• Non ci sono risultati.

L'esempio di Halden e progetti che funzionano nelle carcer

Esiste poi un altro carcere, sempre norvegese, indicatomi dallo stesso Tom Eberhardt in cui pur sussistendo celle e mura di cinta, le condizioni di vita sono di gran lunga migliori rispetto a quelle delle carceri a noi vicine: si parla di Halden, da qualcuno definita "la prigione a cinque stelle" per via delle condizioni molto umane assicurate ai detenuti. Per condizioni molto umane in realtà si intende la possibilità di avere la tv o il frigorifero in cella, oppure delle aree attrezzate per lo sport, che per chi è al di fuori delle mura sono semplicemente la normalità. Il principio che ha ispirato Halden è identico a quello che ha ispirato Bastoy: se le carceri rieducano danno maggiore sicurezza alla popolazione e per fare questo è necessario che detenuti vengano trattati in modo quanto più umano possibile, per potersi reinserire e per non ricadere nella recidica.

Proprio come Bastoy si è voluto creare un carcere quanto più simile alla vita al di fuori delle mura. La prigione sorge nel contesto naturale che vi era prima della sua costruzione: per questo all’interno del muro perimetrale, a separare la prigione dalla campagna circostante, ci sono quasi 50mila metri quadri di foresta tipica del sud-est norvegese, "un paesaggio composto di cespugli di mirtillo, pini silvestri, felci, muschi e betulle"148. La struttura del carcere è fatta di vari edifici colorati,

disposti in forma di anello. Il sistema penitenziario norvegese enfatizza la "sicurezza dinamica", un metodo che si basa sul buon mantenimento dei rapporti tra i detenuti e il personale, soprattutto le guardie carcerarie: questo garantirebbe, secondo il loro modo di pensare, la

148Quello che si vuole precisare è che si tratta del tipico paesaggio norvegese e che è stato importante lasciare tutto così com'era perchè questo fa sì che i detenuti sentano la prigione come casa propria e non sentano di vivere in un luogo che sia troppo estraneo alla loro vita. Inoltre, ricordando loro ciò che fuori li aspetta, si fa leva sul senso di nostalgia del ritorno a casa e si lavora meglio soprattutto loro stessi lavorano meglio su sé stessi; si parla soprattutto dei detenuti che si trovano nei settori B e C, non pericolosi.

sicurezza all’interno del carcere e proprio a tal fine quando Halden fu progettato, agli architetti fu chiesto di fare in modo che le guardiole fossero più piccole possibili, affinchè gli addetti passassero quanto più tempo nelle aree comuni con i detenuti. Con la sicurezza dinamica, non si vogliono limitare i danni o rendere le violenze impossibili, ma prevenirli. A Halden, infatti, le guardie stanno insieme ai detenuti ogni giorno e parlano con loro per conoscerli meglio, prendendo un caffè, un tè o durante un pasto. Le aree più esterne del carcere sono sorvegliate da telecamere, ma i detenuti si muovono senza accompagnamento, perchè l'amministrazione vuole riporre in ognuno di loro massima fiducia considerata elemento essenziale per il loro cambiamento personale. Nei luoghi in cui si svolgono le atttività e nelle zone comuni o nelle celle non ci sono telecamere perchè si vuole lasciare una certa privacy ai carcerati e nonostante che con questa forma "leggera" di sorveglianza il detenuto possa permettersi qualunque azione e di tenere comportamenti violenti, ciò succede raramente e comunque viene attestato che nei cinque anni di funzionamento di Halden, la cella d’isolamento non sia mai stata usata.

Gli incidenti che avvengono sono soprattutto nell'Unità A, che è la zona più restrittiva del carcere che ospita detenuti che hanno continuamente bisogno di assistenza medica o psichiatrica e che hanno commesso crimini per cui potrebbero sentirsi in pericolo nelle Unità B e C, che sono invece le zone meno restrittive dove generalmente i detenuti convivono tutto il giorno seguendo percorsi scolastici, lavorativi e terapeutici. Ciò nonostante il fatto che la metà dei detenuti che si trovano ad Halden (si contano in tutto 251 detenuti) abbia commesso reati violenti, tra cui omicidio, aggressioni e stupro.

Alcuni di questi seguono corsi di cucina per ottenere certificati professionali. Il settore C8 è invece dedicato al recupero dei

tossicodipendenti; c'è un supermercato anche lì, come a Bastoy.

Quando Halden fu completato, in molti lo definirono "lussuoso", "elegante" e lo compararono ad un piccolo hotel, soprattutto per i mobili utilizzati e per gli arredi in generale. In realtà,"i mobili di Halden non sono molto diversi da quelli di un dormitorio universitario: la loro caratteristica particolare, piuttosto, è quella di essere mobili "normali", cioè non progettati per un carcere".

Anche gli arredi potrebbero essere strumenti di atti violenti e anche in cucina ci sono molti oggetti che potrebbero essere usati come armi: "i piatti sono di ceramica, i bicchieri di vetro, le posate di metallo e a disposizione dei detenuti ci sono anche lunghi coltelli da cucina, legati a un cavo di metallo plastificato". Tuttavia, come nel carcere che abbiamo preso come modello di riferimento, anche qui gli agenti del personale lavorano affinchè, qualora vi fosse un contrasto tra due detenuti, questi lo affrontino e ne parlino fra loro per risolverlo, anche il cappellano della prigione spesso riunisce i detenuti per una sessione di mediazione finalizzata al raggiungimento di un accordo fra i due, che dura fino a che "non si sono stretti la mano".

"Se un detenuto viola le regole, le conseguenze sono rapide, coerenti e applicate in modo uniforme". Eventuali comportamenti scorretti e reiterati vengono puniti con la reclusione nella cella durante le ore di lavoro, a volte senza la possibilità di guardare la televisione.

L'antropologo Ragnar Kristoffersen, insegnante all’Accademia del Sistema Penitenziario norvegese, nell'intervista149 a Jessica Benko

afferma in modo illuminante che c'è una grossa differenza tra il cercare un metodo per combattere il crimine e per ridurre la recidiva e uno per individuare i principi di umanità sui quali si vuole basare il sistema. Sono due domande, alle quali seguono due risposte diverse, che spesso

149Intervista riportata all'indirizzo: http://www.ilpost.it/2015/04/10/halden-carcere- piu-umano-mondo-funziona/

però vengono confuse in modo erroneo. È poi vero che queste domande in genere riguardano coloro che si trovino in carcere, ma è anche vero che riguardano a poco a poco anche coloro che sono fuori dalle mura di questo. Kristoffersen ha continuato dicendo:"A noi piace pensare che trattare i detenuti con gentilezza, con umanità contribuisca alla loro riabilitazione. Ma ci sono scarse prove scientifiche a sostenere che trattare le persone con gentilezza le dissuaderà dal commettere nuovi crimini. Molto scarse, però se tratti male le persone, questo si riflette anche su di te".

Interessanti progetti sono stati promossi anche in Italia: come la pasticceria Giotto del carcere "Due palazzi " di Padova e la produzione di birra artigianale dal nome "Vale la pena", lavorata dai migliori maestri birrai italiani e la collaborazione di nove detenuti del carcere di Rebibbia.

Riguardo al primo, ad oggi nella casa di reclusione di Padova lavorano circa 120 detenuti per conto del Consorzio Giotto150. I detenuti sono

regolarmente assunti dopo un primo periodo di inserimento e sono seguiti dall’ufficio sociale del consorzio in collaborazione con la direzione e gli operatori del carcere e ricevono una formazione adeguata alle mansioni svolte. Tra le attività lavorative attive si ha oltre alla pasticceria e alla cucina, il call center, l’assemblaggio di valigie e biciclette e la realizzazione di business key per la firma digitale. L'obiettivo è coinvolgere e motivare le persone e ricercare la qualità totale: il prodotto dev’essere competitivo e lo è, circostanza cerificata anche dai numerosi riconoscimenti e i premi conferiti da istituzioni e riviste di settore.

Allo stesso tempo le attività svolte hanno permesso di aprire le porte del carcere alla società e viceversa, e di portare il tema della

condizione penitenziaria nelle principali piazze del nostro Paese. Il secondo progetto151, invece, è gestito dal Marzo 2014 dalla Onlus

"Semi di libertà"che ha lo scopo di inserimento professionale dei lavoratori svantaggiati cofinanziato dal Ministero della Giustizia e dal Ministero Università e Ricerca dove i detenuti, provenienti dal Carcere di Rebibbia, vengono formati alla professione di Tecnico Birraio ed avviati all’inclusione professionale nella filiera della birra. Il Birrificio è stato inaugurato il 15 Settembre 2014 dal Ministro dell'Università e Ricerca Stefania Giannini. Gli studenti partecipano assieme ai detenuti alle attività formative e in compenso vengono offerte ai ragazzi lezioni di legalità, di consumo alcolico consapevole e laboratori di inclusione dove i detenuti racconteranno in modo critico il proprio vissuto, costruendo in tal modo un esempio di giustizia riparativa.

Ma ancora, le magliette "Made in Carcere" di Roma, Torino e Genova, a Verbania con il marchio "Banda biscotti" si producono ottimi dolcetti, ci sono gli abiti del '700 realizzati dalla detenute della Giudecca a Venezia, nel carcere di Sollicciano si cuciono le bambole cuscino "Ninetta", la Casa di Reclusione di Fossano ha lanciato la linea di oggetti in arredamento in metallo "Ferro&Fuoco Jail Design" e tanti altri ancora.

Se il carcere fosse ridotto al minimo, come noi ci auguriamo, sarebbe più facile investire su questi progetti, diffondendoli (magari facedoli diventare parte necessaria di un processo di reinserimento) e impiegandovi all'interno i detenuti del c.d."nocciolo duro".

Queste iniziative sembrano davvero essere un'ancora di salvezza perchè permettono una visione di carcere diversa e perchè si avvicinano un pò al modo di pensare la pena e la detenzione che è stato espresso dal direttore di Bastoy o di Hander, e cioè che bisogna trattare

i detenuti come uomini, bisogna riabilitarli perchè un giorno torneranno in società.

Quando chiedo a Tom Eberdnahrdt la ragione per cui, secondo il suo punto di vista, un carcere che funzioni come Bastoy, sia allo stesso tempo unico nel panorama internazionale, egli mi risponde: "I dont know.. probably a lot of myths, most countries seem to think that only hard and long sentences in prison is the only thing that works, even though a couple of centuries of history tells us that it don`t" ( Non saprei. Forse una serie di credenze. La maggior parte dei governi pensa che solo il lavoro duro e le lunghe detenzioni in prigione possano servire , anche se un paio di secoli di storia ci dicono che non è affatto così). Un problema di credenze, dunque.

Il direttore tira in ballo i governi, ma sono convinta di quello che più volte è stato affermato in questa tesi, che molto facciano i consociati, dato che le credenze non le inventa il governo, ma sono un quid proprium del popolo. Quindi ecco che per concludere ritengo necessario parlare di rieducazione, ma stavolta quella della società.