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62 Il problema di una equivoca comunicazione

del carattere spaziale e dimensionale del monumento è assai diffuso in quei casi in cui il tetto di protezione è poggiato direttamente sui reperti ed è realizzato con i materiali tradizionali omogenei alle rovine. Alla prassi, che nella prima parte del Novecento si era venuta a consolidare, di approntare dei sistemi con appoggi predisposti in pilastri di mattoni e coperture a tetto ottenute con semplici capriate lignee e rivestimenti in tegole, in ambito romano come quelli presso l‟area sacra di largo di Torre Argentina o quello del sepolcro

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 71 di Publio Quinzio libraio presso via Statilia, o

il caso della protezione posta subito dopo gli scavi delle necropoli Ostiense presso San Paolo fuori le Mura.

L‟interpretazione delle problematica protettiva non come un reale atto critico ma con finalità

puramente strumentali, quasi fosse un

provvedimento di lieve responsabilità (ne è conferma il fatto che la paternità delle realizzazione quasi mai è documentata), ha come conseguenza il fatto che di norma le stesse coperture protettive concorrono ad una comprensione equivoca dei resti monumentali.

Problema che acquista una maggiore

complessità quando subentra l‟idea che il manufatto posto a protezione per la sua “vetustà” risulti esso stesso un bene da tutelare e proteggere. Questo tipo di problemi furono già posti dopo il sisma del 1980 in area vesuviana, quando in occasione dei sostanziosi finanzianti arrivati, ci si domandava quale dovesse essere la sorte di tutti quei restauri,

ormai malridotti, operati nei decenni

precedenti, ma che per il loro appartenere al paesaggio storico consolidato del sito avevano, secondo molti, acquisito il diritto di bene da tutelare.

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LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 72 Analogamente, in tempi più recenti, in

occasione del Grande Giubileo del 2000, molte polemiche ha suscitato la proposta di rimozione della copertura sulla necropoli Ostiense avanzata da Francesco Cellini, all‟interno del programma dei lavori per le sistemazioni delle aree esterne della Basilica. Si trattò in primo momento di un vero e proprio rifiuto da parte delle istituzioni, in questo caso: “l‟inopportunità di procedere”

viene motivata dalla Soprintendenza

Archeologica di Roma dal timore di “snaturare l‟assetto consolidato”, esprimendo parere negativo “alla rimozione o sostituzione dell‟attuale copertura della parte già a vista del sepolcreto, in considerazione del fatto che costituisce un esempio di sistemazione con l‟impiego di materiali e secondo le tipologie architettoniche tradizionali della campagna romana.

Si tratta di un passaggio significativo perché testimonia come il tempo incida nel giudizio,

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 73 fatto a posteriori, su determinati interventi,

modificando i parametri della valutazione: il carattere pragmatico della soluzione (tutti i materiali sono reperiti in economia da altri cantieri e adattati in loco), viene messo in secondo piano da un acquisito valore dato dal tempo, che dà senso e forza ad una immagine che si consolida in un determinato contesto.

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69 Solo dopo aver ben motivato i benefici addotti dalla nuova soluzione dal punto di vista prestazionale, andando a sopperire alle carenze della soluzione “storicizzata”.

Non si tratta di un episodio isolato, ma è da inquadrare all‟interno di un dibattito, molto acceso negli ultimi anni, attorno a luoghi estremamente significativi sui quali sono avvenuti importanti“ripensamenti”.

Uno di questi è quello relativo all‟edificio posto a protezione dell‟Ara Pacis, che risale agli anni immediatamente precedenti alla Seconda Guerra Mondiale. In occasione della

ricomposizione del vetusto monumento,

ricollocato sul lungotevere dall‟allora

Soprintendente G.Moretti102, si decise di

proteggere le delicate superfici marmoree scolpite, erigendo un edificio-teca in cemento armato disegnate dallo stesso Vittorio Ballio Morpurgo che aveva disegnato l‟urbanistica delle nuova piazza; si trattò di un intervento di musealizzazione in situ (per quanto il luogo del riposizionamento non corrispondesse alla

originaria collocazione), che previde

l‟inserimento della nuova struttura protettiva all‟interno di un più ampio e unitario programma architettonico.

Il discusso edificio protettivo, che è rimasto nel suo ruolo nei confronti dell‟importante

documento archeologico per oltre

cinquant‟anni, ha avuto il merito di preservarlo in condizioni soddisfacenti. Le polemiche inerenti principalmente alla

forma e alla dimensione103, hanno condotto

102 Moretti

103 La sistemazione modernista espressa dalla teca

fu oggetto di critiche già allora, essendo però chiara “opera del tempo” fu da alcuni considerata una custodia appropriata per la “preziosa reliquia”(A.Muñoz, in L‟Urbe III 1938, p.2). La struttura progettata da Morpurgo consisteva in una copertura sostenuta da semplici pilastri raccordato da grandi vetrate per consentire la più ampia visibilità del monumento dall‟esterno. Queste vennero rimosse e sostituite dalla bardature dei guerra poco tempo dopo la loro realizzazione.

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 74 alla sua sostituzione con il nuovo edificio-

museo dell‟architetto Richard Meyer.

Tra le principali critiche nei confronti del nuovo edificio ricorre quella di aver ignorato l‟ambientazione e la storicizzazione maturata dall‟edificio di Morpurgo, osteggiati dall‟altro lato, da posizioni che riconducevano quella resistenza a giudizi troppo conservativi ed ideologizzati.

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Dopo alterne vicende, che videro anche un concorso di idee per una trasformazione della copertura di Morpurgo, nel 1970 si ripristinò la situazione pre-bellica, mettendo in opera nuovi cristalli temperati (cfr. anche Schmidt,1988 pp.120-121). Fino poi arrivare all‟affidamento diretto della nuova struttura all‟architetto americano R.Meyer, nel 1996.

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