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Ercole l’ho conosciuto per caso Era sì, il padre dell’uomo col quale ho vissuto per diciotto anni – questo non è stato un caso – ma di avere incontrato Ercole come individuo

CAPITOLO SECONDO

LETTERA APERTA: LO STILE E LE PRINCIPALI ESPUNZION

II.5 Dentro il testo, per una lettura filologica

23 Ercole l’ho conosciuto per caso Era sì, il padre dell’uomo col quale ho vissuto per diciotto anni – questo non è stato un caso – ma di avere incontrato Ercole come individuo

(intelligenza) fine a se stessa, slegato dalla sua casa e dai suoi figli, e come tale averlo amato (percepito) è stato un caso, ancora non me ne capacito. Ma è stato così ed ora che è morto (già altre volte ho fatto questa esperienza, non è la prima volta che incontro la morte) perdo un braccio che si era viziato (impigrito) (anchilosato) in gesti d’amore ma, col tempo me ne nasce un altro pulito e rapido. La morte, lo so ormai, amputa parti di te viziate per farle rinascere nuove, innestate nel meglio che quell’amore ti aveva dato. Morendo, una persona dà la sua vita per un’altra. Altre volte mi è accaduto, ma non volevo riconoscerlo (accettarlo) e questo perché troppo insistentemente ci hanno ripetuto che la morte è solo amputazione. E non è a caso che lo ripetono: lo fanno per soggiogarci ad avere paura della morte, per tenercela sempre presente e distrarci così dalla nostra vita carnale; convincerci che l’azione è inutile essendo noi su questa terra solo di passaggio e spingerci a credere che abbiamo bisogno di Dio, di immortalità. Ma oggi con Cecov ripeto: “Campagne simili sono per me incomprensibili, vietare all’uomo l’indirizzo materialista vuol dire proibirgli la ricerca della verità. All’infuori della materia non vi è alcun esperimento probante, non vi è scienza e quindi neppure verità.” Ercole si è 24 caricato, andandosene, di tutte le emozioni morbide e timorose che il suo viso, la sua intelligenza mi avevano incrostato addosso e che fatalmente, mischiava nel latte fertile della sua voce ricca, tormentata da una ricerca insonne, disperata. Irretito nel dubbio della validità dell’azione, attanagliato dal credo Manniano: il genio nasce solo dalla malattia-reazione alle teorie naziste se assunte in una lettura storica ma paralizzante se assorbita nelle emozioni come credo etico-estetico. Così Ercole, individuo immerso nel suo momento storico, figlio di Amleto e fratello di Thomas Mann, come poteva liberarsi dalla rete dei suoi dubbi-malattia? Morendo, con quest’ultimo gesto chiarificatore (ordinatore) s’è trascinato nella sua bara croste e morbidezze lasciandomi pulita, arricchita del suo viso pacificato sul cuscino. È per questo che come mi accadde quattordici anni fa, davanti al sorriso composto di mio padre, e dopo davanti alla fronte serena di mia madre, ringrazio oggi Ercole di avermi liberata e fatto ricordare come si muore. Si muore così per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere. E so che quando sarà per me, sarà giusto e utile, per me è per le persone che amando, ho anche necessariamente, oppresso. Non temo la morte. Temo il delitto che c’è in natura e che uccide a tradimento, prematuramente. Questo temo: la natura criminale. La natura è criminale; il diavolo esiste e dio è un’invenzione degli uomini per calmare la loro paura davanti al fulmine, ai vulcani ai segreti della materia. Infatti, leggi 25 l’antico testamento; è il parto di menti primitive, non ancora in possesso di nessun mezzo per dominare gli elementi. Oggi forse avrebbero inventato qualche altra cosa. In gergo teatrale si direbbe: il Diavolo è il protagonista ed io un’antagonista senza efficacia. Non vorrei mai avere assegnata una “tinca” tale in una recita. “Tinca”, per quelli che non hanno dimestichezza col teatro, sono quelle parti (ruoli) lunghe, verbose che stanno sempre in scena ma che non hanno ma[i] una battuta, uno scatto che può strappare l’applauso del pubblico... scusate, sto scherzando... ma cosa c’è di meglio per conoscere un individuo che i suoi scherzi? Eh, sì, bisogna scherzare qualche volta, è un mezzo per tirarci fuori dagli impicci, per non prendere se stessi troppo sul serio; per staccare dal proprio viso e dal viso degli altri questa maschera serissima che noi stessi e gli altri ci incolliamo al viso. E se Rilke non aveva tutti i torti quando accusava “l’ironia” di essere uno strumento di critica esclusivamente negativa, arida e distruttrice, un torto pure lo aveva: di enunciare questa sua teoria senza un

101 Si corregge l’indicazione di G.PROVIDENTI, La porta è aperta, cit., pp. 14-15, che attinge il passaggio sulla “natura

criminale” indistintamente da I e da LA, collocandolo con “LA inedito p. 73-74”; si tratta invece di A, VII pp. 23-24, ammesso che la studiosa si riferisca al dattiloscritto e non a un manoscritto.

briciolo di ironia. Lo scherzo, l’humor, l’ironia sono il sale della mente. Il sale. Senza sale il corpo muore. Per Cecov il sale era una ribellione per lui ribellione era anche [di] ironia. Per mio padre e mia madre – una delle poche cose sulle quali andavano d’accordo – il sale della vita era l’odio e la ribellione. Peccato che loro d’ironia non ne sapessero niente. Certo nel momento in cui sono vissuti ed hanno lottato l’ironia era un gusto troppo grande, ma è un 26 peccato lo stesso perché questo li ha portati a lottare il fascismo con la stessa stentorietà e rettorica propria del fascismo. Questo ti faceva – ho scoperto con l'orrore che potete immaginare – un po’ fascisti. Ma quello di lottare il nemico con le sue stesse armi mi pare sia un vizio che temo sarà molto difficile levarci. E del resto Voltaire, nella voce “fanatismo” del suo Dictionaire non si scopre (rivela) forse il più fanatico dei credenti? Vecchio vizio che ho anch’io; a volte lo scorgo in una nota, un accento della mia voce un po’ più forte, più carica (vibrante) di quella che dovrebbe essere. È da un anno che l’ho individuato questo vecchio vizio rintanato tra le pieghe della mia voce, ma ci casco sempre e non so come estirparmelo. Ho una gran paura, non vorrei mai trovarmi a lottare contro... Saragat con le armi di Saragat. Certo è difficile e se non ce l’hanno fatta loro come posso farcela io? Hanno lottato, certo, ma i loro gesti di tutti i giorni, i loro accenti declamatori erano... ma già, c’era anche d’Annunzio (don Nunzio, come lo chiamo con sufficienza una volta Giovanni Grasso (il grande), se potrò vi racconterò l’episodio). Eh, sì è imbarazzante: sono stati bravi, antifascisti, sindacalisti, ma non a caso mi hanno chiamato Goliarda, non ve l’avevo detto? Sì, Goliarda... Non vi ricorda niente questo nome?

7 (LA)

22 Si può non leggere

Ercole l’ho conosciuto per caso. Era sì, il padre dell’uomo col quale ho vissuto per diciotto anni – questo non è stato un caso – ma aver conosciuto Ercole slegato dalla sua famiglia, dai suoi figli, e come tale averlo amato, è stato un caso. Ercole immobile sul suo letto di morte. La sua fotografia (viva) nel mucchio polveroso di lettere, appunti, nastri, gomitoli di lane sbiadite, ammassate nel centro della stanza. Ho fatto male a cominciare. I suoi occhi mi sorridono dietro le lenti spesse. Sì: il sorriso pensoso (serio) di mio fratello Ivanoe. I tedeschi fuggono da Roma tra il frastuono dei carri armati che fanno tremare le pareti, la porta. La porta scossa da pugni furiosi. Le ruote tedesche fuggono lungo i muri, i portoni sbarrati: il lampadario sussulta. Ivanoe sorride rimpicciolito nella sua divisa. È la divisa che lo fa così piccolo, o sono io che sono cresciuta? «Scusami Goliarda se ho bussato così forte, ma temevo non ci fossi. Capirai, sarebbe stato un contrattempo spiacevole, dato che ho attraversato l’Europa, diciamo, a piedi.» I piedi sformati, avvolti in stracci sanguinanti. Sorride guardandosi i piedi immersi nell’acqua calda: «Finalmente (un po’ d’acqua calda) devo ammettere che, dopo tanto tempo, l’acqua calda è sempre qualcosa che scalda. La mamma dov’è?» «È stata male: anzi, sta male. Ha avuto un attacco…» «Di pazzia? Era prevedibile. Ma dimmi di te. L’accademia? Bene. Sono felice: hai trovato la tua strada. Certo, il teatro è sempre una strada niente affatto spiacevole per una donna. Vedo che lavori sodo, che sei riuscita a perdere il tuo accento da terrona. E cosa ti fanno studiare? Ah, d’Annunzio! Era 23 prevedibile. Attenta, Goliarda! Attenta a d’Annunzio! C’è qualcosa di artefatto nella tua voce. Attenta. Appena questi cari compagni che mi hanno accompagnato in questa passeggiata attraverso l’Europa si saranno ripresi, ti cercherò qualche opera di teatro che ti possa servire, diciamo, da antidoto a questo d’Annunzio.»

Nel mucchio, fra un ritaglio di giornale e le forbici arrugginite. Ho fatto male a cominciare.

Biblioteca universale a Lire I,20

n. 94

«Anna Peters» (Dramma in quattro atti) (Casa editrice Sonzogno - Milano)

Anna. Ma all’accademia non avrebbero mai permesso che Anfissa Ibsen, Pirandello Irina… Nell’indice dei titoli sono ancora segnati in rosso dalle mani tremanti di Ivanoe: «L’acqua calda scalda,» – aveva ancora freddo? Gli occhi di Ercole sorridono. Sorridono a me o al calore autunnale di Roma che lui ama tanto? Via Veneto non trema più per i carri armati tedeschi. Pacificata riluce teneramente dei cappellini rosa, malva, azzurri delle mogli degli ufficiali americani. La sua strada, il sole, il suo caffè. «Certo, Goliarda, che il nazismo non è l’opera di un pazzo. Certo che, come dici tu, questo sostenere che Hitler era un pazzo, è il trucco degli ignoranti, e non solo degli ignoranti, per tranquillizzarsi e sfuggire al dubbio atroce che la tanto infallibile storia possa concludersi in delitto, mostruosità. Eh sì, così loro, per starsene in pace seduti a Via Veneto, tranquilli nelle loro giachettielle di velluto, si dicono: quello che è stato è stato, perché un pazzo seguito da un gruppo di pazzi ha preso il potere. A noi che non siamo 24 pazzi questo non potrà mai avvenire. Eh sì, il nazismo non è stata l’opera di un pazzo. Devi leggere Goliarda, studiare. Si paga a non vere fatto il liceo. Si paga, come paghi adesso l’avere lasciato il teatro. Sei scontenta. È stata una pazzia.» Perché dopo aver parlato per ore, la sua fronte si piega ora rabbuiata sulla tazza del caffè che il cameriere gli ha portato? Non ci sono nubi: la luce attraversa i vetri dai suoi occhiali affilandogli lo sguardo come una lama. Conosco il bruciare di quelle pupille, la voce tagliente: «Cameriere, ho chiesto un caffè, non una brodaglia!» Tremante per quell’altro volto di Ercole, che sapevo poteva rivelarsi improvviso come la grandine, tacevo. «E che ne fai adesso? Che fai? Attenta Goliarda! Attenta a non diventare una fallita. Non mi convince come parli. Almeno, se attrice devi diventare, non diventare un’attrice leziosa, artefatta!» I suoi occhi sorridenti, vivi nel mucchio sul pavimento. Il suo viso ricomposto dalla morte mi sorride fra il bianco dei cuscini. È vero, Ivanoe, la morte non è solo amputazione. Morendo, Ercole si è trascinato nella bara tutte le emozioni morbide e timorose che il suo rigore, la sua intelligenza, mi avevano incrostato addosso, e che, fatalmente, mischiava nel latte fertile della sua voce. Ed è per questo che lo ringrazio oggi di avermi liberata e fatto ricordare come si muore. Si muore per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere. (E so che quando sarà per me, sarà giusto e utile, per me e per le persone che amando, ho necessariamente oppresso.) Hai ragione, Ivanoe, non bisogna temere la morte, ma il delitto che c’è in natura, e che uccide a tradimento, prematuramente. «Leggiti Leopardi, Goliarda, invece di tutte queste poesiole mistiche che parlano del bene e del male, e che esaltano la natura. La natura è criminale. Il diavolo esiste, e dio è un’invenzione degli uomini per calmare la loro paura davanti al fulmine. Quando sarai in grado di leggerti l’antico testamento, Goliarda, vedrai che altro non è che il parto di menti primitive, non ancora in possesso di nessun 25 mezzo per dominare gli elementi. Oggi forse avrebbero inventato qualche altra cosa.» Ivanoe sta scherzando. E quando sento nella sua voce fonda quel riso leggero che gli fa trasalire il verde cupo degli occhi – Ivanoe dagli occhi di cento e più colori – e arricciare le narici sottili come quando si beve insieme la sciampagnetta, non posso non seguirlo e ridere con lui.

Bisogna scherzare qualche volta, è un modo per tirarsi fuori dagli impicci. Lo scherzo è il sale della mente. Per mio padre e mia madre – una delle poche cose sulle quali andavano d’accordo – il sale della vita era l’odio e la ribellione. Peccato che loro d’ironia non ne sapessero niente. Certo, quando sono vissuti ed hanno lottato, l’ironia era un lusso troppo grande, ma è un peccato lo stesso, perché si sono trovati a lottare il fascismo con la stessa ottusità e rettorica del fascismo. Questo ti faceva – ho scoperto con l’orrore che potete immaginare – un po’ fascisti. Ma quello di lottare il nemico con le sue stesse armi mi pare sia un vizio che sarà molto difficile levarci. I miei genitori hanno lottato, certo, sono stati bravi, antifascisti, sindacalisti, ma non a caso mi hanno chiamata Goliarda, non ve l’avevo detto? Non vi ricorda niente questo nome?

NOTA: Vedo dai vostri visi che questa morte vi ha affaticati, e nel dubbio se buttarla o tenerla, l’ho comunque raccontata: perché non voglio dimenticarla. Ma per proteggervi dal doverla ascoltare, ho premesso un «Si può non leggere» o, come avrebbe detto il nostro caro fedele amico Tristram Shandy:

CHIUDETE LA PORTA

Tenendo conto dell’APPARATO III.6, nei capitoli riportati si nota un’omogeneità di contenuto tra I e A che viene meno in LA. In questa sede si può tentare un’ipotesi di interpretazione che volge più a favore dell’autrice che non di Siciliano, e suppone un intervento di riscrittura quasi totale del testo dedicato ad Ettore Maselli.

I e A riportano il riferimento a Cecov, Pirandello e Rilke, nonché l’esplicito rimando ad un altro personaggio reale, Giovanni Grasso, incontrato nelle lettere di Peppino Sapienza. Sono almeno quattro i punti chiave di I e A centrali nella narrazione: l’introduzione di Ettore e del valore che la sua figura ha nella propria formazione della protagonista, con cenno a Thomas Mann e ad Amleto; il tema dell’autobiografia, letto alla luce di un personaggio stendhaliano (Henry Brulard) e quello dell’ironia ma anche del fanatismo (politico), con rimandi sia letterario-filosofici sia biografici ai genitori della protagonista; il riferimento a Saragat (del tutto legato alla sua famiglia socialista) e l’introduzione del nome “Goliarda”.102 Intertestualmente è rilevante che Nina, ne L’arte della gioia, chieda a Modesta se Prando abbia letto il passo sul fanatismo in Voltaire.103

L’espunzione delle citazioni, fatta eccezione per il nome di Leopardi, ma anche delle considerazioni sul teatro e sulla morte – costante del romanzo, come si è già appurato – risulta, in un certo senso, una forma di censura – e forse autocensura – letteraria, agita con cognizione. Infatti è al personaggio di Ivanoe che sono affidate le valutazioni circa la storia e la guerra, il teatro e la religione, e sarà lui spesso, in LA – e con frequenza maggiore rispetto alla protagonista – a esporsi come voce narrativa che esprime opinioni.104 L’intento dell’autrice è quello di trarre i propri

102 Per questa in particolare si rimanda all’analisi di XLVI (I) e XLIV (A).

103 Cfr. G.SAPIENZA, L’arte della gioia, Roma, Stampa Alternativa, 1998, cap. 87, p. 567. Voltaire, in precedenza, era

stato citato nel cap. 31, p. 116, cap. 32, p. 118, 120.

104 Secondo un’intuizione della poeta Viviana Fiorentino, dichiarata a me privatamente, proprio «la forza del dissenso di

repertori dalla letteratura e dalla realtà, procedendo parimenti lungo un piano e l’altro, riscrivendo e ritrattando sempre la materia testuale e i diversi nessi.

Il binomio Copperfield-Sterne si estende, in questi capitoli, a Stendhal, narratore della sua stessa vita celata nel nome di Henry Brulard; è dunque ancora un motivo autobiografico a riaffacciarsi, in un triangolo letterario che accentua il livello narrativo-biografico di contaminazione di Lettera aperta.

La nota finale e la traccia di Sterne in LA sono leggibili come un apporto più recente rispetto alle prime due stesure del romanzo, un riferimento che se da un lato prosegue il gruppo dei capitoli precedentemente analizzati, dall’altro risulta ‘normativo’, incentrato su un solo autore che possa fare da fil rouge, come interpretato in precedenza.

Se si considera LA per intero, inoltre, la presenza del tema dell’occupazione tedesca e, più in generale della seconda guerra mondiale nella città di Roma (anche ne Il filo di mezzogiorno), questa risulta una costante assente in I ed A, versioni che conservano una cospicua parte riguardante la vita in Sicilia durante il ventennio fascista. L’uomo Luchino Visconti citato da Providenti insiste, invece, sugli anni romani di Sapienza, del pre- e dopoguerra. In effetti, anche la trascrizione del titolo Anna Peters105 riporta a un momento più tardo della biografia e rinvia, nella fattispecie, alle letture consigliate da Ivanoe, il quale raccomanda a Goliarda anche di distanziarsi da d’Annunzio – autore legato al fascismo.

L’incipit di LA è preceduto dall’indicazione “Si può non leggere”, che si ritrova già in I ed A; in particolare, nel dattiloscritto della prima redazione, prescrizioni e NOTE saranno più presenti, segno del voler tentare, da parte di Sapienza, la sfida alla scrittura di un romanzo sperimentale non in termini contemporanei – del tutto estraneo dunque agli esperimenti della Neoavanguardia o di altri – ma più legato alla letteratura modernista da un lato – genere che influenzò di certo la sua generazione e del tutto in linea con quest’ipotesi saranno i prossimi capitoli d’analisi –, in particolare ai moments of being woolfiani, ma anche, dall’altro, a modelli dei secoli antecedenti.

105 Cfr. A. TREVISAN, «RECITANDO SI IMPARA A SCRIVERE»: GOLIARDA SAPIENZA A TEATRO, TRA

Come già indicato, è stata Laura Fortini a riconoscere questa qualità nella prosa di Sapienza, ed in particolare in Lettera aperta saldandola ai momenti memoriali dell’infanzia. Eppure, l’analisi che si sta conducendo suggerirebbe di estendere la “consapevolezza” di cui tratta la Woolf anche a tutti quei passaggi che riguardano la scoperta di qualche vitale verità in età adulta.106

Se si considera l’elaborazione del testo finale, che in A spesso viene emendato nella forma e talvolta da digressioni che portano fuori dalla trama e dal tessuto narrativo vero e proprio, si noterà come esista ‘una progressione’ che inizia dal precedente nucleo di capitoli presi in esame e soprattutto dall’ottavo capitolo in avanti.

I prossimi testi provengono da due capitoli cassati in LA, che seguono nell’ordine VIII (I) e VII (A) e trovano con loro numerosi punti di contatto e una continuità di intenti.

IX (I)

67 SI PUÒ NON LEGGERE.

Ripensando, per la terza volta, ai nodi che legheranno questa mia storia che, forse, vi racconterò quando l’avrò imparata a memoria, la morte di Ercole me ne ripropone un’altra che avevo pensato (deciso) di tacervi dato mi sembrava che parlare di due morti così vicine (stonassero) (stridessero) o quanto meno potessero risultare affaticanti alle orecchie dell’ascoltatore. In Italia non è come in Sicilia: si evita sempre di parlare di morti e di morte. E c’era un’altra cosa che mi tratteneva: quest’altra appresa da un giornale, mi sembrò risvegliare 68 in me la stessa emozione di tutte le morti che mi è stato dato incontrare, ma vedo che non è così. Parlando con voi di Ercole, anche se assenti ancora, mi si è chiarito il senso della sua morte, della morte di mia madre, di quella di mio padre, della morte di Nazim Hikmet: amputazione (arricchimento) e liberazione, mentre per T. S. Eliot percepisco che passato il primo momento, sono altre le emozioni che provo davanti alla sua fotografia riprodotta su questo giornale. Avete notato, come per paura di qualsivoglia piccola verità, ambivalenza, o contraddizione che sospettiamo nelle nostre emozioni- fantasia, tendiamo ad affastellare (confondere) tutto, a non vedere chiaro: inforchiamo gli occhiali del bianco e nero e: questo l’amo, quest’altro lo odio, questo mi ha fatto solo del bene, questo solo del male? Eppure 69 Joyce aveva cominciato a sezionare col suo bisturi del dubbio (dubbio-bisturi) idee, concetti, miti, integrità, visi, linguaggio. Ma le sue parole graffiate (sanguinanti) sono ancora troppo… come vogliamo dire… smagate, adulte per

106 A proposito di ciò si legga il saggio di Virginia Woolf A Sketch of the Past (1939) ora in Moments of being, Harvest