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129 La presa d‟atto dell‟illusione della trasparenza,

e delle vana ricerca di soluzioni eteree e impalpabili, mostra con estrema forza quali siano le responsabilità dell‟architettura, non solo come atto tecnico ma principalmente come atto critico e significante.

La giustapposizione di un sistema di protezione può, infatti, avere anche effetti violenti: può arrivare a stravolgere il rapporto tra reperto e luogo, nonostante gli intenti siano volti alla tutela del documento. Emblematico in tale senso è l‟esempio del tempio di Apollo

Epicuro a Bassae143. Giancarlo De Carlo144 ne

143 Vd. scheda 06 144 De Carlo

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 110 descrive il rapporto con il luogo sottolineando

in prima istanza la solitudine e l‟apparente autonomia percepibili giungendo al tempio da Andritsaina: «Non c‟è traccia di costruzione a perdita d‟occhio che possa dare riferimento ai parametri dei suoi spazi, per ritrovare poi nella sua disposizione nello spazio, nei suoi materiali, nel suo programma figurativo, una relazione imprescindibile con il contesto».

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Costruito con la pietra calcarea delle montagne che lo circondano, il tempio, nell‟interpretazione di De Carlo, si dispone in modo che gli abitanti delle vicina Figalia, committenti dell‟opera, provenendo dal versante occidentale del monte Paleokrato e quindi giungendo al tempio “da rovescio”, lo percorressero tutto per giungere sull‟orlo dell‟abisso della valle, godibile dal pronao- belvedere. La tensostruttura che oggi riveste il

tempio recide qualsiasi relazione tra

archeologia e il luogo su cui (da cui) sorge. Non c‟è possibilità di operare una doppia lettura del testo così come ha fatto De Carlo, né di ritrovarne gli elementi.

Ogni paesaggio, per quanto ovviamente modificato dai processi di adeguamento e di trasformazione subiti nel tempo, contiene ancora una grado di compatibilità e di congruenza con l‟idea del paesaggio antico. Una idea di congruenza e non di coincidenza perché anche il nostro modo di percepire i fenomeni e le cose è mutato e sembrerebbe ingenuo e velleitario ricostruire astrattamente un‟immagine dell‟originale adattata alla nostra percezione.

Tuttavia per quanto trasformato, il luogo rappresenta una occasione importante per descrivere e comprendere percettivamente il sito archeologico: la struttura protettiva partendo dalla vasta e dilatata percezione del paesaggio, in un graduale succedersi di eventi ordinati, entra in rapporto con l‟immagine del rudere, e il paesaggio può essere sentito come parte attiva del progetto, costituendone un‟ invariante con la stessa potenza e vitalità di quanto invariabile è il complesso archeologico stesso.

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 111 Ciò è evidente e significativo nelle aree di

scavo di ampie città: il caso di Pompei, seppure nella sua eccezionalità, mostra come sia centrale la compatibilità figurativa nella scelta delle protezioni da apporre a case e templi. Ogni puntuale elemento giustapposto, volto alla protezione di una singola parte necessariamente si inserisce nel paesaggio urbano più ampio. Il rapporto tra luogo e progetto di conservazione, così come ogni

progetto di architettura, può essere

l‟occasione, se frutto di scelte critiche ponderate, di evocare e rappresentare immagini significative, ovvero la qualità delle figurabilità. Il progetto di conservazione può porsi come mezzo di “risarcimento visivo” dell‟ambiente attraverso lo studio selettivo dei caratteri originari da recuperare mediando l‟inserimento di nuovi elementi, tratti dal mondo moderno, al fine di amplificare le valenze percettive fondamentali.

Seppure il moderno interesse non sia più volto solo a ciò che poteva essere lo spazio urbano prima della modificazione, ma anche alle regole ed ai prodotti di quelle trasformazioni continue, avvenute all‟interno del sito, secondo un approccio ricettivo del luogo e del suo paesaggio trasformato, le complessità e le

contraddizioni poste dai tanti interventi “dissonanti” hanno modificato, in maniera più o meno consapevole, la scena urbana, ponendosi spesso come delle fastidiose e moleste intromissioni. Nell‟ottica di una moderna idea di comunicazione, il progetto di protezione può diventare segnale percettivo, proiettare l‟edificio nell‟ambiente come uno schermo, aumentando il suo poter di comunicazione attraverso la modificazione di senso e di scala degli oggetti così da ottenere effetti imprevedibili sul manufatto e sul paesaggio. Se invece si predilige quella particolare relazione che lega luogo e progetto, che esiste tra una determinata situazione locale e i documenti che si vuole riabilitare, si otterrà un preciso punto di partenza vincolistico e funzionale, una sorta di predisposizione “normativa” del luogo naturale ad essere costruito in un determinato modo.

Nel caso di Pompei, per quanto sia doveroso garantire reversibilità e identificabilità degli interventi, è parimenti doveroso per chi ha la responsabilità della tutela dei reperti dell‟area, ripresentarli nelle condizioni in cui erano al momento della tragedia: il fascino di Pompei non è la rovina, la città morta, la drammatica distruzione, ma l‟integrità del documento che

LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 112 consente il recupero di un quadro di vita in

altri casi difficilmente raggiungibile. Molti dati sono andati perduti e non sempre è perseguibile una corretta interpretazione filologica, se non con un inaccettabile margine di ipoteticità: ciò rende inevitabile che l‟immagine di Pompei – ma l‟osservazione può estendersi anche alle parti messe in luce ad Ercolano, Oplintis e Stabia – sia legata, alla memoria degli attuali fruitori, all‟idea della città colpita da un violento fenomeno naturale e non a quella di una città viva, prima della catastrofe, che per molte parti è recuperabile. Davanti al problema di ripristinare le coperture – per assicurare alle strutture superstiti la necessaria protezione dagli agenti atmosferici e per operare un “risarcimento visivo” – è richiesta non solo capacità tecnica nel prefigurare e realizzare gli interventi ma anche la capacità di valutare l‟incidenza sulla

godibilità del singolo manufatto e

sull‟immagine della città consolidatasi nella cultura moderna.

Se nei casi vesuviani tali considerazioni portano ad accogliere i suggerimenti offerti dalla tradizione, che oltre a indicare forme, geometrie e sviluppi spaziali indica anche i materiali e le tecniche, che se coerentemente utilizzate, vanno a contribuire al valore dell‟unitarietà del sito, questa possibilità non è sempre data.

Molte tipologie di reperto non sono così disposte ad una interpretazione: non sempre le memorie dell‟antico si dispongono in maniera dialettica ad un possibile intervento che preveda il “risarcimento visivo”. Il risultato dell‟attività di protezione può, infatti, addirittura generare confusione e spaesamento. Il caso della foresta fossile rinvenuta alla fine degli anni ‟70 a Dunarobba, presso Avigliano in Umbria, ha richiesto una soluzione immediata ed efficace per la protezione della fragile materia riportata a contatto con l‟aria. La scelta di apporre delle elementari tettoie a coprire i resti dei circa cinquanta tronchi di

conifera è sicuramente efficace, o quanto meno evita i problemi più gravi di esposizione diretta alle piogge, introducendo però una serie di segni nel paesaggio agricolo, che generano possibili confusioni: le tettoie rimandano ai ricoveri per il fieno che normalmente punteggiano la campagna e non hanno il potere né di segnalare eccezionalità del luogo, né di suggerire le qualità del reperto sottoposto.

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LE PROTEZIONI DELLE AREE ARCHEOLOGICHE.ARCHITETTURA PER L‟ARCHEOLOGIA 113 L‟utilizzo di sistemi che necessariamente si

intromettono in un determinato contesto con segni inediti da intendersi come aggiunte

necessarie, funzionali, ma difficili ad

escludere mentalmente nelle lettura e nella valutazione generale, può indurre anche a stravolgimenti di senso di determinati contesti.

È il caso delle chiese copte a Lalibela145 in

Etiopia, dove le necessità protettive, hanno portato all‟esigenza di apporre imponenti tettoie ai monumentali complessi scavati direttamente nella roccia. L‟introduzione di segni molto dissonanti dalla natura dei luoghi, comporta un ribaltamento dei significati: là dove le attività umane hanno operato per sottrazione di materia, ricercando una totale mimesi nel territorio, l‟ingresso di presenze estranee che svolgono la funzione di richiamo anche a grande scala, provoca una profondo disorientamento linguistico, un metalogismo. Analogamente, nella necropoli di Monterozzi a Tarquinia, la funzione protettiva e di accesso ad alcuni dei preziosi ipogei sepolcrali è svolta da piccoli edifici, costruiti con materiali

poveri della tradizione agricola, che

accompagnano la ripida pendenza del dromos antico. Qui il grado di confusione semantica è decisamente alto: la necropoli, che per la natura della tipologia funerarie si presentava nel territorio come dei rigonfiamenti del

terreno accessibili solo dalle puntuali

“assenze” degli accessi, sono segnalate nel paesaggio da “presenze” emergenti, stridenti con la natura archeologica e allusive a figurazioni avulse dal contesto storico.

145 Vd. scheda 04

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