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La mediazione come via per escludere il carcere

Abbiamo ancora una ulteriore alternativa che muove dall'idea del dono e della gratutià del comportamento. "Ci si può relazione non in vista di un premio o di un castigo, ma in vista di uno stare insieme armoniosamente rompendosi il quale la soluzione non è costituita dalla retribuzione, ma dalla riconciliazione. [...] Diventa centrale la disponibilità al perdono110, in altre parole la disponibilità

109EUSEBI, op.cit. pag. 76

110Il gesuita Eugen Wiesnet nel 1960 pubblicò in Germania Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita, nel quale, seguendo il percorso dell'autore, ci viene spiegato che la pena non consiste in una punizione inflitta da un dio vendicatore e crudele, ma nella sofferenza costituita dalla rottura della relazione con Dio, e nella conseguente lontananza da lui. "Tsedāqāh" è il termine con il quale nelle Sacre Scritture si indica la Gistizia salvifica di Dio, che è stato frainteso e

all'accoglienza."111 Adolfo Ceretti scrive:"Ciò che conta è che il

perdono inteso come dono, cioè come atto che implica una restituzione, ha la capacità di scambio e di reciprocità, proprio perchè fra le due parti in conflitto sull'originario rapporto di ostilità viene innestato un nuovo dono". 112 Si scopre dunque un perdono che ha

contenuto inverso rispetto a quel che comunemente si crede: non è sgravio di responsabilità, ma è al contrario, richiesta di assunzione di responsabilità (una risposta) nei confronti dell'altro. Il dono tuttavia richiede una relazione responsabile tra chi lo da e chi lo riceve. Chi perdona ha la responsabilità di riacettare; chi è perdonato ha la responsabilità di essere riaccettato, di far buon uso sel dono ricevuto: entrambi hanno quindi responsabilità per ricucire il rapporto, che diventa strumento per il rispetto della persona e per il buon funzionamento della società. "L'offesa non è stata per nulla trascurata: non consisterebbe certo in questo il perdono. Infatti a chi vuol perdonare si prescrive di porgere l'altra guancia, non di fare come se nulla fosse. Trascurare l'offesa sarebbe o viltà, o superbi, che non coincidono con il perdono. Il perdono non è un fatto unilaterale dell'offeso: richiede che ci si lasci perdonare; richiede un'adesione dell'offensore, che il gesto di porgere la guancia, in qualche modo sforza, ma non impone. In questo modo si tronca la spirale di vendetta perchè l'offensore non si stente sottoposto ad una nuova imposizione,a sua volta unilaterale e che gli verrebe da vendicare"113, dato che la

vendetta di per sé verrebbe a consistere in una nuova lesione.

trasformato nell'equivalente di justizia tipico del pensiero occidentale ('giustizia è costante e immutabile volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto" afferma Ulpiano), così perdendo la percezione che nella Tsedāqāh "grazia, misericordia e perdono divengono una sorta di categora giuridica". L'applicazione del senso biblico della giustizia fa sì che la sanzione perda la sua natura retributiva e si trasformi in strumento di recupero e riconciliazione, di risocializzazione anzichè di desocializzazione.

111COLOMBO, op.cit. pag. 83

112CERETTI, Quale perdono è possibile donare?, in Dignitas, n. 6, 2004. 113METHIEU, op.cit, pag. 182

Garland descrive bene il processo di oscurantismo "dei nobili ideali della solidarietà da parte degli imperativi più realistici della sicurezza, dell'economia e del controllo"114, quindi risulta chiaro che per

abbandonare la pratica della pena, è necessario abbandonare l'idea che la sofferenza sia salvifica. Questo è un lungo percorso nel quale la revisione della sanzione non può che andare di pari passo con il cambiamento culturale, in una relazione di reciproca influenza. E d'altra parte lo stesso Colombo afferma che non sarebbe possibile oggi dal momento che la società è strutturata di fatto sulla discriminazione adottare un complessivo sistema di risposta alla tragressione basato su questa idea, perchè questo confliggerebbe con la capacità di comprenderlo sia da parte di chi trasgredisce, che da parte di chi subisce la tragressione . Tuttavia, possono essere introdotti dei cambiamenti progressivi che contribuiscono anche alla modifica della cultura generale sul modo di relazionarsi.

Già molteplici sono stati gli interventi da parte delle istituzioni internazionali in tema di giustizia riparativa, tra i quali: nel 1999, il Consiglio d'Europra ha emanato la raccomandazione (come tale quidi non vincolante) n.(99)19 sulla mediazione penale, che definisce come "qualsiasi procedura per la quale la vittima e il colpevole sono messi in condizione se vi consentono liberamente, di partecipare attivamente alla soluzione dell difficiltà derivanti dal reato con l'aiuto di una parte terza imparziale (il mediatore)". Abbiamo poi la Risoluzione ONU 12/2002 intitolata Basic Principles on the use of restorative justice programs in ciminals matters, chiarisce che "il procedimanto riparativo sta ad indicare qualsiasi procedimento nel quale la vittima e il colpevole, e se del caso, qualsiasi altro individuo o membro di comunità toccato dal reato, partecipino insieme attivamente per la soluzione delle questioni sorte dal delitto generalmente con l'aiuto di

un facilitatore. Il procedimanto riparativo può includere la mediazione, la conciliazione, nonchè conferencing e sentencing circles [che sarebbero pratiche di mediazione in uso in alcune comunità]". Invece vincolante per gli Stati membri dell'UE è la Decisione quadro 2001/220 GAI che definisce "la mediazione nelle cause paneli, come la ricerca prima o durante il procedimanto penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l'autore del reato con la mediazione di una persona competente" L'art. 10 prevede che "ciascuno stato membro prvvede a promuovere la mediaizone nell'ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per qusto tipo dio misura . Ciascuno stato membro provvede a garantire che eventuali accordi raggiuti tra la vittima e la'utopre del reato nel corso della mediazione nell'ambito dei porciedimanti penali vegnano presi in considerzione". L'attenzione dell'ambiente internazionale alla mediazione nasce da percorsi che in tanti paesi sono stati cimpiuti nella stessa direzione a partire dagli utlimi anni del secolo scorso: Germania, Austria, Belgio, Nuova Zelanda, australia, ecc. Interessanti poi i risultati di un'indagine statistuca sulla recidiva, i quali riportano che la partecipazione nella mediaiozne della vittima – responsabile riduce la recidività con un riduzione del 32%.115

Diamo qualche delucidazione in più su questi concetti. La mediazione penale è una tecnica operativa, che consente di applicare il paradigma della Giustizia riparativa e sostiene l’importanza e il valore della partecipazione attiva del reo a programmi di riparazione del danno e a processi di ricostruzione della relazione con la vittima. "Si tratta dunque di un modelli di intervento sui conflitti (originato da un reato o che si sono espressi attraverso un reato) che si avvale non della pena o di alcune 'sottoarticolazioni' sanzionatorie tradizionali, ma di strumenti che tendono a promuovere la riparazione del danno cagionato dal fatto

115Indagine pubblicata sul n.3 del 1999 di VOMA Connection, dalla Victim-Offender Mediation Association;

delittuoso e soprattutto la riconciliazione tra autore e vittima"116. A

quest’ultima (che è comunque coprotagonosta del fatto delittuoso nonchè soggetto che risente maggiormente del crimine) veniva per la prima volta riservato un ruolo centrale, anzitutto di ascolto e comprensione rispetto al male subito, e di rielaborazione dello stesso in seconda battuta, mentre fino ad allora il processo classico l’aveva lasciata perlopiù ai

margini. Gli obiettivi della giustizia riparativa possono essere individuati in quelli che seguono. Innanzitutto, il riconoscimento della vittima: la parte lesa deve poter riguadagnare il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni, superando i sentimenti di vendetta rancore, ma anche sfiducia verso l'autorità. La riparazione dell'offesa nella sua dimensione globale: l'offesa può essere causa di insicurezza collettiva e può indurre i cittadini a modificare le abitudini comportamentali, senza però scadere nelle forme di retribuzione mascherata. L'autoresponsabilizzazione del reo: le attività riparative non possono prescindere dal consenso del reo, che deve rielaborare il conflitto e i motivi che l'hanno causato e riconoscere la propria responsabilità e la necessità di riparazione. La giustizia riparativa ancora coinvolge la comunità nel processo di riparazione: la comunità ha il duplice ruolo di essere il destinatarario di politiche di riparazione e attore nel percorso di pace. Si mira poi al rafforzamento degli standards morali nel senso auspicato dalle teorie della prevenzione generale positiva. Infine, il contenimento dell'allarme sociale: perchè si restituisce alla collettività la gestione di determinati accadimenti che hanno un impatto sulla percezione della sicurezza da parte dei consociati. Ulteriore presupposto ideologico consiste nella teoria del “labelling approach”. "Con questo termine si intese descrivere la

116CERETTI – DI Ciò, Giustizia riparativa e mediazione penale a Milano: un'indagine quantitativa e qualitativa, pubblicato sul Numero 3 dell'anno 2002, pag. 100;

particolare interazione che, una volta verificatosi il primo fatto-reato (devianza primaria), si instaura fra l’individuo e le istituzioni, ossia una forma di “etichettamento” che l’ordinamento predispone nei suoi confronti con l’imposizione di un processo pubblico"117. Questo perchè

l'immagine che il reo si crea di sé durante il processo è una concausa del suo comportamento successivo, perchè se un soggetto è etichettato come delinquente, questo agirà in modo da non deludere le aspettative della condizione deviante. La giustizia riparativa deve curare e non punire. Inoltre senza dubbio, lo sviluppo della giustizia riparativa è individuabile nella crisi dei modelli tradizionali di giustizia, quello retributivo e quello riabilitativo, ma anche in primo luogo "come crisi dell'effettività della sanzione giacchè la minaccia della pena rimane fine a sé stessa e non riesce a rappresentare un vero deterrente fintantochè non divenga realmente certa la possibilità di una sua concreta applicazione"118

"Quando si parla di mediazione ci si riferisce ad un'attività in cui una parte terza e neutrale aiuta due o più soggetti a capire il motore, l'origine di un conflitto che li oppone, a confrontare i propri punti di vista e a trovare soluzioni, sotto forma di riparazione simbolica, prima ancora che materiale". "È uno strumento attraverso il quale si può realizzare un giustizia intersoggettiva volta a favorire la riconciliazione morale del reo con la persona offesa e/o la riparazione materiale del danno cagionato"119; una sorta di catarsi, di espiazione purificatrice in

grado di garantire la riabilitazione sociale dell'offensore e una terapia per l'offeso attraverso la quale si riesce ad affrontare i fatti dai quali si è originata la sofferenza e a riacquistare la serenità perduta.

117 B. BERTOLINI, Esistono autentiche forme di 'diversione' nell'ordinamento processuale italiano? Primi spunti per una riflessione in Diritto penale

contemporaneo, consultabile all'indirizzo:

http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1415787056BERTOLINI_2014.pdf. 118TIGANO, Giustizia riparativa e mediazione penale, pubblicato sul numero 2

dell'anno 2006 , pag. 2 119 TIGANO, op.cit, pag. 29;

Di sicuro le tecniche conciliative sono più adatte ai reati che non sollevano allarme sociale, ad esempio reati contro il patromonio, contro la persona, di non particolare gravità. L'atteggiamento della vittima infatti varia a seconda del reato subito e nel caso dei rati più gravi, è probabile che la vittima sia poco proclive a soluzioni stragiudiziali e possa manifestare un atteggiamento vendicativo, volendo la punizione (meglio se arreca tanta sofferenza) del colpevole per appagare il suo sentimento di vendetta. Tuttavia, la tenuità dell'illecito non è una condizione del ricorso a questo strumento. Le ragioni che possono spingere le parti a venirsi incontro possono essere molte: ottenere un ristoro economico, procedere ad una opera di responsabilizzaione attraverso il contatto con la vittima; in più non dobbiamo dimenticare l'effetto positivo di deflazione del carico giudiziario.

Il fulcro della mediazione sono i problemi e i punti di vista dei soggetti partecipanti che aiutati da un mediatore che, "senza alcuna autorità di imporre una sua soluzione"120 ha solo il dovere di impegnarsi a

evidenziare i termini della questione e a trovare modalità soddisfacenti di discussione. La differenza tra il giudice e il mediatore è che il giudice è neutro ed equidistate (non è né questo, né quello), mentre il mediatore mantentendosi imparziale deve però essere questo e quello, si fa equiprossimo alle parti. "Sviluppare la mediazione nell'ambito giudiziario, vuol dire superare la visione del reato quale atto isolato e astratto commesso da un soggetto difficile e iniziare a leggerlo come un segmento di complesse vicende relazionali, abbandonare la pena retribuzione risociliazzante per lasciare spazio alla riparazione responsabilizzatrice"121. Il cuore della mediazione è l'incontro, che

consente una comunicazione tra reo e vittima per raggiungere un accordo. Il vantaggio della mediazione è che con questa si gestisce un

120 CERETTI- DI Ciò, op.cit. , pag.104 121CERETTI- DI Ciò, op.cit. , pag.105

disagio fatto di paura, rancore, odio che la vittima può provare e che le istituzioni faticano a capire o la stessa colpevolizzazione che spesso si avverte per il fatto di aver chiesto aiuto all'autorità giudiziaria.

Con questa pratica, intanto i contendenti si riconoscono non più nemici, ma avversari, questi possono continuare a confliggere ma con regole minime: si riconosce il nemico ma allo stesso tempo si riconosce il diritto ad una esistenza indipendente.

Nell'ordinamento italiano, la possibiità di introdurre la mediazione quale tecnica alternativa nella risoluzione dei conflitti derivanti da reato può incontrare almeno apparentemente dei limiti nei principi costituzionali. Non sembra sia limite invalicabile la struttura processuale accusatoria fondata sul contraddittorio (art. 111 Cost) perchè la mediazione si può ritenere che rientri tra le tecniche definitorie di natura consensuale verso le quali si sta evolvendo il nostro ordinamento. Rispetto poi all'art. 112, è in dubbio che l'esistenza nel nostro ordinamento dell'art. 112 della Costituzione, che impone al Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale, renda più difficile l'accoglienza della mediazione penale.

In italia non esiste una disciplina legislativa di giustizia riparativa e di mediazione. Quel che si fa lo si fa usando spazi normativi che consentono l'applicazione di procedure di giustizia alternative a quella retributiva. A volte si tratta di percorsi nei quali si attenuano gli aspetti retributivi insiti nell'idea tradizionale di pena (è il caso dei primi due esempi che faremo), altre volte si tratta di vere e proprie pratiche di mediazione(è il caso del terzo esempio).

Il primo caso fa riferimento allo strumento inserito nel d.p.r. 309/90 "Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, il quale prevedere fra l'altro che le persone tossicodipendenti (i detenuti tossicodipendente in Italia sono circa un

quarto)che segnono o che intendnon seguire un programma teraputico di reuero possano alla presenza di determinati presupposti., essere poste agli arresti domiciliari presso la propria struttura abitativa o in presenza di ulteriori presupposti, presso una strutura resideniale. L'art. 96 delo stesse decreto conferma "le unita sanitarie locali [...] provvedono alla cura e alla riablitazione dei deenuti tossicodipendenti o alcoolisti". Particolare è l'esperienza del carcere di San Vittore a Milano, in cui ai detenuti tossicodipendenti la ASL propone un contratto con il quale ci si impegna ad astenersi dall'uso di stupefacenti e alcool e a sottoporsi a controlli in proposito; a partecipare alle riunioni giornalieire, a rispettare cose e persone, ad evitare comportameni violenti e linguaggio irrispetoso. Chi accetta queste condizioni verrà trasferito in un piccolo reparto, la struttura sepmlice trattamento avanzato "La Nave", nel quale si pratica vita comunitaria per nove ore al giorno e si pongno in essere numerose attività (gruppo di lettura, corso di educazione alla legalità, e altri). Le tendenze retributive che al momento sembrano ineliminabili, vengono però un po' contenute e si spingono verso la pratica di effettivo percorso di riabilititazione con lo stimolo della responsabilità personale del detenuto che ha scelto si seguirlo, prendendolo come impegno.

Altro caso da considerare è quello di Bollate. Sappiamo che la legge Gozzini si è mossa verso un indirizzo che fosse quanto più possibile conforme ai principi della Costituzione e proprio questo l'orientamento che si segue all'interno della Casa di Reclusione. "Il rispetto della Costituzione e delle leggi che hanno cercato di darvi attuazione è una specie di 'esperimento artiginale' messo in piedi da persone di buona volontà che si discostano dal modo generale di fare"122. A Bollate non

si sta in prigione tutta la giornata e alcune pretese come l'ira d'aria non vengono avanzate perchè non serve. La casa di reclusione non ha come

principio ispiratore la sofferenza , la pena, ma il recupero tra la persona e la collettività e il ristabilimento del legame fra loro che si era spezzato.

In fine, dal 1995 prima a Torino e poi anche a Milano, Bari e Trento si è iniziato a costruire dei centri o uffici di mediazione e la magistratura competente ha iniziato a inviare loro casi da trattare utilizzando gli spazi normativi e le possibilità concesse dal decreto con il quale sono state approvate le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e in particolar modo ciò che è previsto dall'art.9 (Accertamento della prsonalità del minore), dall'art. 27 (Chiusura del procedimento per irrilenvanza del fatto), dall'art. 28 sospensione del processo e messa alla prova, e inoltre le possibilità previste dal codice penale in tema di perdono giudiziale e di remissione di querela. Non avendo un quadro normativo di riferimento, i percorso di mediazione possono variare da luogo a luogo. Analizziamo i passagi di quello che è in uso a Milano.

La mediazione inizia con la selezione del caso da parte dell'autorità giudiziaria che lo invia all'ufficio di mediazione: il mediatore prende contatti con le parti per verificare la loro disponibilità alla mediazione. I presupposti per l'ammissione della mediazione sono: ammissione di responsabilità da parte dell'indagato, il consenso a parteciperae all'incontro da parte della vittima e del responsabile. Il meditore ha il compito delicato di aiutate il responsabile ad assumere la parternità del fatto e il disvalore di questo per essere preparato all'incontro con la vittima e aiutare quest'ultima a elaborare il lutto per la sua vita precedente che è stata persa con la commissione del fatto (ogni vittima tra latro, normalemnte durante la mediaione tende a idealizzare la sua vita precedente, aspiando a che tutto torni come prima). Sei vittime su dieci sono disposte alla mediazione, anche perchè spesso le vittime hanno necessità di capire perchè sia successo il fatto e perchè sia

successo proprio a loro e capiscono ben presto che solo l'autore può rispondere a queste domande. C'è quindi un riconoscimento reciproco fra vittima e autore, che prepara entrambi all'incontro. Dopodichè si ha l'incontro face to face, costituiti in vari meeting dai quali possono orginarsi esiti positivi quali, l'elaborazione del disvalore dell'azione compiuta da parte del reponsabile e il maturare in lui di un senso di colpa, e la ricezione di una riparazione simbolica o materiale da parte della vittima che può cambiare in qualche modo il clima della propria esistenza, recuperando dignità e il senso della relazione con gli altri e con se stesso. A conclusione, all'autorità giudiziaria viene trasmesso l'esito della mediazione. La positività dello stesso si determina nel momento in cui il mediatore raggiunge la chiara percezione che le parti abbiano avuto la possbilità di esprimere a fondi i propri sentimenti, che siano giunte ad una diversa ma reciproca visione, a un riconoscimento reciproco della propria dignità e al rispetto dell stessa; che sia avvenuto un cambiamento insomma delle modalità di comunicazione delle parti fra loro e che si sia arrivati ad una riparazione simbolica o materiale. A questo punto il procedimanto penale si può concludere applicando il perdono giudiziale, ritenendo l'irrilevanza del fatto, o ricorrendo alla messa alla prova. Così si può parlare di giustizia riparativa, perchè il responsabile non subirà le conseguenze retributive della trasgressione.

CAPITOLO 4

"Molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell'uomo."

(Sofocle, Antigone) PROPOSTA DI UNA "NUOVA" PENA DETENTIVA:

L'ESEMPIO NORVEGESE

4.1. Gli interventi normativi recenti e le prospettive di una "nuova" pena detentiva.

Le idee che protendono verso un diverso modo di concepire la giustizia o verso pene diverse dal carcere non sono riuscite purtroppo a risolvere alcune problematiche che le loro stesse teorie pongono. Innanzitutto la questione dei costi: se proprio delle strategie alternative dell'approccio al fenomeno criminale devono essere trovate, sarebbe opportuno che