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Emilia-Romagna: lo sviluppo dei servizi di salute mentale territorial

Novità normative e giurisprudenziali in tema di trattamenti sanitari obbligatori.

3. Emilia-Romagna: lo sviluppo dei servizi di salute mentale territorial

Il primo passo verso la regionalizzazione della tutela della salute venne compiuto con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 “Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975 n. 382, art. 1 - Trasferimento e deleghe delle funzioni amministrative dello Stato “. Con il richiamato decreto furono affidate alle regioni le funzioni di programmazione e di organizzazione dei servizi inerenti all’assistenza sanitaria ed ospedaliera. Solo con l’art. 7, della legge n. 180/1978 vennero espressamente trasferite alle regioni “le funzioni amministrative concernenti l’assistenza psichiatrica in condizioni di degenza ospedaliera già esercitate dalle province”, lasciando a queste ultime la competenza sull’assistenza psichiatrica ambulatoriale e domiciliare (extra-ospedaliera). La norma lasciò “libertà” di collaborazione tra le province e gli ospedali generali deputati all’assistenza ospedaliera, in tal modo molte amministrazioni provinciali poterono impedire non solo ogni attività decentrata sul territorio, ma anche l’apertura degli stessi servizi speciali di diagnosi e cura presso gli ospedali generali.

Nello specifico la riforma psichiatrica si è sviluppata in simbiosi con la legge n. 833 del 1978, consentendo un approccio complessivo ai problemi della sanità che consiste nel “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza del cittadino nei confronti del servizio”.

In Emilia-Romagna al momento della riforma esistevano otto Case di cura private con oltre 700 posti letto; la scelta politica fatta nell’immediato dopo-riforma fu quella di integrarle progressivamente nella assistenza dei servizi pubblici. Tale integrazione è stata raggiunta completamente solo con un accordo siglato nel 2009. Dei 700 letti ospedalieri originari oggi restano circa 70 letti integrati nel circuito della emergenza- urgenza a coordinamento pubblico e circa 290 sono divenuti letti residenziali, in buona

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parte utilizzati per soddisfare esigenze di specializzazione del sistema (doppia diagnosi e gravi disturbi di personalità). In Emilia-Romagna la specializzazione è stata promossa soprattutto in termini di programmi e percorsi e ha comportato la necessità di costruire servizi territoriali e non solo di abbattere il manicomio.

Il processo di chiusura dei manicomi in regione è stato graduale e accompagnato da un contestuale trasferimento delle risorse ai servizi territoriali; nel 1978 in Emilia- Romagna erano attivi 10 manicomi che ospitavano 5.200 pazienti; già nel 1981 i pazienti in manicomio erano circa 2.500 e gli operatori sul territorio 800, nel 1994, alle soglie del completamento della chiusura dei manicomi questi ospitavano ancora 599 persone e 3.000 professionisti lavoravano all’esterno mentre, nel 1997, i professionisti del servizio pubblico che lavoravano nei servizi di salute mentale erano 4.000141.

Il forte coordinamento regionale sulle attività di salute mentale, che si è concretizzato sin dalle origini nella creazione di un apposito servizio, è sicuramente stato uno degli elementi che ha consentito al sistema di produrre una relativa omogeneità al suo interno, di rappresentarsi come una comunità professionale unitaria e ha permesso di preservare le risorse umane e finanziarie allocate al manicomio ed averle trasferite alla assistenza territoriale. Un risultato tutt’altro che scontato visto che in diverse regioni italiane le risorse assegnate ai servizi territoriali sono state inferiori e a volte concentrati alla sola fase di riduzione delle dimensioni dei manicomi senza avviare assistenze.

In Emilia Romagna lo sviluppo dei servizi di salute mentale ha attraversato due fasi: La prima di deistituzionalizzazione che ha avuto come obiettivo principale la chiusura degli Ospedali psichiatrici ed ha comportato la contestuale attivazione dei Centri di Salute Mentale (CSM), dei primi Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), delle strutture intermedie di tipo semiresidenziale.

Infatti con la L.R. 31 luglio 1978, n. 25: “Riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica”, la Regione Emilia-Romagna, nell’ambito dei compiti di programmazione e di coordinamento di cui all’art. 7 della L. n. 180/1978, si propone la realizzazione delle seguenti finalità:

- tutela e promozione della salute mentale attraverso attività svolte a livello prevalentemente territoriale e rivolte alla prevenzione, alla cura ed al reinserimento sociale;

141 Fioritti A., Lo Russo L., Il Dire e il Fare. Governo Regionale ed Evoluzione dei Servizi psichiatrici in

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- coordinamento dell’organizzazione dei presidi e dei servizi per l’igiene mentale e l’assistenza psichiatrica con le altre strutture sanitarie e sociali operanti sul territorio; - graduale superamento degli ospedali psichiatrici, loro diversa utilizzazione anche attraverso programmi definiti di riabilitazione, e individuazione di forme alternative d’intervento nei confronti degli attuali lungodegenti manicomiali.

I piani d’intervento dovevano prevedere:

- la costituzione, nell’ambito di ciascun consorzio per i servizi sanitari e sociali, di un servizio per l’igiene mentale e l’assistenza psichiatrica col compito di svolgere in modo unitario il complesso delle funzioni di prevenzione, cura e reinserimento sociale;

- l’individuazione degli ospedali generali nell’ambito dei dipartimenti di emergenza di cui si propone, ai sensi della L. n. 180/78, l’istituzione di specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura, con l’indicazione del personale occorrente e del numero dei posti-letto messi a disposizione, da individuare, di norma, nell’ambito di quelli assegnati al servizio di accettazione-astanteria;

- le modalità secondo le quali, per garantire la continuità dell’intervento sociosanitario a tutela della salute mentale, le attività in regime di ricovero vengono funzionalmente ed organicamente collegate, in forma dipartimentale, con quelle svolte a livello territoriale; - le modalità dell’eventuale diversa utilizzazione delle strutture dell’ospedale psichiatrico precedentemente destinate all’attività di osservazione e degli altri presidi psichiatrici pubblici di ricovero per brevi degenza, assicurandone l’organico e funzionale inserimento nel complesso delle attività svolte dal servizio per l’igiene mentale e l’assistenza psichiatrica: in particolare, le strutture e i presidi suddetti, posti in grado di assistere un numero limitato e definito di pazienti, anche in relazione a parametri programmatori sovra-consortili, debbono funzionare secondo moduli non ospedalieri, favorendo il sollecito reinserimento degli assistiti nel contesto sociale; - le modalità per favorire l’apporto di qualificate competenze tecnico-scientifiche tra cui quelle degli istituti universitari;

- le eventuali interrelazioni con le case di cura private autorizzate a svolgere l’assistenza psichiatrica ai sensi della L. n. 180/78;

- le modalità per il superamento della lungodegenza manicomiale; a tal fine vanno individuate adeguate soluzioni residenziali a livello territoriale e va favorita la diversa utilizzazione delle strutture manicomiali esistenti.

Il servizio per l’igiene mentale e l’assistenza psichiatrica svolgeva in modo unitario e in forma dipartimentale il complesso delle funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione

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riguardanti la tutela della salute mentale e il recupero ed il reinserimento sociale dei ricoverati nelle istituzioni manicomiali. Assicurava l’assistenza a livello domiciliare e ambulatoriale presso gli ospedali e presso le strutture residenziali e semiresidenziali e attua i programmi di prevenzione e di reinserimento sociale in conformità alle norme della L.R. n. 25/1978 e alla programmazione sanitaria regionale.

La seconda fase di costituzione dei servizi di salute mentale dal 1997 ad oggi si caratterizza per alcuni elementi di originalità nel contesto nazionale. Tra questi vanno sicuramente sottolineati la creazione di dipartimenti di salute mentale e dipendenze patologiche, comprensivi della disciplina della neuropsichiatria infantile; l’integrazione della università nei dipartimenti territoriali; il ruolo progressivamente crescente della partecipazione delle associazioni di utenti e famigliari alle scelte ed alle realizzazioni sul campo; la ricerca di forme sempre migliori di integrazione con i servizi sociali e socio-sanitari; il sostegno alla ricerca ed alla innovazione nei servizi.

Questi momenti sono stati ispirati dai due Progetti Obiettivo (1994/1996 – 1998/2000) “Tutela della salute mentale” Nazionali, che hanno rappresentato la prima regolamentazione a livello nazionale volta a dettare i principi direttivi e i criteri guida per strutturare, in maniera tendenzialmente omogenea, il sistema dei servizi per la salute mentale sul territorio nazionale. I punti cardine erano:

a) la costruzione in tutte le U.S.L. di una rete di strutture territoriali psichiatriche e strutture ospedaliere;

b) l’aumento e la diversificazione delle competenze professionali degli operatori del settore per metterli in grado di svolgere la maggiore complessità dei compiti loro affidati;

c) lo sviluppo dell’organizzazione dipartimentale del lavoro, dotando la rete dei servizi psichiatrici delle U.S.L. di una precisa responsabilità tecnica e gestionale, che garantisca il funzionamento integrato e continuativo dei servizi stessi;

d) il definitivo superamento dell’ospedale psichiatrico.

Tuttavia proprio il risultato non soddisfacente dell’attuazione della riforma, la scarsa articolazione dei servizi, nonché il ritardo nel predisporre strutture ed interventi sul territorio, ha prodotto inevitabilmente un sovraccarico funzionale alla famiglia, che ha portato soprattutto in passato a diffusi fenomeni di rigetto della stessa filosofia della L. 180/78. Tale disagio ha preso corpo, in numerosi interventi delle associazioni dei familiari dei malati, finalizzati all’ottenimento di risposte efficienti a bisogni sempre più complessi.

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Con il Progetto obiettivo nazionale 1998-2000 (P.O.) si è tentato di colmare le lacune che connotavano il precedente progetto. Infatti, se da una parte si può affermare che, pur con differenti gradi di realizzazione, il modello dipartimentale era stato avviato e che la de-ospedalizzazione era un fatto quasi compiuto, dall’altra, la salute mentale, specie in età evolutiva (nelle forme domiciliari, ambulatoriali, semiresidenziali, residenziali e ospedalieri), continuava ad offrire servizi carenti, permanevano inoltre lo scarso coordinamento e la conflittualità tra le varie figure professionali e non si era riusciti ad implementare le reti informali di solidarietà creando una collaborazione con il terzo settore e le famiglie. Il secondo P.O. ha perciò individuto alcuni interventi prioritari: a) promuovere la salute mentale nell’intero ciclo della vita, dall’età evolutiva all’anziano;

b) perseguire la prevenzione, sia primaria che secondaria, del disagio giovanile; c) salvaguardare la qualità di vita del nucleo familiare del paziente;

d) ridurre il numero ancora elevato di suicidi e tentati suicidi; e) ricostruire il tessuto affettivo, sociale e relazionale del paziente.

Elemento caratterizzante è rappresentato dalla programmazione dei progetti terapeutici e di risocializzazione, dall’incremento degli interventi della rete sociale e familiare, oltre che dalla limitazione della cronicità e delle pratiche assistenzialistiche.

La Regione Emilia-Romagna con il Piano sanitario regionale 1999-2001 aveva individuato quattro aree prioritarie di attività dei servizi:

1. promozione della salute mentale e prevenzione del disagio psichico, dei disturbi mentali e delle disabilità psicofisiche;

2. pronta e completa risposta alla emergenza-urgenza; 3. presa in cura e trattamento intensivo;

4. riabilitazione e trattamento prolungato finalizzato al reinserimento sociale.

La prima area aveva come riferimento funzionale la comunità locale, le organizzazioni della società civile e i servizi distrettuali del DSM, in forte e concreta collaborazione con gli Enti locali, quale contesto dell’articolazione dei servizi sanitari e sociali del territorio.

La seconda area aveva come riferimento funzionale la rete dei Servizi di assistenza e di ricovero del DSM (SPDC e Servizio regionale di psichiatria e psicoterapia dell’età evolutiva) e l’interrelazione con l’ospedale generale, il Servizio “118” e il Servizio di guardia medica prefestivo, festivo e notturno, la medicina generale e la pediatria di base.

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La terza area aveva come riferimento funzionale la rete dei Servizi di assistenza e di ricovero del DSM e la loro articolazione con la medicina e la pediatria di base, la medicina specialistica ambulatoriale, i servizi ospedalieri e gli altri servizi sociali e sanitari pubblici e privati.

La quarta area ha come riferimento funzionale la rete dei Servizi distrettuali e aziendali del DSM in stretta integrazione con gli altri servizi sanitari e sociali, che portano a valorizzare il rapporto dei servizi dipartimentali con le comunità riabilitative pubbliche e private, in particolare con le cooperative sociali per l’addestramento professionale e l’inserimento lavorativo della persona con disturbo mentale grave.

L’obiettivo era quello di mettere al centro della organizzazione e direzione il confronto e il consenso degli operatori sull’attivazione e sulla qualità delle prestazioni sanitarie. Il coinvolgimento di tutti gli operatori era il presupposto per la costruzione del catalogo dei servizi erogati, come risposta appropriata alla domanda di salute mentale dei cittadini e per la formalizzazione di un sistema di garanzia della qualità, come continuo miglioramento dei Servizi in relazione alla valutazione degli obiettivi raggiunti. Per elevare la cultura della qualità e per organizzare un nucleo di operatori con specifiche competenze in ogni DSM è stato avviato per il periodo (1999-2001) un Progetto regionale su “Lo standard di prodotto nei DSM tra garanzie per i cittadini e strumenti di pianificazione”.

Altro elemento strategico necessario all’evoluzione della salute mentale nel contesto regionale era la “presa in cura” del paziente sia dal punto di vista organizzativo che funzionale.

La facilitazione dell’accesso ai servizi e il miglioramento dei percorsi della rete assistenziale, con particolare riguardo all’assistenza domiciliare: individuazione del Centro di salute mentale e del Centro di Neuropsichiatria Età Evolutiva come centri di accoglienza, che coordinano e regolano tutti i percorsi assistenziali della rete dei servizi nelle aree di competenza; apertura nelle 12 ore diurne e consulenza ai servizi sanitari e sociali dell’azienda.

Il Miglioramento della qualità e della organizzazione dei Servizi di salute mentale: attivazione del sistema informatizzato psichiatrico (adulti) costruito nell’ambito del progetto regionale “Standard di prodotto nei servizi psichiatrici del DSM” con la partecipazione di tutte le AUSL; la costruzione di un catalogo dei servizi erogati, come risposta appropriata alla domanda di salute mentale e come sistema di garanzia della qualità.

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Era stato attivato un Progetto regionale di “Integrazione dei medici e dei pediatri di base nei percorsi assistenziali del DSM” con l’obiettivo di “catturare” il disagio psichico sommerso.

Questa attenzione al superamento di ogni barriera (culturale, logistica e organizzativa) che rendeva problematico al cittadino il potersi rivolgere al Servizio Sanitario, doveva comportare non solo una più razionale dislocazione ed erogazione delle prestazioni ma anche una maggiore specializzazione dei servizi del DSM.

Le innovazioni richieste dalla legge regionale 23 dicembre 2004, n. 29, i successivi atti di indirizzo per la organizzazione del Servizio Sanitario Regionale e la costruzione del Piano Sociale e Sanitario costituiscono una grande opportunità per i Dipartimenti di Salute Mentale che nel corso del 2006 saranno chiamati a ridefinire la loro missione e la loro organizzazione complessiva. Più in generale si deve avviare una fase di programmazione che nel giro di un anno porti le varie componenti del processo di salute mentale (professionisti, direzioni aziendali, associazioni di utenti e familiari, università, privato sociale ed imprenditoriale) a condividere una proposta di modello e di contenuti che abbia respiro strategico e che garantisca un consolidamento delle pratiche psichiatriche sulla utenza tradizionale ed una maggiore apertura alle nuove fasce di popolazione che presentano bisogni di salute mentale. Questo sforzo prenderà forma nella preparazione e realizzazione della II Conferenza di Organizzazione sulla Salute Mentale alla quale tutte le Aziende nelle varie articolazioni interessate sono chiamate a dare il loro importante contributo. Gli obiettivi comuni a tutte le Aziende USL sono: 1. partecipare al percorso regionale di riconversione dei posti letto dell’ospedalità privata;

2. revisione completa a livello aziendale e di Area Vasta del fabbisogno dei posti letto in strutture residenziali psichiatrici (pubblici e privati) di tipo sanitario e socio- assistenzale;

3. realizzazione del Programma regionale “Giuseppe Leggieri”, riguardante il trattamento integrato del paziente con disturbi mentali nella Medicina Generale;

4. applicazione delle linee-guida regionali in tema di collaborazione tra Neuropsichiatria Infantile e Pediatria di Base, secondo quanto previsto dall’elaborato dell’apposito progetto regionale;

5. completamento della messa a regime della raccolta dati del Sistema Informativo Regionale per la Salute Mentale;

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6. partecipazione dei professionisti delle UO di Psichiatria e NPIA alla preparazione ed alla realizzazione della II Conferenza di Organizzazione sulla Salute Mentale.

Il punto di sintesi di questa seconda fase dello sviluppo dei servizi di salute mentale in Emilia-Romagna può essere considerato il Piano Attuativo Salute Mentale 2009-2011 integrato nel 1° Piano Sociale e Sanitario 2008-2010.

Il Piano Attuativo introduceva importanti novità nelle politiche di salute mentale in Emilia-Romagna:

1. inseriva il sistema della cura in salute mentale all’interno del sistema di comunità, chiamando a responsabilizzare tutte le componenti sociali e politiche alla realizzazione della tutela della salute mentale, anche in ambiti come la scuola, i luoghi di lavoro, i servizi sociali ed educativi;

2. chiamava a collaborare tutti gli attori portatori di interessi e opportunità ai processi di generazione della salute mentale: amministrazioni regionali e locali, aziende sanitarie, scuole, autorità giudiziaria, utenti e familiari in forma singola o associata, terzo settore, Università, società scientifiche, organizzazioni sindacali, esplicitando ruoli ed attese per ciascuna di queste componenti. Venivano creati contesti consultivi e partecipativi regionali (Consulta regionale per la salute mentale) e locali (Comitati Utenti Familiari ed Operatori) con il contributo di ciascuna componente.

3. per il sistema di Comunità veniva definito il ruolo di coordinamento dell’Ente Locale;

4. per il sistema di cura veniva sancita la scelta di avere i Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche come perno del sistema, con le sue componenti di Psichiatria Adulti, Neuropsichiatria Infantile e SerT;

5. il sistema di cura vedeva finalmente la piena integrazione pubblico-privato sia con l’accordo con le Case di Cura Private, che mantenevano solo una piccola porzione dei propri letti con codifica ospedaliera (pienamente integrati nel circuito della urgenza- emergenza) e riconvertivano la maggior parte dei letti in strutture residenziali per scopi specialistici;

6. venivano riviste le funzioni e le attribuzioni dei centri di salute mentale, del sistema della emergenza urgenza, del settore residenziale, avviando in ciascuno di questi settori iniziative ed attività che avrebbero perseguito una ulteriore deistituzionalizzazione ed un radicamento sul territorio e nella prossimità dell’intervento e della cura;

7. veniva rilanciata la rete dei servizi di Neuropsichiatria Infantile, definita come “la rete delle reti”, in virtù della vasta gamma di condizioni di cui si occupa (disabilità

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intellettiva e neuromotoria, disturbi dell’apprendimento, psicopatologia della infanzia e dell’adolescenza e malattie neurologiche) ognuna delle quali richiede una rete a sé, con dimensioni locali, aziendali e regionali;

8. veniva riconosciuto il ruolo fondamentale delle Università nella formazione e nella ricerca, nella produzione di evidenze a partire dai servizi del mondo reale;

9. veniva ribadito e sostenuto l’impegno dei DSM-DP a farsi carico della cura e della riabilitazione dei pazienti autori di reato, cosa che avrebbe portato alla riduzione degli internati negli OPG e, una volta mutato l’assetto legislativo, ad aprire le prime REMS in Italia nel 2015;

10. veniva aperta la strada alla specializzazione per programmi e percorsi, per un numero limitato e ragionato di problematiche specifiche;

11. venivano infine assegnati obiettivi specifici a tutti gli attori del piano con scadenze e verifiche, cosa che risultava una assoluta novità rispetto ad ogni altra programmazione precedente.

Il Piano si è però declinato in un decennio di trasformazioni sociali ed economiche talmente veloci e radicali da sollecitare tutte le istituzioni pubbliche a cercare nuove soluzioni, non sempre facili. Alcune parti del Piano Attuativo, nello specifico quelle che riguardavano il sistema di comunità e l’integrazione socio-sanitaria, hanno incontrato serie difficoltà nella loro realizzazione. Più in generale l’espansione dei bisogni di salute mentale a fronte della riduzione delle risorse ha messo e sta mettendo a dura prova la tenuta dei servizi.

Per questo motivo l’Amministrazione Regionale ha inteso ripensare radicalmente la propria pianificazione sociale e sanitaria, avviando i lavori per il Piano Sociale e Sanitario 2017 – 2019 sancendo alcuni principi. Per dare risposte efficienti ai nuovi fenomeni sociali e, di conseguenza, ai mutati bisogni sociali e sanitari, il sistema di welfare regionale deve rendersi ancora più dinamico, orientandosi verso percorsi assistenziali e reti cliniche e sociosanitarie, piuttosto che modelli organizzativi, semplificando procedure amministrative e avvalendosi delle risorse disponibili, tra cui le nuove tecnologie. Un welfare comunitario, dunque, dinamico e delle responsabilità, che presuppone un cambiamento di visione sia da parte dei cittadini sia da parte di chi programma, gestisce e opera nei servizi. Questo principio viene declinato attraverso tre obiettivi strategici:

1. Lotta all’esclusione, alla fragilità e alla povertà. Da raggiungere e realizzare attraverso tre strumenti: la legge regionale sull’inclusione socio-lavorativa, la legge

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regionale sul Res, il Reddito di solidarietà e l’attuazione del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) introdotto dal governo. Saranno questi i tre “pilastri” di un nuovo modo di concepire i servizi, far operare il personale e costruire relazioni con gli utenti.

2. Distretto quale snodo strategico e punto nevralgico dell’integrazione sanitaria, sociale e socio-sanitaria.

3. Far nascere e sviluppare strumenti nuovi di prossimità e di integrazione dei servizi sanitari e sociali. Un esempio concreto sono le Case della Salute, modello fondamentale dell’integrazione sociale e sanitaria.

Il Piano individua inoltre cinque aree di intervento trasversali alle politiche regionali: