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51 La precarietà e la provvisorietà di tali sistem

di protezione, con il trascorrere del tempo – superando cioè il limiti temporali per cui il suo grado di affidabilità è assicurato – si manifesta sia sulla struttura stessa che sul manufatto

sottostante da proteggere: la struttura

evidenzia problemi di ossidazione, di

deformazione e di rottura, mentre il manufatto, mutando il microclima interno, può essere travolto da vegetazione infestante, a causa di percolamenti, di condensa e di ristagni d‟acqua.

Per quanto siano sistemi caratterizzati dalla semplicità costruttiva, alla realizzazione del prodotto conservativo concorre un elevato numero di materiali, di prodotti, di componenti e di impianti che sono diversi tra loro , assemblati e montati da diversi operatori, ognuno e ciascuno con un suo problema di affidabilità e di durata, che poi deve confrontarsi con l‟affidabilità e la durata dell‟intero sistema. Tali concetti sono direttamente in relazione con il grado di manutenzione, dato che alle cadute di affidabilità può porsi rimedio con interventi di manutenzione programmata. Anche il concetto di durabilità è connesso con quello di manutenzione, ma mentre l‟affidabilità è legata all‟insuccesso qualitativo, quindi alla fase progettuale o realizzativa, la durabilità è dipendente dal degrado, dall‟obsolescenza e dall‟invecchiamento, fattori del ciclo del

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 66 materiale messo in campo. Almeno dal punto

di vista teorico, si può pensare una copertura posta a protezione di un sito, così come qualsiasi edificio, di affidabilità totale, ma nessuno può porsi anche l‟obiettivo di renderla eterna: l‟affidabilità è quindi solo una

componente della durabilità100.

L‟adozione di tettoie e ripari fissi o mobili è tra le poche misure a disposizione del conservatore per proteggere ciò che viene restituito dall‟attività di scavo. Al di là delle evidenti implicazioni di carattere etico ed estetico, tali soluzioni non sono di facile realizzazione neanche a un punto di vista tecnico: se non si ha una visione chiara delle cause che generano il deterioramento, se non si effettua una corretta ed esaustiva diagnosi, ben difficilmente si potranno scegliere soluzioni idonee a contrastarlo e, al contrario, si potranno produrre effetti peggiori del male che si voleva rimediare.

É necessaria, l‟osservazione che il problema protettivo che si pone anche fra una campagna di scavo e l‟altra, pone di fronte a problemi tecnici tutt‟altro che scontati: la scelta dei materiali, i modi di puntellamento delle strutture - improvvisamente private dei supporti di terra in cui per secoli erano state inserite e con cui avevano raggiunto un

equilibrio statico e conservativo - ,

l‟approntamento di ripari dalle intemperie che agevolino lo svolgimento degli scavi, sono tutte operazioni molto delicate e ricche di contraddittorie esigenze. Esse devono essere sufficientemente alte in modo da permettere di effettuare il lavoro di scavo ma non tanto da esporre le archeologie alle intemperie; devono garantire un buon grado di luminosità interna

100 Manfron

ma non tanto da accelerare i processi di formazione di vegetazione infestante e di muffe o il degrado dei pigmenti colorati; devono essere sufficientemente ampie per permettere lo sviluppo estensivo degli scavi, ma con strutture verticali di sostegno che interferiscano il meno possibile con la stratigrafia – magari ancora inesplorata – risultando stabili anche in caso di forte vento e quindi con controventature visivamente e fisicamente ingombranti.

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In campo archeologico sarebbe opportuno, solo nel caso di assoluta necessità, che una struttura protettiva che si sostituisce a quella provvisoria, sia immutabilmente valida: nel procedere a qualunque previsione progettuale o in una valutazione qualitativa a posteriori,

condizione fondamentale è l‟effettiva

reversibilità. Più corretto, in realtà, sarebbe argomentare di revocabilità della soluzione, in

quanto il concetto di reversibilità,

indipendentemente dal materiale utilizzato, è piuttosto impreciso, dato che ogni intervento modifica la situazione sulla quale si interviene. La paura di intaccare con le strutture l‟integrità dei reperti e la richiesta di riconoscibilità degli interventi giustapposti alle strutture antiche, oltreché le necessità di ricercare sistemi flessibili e modificabili nel tempo, ha condotto a scelte dettate da un incontestabile pragmatismo. All‟interno di un convinto e sempre più diffuso interesse per il destino ed il ruolo dei documenti archeologici, sempre più di frequente per la conservazione viene rivolto uno sguardo fiducioso alle opportunità offerte da nuovi sistemi protettivi, quali strutture reticolari impostate su griglie regolari e tensostrutture, soluzioni tecniche che, consentendo coperture di spazi anche su

pochi appoggi, e garantendo carichi

estremamente contenuti, promettono di

allungare le condizioni di permanenza e di esistenza dei resti archeologici esposti alle intemperie.

Si tratta di un approccio alle coperture definitive che, seppur valido per strutture poste con il dichiarato intento di essere effimere e legate alla vita del cantiere di scavo

e documentazione, non possono

meccanicamente essere traspostì per soluzioni che devono confrontarsi con lunghe durate. Si tratta di soluzioni dall‟industria, tutte estremamente valide, se correttamente pensate, dimensionate e realizzate e che possono rispondere adeguatamente a tutte le esigenze

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 69 di protezione e fruizione dei reperti, ma

esprimono spesso una sottovalutazione del ruolo di quei riferimenti critici che sono invece essenziali e prioritari nell‟adottare, anche per gli strumenti protettivi che non possono essere considerati delle necessità pratiche ed oggettive, la giustapposizione di un‟attrezzatura, la più neutrale possibile, che sia un‟efficace soluzione degli aspetti tecnico-

funzionali101.

Il compito di concepire, attraverso un progetto, coperture protettive sulle aree archeologiche, si inserisce inevitabilmente all‟interno di una articolazione critica certo più adeguata alla

reale complessità della problematica

archeologica, se ad esse non si richiede soltanto una soluzione degli aspetti tecnico- funzionali.

Questi limiti derivano dalla difficoltà di conciliare più istanze derivanti da ambiti

disciplinari contigui, ma distinti, che

confluiscono sul tema delle sistemazioni protettive, incidendo in maniera non sempre proficua, perché non operanti in maniera

congiunta: sono state operate spesso

rivendicazioni di appartenenza del tema, che

ha messo in contrapposizione i vari

specialismi, in maniera del tutto sterile.

Le pressanti esigenze del documento

archeologico, troppo spesso reso inerme, tanto dalla perdita delle protezioni strutturali

101 Nel corso dell‟Assemblea ordinaria dei soci ICOMOS, tenutasi a Napoli il 4maggio1984 sul tema “Ipotesi di coperture metalliche a protezione di zone archeologiche”, sono state prospettate numerose soluzioni protettive fondate su sistemi costruttivi dettati dalla praticità realizzativa, ma sono emersi ne contempo i limiti di una direzione che non sempre tiene conto delle specifiche qualità del documento protetto.

originarie, quanto dall‟esser privato, nello scavo, della protezione del terreno, sono certamente primarie e ineludibili, però va valutato che, se la ricerca archeologica è pervenuta ad una maturità che le consente di dialogare con le scienze limitrofe quali l‟antropologia, la storiografia, l‟etnologia e molti altri ambiti della conoscenza, un‟analoga

maturazione e consapevolezza non ha

coinvolto il momento dopo lo scavo, che in rari casi ha visto accendersi un vivo interesse, ma che normalmente è stato gestito, in particolar modo in Italia, come una perenne emergenza, che ha condotto a opere spesso modeste perché improvvisate, altre volte inopportune nell‟aspirare a qualità estetiche del tutto autoreferenziali ed ingiustificate.

Il rapporto con il tempo, e più precisamente con la temporaneità delle soluzioni utilizzate nelle area archeologiche, ha trovato oggi nuovi problemi del tutto inediti con cui confrontarsi. Il tema della copertura, come si è visto, ha una sperimentazione pluridecennale e la presenta di coperture all‟interno dei siti ha finito per connotare il “paesaggio archeologico” come la risultante delle molte azioni che su di esso si sono stratificate dopo che le attività di scavo si sono concluse.

Le soluzioni approntate nei vari sito sono generalmente il prodotto del tempo nel quale sono state concepite, per cui, molte di esse, sono espressione di intenti di“armonizzazione” con il reperto che proteggono e con il contesto, che lega i caratteri di un determinato

intervento al suo preciso momento

realizzativo.

Ma dietro alla parola “armonizzazione”,

apparentemente innocente e ovvia, si

nascondono non pochi rischi di una

interpretazione, tendenzialmente estetizzante, fondata prevalentemente sul gusto, cosa che ha generato non poche confusioni.

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 70 La tendenza ad evidenziare attraverso modi

costruttivi e materiali concepiti per l‟edificio

protettivo le qualità dei documenti

architettonici rinvenuti, si manifesta in forme tendenzialmente più efficaci in relazione al diffondersi delle concezioni architettoniche del movimento moderno. Fino alla metà del secolo scorso, infatti, il rapporto di estraneità tra il reperto originale e la più recente

realizzazione protettiva è scarsamente

sottolineato. Accade anche che ci si ispiri intenzionalmente alla tecnica muraria del documento ospitato, rendendo talvolta non facile stabilire dove finisca l‟antico reperto e dove abbia inizio la struttura protettiva.

Un caso singolare è quello del‟edificio protettivo realizzato ad Aquileia, nella zona di scavo presso via Giulia Augusta, sulle rovine di un oratorio proto cristiano con pavimento in mosaico, dove è stata tentata la via di armonizzare per struttura e materiale il padiglione mirando a dare un aspetto di una costruzione rurale, al pari di quelle nei dintorni. Appare, anche ad un occhio contemporaneo, una soluzione meditata ed equilibrata, per quanto lasci il dubbio su quali siano i termini più oggettivi nei quali potrebbe tradursi il concetto di armonizzazione di un oggetto architettonico con il reperto e con il contesto, mettendo in secondo piano l‟aspetto museografico, cioè la comunicazione delle qualità dell‟oggetto rinvenuto.

All‟interno di un atteggiamento

esclusivamente pragmatico, un generico buon gusto viene non di rado ritenuto un criterio sufficiente: il grado di “semplicità” di una struttura può nascondere posizioni ideologiche ed opinabili se ci si riferisce a valutazioni più approfondite sulla qualità del manufatto protettivo.

Che il carattere di semplicità possa costruire una qualità apprezzabile ma non sufficiente in riferimento all‟ambito delle coperture nei siti archeologici, traspare anche nella copertura

degli ambienti, con pavimenti musivi, dei resti

del palazzo vescovile di Mileto:

un‟architettura non pretenziosa e non troppo invasiva sull‟immagine ampia dello scavo, ma che non contribuisce, tuttavia, a far percepire al visitatore l‟architettura dell‟opera originaria, la cui identità culturale risulta sminuita e falsata.

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