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L'abolizione della pena: storia di una presunta utopia

Abbiamo visto le varie criticità del carcere e capito che la problematica fondamentale si esprime proprio nel carcere in quanto tale, così come da sempre strutturalmente inteso. Altiero Spinelli scrisse a Calamandrei sulle pagine di "Il ponte":" Per quanto si voglia trasformare e perfezionare il carcere, non lo si può modificare in senso sostanziale. Più penso al problema del carcere e più mi convinco che non c'è che una riforma carceraria da effettuare: l'abolizione del carcere penale". Lo stesso Foucault lo aveva capito e aveva parlato del carcere come luogo in cui si agisce contro natura: " La prigione non può evitare di fabbricare delinquenti. Ne fabbrica per il tipo di esistenza che fa condurre ai detenuti: che li si isoli nelle celle, o che si imponga loro un lavoro inutile, per il quale non troveranno impiego, significa, in ogni modo, non «pensare all'uomo nella società; significa creare una esistenza contro natura, inutile e pericolosa»; si vuole che la prigione educhi i detenuti, ma un sistema di educazione che si rivolga all'uomo, può ragionevolmente avere come oggetto l'agire contro natura?"92.

In effetti, nel carcere è insita questa grande contraddizione: come si può risocializzare escludendo? Come si può rieducare arrecando sofferenza?

92 M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, Torino, 1975, pag. 270;

Questi i dubbi che da sempre ruotano attorno alla pena detentiva, tanto rilevanti che alcuni studiosi non essendo riusciti a trovare risposte esaustive hanno preferito optare verso la soluzione dell'abolizionismo. Il carcere deve essere abolito, è questo l'esito della ricerca di una soluzione ragionevole a queste domande: ma perchè farne a meno? Ci si chiede nel libro "Abolire il carcere"93, "Semplice: perchè a dispetto

delle sue promesse non dissuade nessuno dal compiere delitti, rieduca molto raramente e assai più spesso riproduce all'infinito i crimini e criminali e rovina le vite in bilico tra marginalità sociale e illegalità, perdendole definitivamente. E perchè mette frequentemente a rischio la vita dei condannati, violando il primo degli obblighi morali di una comunità civile, che è quello di riconoscere la natura sacra della vita umana, anche in chi abbia commesso reati , anche in chi a quella vita umana abbia recato intollerabili offese".

Il problema principale del carcere è che si presenta come "uno strumento non sensibile e non intelligente: esso può essere applicato solo indistintamente e grossolanamente senza alcuna duttilità e flessibilità e senza la minima capacità di adattamento alla complessità e varietà del reale. "94

E' tuttavia davvero possibile eliminare il carcere?

Ci sono degli argomenti a favore della soluzione affermativa: innanzittto, la pena detentiva non esiste da sempre. Questo abbiamo già cercato di chiarirlo nei capitoli precedenti. Non è dunque qualcosa di connaturato alla storia dell'uomo. Nell'Antica Roma, il carcere era un luogo dove contenere soggetti in attesa del giudizio o dell'esecuzione della pena, un "recinto" (che in latino si traduce carcer, appunto). Ulpiano ci conferma che per tutto il medioevo la pena non era scontata in carcere, perchè non esisteva ancora un sistema punitivo

93 MANCONI- ANASTASIA- CALDERONE- RESTA, Abolire il carcere, Pioltello, 2015, pag. 4

di Stato. Solo nell'età tarda, inizia ad emergere un interesse pubblico alla punizione che crea un sistema di pene pecuniarie che prima si pagavano alla vittima e che quel momento in poi sarebbero state versate all'autorità pubblica. Sappiamo poi che è agli inizi dell'età moderna, con la trasformazione economica e sociale degli Stati che la pena cambia progressivamente, con i primi esempi nelle case di correzione inglesi.

Nel corso del tempo la pena è cambiata. Ci chiediamo come mai dunque, in questi secoli non siamo riusciti a fare un passo in più verso la sperimentazione di altre forme di composizione dei conflitti.

Se poi, spaventati dalle idee abolizioniste, ribattiamo dicendo che l'abolizione del carcere sia solo pura utopia, in realtà dimentichiamo che nella Storia, in particolare in quella italiana, abbiamo avuto altri esempi di abolizione: nella metà del 1700 Beccaria concepisce l'idea assolutamente originale dell'abolizione della pena di morte, argomentandola ampiamente, un'idea ragionevole, che senza dubbio all'inizio non ebbe grande successo nella popolazione e in alcune frange di intellettuali del tempo. Eppure, da allora la maggioranza degli Stati ha aderito a questa sua idea. Ma ancora, parlando di questioni più vicine ai giorni nostri: la legge numero 180 del 13 maggio 1978 , detta Legge Basaglia, sancisce l'abolizione degli ospedali psichiatrici.

In questo senso, il tentativo di superamento degli Ospedali Psichiatrici penitenziari in Italia nel 2015 e il progetto di abolizione del carcere femminile che sta infiammando l'opinione pubblica anglo-sassone potrebbero essere in qualche modo dei battistrada per l'attuazione di un disegno molto più ambizioso, quello appunto dell'abolizione del carcere.

Muovendo un passo ulteriore rispetto a quanto detto prima, cioè che il carcere non è connaturato ala natura umana perchè non è sempre

esistito, continuiamo ora affermando che il concetto di "regola" non coincide con il concetto di punizione, la quale può anche mancare. La regola è semplicemente quel qualcosa che dice come comportarsi nelle situazioni che si incontrano nella vita. E inoltre, ciò che da contenuto alla regola altro non è che la cultura del momento, perchè è questa che viene determinato in un dato momento storico e in un dato luogo cosa sia giusto e cosa non lo sia. Se ad oggi ci ritroviamo a pensare che la legge penale (cioè la regola) sia imprescindibile dal concetto di pena e quindi di afflizione, a dispetto di quanto appena specificato è perchè la società da sempre dovendo ciegliere secondo quale schema relazionarsi con chi ha trasgredito una regola, fra due diversi offerti dalle Sacre Scritture, quello della liberazione e quello della retribuzione e della vendetta ha optato per il secondo. Sembra che sia stato sia stata la logica della prevaricazione ad avere la meglio, che sia il modello di riferimento per regolare le relazioni interpersonale. Ai giorni nostri le relazioni vengono regolamentate adottando come regola principale la esclusione, la separazione e l'imposizione. Corollario di questo modo di intendere le relazioni, è poi che strumento scelto per realizzare la convivenza sia l'obbedienza e che per imparare bisogna soffrire95. I due concetti sono collegati fra loro: si

ubbidisce non per forza della ragione ma perchè si teme una sofferenza maggiore di quella che costerebbe fare quello che si vuole. "Ma siccome nessuno vorrebbe che gli venisse imposta una sofferenza, perchè si accetti che chi ha sbagliato deve essere punito è necessario rompere qualsiasi riconoscimento reciproco: posso ammettere che è 95 Si v. MATHIUE, Perchè punire- il collasso della giustizia penale, Macerata, 2007: "La pena non deve essere una sofferenza qualsiasi: deve rappresentare una negazione della volontà – della volontà perversa manifetstasi negli atti – e deve provenire da una volontà libera a sua volta: dev'essere inflitta volontariamente", pag 177. "Soffrire significa patire, subire, essere passivi là dove si è fatti per essere attivi, cioè nella volontà. Il ferro subisce i colpi del martello ma non soffre, perchè la sua natura (salvo che per Tommaso Camapnella) non è di agire.",MATHIEU, op.cit., pag. 173.

giusto far soffrire soltanto colui che considero diverso da me"96.

Methieu a proposito di questo afferma:" La giustizia come ristabilimento della simmetria, porta con sé la necesssità del risarcimento, ma non ancora apparentemente, della pena. Chi ha subito un danno ingiusto deve essere risarcito [...], ma fin qui non si vede perchè chi ha fatto qualcosa di male debba poi soffrire, quando questo non sia il mezzo necessario per fornire al danneggiato il risarcimento. [...] Desiderare che il malvagio soffra può essere un desiderio spontaneo ma non si giustifica se non se ne intendono le ragioni: resterebbe un desiderio di ritorsione, sempre esposto all'accusa di gratuito sadismo"97.

Per fortuna, a chi, come Kant, che affermava che la pena fosse giusta in quanto tale e come altri che invece cercavano uno scopo della pena, che nella maggior parte delle volte era individuato nell'astensione in futuro alla commissione dei reati, si affianca un filone diverso che ha cercato di separare i concetti di peccato e di pena. Parliamo ad esempio della Lettera sulla tolleranza di Locke del 1685 che cerca, insieme ad altri interventi, di aprire la strada a quello che sarà il pensiero rivoluzionario (per qui tempi e non solo) di Beccaria. Quest'ultimo rintraccia la ragione del diritto penale in questo:" Fu dunque la necessità che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà: egli è dunque certo che ciascuno non vuol mettere nel pubblico deposito che la minima porzione possibile, quella sola che basti a indurre altri a difenderlo. L'aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire; tutto il più è abuso , e non giustizia, è fatto e non diritto."98 Tuttavia è proprio in questo sistema detto delle

96 G. COLOMBO, Il perdono responsabile- perchè il carcere non serve a nulla, Cles, 2013, pag. 23

97 MATHIEU, op. cit. pag. 97- 98

98 BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Torino, 1965, pag. ; v. anche METHIEU, op.cit: "Scopo della legislazione penale è protegere la possibilità in genere che esista un rapporto tra volontà libere sotto le leggi; e solo come caso partioclre, quindi, di proteggere la posssibiiltà dello Stato. È chiaro infatti che se un rapporto

libertà che Methieu riporta uno degli scopi della sanzione: " Suo scopo è risportare all'equilibrio il sistema delle libertà, che risulterebbe turbato se chi entra in esso con intenzione perversa non fosse punito, e quindi risultasse premiato . Che debba esistere quel sistema dipende da un'opzione: ma se si opta per la libertà, non si può fare a meno di ciò che la rende possibile; e in questo senso, accettare la necessità della pena è identico che optare per la libertà"99.

Anche Eusebi prende in considerazione questo meccanismo, attribuito al filosofo Hegel secondo cui:"Si ha diritto ove ciascuno riconosca l'altro come volontà libera; l'illecito penale a differenza di quello civile nega il riconoscimento dell'altrui valore universale in quanto implica un agire verso l'altro come se non costituisse anch'egli una autocoscienza libera ed eguale; la condotta criminosa si rivela in sé contraddittoria poichè l'agente ferisce attraverso di essa anche se medesimo, come essere libero; la pena rende manifesta simile contraddizione e compensando la perdita di riconoscimento della vittima, ristabilisce il rapporto di riconoscimento infranto100". Questo

viene però considerato dall'autore un indirizzo della pena inerente alla dimensione retributiva.