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A conclusione di questo capitolo, relativamente allo stato della ricerca e della cultura elettrica italiana, si può affermare che all’inizio della prima guerra mondiale il numero dei corsi universitari non era aumentato in modo significativo, non erano stati fondati nuovi istituti di ricerca e in quelli esistenti i finanziamenti non erano aumentati, anche perché l’industria non aveva contribuito in tal senso. Quest’ultimo era un aspetto particolarmente rilevante. La Edison, fino all’inizio della guerra, non diede aiuti finanziari all’IECE, anche se molti dei maggiori nomi della Edison erano anche docenti del Politecnico di Milano. Quanto detto testimonia come la ricerca necessaria all’industria avveniva al di fuori dell’università, nei cantieri, nelle officine, negli studi professionali, in qualche raro caso, come alla Pirelli, in laboratori industriali.

L’elettrotecnica italiana, nonostante fosse sviluppata e capace di raggiungere alcuni rilevanti risultati, non poteva essere considerata simile a quella dei maggiori Paesi industrializzati, anche se non era comunque agli ultimi posti. La condizione della suddetta elettrotecnica italiana emergeva dall’autorevole bollettino internazionale “Science abstracts”, dal quale risultava che la percentuale dei lavori italiani sul totale dei lavori segnalati si aggirava, negli anni precedenti il conflitto mondiale, attorno all’1%: precisamente 1,5% nel 1911, 1,4% nel 1912, 1,5% nel 1913 e 0,92% nel 1914. Questi dati sarebbero stati in realtà minori, se non si fossero considerati quei lavori che, pur compresi nella sezione dell’elettrotecnica, erano in realtà di elettrofisica o di radiotecnica.

L’attività di ricerca scientifica in campo elettrico aveva avuto uno sviluppo meno rapido di quello dell’industria elettrica (come testimoniato dal fatto che l’Italia era, per potenza elettrica installata, il sesto o il settimo Paese del mondo e per la sola potenza idroelettrica addirittura il terzo); tuttavia l’industria elettrica italiana si sviluppò maggiormente con l’imitazione di quanto veniva fatto all’estero, piuttosto che con un proprio singolare impegno. Tale industria fu quella che diede maggiore impulso alla ricerca scientifica e maggiori aiuti ebbe da essa, in quanto gli altri settori industriali, da quello meccanico a quello chimico, a quello siderurgico, a quello tessile, fino alla prima guerra mondiale, ebbero con la scienza e la ricerca rapporti pressoché nulli.

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In conclusione l’industria elettrica italiana dipendeva dall’estero in taluni settori strategici, come quello delle macchine elettriche, che più di ogni altro richiedeva un forte supporto da parte della ricerca scientifica.

STORIA DELL’ELETTROTECNICA

L’elettrotecnica circuitale, ovvero la

all’invenzione della pila di A. V

La teoria delle reti, sotto l’impulso di un elettromagnetismo condizionata dalle richieste di

circuitale-applicativo, inerente a concetti quali la potenza e l’interazione magnetoelettrica

proprio della teoria dei campi dell’elettromagnetismo. La storia della teoria delle reti

ingegneria elettrica.

3.1 Origine della teoria delle reti elettriche stazionarie

formulò i due noti principi inerenti ai circuiti elettrici; in base a questi principi, quando si connett

componenti in modo da costituire una rete di generatori e di resistori, si vengono a determinare, in base alla particolare

configurazione realizzata, relazioni algebriche immediate, di nodo e di maglia, fra le tensioni

CAPITOLO III

STORIA DELL’ELETTROTECNICA CIRCUITALE

’elettrotecnica circuitale, ovvero la teoria delle reti elettriche, ha origine

Volta e alla scoperta della legge di Ohm.

l’impulso di un elettromagnetismo sempre più perfezionato richieste di una tecnologia in rapida evoluzione, dovette conciliare l’aspetto

inerente a concetti quali la corrente alternata, la dinamica

l’interazione magnetoelettrica delle macchine, con l’aspetto prettamente teorico lla teoria dei campi dell’elettromagnetismo.

a storia della teoria delle reti elettriche può essere identificata con la storia della moderna

Origine della teoria delle reti elettriche stazionarie

Il 1826 fu un anno decisivo per la teoria delle reti elettriche stazionarie, in quanto proprio in quell’anno

3.1), sotto l’influenza degli studi compiuti da J. sulla diffusione del calore, enunciò la sua famosa seguito alla quale ebbe origine

la suddetta teoria.

Successivamente nel 1841 J. P. Joule enunciò la legge sulla dissipazione legata ai fenomeni conduttivi e nel 1847 G. Kirchhoff (fig. 3.2) noti principi inerenti ai circuiti elettrici; in base a questi principi, quando si connettono tra loro più componenti in modo da costituire una rete di generatori e di resistori, si vengono a determinare, in base alla particolare

configurazione realizzata, relazioni algebriche immediate, di nodo e di maglia, fra le tensioni

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CIRCUITALE

teoria delle reti elettriche, ha origine in seguito

sempre più perfezionato, evoluzione, dovette conciliare l’aspetto la dinamica delle reti di con l’aspetto prettamente teorico

può essere identificata con la storia della moderna

Origine della teoria delle reti elettriche stazionarie

r la teoria delle reti elettriche quell’anno G. S. Ohm (fig. , sotto l’influenza degli studi compiuti da J. B. Fourier sulla diffusione del calore, enunciò la sua famosa legge, in

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e le correnti. Tali relazioni, insieme al legame costitutivo tensione-corrente proprio di ciascun componente, rappresentano, secondo il linguaggio attuale, il modello matematico della rete. Della configurazione delle connessioni tra componenti si sarebbe occupata la cosiddetta topologia delle reti, dei legami costitutivi dei componenti si sarebbe interessato il complesso di discipline, quali l’elettromeccanica, l’elettronica, l’automatica, l’energetica, che, nel corso di questo secolo, sono andate rapidamente sviluppandosi a partire dal tronco primario dell’elettromagnetismo. Così impostata, la teoria delle reti elettriche stazionarie progredì rapidamente. Nel 1853 H. L. F. von Helmholtz enunciò il principio di sovrapposizione degli effetti e quello, ad esso legato, del generatore equivalente. Quest’ultimo, passato pressoché inosservato, sarà ripreso e sviluppato nella sua forma attuale nel 1883 da L. C. Thévenin. La sua versione duale, meno immediata, sarebbe stata infine formulata presso i laboratori Bell, nel 1926, da E. L. Norton.