progettista e direttore dei lavori che, utilizzando la propria cultura specifica deve contribuire in modo critico e propositivo al restauro dell‟opera da conservare, restauro concepito come «complesso di interventi
tecnici scientifici, intesi a garantire,
nell‟ambito di una metodologia critico- estetica, la continuità temporale di un‟opera
d‟arte»109
, congiuntamente alla cultura
109 Di Stefano, p.34
archeologica a cui va il compito della lettura e dell‟interpretazione del patrimonio, la più approfondita possibile. Egli potrà ricorrere a strutture protettive di tipo passivo consapevole che ogni tipo di soluzione che verrà messa in campo dovrà essere sempre intimamente connessa alle qualità ed alle condizioni dei singoli reperti, nonché alla circostanza che in quei siti siano contenuti ed ospitati episodi di rilevanti qualità artistiche o documentarie, in modo da preservare quei documenti nel loro contesto ambientale e nel loro reciproco
rapporto, assecondando la loro
musealizzazione in situ.
3.2 Criteri per la progettazione di protezioni
in ambito archeologico
78 Oggi alle coperture, come sistemi di protezione archeologica passiva, si ricorre sempre più di frequente, sia per l‟accresciuto valore attribuito a resti della cultura materiale trascurati fino a pochi decenni fa, sia per un raggiungimento di gradi di salvaguardia che non sarebbero altrimenti possibili da ottenere specie per le strutture più fragili, quali i rivestimenti parietali e pavimentali, ma anche
LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 82 per agevolare la fruizione pubblica e
differenziata di tutti quei documenti che si decide possano essere sottoposti ad una musealizzazione in loco.
Premesso, come più volte si è ripetuto, che ogni monumento ha una sua specificità e che richiede pertanto delle misure e delle soluzioni che devono essere pensate per quel luogo e per quel monumento, esistono tuttavia delle finalità comuni, delle esigenze che tutti i sistemi di protezione devono sviluppare. La funzione principale di ogni copertura è quella di offrire una valida protezione e riparo dai principali fattori di rischio ambientale e
antropici, soddisfacendo i seguenti criteri110:
-protezione dall‟azione dirette della acque
meteoriche;
-protezione dai fenomeni di condensazione e
di “effetto serra”;
-protezione dalle acque di scorrimento; -garantire un adeguata raccolta e smaltimento delle acque;
-schermatura termica ai raggi ultravioletti; -protezione dai venti prevalenti e dall‟aggressione delle polveri;
-protezione dalle presenze biologiche; - protezione dalla attività antropiche; -benessere della materia;
-benessere delle attività antropiche, siano
esse quelle di scavo, documentazione, e restauro che quelle delle fruizione pubblica;
-basso impatto ambientale, ovvero il sistema di protezione deve essere discreto, in modo che la struttura non sia vissuta come un corpo estraneo nel contesto , deturpante e fastidioso alla fruizione a nella percezione dell‟ambiente che lo
110
Sposito, pp.326-327; Ferroni, Laurenti, 2007, pp.92-93
contiene, ma che si inserisca nel modo più organico possibile con il contesto; -basso impatto archeologico, ovvero il
sistema di protezione non deve essere invasivo, prevedendo pertanto che le fondazioni siano superficiali o con scarsa profondità ed estensione, che i
sostegni verticali siano autonomi
rispetto alla materia archeologica, infine che la copertura sia, per quanto possibile, leggera;
-reversibilità, del sistema di protezione, deve cioè consentire lo smontaggio delle struttura senza arrecare danni alle stratigrafie archeologiche;
-riconoscibilità e identità dell‟intervento, ovvero il sistema di protezione deve prevedere materiali e tecnologie che
forniscano una integrazione
dell‟immagine senza porsi come falso storico;
-manutenibilità dell‟opera, ovvero facilità di manutenzione per garantire la durabilità
delle protezioni e la seguente
conservazione delle strutture da
proteggere;
-sicurezza e stabilità,quindi rispondenza alle norme antisismiche e di sicurezza per gli utenti e per la materia archeologica, secondo sistemi valutati caso per caso;
-utilizzo di materiali e prodotti
adeguatamente sperimentati sul campo,
al fine di evitare la perdita, nel tempo delle prestazioni iniziali, primaria causa del proprio degrado;
-attrezzabilità del sistema, mediante
componenti variamente disposti, sia per l‟inserimento di passerelle per i visitatori, di chiusure verticali, sia per l‟alloggiamento di sistemi impiantistici: la struttura deve coinvolgere gli spettatori, permettendo la visitabilità delle opere di scavo e di lavoro, per diventare evento culturale; si devono perciò prevedere passerelle o percorsi
LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 83 appositi che, senza intralciare il lavoro
degli operatori di cantiere, rendano visibili le attività e i rinvenimenti; - facilità di trasporto e di montaggio,ovvero
consentire il trasporto dei vari
componenti adeguati alla natura dei contesti in modo da non metterli a rischio.
Si tratta di una serie di requisiti, desunti da una pluridecennale esperienza sul campo, che aiutano ad evidenziare l‟adeguatezza e l‟appropriatezza di determinati sistemi dal
punto di vista conservativo, alla protezione e
alla tutela del bene, ma che non vanno ad
informare il progetto della copertura
archeologica dal punto di vista formale ed
estetico, inteso qui solo come impatto fisico
del bene. Sono, cioè, linee guida
assolutamente svincolate da giudizi
sull‟aspetto formale architettonico del progetto e sulle sue capacità di migliorare la fruizione
del bene e il suo contributo alla
comprensibilità e alla trasmissione, oltreché
alla capacità di contribuire all‟assetto
allestitivo-museografico generale delle aree archeologiche.
Essi sono dei requisiti necessari ed
inderogabili, ma non sufficienti per una valutazione complessiva dell‟appropriatezza delle scelte.
Va considerato che, nonostante la non esaustività del loro valore, i criteri riportati permettono di effettuare alcune considerazioni sull‟inefficienza di alcune soluzioni, come ad esempio, le realizzazioni con materiali o tecniche non idonee, perché potenzialmente dannose nel confronti del reperti. Pensiamo alle tettoie che utilizzano elementi di supporto in ferro non zincato, che possono produrre fenomeni di ossidazione e quindi danneggiare le superfici sottostanti, o alle coperture vincolate direttamente su murature ed elementi architettonici originali, che oltre a poter confondere l‟osservatore, come si è già
detto111, possono recare danno nelle zone di
contatto per una non corretta trasmissione degli sforzi.
Parimenti, sono da stimare come inadeguate anche le coperture di dimensioni non sufficienti rispetto a quelle del monumento da proteggere, o quelle con piani di tenuta che
determinano condizioni microclimatiche
dannose, inducendo al di sotto variazioni significative di temperature e umidità.
.
3.3 Caratteri tipologici e morfologici delle
coperture delle aree archeologiche
Al di là della relazione, costruttiva e spaziale, che ogni copertura instaura con le parti ad essa sottoposte, ovvero il suo “valore di
relazione”112, resta che un tetto, “in quanto
parte dell‟edificio disposto in modo da limitare
lo spazio interno verso l‟alto”113
, contribuisce in maniera univoca a ristabilire i caratteri tipologici di un reperto, ma anche a stravolgerli, là dove non è coerentemente progettato.
Il passaggio che avviene da un‟idea generica di protezione al fine di tutelare i reperti disseppelliti, studiati e restaurati, ad una copertura, ha in sé un problema che può essere discusso ed affrontato con terminologie proprie del linguaggio architettonico.
In primo luogo, le coperture sono esse stesse componenti tettoniche ed, in quanto tali, posso
111 Cfr, par.2.4 112 Manieri Elia
LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 84 essere lette ed interpretate in base alla
rispondenza alla funzione che sono chiamate a svolgere, in base alla loro conformazione spaziale ed essere, quindi, suddivise per tipologie che tengano conto della tecnica costruttiva, e dei rapporti sia interni che con le altre parti costruttive antiche o moderne.
Va detto che l‟elaborazione di classificazioni e distinzioni tra coperture archeologiche sono state operate già in passato.
Tra queste quella operata da Hartwig Schmidt è tra le più organiche: egli pubblica una sorta
di atlante114 che campiona coperture
architettoniche esistenti su scavi archeologici situati in Occidente ed nel Vicino Oriente, suddividendole in due gruppi: coperture che non confinano il bene e coperture che lo
confinano. Giorgio Gullini115, invece,
distingue le coperture in tre tipi,
comprendendo nel primo le coperture
filologiche sia nella forma che nei materiali, nel secondo le coperture che imitano la forma e i volumi delle coperture originarie ma impiegano materiali differenti, e nel terzo le coperture del tutto indipendenti dal contesto di riferimento.
Si tratta di tentativi validi per il loro sforzo documentaristico e organizzativo, anche se entrambi i casi mostrano dei limiti, per carattere di rassegna acritica come nel caso di Schmidt, e per una scelta al ristretto ambito
pompeiano, nel secondo caso, troppo
particolare per diventare un riferimento generale.
Pochi anni prima, Franco Minissi aveva
operato una tipizzazione di più respiro116,
proponendo una suddivisione delle coperture
114 Schmidt 115
Gullini,1991 116 Minissi,1985
in quattro categorie basandosi sulla
funzionalità e sulla conformazione
architettonica:
-coperture provvisorie;
-coperture unitarie di interi complessi archeologici che fungono da contenitori museali rispetto ai resti antichi;
-coperture che ricompongono
arbitrariamente spazi e volumi di pura invenzione, ma in contraddizione con l‟originario impianto planimetrico; -coperture che ricompongono su basi
filologiche le forme e i volumi originari,
resi con materiali completamente
moderni, distinguibili rispetto agli antichi e integralmente reversibili.
Il merito di tale tipizzazione è di affermare che il progetto di una copertura deve essere visto in un ambito più ampio, che è quello della
valorizzazione integrale dell‟area
archeologica.
La distinzione, operata da Minissi, tra sistemi di protezione provvisori e definitivi, a seconda
del loro grado di temporaneità, è accettabile117,
se per le prime ci riferiamo a quelle coperture realizzate con materiali vili e facilmente deteriorabili, che vengono approntate per garantire la protezione dell‟area di scavo per il
periodo dell‟emersione e della
documentazione, seppure, come si è detto118,
mancando spesso una programmazione nella loro gestione, finiscano per diventare sistemi che permangono per periodo anche molto più lunghi rispetto agli intenti iniziali.
Più interessante, invece, è la distinzione operata da Schmidt tra sistemi che non confinano il bene e sistemi aperti, seppure ,
117
Cfr. Laurenti,2006; Ranellucci,2009; Sposito.
118
LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 85 trattandosi di elementi descrivibili rifererndosi
alla grammatica architettonica sarà più opportuno mutuare tali dizioni in tettoie e
involucri, individuando così già delle componenti costruttive.
3.3.1 Le tettoie
79