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Una vocazione ‘laterale’: dalla recitazione alla scrittura

I. 4 «Sceneggiatrice non accreditata» tra sceneggiatrici accreditate

I.5 Una vocazione ‘laterale’: dalla recitazione alla scrittura

Per giungere a un passaggio successivo e immergersi nella ‘carne viva’ della scrittura di Sapienza – soprattutto del primo romanzo – può essere valido proporre una prospettiva critica aggiornata rispetto a quella sinora utilizzata. Grazie alle voci di Monica Farnetti, della filosofa Wanda Tommasi, di Cesare Garboli e dello psicanalista Massimo Recalcati lettore di Lacan si toccheranno i motivi della “vocazione” e del “desiderio” a essa legato a partire da due direzioni che paiono agire lateralmente all’opera, ossia secondo quel “pensiero laterale” cui si è fatto riferimento nell’introduzione. Questo, assunto “per estensione” del suo significato originario – che vuole un passaggio dal mondo della logica (scientifica) a quello creativo – sembra essere fecondo anche nel caso di Sapienza – da pensiero creativo ad ‘altrimenti creativo’, interno alle arti. I suddetti termini, inoltre, saranno letti cercando un’aderenza con le definizioni di Sapienza e una posizione che controbilanci quella della critica femminista applicata all’opera ma anche di altre letture della stessa. L’obiettivo di questo paragrafo sarà quello di cercare un varco tra l’esperienza di attrice e quella di scrittrice, seguendo possibilità provenienti da autori che Sapienza poteva aver conosciuto, incontrato, letto, studiato.

Goliarda Sapienza, come autrice non schierata e in perenne conflitto con l’ideologia, risulta un soggetto libero e svincolato da una visione univoca del sé, soprattutto negli anni di passaggio tra

pratiche diverse e negli anni in cui il femminismo e la psicanalisi lacaniana stavano nascendo ufficialmente, anche alla luce della sua età: nel 1965, infatti, quando conclude la versione integrale di Lettera aperta, ha quarant’anni. Affrontando le scritture private si incontrano alcune sue opinioni non nette rispetto al pensiero femminista e una volontà coerente di restare fuori dalle diverse frange del Movimento. Se si considerano tuttavia gli anni che seguono la scrittura de L’arte della gioia e, in particolare, le dichiarazioni post-Rebibbia sul femminismo (cui si è già accennato) ma anche i diari degli anni ottanta e, inoltre, il contatto con Adele Cambria, Armanda Guiducci, Anna Del Bo Boffino e altre,118 si riconosce, per Sapienza, un tentativo di appartenenza a gruppi; il “Gruppo di scrittura” fonda infatti un caso, in una dimensione ‘non militante’ in senso stretto e disallineata. Bisognerà tentare di “leggere tra le righe” le diverse posizioni, come ha auspicato in numerose occasioni anche Angelo Pellegrino, non relativizzando il pensiero dell’autrice ma estendendo il campo delle possibilità di collocazione alla luce di una formazione che integra o confuta posizioni diverse. Si avrà poi l’occasione di proporre alcune definizioni del “pensiero della differenza” e della prospettiva di Lacan che intendono tuttavia essere utili per estrapolare una diversa chiave di lettura del passaggio dal palcoscenico alla letteratura. Per arrivare a esso, tuttavia, si attraverseranno posizioni teoriche diverse a margine del testo e nel suo tempo e contesto.

Si apprende, grazie anche alla pubblicazione di Lacan in Italia a cura di Lamberto Boni (Lacan en Italie, La Salamandra, 1978) che lo psicanalista francese iniziò i suoi contatti con l’Italia intorno al 1953, ma le vere ripercussioni delle sue tesi si avranno, sul mondo culturale anche italiano, dopo il 1966 e dalla pubblicazione dei suoi Écrits per Seuil. Di certo Sapienza conobbe il pensiero di Lacan, dal momento che nell’epistolario inedito ne fa menzione in una lettera privata a Ignazio Majore. Il terapeuta che sarà un personaggio de Il filo di mezzogiorno – proprio editato nel ’66 da Enzo Siciliano – è un esponente storico della psicanalisi italiana che, negli anni settanta, ha fondato l’Associazione Italiana di Analisi Mentale; nel romanzo dell’autrice la terapia è messa in

118 A proposito delle relazioni con altre autrici e teoriche che accolsero il pensiero di Goliarda Sapienza si veda ancora

A. TREVISAN, «fermare la fantasia». Leggere L'università di Rebibbia di Goliarda Sapienza attraverso lettere e

discussione con argomenti non soltanto narrativi ma psicanalitici e – probabilmente – uno studio del dattiloscritto integrale farebbe emergere l’elaborazione originaria. Di certo, non avendo in questa sede l’opportunità di approfondirlo filologicamente – esso sarà preso in esame nel contesto del secondo capitolo –, può essere d’interesse notare che Goliarda Sapienza non fu la sola autrice italiana, in quegli anni, ad affrontare in modo diretto la terapia: Natalia Ginzburg, infatti, pubblicò un racconto dal titolo La mia psicanalisi sul quotidiano «La Stampa» del 16 marzo 1969 (Il filo di mezzogiorno usciva nel maggio ’69). In quella prosa, poi acclusa alla raccolta Mai devi domandarmi (Garzanti, 1970), Ginzburg suggeriva la stessa direzione indicata da Sapienza; la protagonista seziona e smonta – infatti – la simbologia dell’interpretazione dei sogni che lo psicanalista adotta: «mi ribellai e gli dissi che non era possibile che i sogni sempre fossero dei simboli, che io avevo sognato proprio mia figlia e mia madre e non rappresentavano un bel niente, semplicemente avevo nostalgia di loro».119

Nel 1981, anno della scrittura de Le certezze del dubbio (pubblicato da Pellicanolibri nel 1987), riemerge Lacan nella trama del romanzo (pp. 62-63) in un dialogo con Roberta:

…Deve aver sentito che ho associato il suo racconto con la psicanalisi perché tornando calma, pacata dice:

«Ti interessa Lacan?» Sto per rispondere ma lei continua:

«Non hai risposto subito, è segno che la pensi come me – non sarebbe la prima volta! Cara Goliarda, hai finito di meravigliarmi. È un po’ un fanfarone come tutti gli intellettuali francesi – che bei commercianti del loro intelletto, eh? Ma qualcosa c’è in quel dello specchio, l’altro, le parole… in ogni caso sempre diramazioni delle teorie del Grande Vecchio! O mi sbaglio?»

«Freud, vuoi dire?»

«Lo sai benissimo che parlo di lui, lo chiamavamo così là, non ricordi? Hai detto anche che lo invidiavi molto…».

«Ah sì?» chiedo io stupita della sua memoria. «Perché lo invidiavo?»

«Perché si deve essere divertito un sacco a disgregare le leggi della famiglia […] È che non è vero quello che tutte le femministe dicono di lui, non era misogino».

«Anche io non sono d’accordo, ma come fai a sapere che le frequento? Là di questo proprio non ne abbiamo parlato».

«Quella bella ragazza amazzone-style, che ti stava appiccicata in tribunale come un apone alla sua ginestra, è una femminista, e di quelle storiche anche, e lesbica anche, e ho l’idea che sia di quelle di “Pompeo Magno” anche»

119 Nell’edizione citata il racconto si trova a pp. 58-66. Si ricordi che, negli stessi anni, anche lo psicanalista Franco

Fornari coetaneo di Sapienza pubblicava il suo romanzo per Rizzoli Angelo a capofitto, come asserito nell’articolo A. TREVISAN, Muri ‘della mente’ e ‘del corpo’ nell’opera di Goliarda Sapienza, Pina Bausch e Francesca Woodman in «BETWEEN», Vol. VII, No. 14, Novembre 2017 <http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/2766/2709> (link verificato al 6/10/2019).

«Sì, è vero, ma come l’hai capito?»

Questo passaggio è citato in parte da Alberica Bazzoni,120 la quale si riallaccia anche a una pagina successiva (p. 156): «“Tu sei una comune, ma almeno femminista lo sei?” “Certo”, la rassicuro “come no!” “Ah ecco! Roberta mi aveva accennato a qualcosa” […]». La studiosa indica quello come il momento in cui Sapienza sembra dichiarare uno schieramento, anche perché nel 1981 lei era inviata per la rivista femminista «Quotidiano donna», come riportato nel romanzo (e come si è già appreso dalla lettera letta nei paragrafi antecedenti). È più probabile che il decennio ottanta segni invece la frequentazione con le ex-detenute e con altre femministe schierate di cui non conosciamo l’identità, ma anche sia un momento di ‘prova’ per saggiare la vicinanza ad altre scrittrici come lei, con cui vi era un rispetto reciproco, nonostante la dissimile visione del mondo. Come già proposto nell’articolo citato «fermare la fantasia», la presenza di Adele Faccio, Elena Marinucci,121 Gabriella Parca, Lella Golfo oltre ad Armanda Guiducci durante una presentazione de L’università di Rebibbia al “Circolo Mondoperaio” di Roma, e il contenuto della stessa che oggi conosciamo, spostano completamente l’attenzione su Sapienza e sulla sua opera. Si tratta di un’esposizione politica, in un ambito ristretto a cui non si era mai avvicinata, ma anche di un interesse che si muove verso di lei probabilmente grazie ad una conoscenza dell’ambiente radicale e socialista in quel periodo; d’altronde l’Associazione “Buongiorno Primavera” nasceva in seno al PSI, come rammenta Lella Golfo nell’intervista concessami (III.4). Ancora una volta il contesto di Sapienza cambia e fornisce alcuni parametri di lettura dell’opera evidenziando un suo ‘non totale’ isolamento.

Si è appurato sino a qui che lei conobbe una parte delle tesi di Lacan, così come aveva letto Freud e sapeva come servirsene testualmente; ciò emerge non solo nei suoi romanzi ma anche nei Taccuini. Nell’Agosto 1976 parla di «desiderio inconscio (pulsione umana presente in tutti) di

120 In A.BAZZONI, Writing for Freedom, p. 287.

121 La poi senatrice socialista fu frequentatrice del Teatro della Maddalena, fondato nel 1973 da Dacia Maraini e da

altre, tra cui Adele Cambria la quale, in un articolo del 2006 dal titolo La strana avventura di un successo: de bouche en

oreille. Goliarda Sapienza, la terribile arte della gioia, racconta che proprio in quel luogo – tra 1978 e 1979 si presume

– Sapienza le consegnò il dattiloscritto de L’arte della gioia. Cfr. A. TREVISAN, L’arte della gioia di Goliarda

idealizzare la figura di mio padre»122 riprendendo il tema poi come «desiderio di abbandono assoluto che […] probabilmente – ancora una volta – non è che paura» (Marzo 1979), avvicinandosi al cinquantaquattresimo di compleanno;123 il “desiderio di rimozione” è presente nel Filo ma anche durante il viaggio in Transiberiana. Nel Maggio 1990 appuntava invece: «quando leggo un libro brutto di una donna, cado in una demotivazione e assenza assoluta di volontà e desiderio anche di scrivere»,124 spostando – forse grazie al significato quotidiano del termine – il “desiderio” nella dimensione della letteratura. Le dichiarazioni che Sapienza consegna ai posteri provengono dall’elaborazione del percorso affrontato con la scrittura de L’arte della gioia, conclusa proprio nell’ottobre del ’76. Ancora nell’agosto annotava: «devo accingermi a un’ulteriore “rivoluzione” di tutto il mio sistema-regno fisico e mentale»,125 segnalando come il ‘dopo-Modesta’ avesse influito non solo sulla sua quotidianità ma anche sul suo pensiero. Si ricordi, inoltre, che è proprio nel grande romanzo che lei riconosce il valore del termine, facendo pronunciare a Mody proprio queste parole: «Le vie del desiderio sono infinite».126

Monica Farnetti ha inquadrato in questi termini il libro:

La novità violenta per Goliarda e Modesta è che non si parla più della forza femminile nelle sue accezioni secolari, millenarie: pazienza, passività, resistenza, sopportazione, tutte forme di forza potentissime, struggenti e nostre. Questo libro come Sensibili guerriere [di Federica Giardini, n.d.r.] ci parlano di una forza non più solo spirituale ma anche fisica, visibile e estrovertita, incarnata con i corpi, e che riesce a trovare i suoi gesti, le sue pratiche e le sue parole. […]

Una donna forte che voglia esprimere una sua forza non ha un ABC. E Modesta comincia a creare una grammatica della forza femminile, indica delle pratiche. L’importante è proprio questo suo iniziare ad aprire il discorso su un aspetto nuovo.

L’estroversione della forza femminile confina con la violenza; Modesta sa e apre questo problema: nel nostro sistema sociale la forza ma ancor di più la violenza rimane saldamente nelle mani degli uomini. E viene esercitata contro le donne.127

122 G.SAPIENZA, Il vizio di parlare a me stessa, cit., p. 9. 123 Ivi, p. 89.

124 G.SAPIENZA, La mia parte di gioia, cit., pp. 75-76. 125 EAD., Il vizio di parlare a me stessa, cit., p. 7.

126 EAD., L’arte della gioia, Roma, Stampa Alternativa, 1998, cap. 78, p. 503.

127 Questa posizione già riportata in Una voce intertestuale (p. 159) è stata sostenuta da Farnetti nell’ambito del

convegno genovese su Sapienza e dell’evento bolognese Focus su Goliarda Sapienza: immagini, parole e visioni che ha avuto luogo il 27 ottobre 2013 a Bologna, nell’ambito della settima edizione della rassegna di cultura lesbica

Soggettiva. Essa è stata articolata secondo un’ottica ‘di genere’ prendendo in considerazione il saggio curato da F.

GIARDINI Sensibili guerriere (Iacobelli, 2011) che pone come centrale la costituzione di una ‘grammatica’ della forza

La studiosa, intervenuta a partire dal 2009 sul romanzo, così procedeva:

Quella molla della nostra esistenza che ci fa stare in piedi e che ci porta verso qualche punto... L’incandescenza del libro è che mette in scena un personaggio in questa esplorazione della propria tensione, che chiama a chiare lettere “desiderio”, e che ci fa venire voglia di fare altrettanto. […] Modesta ha la capacità di rendere propria la vita che le è capitata. […]

Questa individualità precisa che parla di sé, ed è una delle controfigure di Goliarda, questa singolarità femminile è sghemba, crea dei ponti, delle relazioni. […] C’è una specie di singolarità condivisa che mette in gioco il lettore. […] Non ho le parole giuste: autodeterminazione, relazionalità; non mi piacciono le parole, ma non ne ho trovate altre.128

Farnetti ha avanzato inoltre l’ipotesi di un ulteriore titolo, ossia “L’arte del desiderare”, affermando che:

Modesta insegna l’intensità. Lei alza la soglia della percezione, ed insegna a vivere intensamente. […] Insegna l’eccesso senza autodistruzione; insegna il limite, le scatta. […] C’è qualcosa in questo testo [inoltre] un sentire femminile che si colloca sotto un segno positivo, cioè che non si colloca sotto il segno del dolore come grande maestro di sapere o maestro di visione. E questo perché lei non ospita il senso di colpa.129

Questo volume può dirsi un esemplare unico nell’esperienza autoriale di Sapienza, come già sostenuto in Una voce intertestuale, e l’interpretazione di Farnetti determinante per leggerne, in controluce, i contenuti. Rapportandosi ai romanzi su Rebibbia e alle scritture che “fanno corona” (per servirsi di un’altra definizione della studiosa) attorno a L’arte della gioia, è possibile che Sapienza risulti esplicita nella sua posizione di “intensità” ma anche “contraddittoria” nel dipanarsi dei suoi temi, tra cui quello del “desiderio”. In effetti, è stata proprio Armanda Guiducci, in quella presentazione del 23 febbraio 1983, a definire L’università di Rebibbia (che seguiva cronologicamente L’arte della gioia) come un libro in cui «c’è una specie di rapporto desiderato con il male e con la degradazione […] [ma] il libro scritto da Goliarda Sapienza non è assolutamente un libro scritto da una femminista». Lei proseguiva:

sento questa figura della trasgressione, del male come esperienza necessaria, come tonificante della personalità, come ampliante l’esperienza, io la sento come una modalità della [...] superba violenza maschile perché se rifletto e se mi rifaccio alla storia, io trovo che questa è una figura della sopraffazione di cui le spese storicamente sono state fatte

128 In Focus su Goliarda Sapienza, cit. 129 Ibidem.

dalle donne. Non è la donna l’inventrice; la donna non ha mai inventato una figura simile. La donna casomai è una imitatrice.130

Rileggendo ora in termini temporali le due figure di Modesta e della protagonista del romanzo- diario sul carcere (Goliarda-personaggio o “controfigura” del sé definita da Farnetti), mutuando questi due punti di vista critici, si può notare come essi siano conciliabili fra loro. Eppure, perseguendo la strada intrapresa nella monografia citata, risulterebbe più ragionevole «Separare congiungere» (come recita l’incipit di una poesia di Ancestrale) il più celebre volume da quelli del ciclo autobiografico, perché esso mette in campo un’invenzione del personaggio (o della “personaggia” secondo la critica femminista). Ed è probabile che Guiducci non sapesse che l’autrice cui si stava rivolgendo nel 1983 aveva completato un romanzo così vitale eppure intriso di violenza com’è L’arte della gioia che presenterebbe, secondo la critica attuale, tutti i temi del femminismo dell’epoca e degli anni a venire.131 Ad ogni modo, ciò che risulta leggibile nelle posizioni di Guiducci e Farnetti è un ordine di interpretazione che legge il significato della scrittura sulla scorta di posizioni del secondo femminismo, basato su un criterio teorico e sovrastrutturale al testo, che ne consolida i contenuti complicandone l’interpretazione.

Procedendo lungo questa direzione sarà necessario riassumere la prospettiva del secondo femminismo – che è in grado oggi di commentare una parte dell’opera di Sapienza – come lo si conosce dall’elaborazione più recente di Wanda Tommasi132 che afferisce a Diotima, e che ha elaborato in un suo testo la lettura del “desiderio” attraversando filosofia, psicanalisi e “pensiero della differenza sessuale”.

130 In Presentazione di L’università di Rebibbia (Rizzoli), 23 febbraio 1983, a cura dell’Associazione “Buongiorno

Primavera” al Circolo Culturale Mondoperaio di Roma, con Armanda Guiducci, Carla Faccioli, Gabriella Parca, Adele Faccio, Elena Marinucci, Marco Boato e Lella Golfo <https://www.radioradicale.it/scheda/4405/4418-luniversita- rebibbia> (link verificato al 12 febbraio 2019); l’appuntamento è stato già citato nell’articolo «fermare la fantasia».

131 A tal proposito si legga G.SCARFONE, Forme dell’alterità e dinamiche del matricidio: Goliarda Sapienza e il

pensiero della differenza in T. Pepe e A. Sartori (a c. di), Perspectives on Italian Difference/ Italian Differences in Perspective. Expressions and Repressions of Hybridity and Otherness, Brown-Harvard Graduate Conference in Italian

Studies “CHIASMI 2018”, Providence, Brown University, 6-7 aprile 2018. Qui, come nella citata monografia della studiosa, si anticipano delle pagine di Lettera aperta che saranno oggetto d’analisi nel secondo capitolo.

132 Il riferimento è al suo testo Ciò che non dipende da me. Vulnerabilità e desiderio nel soggetto contemporaneo,

Se la prima fase femminista italiana, legata specialmente a Carla Lonzi, si è contrapposta a Hegel, pensatore da mettere in discussione per far affiorare il “soggetto imprevisto”, la seconda ha invece smontato dapprima il pensiero di Freud circa il “desiderio” tacitato e asservito all’ordine patriarcale e fallico (come si leggerà) attraverso alcune voci decisive quali, ad esempio, quelle di Luce Irigaray e Luisa Muraro, che hanno portato avanti il “pensiero della differenza”. In seconda battuta, grazie al riferimento a Lacan, si arriva alla problematizzazione del concetto dal punto di vista della radice su cui il pensiero psicanalitico e quello della differenza poggiano:

Nel femminismo, il desiderio è visto come manifestazione sorgiva della soggettività, come espressione di autenticità di un soggetto femminile che prima non aveva avuto la possibilità di esprimersi: è visto come luogo di esposizione di un desiderio femminile altro, fuori dal simbolico dominante che è di impronta patriarcale. Mentre la psicanalisi insiste sull’origine inconscia del desiderio e sulla sua iscrizione nel simbolico suturato intorno al nome del Padre, il femminismo considera il desiderio come luogo privilegiato di espressione di una soggettività femminile capace di uscire dal simbolico dominante. Il femminismo ritiene che il desiderio femminile sia stato finora tacitato e misconosciuto nell’ordine patriarcale e nella stessa psicanalisi freudiana e affida alle donne il compito di far parlare il proprio desiderio, di essere fedeli alla sua economia non fallica.

Benché vi siano differenze di accento significative, il tema del desiderio centrale sia nel femminismo sia nella psicanalisi: il compito etico che Lacan affida ai suoi pazienti è quello di non cedere sul desiderio, si può dire che tale invito sia raccolto e rilanciato, sul versante femminile, anche dal pensiero e dalle pratiche della differenza sessuale.133

L’argomentazione prosegue dunque mettendo in luce le diversità e le simmetrie tra due modelli di pensiero in conflitto, cogliendo l’opportunità secondo la quale il “pensiero della differenza” possa apportare novità nell’elaborazione lacaniana. In effetti il “desiderio come mancanza (d’essere)” anche dal punto di vista del “godimento” sessuale – che per Lacan è “mortifero” – si rivolge sia alla sfera psicanalitica sia all’elaborazione di Irigaray e Muraro, che leggono il discorso di Diotima nel Simposio e riconoscono due istanze: quella di Diotima-Socrate e Diotima-Platone, che lascia spazio a un desiderio “senza possesso, di pienezza, senza mancanza, di autosufficienza”. 134 Nell’esplorazione di Tommasi, che si articola suggerendo in parallelo due linee che talvolta trovano derive complesse tra psicanalisi e femminismo appunto, si giunge a toccare l’aspetto “relazionale”

133 Ivi, p. 29.

del desiderio secondo Lacan, distanziato da quello sessuale, ed è ciò che interessa particolarmente questo discorso.

Di Massimo Recalcati si conosce la formazione come psicanalista lacaniano che da anni indaga l’opera del suo “maestro” a partire dal termine “desiderio”. Dopo l’excursus a proposito del desiderio nella scrittura di Sapienza e nel pensiero della differenza, si entri ora in quello di Lacan