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Con l’aumento, dovuto all’espansione industriale, della richiesta di potenza la tecnica della corrente continua, con i suoi modesti valori di tensione in gioco, si trovò del tutto inadeguata, sia nelle potenze unitarie generabili, sia sulle distanze valicabili con gli elettrodotti. Occorreva a questo punto il passaggio alla tecnica della corrente alternata e quindi all’uso del trasformatore, grazie al quale, per le successive sezioni di generazione, trasmissione e distribuzione, potevano essere adottati i livelli più idonei di tensione.

Tale passaggio, comportando l’uso di algoritmi più onerosi di quelli richiesti dalla corrente continua, colse di sorpresa i tecnici, mettendone in luce il modesto livello di preparazione. In quei tempi soltanto E. Mascart, J. Joubert (44), A. Potier, O. Heaviside e G. Ferraris avevano alcune concrete conoscenze sull'argomento. Esse, mutuate da approfondimenti in altri settori, non apparivano tuttavia ancora consapevolmente indirizzate all'elettrotecnica. In realtà la teoria dell'alternata, una volta confermata da parte dei fisici la validità della legge locale di Ohm per i regimi lentamente variabili, era già totalmente implicita nelle equazioni di Maxwell; bastava integrare queste equazioni in corrispondenza ad ingressi sinusoidali lentamente variabili. Ciò non accadde. Nella maggior parte dei casi si preferirono infatti metodi “alternativi” assai più complessi.

magnetico concatenato e rispettivamente rappresentative dei tubi di flusso disperso e comune.

44 A Mascart e Joubert, con il famoso trattato in 2 volumi pubblicato tra il 1882 e il 1886, si deve la prima concreta diffusione, presso la scuola continentale ispirata all’Ecole, delle idee campistiche di scuola inglese. Si tratta di un testo che, rivisitato oggi, non cela il non ancora completo superamento dei residui di meccanicismo presenti nella “Dynamical Theory”; tale superamento avverrà infatti circa un decennio dopo grazie alla “Electromagnetic Theory” di Heaviside. Ai 2 studiosi francesi va comunque il merito, di aver dato un primo esempio postmaxwelliano di trattazione completa ed organica per elettrici della teoria elettromagnetica.

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Uno dei contributi al regime alternato sinusoidale si deve a Galileo Ferraris, il quale, nel dimostrare la fattibilità tecnica del trasformatore, ne dedusse il rendimento, formalizzando allo scopo la formula della potenza attiva

P = VIcosɸ. (3.5.1)

Restava, tuttavia, aperto il problema più oneroso e cioè la messa a punto di algoritmi integro-differenziali, con cui trattare il regime sinusoidale. La questione era molto complessa. Un’indagine condotta nel 1890 mostrò che negli Stati Uniti solo quattro università (MIT, Armour Institute ed altre due) prevedevano tra le materie di studio il calcolo differenziale. Una prima soluzione giunse nel 1885 con la pubblicazione, su “The Electrician”, da parte del matematico Thomas Blakesley di un ampio e cruciale articolo dal titolo "Alternating currents". In esso, sfruttando la corrispondenza tra sinusoidi e vettori rotanti, la ricerca della soluzione di regime veniva ricondotta ad una serie di costruzioni grafiche da compiersi su vettori rotanti sincroni con il semplice ausilio di righello, compasso ed alcuni concetti di trigonometria. Quasi contemporaneamente G. Kapp, studiando i trasformatori, adottò questo stesso approccio. Risultò in tal modo possibile mettere a disposizione dell’elettrotecnica tutto quel patrimonio di potenti e consolidate costruzioni grafiche che, da tempo, erano proprie della Scienza delle Costruzioni.

La risposta degli elettrici fu immediata. Confermata preliminarmente l'isofrequenzialità e la sinusoidalità della risposta di regime, le equazioni dei circuiti divenivano in tal modo molto più semplici. Soprattutto esse risultavano più maneggevoli rispetto alle equazioni differenziali, così tanto lontane dalla formazione di base dei tecnici dell'epoca. Nel contempo, provenendo essi in gran parte da ingegneria meccanica o civile, la dimestichezza con la statica grafica risultava per loro un percorso concettuale obbligato ed efficace. Lo stesso C. P. Steinmetz accolse con entusiasmo il contributo di T. Blakesley e di G. Kapp e nel 1893 introdusse la trasformata, che portava il suo nome. In essa il metodo degli esponenziali complessi, già adottato da L. Euler, A. J. Fresnel e successivamente nel 1847 da H. von Helmholtz, si fondeva con il metodo dei vettori rotanti di Blakesley, Kapp e Kennelly. L’approccio, convertendo in forma algebrica complessa la soluzione di regime di equazioni integro-differenziali, si rivelò essenziale per la corrente alternata. Aveva origine in tal modo il cosiddetto metodo simbolico.

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Nel campo delle potenze, correlandola all’accumulo energetico nei campi elettrico e magnetico, fu introdotta la potenza reattiva:

Q = VIsenɸ (3.5.2)

e successivamente fu introdotta la potenza apparente:

A = VI. (3.5.3)

Tali legami furono poi unificati nel dominio fasoriale da Steinmetz mediante una relazione del tipo seguente:

A = V x I* (45), (3.5.4)

la quale ricondusse la potenza complessa al formalismo proprio della corrente continua. Di tale potenza P. Boucherot, con un principio nel seguito rigorosamente dimostrato da P. Langevin, avrebbe enunciato la conservazione in una qualunque rete lineare e in regime sinusoidale.

L’estensione al regime periodico non sinusoidale, resa possibile dalla serie di Fourier, avrebbe condotto alla teoria di C. Budeanu e con essa alla nozione di potenza deformante (1927). Sarà infine B. Tellegen nel 1952, con il suo teorema della conservazione delle potenze virtuali, a darne, in una forma elegante e stringata consentita dal moderno approccio topologico alla teoria delle reti, la dimostrazione attuale valida in qualsiasi regime di funzionamento.

45 I simboli in grassetto rappresentano grandezze complesse, l’asterisco indica il complesso coniugato di un numero complesso.

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3.5.1 Il metodo simbolico (46)

Con il metodo simbolico (47) è possibile associare ad una grandezza sinusoidale funzione del tempo del tipo

a(t) = Asen(ωt) (3.5.1.1)

un vettore rotante nel piano complesso del tipo

a = A . (3.5.1.2)

Con tale approccio è possibile trasformare un’equazione integro-differenziale in regime variabile alternato sinusoidale in un’equazione algebrica complessa; per esempio considerando la seguente equazione

v(t) = R ∙ i(t) + L ∙ di(t)/dt, (3.5.1.3)

inerente ad un circuito ohmico-induttivo in regime variabile sinusoidale, nella quale risulti v(t) = Vsen(ωt) ed i(t) = Isen(ωt - ɸ) (3.5.1.4) con ɸ angolo di sfasamento della corrente rispetto alla tensione, ed andando a sostituire nella 3.5.1.3 a v(t) il vettore rotante

v = V (3.5.1.5) ed a i(t) il vettore rotante

i = I ( ɸ), (3.5.1.6) si ottiene la seguente equazione:

V = R ∙ I ( ɸ) + L ∙ d (I ( ɸ))/dt. (3.5.1.7) Svolgendo l’operazione di derivazione e semplificando il termine a primo e secondo membro, ipotizzando verificate determinate condizioni, si ottiene:

46 Il metodo simbolico viene presentato nel testo in modo semplificato e sintetico, al solo fine di fornire un’integrazione ed un chiarimento della trattazione storica dell’argomento.

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V = R ∙ I ɸ + j ∙ ω ∙ L ∙ I ɸ. (3.5.1.8) Posto I = I ɸ e V = V, dove I e V sono rispettivamente il fasore della corrente e della tensione, ovvero dei numeri complessi costanti (vettori fissi nel piano complesso), l’equazione 3.5.1.8 diventa:

V = R ∙ I + j ∙ ω ∙ L ∙ I, (3.5.1.9)

che rappresenta una relazione di tipo algebrico nel campo complesso, come volevasi dimostrare. Più in generale con il metodo simbolico alle grandezze elettriche come tensione o corrente con la stessa pulsazione viene associato, secondo Steinmetz, il rispettivo fasore ed ogni elemento circuitale viene sostituito con l'impedenza complessa corrispondente. Si risolve quindi il circuito, come se fosse un circuito resistivo, applicando la legge di Ohm e le leggi di Kirchhoff simboliche, ed infine si ritorna alle grandezze sinusoidali antitrasformando.

Il metodo simbolico, dovuto a C. P. Steinmetz, apparve solo nel 1893 con la memoria dal titolo “Complex quantities and their use in Electrical Engineering”. Le grandezze reattanza ed impedenza erano comunque già state introdotte da Joubert nel 1880 in occasione delle prove compiute su un grande alternatore Alliance. Ulteriori contributi vennero poi da Heaviside con le grandezze ammettenza e suscettanza. L’accettazione di questo approccio non fu tuttavia immediata; per molto tempo numerosi studiosi incredibilmente preferirono operare con il laborioso approccio scalare-trigonometrico. Ancora nel 1896 “Electricity in the service of man”, un manuale di 900 pagine, non riservava alcuno spazio alla “matematica dell’alternata”, perché la riteneva estranea agli scopi del libro stesso.

3.5.2 La corrente polifase

Legata al geniale artificio di combinare campi magnetici oscillanti prodotti da altrettante correnti alternate, la tecnologia polifase prese ben presto a diffondersi. Partendo da avvolgimenti fissi, un sistema di tale tipo, concepito originariamente da Ferraris in forma bifase, conduceva ad un campo magnetico rotante, grazie al quale un cilindro, che vi fosse immerso, poteva essere forzato alla rotazione. Nel seguito, con M. Dolivo-Dobrowolski (1891), si diffuse il sistema trifase. Egli lo preferì al precedente bifase, osservando come l'aumento del numero delle fasi, oltre ad accrescere l'uniformità in senso spaziale del campo

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magnetico al traferro, consentisse, in ipotesi di simmetria fisica del sistema, la presenza di una potenza istantanea costante.

Il primo approccio circuitale al sistema trifase fu di tipo classico; ogni configurazione trifase veniva vista come la “riunione” di due monofase distinte, aventi in comune il terzo filo come ritorno. Corrispondentemente i vari componenti venivano riguardati come tripoli in senso elettrico. Quanto allo studio delle variabili descrittive necessarie in questo caso, esso conduceva alle nozioni di grandezza di fase e di linea.

Nel seguito, con Stokvis (1914) e C. Fortescue (1918), si passò al metodo razionale; ogni sistema trifase, pensato a simmetria fisica, veniva considerato come il risultato della sovrapposizione di tre distinte reti trifase simmetriche, denominate di sequenza diretta, inversa ed omopolare. Ciascuna di queste, proprio in virtù della sua simmetria, poteva a sua volta essere ricondotta ad un circuito monofase equivalente. In tal modo, complice il principio di sovrapposizione, l’analisi delle reti trifase riportava senza eccezione a quella di reti monofase equivalenti, una per ciascuna sequenza.