismo (mangiare la torta a forma di donna) la reintegra nelle dinamiche del consumismo, benché armata di consapevolezza, come spiega Robert Lecker:

Marian has been from the beginning a packaged product of a male-dominated corporate society, and her rejection of food is synonymous of a culture which tends to exploit women and treat them as edible objects. […] Her final act of eating the cake is a form of reconciliation, a recognition that she is herself a mixture of consumer and consumed.152

A partire dal “proto-femminismo” del suo primo romanzo, The Edible Woman, le opere della Atwood hanno acquisito un profilo sempre più tagliente relativamente al ruolo della donna in un mondo essenzialmente patriarcale. Rilevante è in tal senso l’apporto fornito dall’ottica critica e creativa dell’artista. A tal proposito, Barbara Hill Rigney ricorda che “more than men, women artists are subject to role prescriptions and the necessities of the mundane”153, ma, nella narrativa atwoodiana, la donna artista riesce ad aprire un varco in questo circuito chiuso, sviluppando varie dinamiche. Se il ruolo di madre e la creatività artistica sono spesso positivamente collegati, altre volte appaiono in conflitto, situazione a cui alludono i seguenti versi: “and I wonder how many women / denied themselves

151M. Atwood, Lady Oracle, cit., p. 157.

152R. Lecker, “Janus Through the Looking Glass: Atwood’s First Three Novels”, in A. E. Davidson and C.

N. Davidson (eds.), The Art of Margaret Atwood: Essays in Criticism, cit., pp. 179-180.

153

daughters, / closed themselves in rooms, / drew the curtains / so they could mainline words”.154

Essere madre e artista può costituire un ossimoro, come Atwood ha riflettuto, chiamandosi in causa in modo esplicito e perfino duro:

You would come to a fork in the road where you’d be forced to make a decision: “woman” or

“writer”. I chose being a writer, because I was very determined, even though it was very painful for me then (the late fifties and early sixties): but I’m very glad that I made that decision because the other alternative would have been ultimately much more painful. It’s more painful to renounce

your gifts or your direction in life than it is to renounce an individual.155

Tutte le “eroine” dei romanzi dovranno misurarsi con questo dato di fatto e, per la Atwood, da questo punto di vista, il Künstlerroman unisce finzione narrativa e vissuto autobiografico.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la tradizione letteraria da cui la scrittrice trae la prima ispirazione è di matrice britannica. I suoi studi sia personali che accademici iniziano con un interesse per il romanzo inglese del XIX secolo, un periodo fertile che ha visto l’affermarsi di grandi autrici come le sorelle Brontë, Jane Austen e George Eliot; a questo filone europeo si è poi affiancata la tradizione letteraria canadese, in particolare a firma femminile. Come testimoniano vari suoi scritti, come le recensioni, anche ai nostri giorni la sua attenzione è rivolta principalmente a donne scrittrici, in particolare alle opere di alcune autrici americane (come Adrienne Rich, Sylvia Plath, Anne Sexton, Marge Piercy, Kate Millet e Tillie Olsen) e canadesi (come Margaret Laurence, Marie-Claire Blais, Margaret Avison e Audrey Thomas), la cui influenza si riscontra a sua volta nella produzione letteraria della Atwood. In questo dialogo con una tradizione recente, la Atwood mostra una consapevolezza profonda di temi e problematiche, come postula Barbara Hill Rigney, “not only in the expansion of the canon of women writers, but in the deconstruction of male texts as well, a task which she undertakes with a great deal of characteristic dry humour”.156 Nel definire uno stile letterario tipicamente maschile, in opposizione ad una estetica femminile, la scrittrice ironizza: “last time we looked, monosyllables were male, still dominant but sinking fast, wrapped in the octopoid arms of labial polysyllables, whispering to them with arachnoid grace: darling, darling”.157Nelle

154

M. Atwood, True Stories, Simn and Schuster, New York 1978, p. 63.

155K. Hammond, “An Interview with Margaret Atwood”, cit., p. 29. 156B. Hill Rigney, Margaret Atwood, cit., p. 14.

157M. Atwood, Murder in the Dark: Short Fictions and Prose Poems, Coach House Press, Toronto 1983, p.

opere della Atwood assume dunque rilievo anche l’aspetto umoristico o ironico, volto a dissacrare manie di onnipotenza spesso maschili.

Anche i personaggi maschili delle poesie e dei romanzi vengono presentati più in sintonia con la dimensione dell’umano che non di archetipi romantici o mitici. Gli uomini che si ritengono superiori agli altri, come Ulisse nella poesia “Circe/Mudd Poem”, vengono ridicolizzati, messi a nudo nella loro pomposità. Circe trasformerà, così, queste presunte creature superiori in esseri umani:

Men with the heads of eagles No longer interest me

Or pig-men, or those who can fly

With the aid of wax and fathers […]

On hot days you can watch them As they melt, come apart

Fall into the ocean[…]

I prefer the others The ones left over

The ones who have escaped from these Mythologies with barely their lives They have real faces and hands.158

Circe, sorta di proiezione della Atwood, preferisce alla fine gli uomini, con tutte le loro debolezze, rispetto agli dei o ai personaggi mitologici. Gli uomini, quali individui, non sono ontologicamente diversi dalle donne, ma appaiono soggetti ad adottare lo stesso polarismo di pensiero, divisi fra il bene e il male. La sola, centrale differenza è che gli uomini possono essere molto più pericolosi, non perché intrinsecamente più cattivi, ma perché sono loro a detenere il potere e ciò li rende capaci di seminare morte, distruzione, guerra:

Now you see rows of them, marching, marching; Yours is the street-level view, because you are lying Down. Power is the power to smash, two hold hold your Legs, two your arms, the fifth shoves a pointed

Instrument into you; a bayonet, the neck of a broken

Bottle, and it’s not even wartime, this is a park, with A children’s playground, tiny red and yellow horses […] who did this? Who defines enemy? How can you

Like men?159

158M. Atwood, You Are Happy, cit., p. 47. 159

In questi scritti della Atwood si registrano di conseguenza messe a fuoco sulle atrocità a cui vengono o sono state sottoposte le donne: dalle cinture di castità alla mutilazione genitale fino alla prostituzione, chiamata in causa nella poesia “A Women’s Issue” della raccolta True Stories. Qui, nemmeno la strategia dell’ironia riesce a mitigare la rabbia della scrittrice, che, sulle donne torturate, scrive: “You’ll notice that what they have in common / is between the legs […] who invented the word love?”.160

Nel suo saggio sull’autrice, Barbara Hill Rigney inserisce le ultime opere della Atwood in una categoria che va oltre la distinzione di genere, ovvero il “radical humanism”, con il primato dell’azione assegnato alla difesa dei diritti umani in un mondo sempre più violento (importante è anche questa affermazione di fede dell’autrice nel valore della scrittura: “if books don’t save the world, then nothing else can either”)161. Così, i fatti e le realtà politiche, le atrocità commesse nel nome di un’ideologia, il terrorismo e le brutalità, diventano cruciali per la Atwood, “not because the writer is or is not consciously political but because a writer is an observer, a witness, and such observations are the air he breathes”.162La politica diventa, dunque, un’arena in cui immergersi, per poi trasporla in oggetto di discussione e rappresentazione artistica. Un procedimento, questo, che trova piena attuazione nel romanzo distopico The Handmaid’s Tale, pubblicato nel 1985 e tornato ultimamente al centro di numerosi dibattiti, grazie al riadattamento per una serie tv (su TimVision in Italia) che ha ottenuto ben tre nomine ai Golden Globe ed ha trionfato all'ultima edizione degli Emmy Awards. Tornato prepotentemente sulla scena letteraria internazionale grazie alla serie televisiva, questo classico distopico è stato riscoperto da molti lettori che hanno cominciato a reinterrogarsi sulla questione femminile/femminista.

Su questa scia, gruppi di donne in Irlanda hanno scelto di vestirsi come le ancelle del romanzo, con le iconiche vesti color porpora e berretti bianchi per mettere in atto proteste legate alla causa civile. È il caso, ad esempio, anche della protesta avvenuta nel giugno 2017 nella provincia dell’Ohio contro una proposta di restrizione delle scelte

sull’interruzione di gravidanza. In questa circostanza le dissidenti sono ricorse a

travestimenti che richiamavano i costumi indossati dalle ancelle della serie televisiva coeva, basata appunto sul romanzo della Atwood.

L'autrice mostra dal canto suo una qualche resistenza ad etichettare The Handmaid’s Tale come “romanzo femminista”, poiché la Repubblica di Gilead lì rappresentata

160M. Atwood, True Stories, cit., p. 55.

161Cfr. B. Hill Rigney, Margaret Atwood, cit., p. 16. 162

fotografa una situazione oppressiva che coinvolge anche i personaggi maschili. Il suo

romanzo è “astudy of power, and how it operates and how it deforms or shapes the people who are living within that kind of regime”163. Atwood intende, dunque, misurarsi con aspetti poliedrici della convivenza sociale, siano essi la condizione di schiavitù delle donne, la situazione “malata” della Terra o il dislivello economico.

I suoi racconti parlano, dunque, di argomenti a noi sfortunatamente noti: società misogine, teocrazie, oppressione e disastri ambientali. L’America odierna ne sarebbe una macroscopica la più alta esemplificazione: il recente risorgere di quella che può definirsi una società patriarcale trova infatti implicite affinità con la comunità misogina descritta in The Handmaid’s Tale, all’interno della quale la donna è piegata al volere dell’uomo e alle priorità della comunità (come l’incremento demografico). Un mondo, quello al centro del romanzo, che ha reso Margaret Atwood un’icona anche per lettrici e lettori giovanissimi, grazie a una “coincidenza” (così l’ha definita l’autrice): la serie tv tratta dal romanzo, infatti, è uscita proprio nel periodo successivo all’elezione di Trump (2017).

Il romanzo appare in un certo senso molto più attuale in questi anni rispetto a quando, nel 1985, venne pubblicato, e a tal proposito la scrittrice ha affermato, in un’intervista con Isabella Fava, che il pericolo di essere catapultati nel mondo di Gilead, con Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, sarebbe molto più concreto di quanto lei avesse immaginato qualche decennio prima, con le possibili recrudescenze dell’ideologia puritana:

We are at a moment in history when some parts of North America are trying to turn the clock

back, and if they want to turn it back, what do they want to turn it back to? There’s a reason the women’s movement really started in the 19th century. If they do go back, they’ll end up with [a

woman] dying on a bloody mattress.164

Alla Women’s March su Washington nel 2017, all’indomani della cerimonia ufficiale di insediamento di Donald Trump, su molti cartelli portati dalle donne c’era scritto “Nolite te bastardes carborundorum” (“Non lasciare che i bastardi ti schiaccino”): la frase è una citazione dal romanzo della Atwood, ambientato in un futuro indefinito, in cui l’America si trova sottomessa ad un sistema oligarchico fondamentalista che elegge alcune parabole

163B. Hill Rigney, Margaret Atwood, cit., p. 16.

164 Cfr. https://quillandquire.com/book-links/2017/10/25/book-links-why-the-alias-grace-adaptation-was-

bibliche ad assiomi civili, esercitando un controllo totale nella vita pubblica e privata dei suoi cittadini.

Alla base del romanzo c’è anche una tematica ambientale volta a sensibilizzare i lettori sui danni causati da fonti di inquinamento di vario tipo. The Handmaid’s Tale ci appare così tristemente attuale per la descrizione che la scrittrice fa di un futuro distopico e, parlando del controllo delle nascite, l’autrice torna a riflettere sul delicato perimetro della libertà delle donne:

“il modo in cui si incoraggiano a fare figli o no”, afferma, “è un’arma a doppio taglio: se metti

una donna in condizione di lavorare e avere una carriera, non sarà costretta ad avere 13 bambini come in passato. Allo stesso tempo, però, più le società diventano ricche ed evolute, più avere dei figli diventa costoso. Negli Usa per esempio stanno tagliando gli aiuti alla maternità. E le donne sono molto arrabbiate. Alcune protestano”.165

Si tratta di una situazione che la scrittrice definisce “terribile” e che condividerebbe con i totalitarismi del passato alcuni punti strategici, come il controllo delle nascite, che è il primo strumento per incidere sulla demografia. Margaret Atwood, che già negli anni Ottanta aveva affrontato la questione nel suo romanzo, torna a riflettere sul problema della fertilità e sull'angosciante corollario che lo accompagna: si arriverà al punto di dover imporre alle donne di fare figli, come si narra nel suo libro distopico? A tal proposito, in una recente intervista, ella ha dichiarato:

I believe people do what makes them feel respected. So let's start to make women and