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Non è per importunarvi con una nuova storia né per fare esercizio di calligrafia, come ho fatto anch’io per lungo tempo; né per bisogno di verità – non mi interessa affatto,

CAPITOLO SECONDO

LETTERA APERTA: LO STILE E LE PRINCIPALI ESPUNZION

II.5 Dentro il testo, per una lettura filologica

5 Non è per importunarvi con una nuova storia né per fare esercizio di calligrafia, come ho fatto anch’io per lungo tempo; né per bisogno di verità – non mi interessa affatto,

– che mi decido a parlarvi di quello che non avendo capito mi pesa da quarant’anni sulle spalle. Voi penserete: perché non se la sbroglia da sé? Infatti ho cercato, molto. Ma, visto che questa ricerca solitaria mi portava alla morte – sono stata due volte per morire «di mia propria mano», come si dice – ho pensato che sfogarsi con qualcuno sarebbe stato meglio, se non per gli altri almeno per me. E che faccia bene parlare delle proprie cose, ho dovuto sperimentare che ha qualche fondamento reale. Come vi ho detto, questi quarant’anni, o meglio i primi venti anni di questi quarant’anni, a furia di volerli scientemente ignorare, si sono così ingarbugliati che non riesco a districarli, a fare ordine. Io purtroppo sono molto ordinata, anzi direi un po’ fissata: e così i fatti passati mi schiacciano come una mosca ai muri di questa stanza che si è fatta troppo piena. Capirete, ci vivo da sempre. Ci sono libri naturalmente, quadri, specchi, tavoli, tanti tavoli che uno sta sull’altro, oggetti inutili che ho comprato o che mi hanno regalato e che non ho osato rifiutare. Vi spiego: oggi è venuta come al solito Dina per pulire: viene due volte la settimana. E spolverando un piccolo animale stilizzato, naturalmente svedese, che mi regalò George, ha esclamato sottovoce: «Quanto è brutto!» Lo sapevo, lo so da quando me lo regalò: ma sentirlo dire mi ha fatto ricordare quanto è rimasto brutto in tutti questi anni. E mi è venuto il sospetto che non ci si voglia mai disfare delle cose brutte che 6 ci cascano fra le mani perché pensiamo che la nostra vicinanza le possa migliorare. E così, con questo sospetto che ha tarlato la mia sicurezza, ho buttato via l’animaletto e mi sono decisa a parlarvi.

Scusate ancora, ma ho bisogno di voi per essere in grado di sbarazzarmi di tutte le cose brutte che ci sono qui dentro. Parlando, dalla reazione di chi ascolta, puoi capire cosa va tenuto e cosa buttato. Ho bisogno di voi per liberarmi di tutte le cose inutili che affollano questa stanza. Ho la bocca piena della loro polvere. Ho detto un minimo di ordine, non di verità.

Anche voi associate la parola «ordine» con la parola «verità», e la parola «intelligenza» con la parola «bontà»? Ho fatto sempre questo errore. Non mi fraintendete, non «verità»: ma solo un minimo di ordine in tutte queste «non verità», nelle quali nascendo, o meglio – come diceva mio fratello Ivanoe – cascando da quel cavolo sulla terra, mi sono trovata a strisciare prima, e a camminare dopo. Non vorrei buttare discredito sui morti e sui vivi che ho incontrato, ma visto che mi sono state dette, come a tutti del resto, più bugie che verità, come potrei io, ora, sperare di parlarvi illudendomi di arrivare ad un ordine-verità? E no: credo proprio che questo mio sforzo per non morire soffocata nel disordine, però una bella sfilza di bugie.

Pazienza! Speriamo, almeno, di riuscire a districarle, così che ci si possa passare lo straccio per spolverare senza sbattere in un vasetto sbreccato, uno specchietto antico, un orologio fermo alle due e mezzo (da quando?).

Nel modo in cui si è già inteso il passaggio con l’espunzione dell’epigrafe da I ad A, in questo primo capitolo, con contenuto comune a tutte e tre le versioni, e che presenta l’oramai indagato a lungo dalla critica primo “appello al lettore”, si possono evidenziare due direzioni delle varianti (come da APPARATO III.6): la prima riguarda le scelte di Sapienza, la seconda quelle di Siciliano. Si ricordi che lei propone spesso all’interno del testo le alternative lessicali (e logico- sintattiche) da considerare per la stesura finale, da proporre all’editore o in lettura. In particolare emenda l’incipit preferendo calligrafia in luogo di letteratura (var. 3), lezione poi passata in LA e di cui si è occupata anche Anna Langiano;93 corregge il nome dell’amico reale Dominique inserendovi quello di George (var. 14, e non sarà l’unica di questo tipo), così come la grafia di Jvanoe/Ivanoe muta (var. 22); propone qualche variazione della punteggiatura, l’inserimento di periodi più o meno brevi, la posposizione degli stessi e una nuova paragrafazione, talvolta variazioni di forme verbali nonché l’aggiunta di termini o la loro inversione (var. 5, 6, 7, 9, 10, 12, 15, 17, 18, 21).

Per ciò che concerne la casistica pocanzi declinata, le varianti lessicali degne di nota a cura di Sapienza sono: arrivare (raggiungere) (scoprire) con la scelta della lezione di I arrivare (var. 24), verità-“verità” poi emendata in ordine-verità (var. 24) e il termine edificantemente (var. 25) facente parte di un periodo cassato sia in A sia in LA. Si hanno inoltre ammettere (sperimentare) (var. 8) e pensiamo (presumiamo) (var. 16) entrambe corrette in LA in probabile accordo con Enzo Siciliano.

Si intende ancora a cura di Sapienza la var. 27 con aggiunta finale. Sono invece interpretate come d’intervento dell’editor le varianti seguenti: l’eliminazione dell’appello vero e proprio Cari lettori (se ce ne saranno), (var. 1) e di poetica (var. 2); l’emendamento di quarant’anni di LA su cinquant’anni di I e A (var. 4), poi ripreso (var. 11); l’aggiunta del periodo della var. 20.

93 Cfr. A.LANGIANO, Lettera aperta: il “dovere di tornare” in «Quel sogno d’essere», cit., pp. 131-147. La studiosa

che, per prima, ha avuto modo di comparare il dattiloscritto di A ed LA (ma non I con A e LA) propone una chiave di lettura interpretativa: «L’alternativa polemica tra “letteratura” e “calligrafia” non può che suonare come un invito a una scrittura libera dai compromessi con la tradizione; la scelta in sede di editing di preferire senz’altro il meno problematico termine “calligrafia”, è indicativo della difficoltà di recepire tutta la rottura col passato proposta della scrittrice.» (p. 132).

Piuttosto rilevanti, in questo quadro, appaiono le cassature. La var. 19 introduce infatti un nuovo richiamo ai lettori ma anche una riflessione sul tema della morte che, come si è constatato nella TABELLA 1, risulta centrale dal punto di vista tematico; così messo in rilievo emerge come un primo tentativo di contestualizzazione autobiografica, dal punto di vista del narratore-autore il cui statuto, come si verificherà di seguito, muterà da una versione all’altra del testo. La var. 21 ritorna sulle specificità non soltanto narratologiche – e dunque di nuovo con un appello al lettore, la cui importanza è sottolineata da Langiano –94 ma anche sulle scelte contenutistiche: il vocabolario di Sapienza si nutre di scelte tra ‘ricerca ed invenzione’, pertanto in I lei sceglierà di proporre la parola Ripugnante all’interno di un periodo con commento e poi cassato. La composizione di un glossario proprio sfonda i confini delle “coppie sinonimiche” di cui parla Langiano,95 diventando l’applicazione di un ‘peculiare sistema scrittorio’ che agisce con regole non sempre codificabili, una modalità fondazionale di lavoro sul testo che troverà poi un proprio statuto ne L’arte della gioia.

Alla luce della precedente, anche la var. 23 risulta di estremo interesse poiché si riscontra lì la ripetizione del concetto di “bugia/verità”: Detto questo è chiaro che nel mio parlare a voi ci saranno molte non verità – o bugie, come preferite – degli altri e mie. Riportando la lezione di A che corregge da I, si veda come la cassatura presa in esame possa essere posta in relazione con la var. 24 – la quale verifica una complementarietà tra le due –, e si legga il contenuto alla luce di un voler rimarcare l’ordine “verità” (dell’epigrafe) e “non verità/bugie” da parte dell’autrice, ma anche una dichiarazione della stessa a proposito della provenienza delle “bugie”, dai personaggi del romanzo e da lei stessa personaggio. Non è soltanto nel rovesciamento dell’autorialità ottocentesca

94 Cfr. Ibidem: «Il rapporto con il proprio lettore sarà una costante di tutte le opere di Goliarda, ma particolarmente

significativo – fin dal titolo – è in Lettera aperta, il cui incipit nella prima versione si rivolgeva direttamente ai «Cari lettori (se ce ne saranno)», formula successivamente scomparsa. Nella prima versione gli appelli al lettore erano tanto insistiti da corrodere la chiusa superficie della forma narrativa suggerendo una scrittura più aperta, più pericolosamente compromessa con la realtà nel suo divenire.» (p. 135). Ci si sta riferendo con tutta probabilità sempre ad A e non a I.

95 Ancora lei scrive: «la presenza di coppie sinonimiche segnalate tra parentesi (evidentemente punti in cui l’autrice non

aveva ancora scelto il termine da usare, e forse si riservava di chiedere l’opinione dei primi lettori del dattiloscritto) rende il testo prezioso anche per comprendere come scriveva Goliarda Sapienza. Le incertezze infatti non riguardano mai la frase nel suo svolgimento sintattico e nel suo ritmo istintuale, quanto i singoli termini: molto spesso il dubbio è tra sfumature semantiche sottilissime di due sinonimi (molto raramente tre), come se la scrittrice perseguisse l’intento di ricreare un vero e proprio vocabolario assolutamente personale e estremamente specifico.» (p. 132). Per ciò che riguarda AdG cfr. L. MICHELACCI, La storia come trasgressione «L’arte della gioia» di Goliarda Sapienza, in «Griseldaonline», n. 15, 2015 e Una voce intertestuale, cit., p. 158.

ma anche in un continuo cortocircuito del suddetto ordine che la trama prende avvio e si sviluppa, come sostenuto in Una voce intertestuale, e cioè laddove si rivela complesso indicare ‘dove’ e ‘a quale livello’ la vita e l’opera coincidano.

La seconda parte del capitolo risulterebbe maggiormente emendata dall’editor; si tratta di una sezione in cui il contributo autoriale è più cospicuo, soprattutto sul versante del dare un impianto al romanzo in termini stilistici e linguistici. L’impronta di Sapienza nell’utilizzo frequente di incisi e paratassi ma anche di una certa sperimentazione linguistica e di un andamento anaforico e “orale”, tipico del teatro e della poesia dai quali lei proveniva, non perderà di significato in LA, tuttavia la struttura dell’edizione, anche in termini di brevità del contenuto e di normalizzazione, risulta incongrua rispetto alle versioni I e A già dal primo capitolo.

LA (5)

18 […] Ho fatto male a frugare nei cassetti, tirare tutto fuori, spostare i mobili. Mi trovo, ora, tra la finestra ostruita dal tavolo, e l’unica poltrona piena di libri, oggetti; la porta è inchiodata dalla scala che il portiere mi ha prestato. Non posso più uscire. Resterò seppellita fra il tavolo e la porta. Per uscire dovrei almeno spostare la cassapanca: ma è aperta, ed ho paura anche solo di avvicinarmi. Può cadermi lo sguardo su quello scialle riesumato dal fondo. 19 Uno scialle azzurro-beige con un bordo rosso scuro e piccole stelle gialle al centro di ogni quadrato, fatto ad uncinetto da mia madre venti, venticinque anni fa. Le sue mani che lavorano fra quei fili morbidi di colori, le sue mani legate al letto del manicomio, il suo grido intatto: «Non la stuprare!» Avevo dimenticato quel grido. A chi gridava così? Cerco ancora oggi di non capire, ma so a chi era rivolto. Non posso mettere ordine. Non voglio riascoltare quel grido: sarei costretta a riconoscere il viso al quale era rivolto. È stato un errore cominciare.

VI (I)