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La pena detentiva: tra idea innovatrice e scacco della giustizia

La pena detentiva, abbiamo visto, acquista centralità come pena solo nel momento in cui questa mostra la sua congenialità con i meccanismi di potere del sistema capitalistico: questo legame così profondo sarebbe stato tale "da repingere nell'oblio tutte le altre punizioni che i riformatori del secolo XVIII avevano immaginato39". La prigione non è

un elemento endogeno nel sistema penale che esisteva tra il secolo XVIII e il XI, ma "viene dai meccanismi propri ad un potere disciplinare40". Le sue origini, come già anticipato nel capitolo

precedente, vanno ricercate nella "'case lavoro' destinate nei primi secoli dell'età moderna a reprimere il vagabondaggio e a combattere il pauperismo provocati dalla disgregazione della società feudale"41. Solo

nell'Illuminismo però la privazione della libertà acquista il ruolo di sanzione penale, ma per poter arrivare a questo è stato prima necessario astrattizzare il concetto di libertà e generalizzarlo "come qualcosa che possa essere di tutti42"e che tutte le forme di ricchezza si

riducessero alla "forma più semplice e astratta: al lavoro umano misurato dal tempo43".

39 M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire. La nascita delle prigione, Torino, 1975 pag 252,

40 M.FOUCAULT, op.cit. , pag 280

41 PADOVANI L'utopia punitiva, il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano, 1981, pag. 9

42 TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, I, Assolutismo e codificazione del diritto, 1976.

In questo quadro la pena detentiva non è tanto la pena migliore in sé , ma è quella maggiormente adeguata ai nuovi compiti assegnati al diritto penale. E' durante l'Illuminismo che "la legittimazione dell'intervento punitivo ed i suoi limiti, il significato della punizione e le sue modalità si saldano, infatti, in una prospettiva unitaria"44: la pena

diventa funzionale a prevenire fatti socialmente dannosi e questo presuppone un rapporto di proporzione tra entità della pena e gravità del reato , sia per ragione di efficacia sia per ragioni di economicità ("il male della pena deve eccedere il bene che nasce dal delitto" scrive Beccaria45). In questa prospettiva, la scelta della pena detentiva diventa

una scelta dovuta perchè ha della caratteristiche che le assicurano un ruolo esclusivo (vera e propria esclusività acquisirà proprio nelle codificazioni dell'Ottocento): la sua tendenziale uguaglianza, la sua massima graduabilità, la possibilità di esercitare continuamente l'attività correttiva sul reo. Se è pur vero che nel tempo si sono cercate nuove forme di pena, nessuna mai ha messo in discussione il ruolo dominante del carcere.

Foucault ci insegna come la prigione fosse stata subito denunciata come 'scacco della giustizia penale', lo stesso Bentham ne da definizioni molto pesanti.

I riformatori dunque sanno già quali sono i punti deboli del carcere: ha un effetto criminogeno, provoca la recidiva, crea reti delinquenziali, stimola la crescita della criminalità più grave, abbrutisce i condannati, avvia carriere criminali, non esercita funzioni emedative. Bentham osserva: " se, invece di rieducarsi, divengono più viziosi, se passano dai furtarelli alle rapine, se si spingono fino al brigantaggio, e all'assassinio, è l'educazione di una prigione che bisogna accusare46".

U.Cerroni, La teoria generale del diritto e il marxismo, in Teorie sovietiche del diritto, 1964, pag 230.

44 T.PADOVANI, op.loc. cit;

45 C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Torino, 1965 p. 60;

Ecco che nasce, dunque, un lungo filone riformistico che delinea un modello di carcere ideale il quale "pur nella diversità delle proposte, ricalca una struttura fondamentalmente uniforme e ispira ad un identico disegno funzionale"47. Il postulato proporzionalistico

comporta che alla diversità di reato deve corrispondere una struttura carceraria che sia visibilmente differenziata. In generale, l'ideale carcerario settecentesco troverà nel sistema filadelfiano fondato sulla segregazione cellulare continua la sua espressione più compiuta, è quindi l'impersonalità della struttura e l'uniformità dei metodi che permettono di incidere sul singolo. "Il carcere è così modello sublimato di una società disciplinata e laboriosa , produttiva e pia, i cui valori si irradiano nelle strutture stesse dell'istituzione , imprimendosi sul condannato con la forza della loro intrinseca razionalità48". Le

codificazioni del sette e ottocento sanzionarono sul piano legislativo il ruolo dominante della pena detentiva, ma accanto a questa emersero delle nuove pene detentive parallele, che sono una evoluzione delle distinzioni obiettive nella struttura carceraria, diversificate nel contenuto. Nonostante queste modificazioni, i connotati dell'istituzione penitenziaria rimasero gli stessi: il carcere ideale è un'utopia. Ci si chiede se fosse veramente valido il modello filadelfiano rispetto a quello d'Auburn49 che invece prevedeva isolamento notturno con vita

comune diurna e obbligo di silenzio. I nodi da sciogliere sono sempre gli stessi: il contagio criminale, le inumane condizioni di vita, scarsità o mancanza di lavoro, attività del personale di sorveglianza. Si delineano i grandi sistemi penitenziari, ma allo stesso tempo ci si chiede che efficacia rieducativa questi possano avere. Qualcuno

II, p. 1°, 1829, p.21

47 PADOVANI, op.cit., pag 17

48 P.COSTA, Il progetto giuridico – Ricerche sulla giurisprudenza del liberismo classico, I, 1974, p.374.

49 Prigione fondata 1816 in base alle idee di allora riguardanti il trattamento dei prigionieri, conosciuto ora come Auburn System. Auburn è una città degli Stati Uniti d'America, capoluogo della Contea di Cayuga, nello Stato di New York.

contemporanenamente elabora delle teorie a difesa del carcere, tra tutti la teoria più solida è quella di Cattaneo secondo il quale, la composizione del conflitto sta in un superamento del diritto penale in favore di interventi medico-terapeutici e di una "reclusione preventiva" "scevra d'ogni penalità" che richiamano spunti positivisti50.

Continua nell'Ottocento la ricerca di un carcere ideale, ma cambia adesso l'idea di carcere ideale. La funzione della classificazione carceraria assume ora il significato di impedire il contagio criminale, per il quale non basta più l'isolamento per categorie, è necessario ora quello per individuo. Si prende in esame adesso la personalità del condannato e il comportamento nell'ambiente carcerario, prime avvisaglie del trattamento individualizzato di cui noi oggi parliamo. Allo stesso tempo, si affaccia l'esigenza che le tipologie classificatorie e le conseguenti differenziazioni esecutive trovino una precisa e rigorosa predeterminazione legale: "la Legge deve difendere il delinquente dall'arbitrio, perchè altimenti egli si accorge di essere fatto strumento di diversi esperimenti e di restrizioni arbitrarie, si rende allora recalcitrante"51.

C'è chi tuttavia non concorda con questa impostazione affermando che una classificazione meramente legale imbriglia le diverse personalità delinquenziali in categorie astratte, che né il giudice né il legislatore possono compiutamente valutare. Sembra chiaro che ci sia un abbandono dell'incondizionata fiducia nelle capacità del carcere di realizzare di per sé gli scopi preventivi a cui viene preordinato. Per incidere sul detenuto non basta più inserirlo in una struttura pianificata, poichè sarebbe poco probabile che si possa incidere "naturalmente" sul detenuto. E' necessario valutarne le sue caratteristiche, cogliere gli elementi della sua personalità, perchè il carcere possa entrare in lui: il

50 C. CATTANEO, Delle riforma penale: Delle galere (1841), in Scritti politici ed epistolario, III, 1901, p.99 s.

trattamento deve essere misurato su ciascun condannato. La pena si esegue in rapporto al delinquente come singolo.

Anche i sistemi filadelfiano e auburniano subiscono una reinterpretazione: il primo viene apprezzato e difeso per le applicazioni individuali che consente. I sostenitori del sistema auburniano ribattono alla critica della uniformità del regime di vita comune dicendo che se è pur vero che in apparenza il regime è uguale per tutti, ci sono poi pene diverse che si applicano sui singoli reclusi. Non è più il carcere a rieducare, ma è il luogo nel quale si rieduca; il carcere non è più la riproduzione di una società perfetta, ma "l'istituzione vicaria rispetto a quelle cause predisponenti alla criminalità, individuate nelle sperequazioni sociali, nelle carenze educative, nelle diversità di status, che il trattamento dovrebbe rimuovere o quanto meno neutralizzare"52.

I modelli penitenziari del Settecento si caratterizzavo dalla rigidità dell'esecuzione, che ora è sostituita dalla flessibilità del trattamento e dal gradualismo e si inizia a contestare l'indefettibilità dell'esecuzione, per incoraggiare il condannato a emendarsi, nella prospettiva della liberazione anticipata. Il trattamento è flessibile perchè ci deve essere una individualizzazione penitenziaria: i mezzi di educazione carceraria sono commisurati a ciascun condannato, il suo fondamento è un'osservazione permanente della personalità; vi è poi un sistema di premi e pene che rende il condannato oggetto di castighi e ricompense, in grado di sanzionane le deviazioni e di premiarne i progressi.

Nel tardo Ottocento ci si rende conto della frattura che sussiste fra istituzioni penitenziarie reali e istituzioni penitenziari "razionali". Il cahier de doleances si concentrava soprattutto sulla recidiva, e alla evidente attitudine del carcere a provocarla. Oltre alle denunciate situazioni di abbandono, alla degradazione morale e materiale, alla promiscuità dell'ambiente penitenziario, si aggiungono proteste

talvolta aspre contro l'esagerata mitezza del carcere, divenuto un comodo albergo tanto attraente da spingere a delinquere nuovamente per potervi rientrare. E' proprio dal 1870 in poi che si continua a propugnare la riforma penitenziaria , ma in una luce del tutto innovativa: si da per assodato che il carcere esiste, ma si discute sulla stessa opportunità di ricorrere in ogni caso a tale tipo di sanzione; "ci si chiede se uno dei suoi difetti strutturali non consista proprio nella sua generalizzazione e nella sua applicazione indiscriminata; ci si interroga sull'opportunità di allargare il ventaglio delle sanzioni penali principali e di ricorrere a pene o misure alternative rispetto alla detenzione53". Il

punto che che ha dato portato alla ricerca di soluzioni interne all'istituzione penitenziaria è costituito dal problema delle pene detentive di breve durata, viste in chiave doppiamente negativa perchè il reo non può sottostare ad un efficace trattamento penitenziario (data la brevità) e intanto si produce su di se una familiarizzazione negativa con la sanzione, in più il contatto con i delinquenti di provata esperienza provoca un deleterio contagio criminale, destinato a sfociare nella recidiva. Questa non è , tuttavia, una causa primaria della crisi: è un problema autonomo, ma la pena detentiva attraversa una crisi a prescindere dalla questione delle pene dententive brevi.

Foucault scrive:"Subito, nella sua realtà e nei suoi effetti visibili, la prigione venne denunciata come il grande scacco della giustizia penale. In modo del tutto singolare, la storia della carcerazione non obbedisce ad una cronologia lungo la quale si vedano succedersi saggiamente: la messa in opera di una penalità di detenzione, poi la constatazione del suo scacco; poi il lento apparire di progetti di riforma, che sfocieranno nella definizione più o meno coerente della tecnica penitenziaria; poi la messa in opera di questo progetto; e infine la constatazione del suo successo o del suo scacco"54.

53 PADOVANI , op.cit. , pag 44 54 M.FOUCAULT, op.cit. ,pag. 268

Le ragioni dello scacco erano le seguenti secondo l'autore: le prigioni non diminuiscono il tasso di criminalità ("possiamo estenderle, modificarle, trasformarle, la quantità dei crimini e dei criminali rimane stabile, o, peggio ancora, aumenta"); la detenzione provoca la recidiva: usciti di prigione, si hanno maggiori probabilità di prima di ritornarvi, i condannati sono, in proporzione considerevole, ex detenuti; la prigione non può evitare di fabbricare delinquenti. "Ne fabbrica per il tipo di esistenza che fa condurre ai detenuti: che li si isoli nelle celle, o che si imponga loro un lavoro inutile, per il quale non troveranno impiego, significa, in ogni modo, non «pensare all'uomo nella società; significa creare una esistenza contro natura, inutile e pericolosa»; si vuole che la prigione educhi i detenuti, ma un sistema di educazione che si rivolga all'uomo, può ragionevolmente avere come oggetto l'agire contro natura?"55 . La prigione favorisce la

nascita di una organizzazione di delinquenti, solidali gli uni con gli altri, gerarchizzati, pronti per tutte le future complicità. "Le condizioni carcerarie condannano i detentuti alla recidiva perché sono sotto la sorveglianza della polizia; perché hanno residenze obbligate o interdizioni di soggiorno; perché «escono dalla prigione con un passaporto che devono far vedere ovunque vadano e che menziona la condanna che hanno subita»".56

Foucault infine, interpreta la caduta in miseria della famiglia del detenuto come una degli aspetti criminogeni del carcere.