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Esodo o Esilio?

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 72-81)

Jean Jacques Rousseau ne l’Emilio scrisse: «Dei nostri mali più grandi siamo noi gli artefici26», affermazione che, secondo i metropolitani, calzava a pennello ai francesi d’Algeria, ritenuti dai primi la sola e unica causa della guerra d’Algeria; incapaci di lasciare quella terra che avevano rubato ai musulmani e che da 130 anni stavano sfruttando. I metropolitani ritenevano infatti che i francesi d’Algeria fossero dei «poveri pazzi […] che hanno voluto imporre la loro legge a 9 milioni di algerini e a 45 milioni di francesi: risultato, hanno perso tutto27».

I pieds-noirs erano la prova vivente della fine dell’impero coloniale francese e obbligavano i metropolitani a confrontarsi quotidianamente con l’échec della guerra d’Algeria. La loro presenza ostacolava la volontà francese di passare un colpo di spugna sugli otto anni appena trascorsi e cancellare un conflitto che non era mai stato riconosciuto come tale, ma che aveva portato la Francia al collasso. La perdita di questo territorio considerato parte integrante della Francia era una ferita ancora aperta nell’orgoglio nazionale e obbligava ad ammettere l’amputazione di una parte della nazione, da sempre considerata una e indivisibile, segnando un colpo mortale al giacobinismo.

Addossare tutte le colpe ai francesi d’Algeria non fu altro che un escamotage per cercare di preservare la legittimità del potere statale, di un potere politico e sociale che aveva a lungo sfruttato la colonizzazione senza mai pensare di mettervi la parola fine: «Noi disturbiamo perché rappresentiamo la cattiva coscienza della Francia. Noi non saremmo mai veramente accettati finché non saremmo tutti morti28

L’arrivo di questa massa di individui, che cercava di fuggire alle rappresaglie musulmane e agli attentati terroristici dell’OAS, assunse velocemente la forma di un’emorragia, e venne velocemente ostacolata dalla metropoli che cercava in tutti i modi di facilitare l’oubli. Per questo la città di Marsiglia, dove avvenne la maggior parte degli sbarchi, fu a lungo considerata dai pieds-noirs «spazio di rigetto, un luogo purgatorio che seguiva un «esodo

26 J.J. Rousseau, Emilio, Armando Editore, Roma, 1981, p.80.

27 Testimonianza in M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 372.

disonorevole» che non potrà mai essere perdonato29» a causa del quale «una memoria traumatizzata si è formata nella città fenicia conquistando la maggioranza della popolazione

pieds-noirs30

Anche l’OAS cercò di bloccare la fuga degli europei affermando che «ogni cittadino è un soldato31» che non doveva abbandonare la propria terra ma combattere e, per limitare la fuoriuscita di francesi, arrivò a controllare anche le agenzie di viaggio. La Croix ci offre un esempio di come l’OAS avesse tentato di bloccare la partenza di francesi: «era in gennaio, aveva preso i suoi biglietti. L’OAS gli ha intimato di restituire i biglietti. Non ha voluto. È stato ucciso alla vigilia della sua partenza32.» Mentre Le Parisien libéré c’informa che l’organizzazione cominciò a programmare attacchi contro gli stessi europei, in attesa dei documenti di viaggio, davanti alla questura o i commissariati, per spingerli a non abbandonare l’Algeria: «per la quarta volta in tre giorni, una granata è stata lanciata, ieri davanti al commissariato di Bab el Oued, dove attendevano una quindicina di persone in attese di ottenere l’autorizzazione alla partenza33

Queste risoluzioni non ebbero tuttavia gli esiti desiderati, anzi velocizzarono l’esodo interminabile verso la metropoli, trasformando le partenze in qualcosa di clandestino: «non dicevamo nulla, prendevamo degli appuntamenti per i giorni successivi, lasciavamo la biancheria ad asciugarsi alle finestre e, un giorno, si è partiti il più discretamente possibile, lasciandoci dietro i nostri mobili, la nostra macchina34», «come dei ladri, senza salutare nessuno35

Gli europei si precipitarono nelle grandi città portuali, come Algeri e Orano, alla ricerca di un mezzo di trasporto con il quale lasciare quell’inferno, sentendo risuonare nelle loro orecchie la frase «la valise ou le cerceuil» e continuando a vedere amici e parenti uccisi: «dapprima fu l’operazione di rappresaglia di Si Azzedine nelle strade d’Algeri, poi i rapimenti, sempre più numerosi e spesso seguiti da assassinii. Infine, ultimamente, la scoperta in un quartiere d’Algeri di cadaveri di europei che erano stati torturati36.» Anche Maurice Fedida ricorda:

29 J.J Jordi, 1962: l’arrivée des Pieds-Noirs, Éditions Autrement, Paris, 1997, p.15.

30 Ibidem, p. 15.

31 Cit. in J.J. Jordi, Les Pieds-Noirs, p. 67.

32 Cit. in Mercier, Les pieds-noirs et l’exode de 1962 à travers la presse française, L’Harmattan, 2011, p. 53.

33 An., À Oran l’OAS s’attaque aux candidats au départ, “Le Monde”, 24 maggio 1962, p. 6.

34 An., Diverses mesures vont être prises pour faire face au subit accroissement des départs, “Le Monde”, 23 maggio 1962, p. 6.

35 Testimonianza in M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 333.

36 P. Herreman, Les meurtres et les enlèvements d’Européens contribuent à accélérer le mouvement d’exode, “Le Monde”, 24 maggio 1962, p. 1.

«siamo partiti nel 1962, controvoglia e forzati. Un membro della mia famiglia è stato ucciso praticamente davanti a me. […] Sua madre era al balcone, due ragazzi sono arrivati con delle revolver, hanno sparato e sono scappati. I vicini hanno detto che è stato un errore, dicono sempre ciò dopo questi fatti. È stato ucciso dal FLN. E questo che ci ha spinto a partire, immediatamente. Siamo partiti a fine marzo, con i nostri figli e le nostre valigie, lasciando tutto. Non eravamo più a casa nostra, eravamo in un paese straniero37

Se la paura fu il principale motivo della partenza dei francesi non fu però l’unico.

La dissoluzione dell’universo familiare e della rete di amici che gli europei si erano creati nel corso di 130 anni li spinse ad abbandonare quella terra che non prometteva più nessun possibile futuro. In Algeria gli europei avevano formato un gruppo sociale legato da una cultura, una rete familiare e luoghi di sociabilità che gli erano propri, certamente molto meno omogeneo di quello che si sarebbe creato nella metropoli, ma la proclamazione dell’indipendenza algerina rese evidente che per loro non vi era più posto in quella terra. Per molti francesi accettare di rimanere in Algeria significava, inoltre, perdere quella specificità che era loro: «i francesi nati in Algeria si sono tutto d’un colpo ritrovati a non essere più algerini dopo il 1962, erano un corpo estraneo, erano divenuti gli intrusi. Chi rimaneva in Algeria era un intruso, momentaneamente necessario o tutto tranne che utile38

Separarsi da quei luoghi che accoglievano le salme dei propri avi e che rappresentavano il mondo intero per i francesi d’Algeria, per molti dei quali la Francia non era altro che una regione di là del Mediterraneo, fu molto doloro, e il distacco venne percepito come un vero esilio:

«tutto è scoppiato, tutto è stato disperso, partire, non è stata una scelta, non eravamo ricchi, quindi quando siamo partiti, abbiamo lasciato la nostra terra, la nostra casa. Quest’ultima faceva parte di noi perché vi erano i nostri ricordi, e se non era per l’abitazione, era l’ambiente, la strada… Anche i morti facevano parte di noi. Non potevamo farli tornare. Oggi l’Algeria non è più la nostra terra39.» «É stato definitivo, non è stato un viaggio, è stato imposto. Questo non è stato una scelta, non è la stessa cosa. […] Era finita. Questo ci divideva in due, era la fine, vi erano due parti della mia vita, ciascuna autonoma. Sapevo che era una partenza, una vera. Questo non mi ha diviso, sono rimasto inerte, come davanti a una catastrofe da cui non ci si alza più. Non con l’idea: «tu parti, tu parti», no questo non è una scelta. Sarei potuto tornare. Ma se fossi tornato sarei stato uno straniero, non sarei tornato da algerino, ma da straniero40

37 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-Noirs, p. 195-196.

38 Testimonianza in Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 348-349.

39 Ibidem, p. 349.

Durante quel giugno, lasciarono l’Algeria non meno di 350.000 pieds-noirs che vendettero per due soldi, o semplicemente abbandonarono, le loro proprietà e le auto: a Bab el Oued i

pieds-noirs accesero grandi falò bruciandovi ciò che non intendevano lasciare a “quelli”. Un

testimone racconta: «ho assistito a delle scene atroci, quello che la gente non poteva imbarcare e chi era arrivato con la macchina, vi diedero fuochi prima di imbarcarsi. Chi non poteva portare tutti i propri bagagli li distruggeva sul luogo. Era l’esodo41!». Immagine confermata da Noel Guiraud:

«ho lasciato l’Algeria solo con mia sorella il 18 giungo 1962, nella notte. Sulla strada vi erano delle carcasse di macchine che bruciavano, erano quelle dei

pieds-noirs che venivano dall’interno del paese per prendere la nave o l’aereo. Dato che

non potevano portare con sé la macchina e non volevano lasciarla in Algeria, la bruciavano. […] io non uso mai il termine «rapatriés», poiché noi non siamo dei rimpatriati, ma siamo dei deportati e dei rifugiati42

Negli aeroporti e nei porti, stringendo due valigie, unica loro concessione, i pieds-noirs fecero code di giorni e notti per cercare un mezzo per tornare in patria.

A esodo ultimato si calcolò che 50.000 pieds-noirs avevano preso la via della Spagna, 12.000 del Canada, 10.000 d’Israele, soprattutto la componente ebraica. La maggior parte, però, circa 1.380.000 individui, si era riversata in Francia43.

Molti pieds-noirs si fissarono nella zona che più somigliava all’Algeria ossia nel Midi, soprattutto a Marsiglia. Alcuni edificarono colonie di case bianche dal tetto piatto, con patio e bouganville sopra la porta a rimembranza delle dimore perdute. Ma il calore del clima da essi desiderato spesso non corrispondeva al calore nel cuore dei vicini. I provenzali li consideravano una razza straniera e sbarravano loro la strada chiamandolo «sales pieds

noirs». Molti passarono da una vita algerina relativamente agiata a un’esistenza al limite della

povertà.

Per cercare di coordinare l’arrivo e l’assistenza a eventuali profughi, il governo aveva creato nell’agosto del 1961 il “Secrétariat d’état aux rapatriés” che, secondo la previsione, avrebbe dovuto accogliere circa 100.000 individui l’anno, per un complessivo di 400.000 d’individui in quattro anni. Nessuno all’interno della cerchia politica avrebbe potuto immaginare che i primi trasferimenti dei pieds-noirs si sarebbero trasformati in un esodo massiccio. Per impedire ciò nel dicembre 1961 era stato approvato un decreto in cui si stabiliva che la

41 Testimonianza in J.J. Jordi, 1962: l’arrivée des Pieds-Noirs, p. 21.

42 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-Noirs, p. 200-201.

partenza dell’Algeria non doveva essere causato da motivi solamente politici, essendo stata la difesa dei francesi d’Algeria per il governo francese e il FLN un punto cardine in tutti i tentativi di negoziazione; de Gaulle a tale proposito affermò «è necessario a tutti i costi che i francesi d’Algeria restino a casa loro44

Il sabotaggio da parte dell’OAS, delle imbarcazioni in partenza per l’esagono ad Annaba e a Philippeville nel marzo del 1962, per cercare di bloccare l’emorragia di pieds-noirs, spinse il governo francese a chiedere alla Transat e alla Socieété génerale de transport maritimes di ridurre il numero dei viaggi settimanali45.

La strage di rue d’Isly e quella di Orano del 5 luglio, chiaro esempio della frattura esistente tra le due popolazioni, furono l’atto finale che spinse la quasi totalità dei pieds-noirs a cercare un passaggio verso la metropoli nonostante le difficoltà pratiche e burocratiche, congestionando velocemente porti e aeroporti.

A riguardo Melchior Calandra racconta:

«eravamo sulla prima barca che partiva, il 12 giungo 1962. Da oggi al domani, mia madre e mio padre hanno chiuso tutto, lasciato tutto, in quarantotto ore. Non è stata una bella partenza. Eravamo in sovrannumero. Il tragitto durava 24 ore, mio padre era riuscito ad avere una cabina per quattro, ci recavamo per il bagno, per riposarci. Non ho mai smesso, durante tutto il viaggio. Di guardare la costa dell’Algeria46

Vedendo l’aumentare dei profughi sulle banchine dei porti le compagnie decisero, senza il consenso del governo di aumentare il numero dei viaggi, ancora insufficienti a trasportare quella massa umana nella metropoli, come attesta Le Parisien Libéré: «sei mila uomini, donne, e bambini sono parcheggiati là con il loro bagaglio dopo diversi giorni negli hangar, negli uffici dell’aviazione oppure all’aria aperta, senza neppure poter uscire dal perimetro, e in condizioni di promiscuità e d’igiene catastrofiche47

Il governo reagì moltiplicando le pratiche burocratiche, temendo che fra gli europei in uscita potessero infiltrarsi membri dell’OAS. Divenne così necessario attendere come minimo un giorno per riuscire ad ottenere «il piccolo quadrato di cartone verde che portava l’indispensabile numero d’imbarco48».

44 Cit. in J.J. Jordi, Les Pieds-Noirs, p. 67.

45 J.J. Jordi, 1962: l’arrivée des Pieds-Noirs, p. 17-27; C. Mercier, Les pieds-noirs et l’exode de 1962 à travers

la presse française, p. 53.

46 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-Noirs, p. 199-200.

47 Cit. in C. Mercier, Les pieds-noirs et l’exode de 1962 à travers la presse française, p. 60.

Quando i porti e gli aeroporti cominciarono a essere presi d’assalto da una marea umana, le autorità decisero di erigere barriere per confinarli in luoghi perimetrali e delimitati «i moli del porto d’Orano erano divisi in settori da barriere di legno che corrispondevano alle diverse partenze delle imbarcazioni. Ma questo non significava che saremmo partiti in giornata. Dato che non potevamo ritornare in città, ci lasciavano là due giorni prima di farci imbarcare49.» Nonostante questi indizi premonitori il governo non fu in grado di accettare e gestire la situazione, poiché secondo il ministro Alain Peyrefitte «certi europei avrebbero anticipato le loro vacanze a causa della piega presa dagli avvenimenti50.» Parole che stridono con la testimonianza di Madame Adrien Badaracchi che racconta:

«i due ultimi anni, eravamo sospettosi quando uscivamo, avevamo paura di ricevere un colpo di coltello. Allora ci siamo decisi a partire. Siamo partiti un po’ prima dell’indipendenza, a metà giugno. E stata una partenza triste. Sapevamo che non saremmo tornati. […] abbiamo preso la nave, faceva così caldo! Eravamo così numerosi! Ve n’erano che piangevano, ma non io, io non ho realizzato immediatamente51

Ma che la stampa propagandava senza preoccupazione sottolineando come questa situazione fosse certamente provvisoria e che i pieds-noirs sarebbero tornati velocemente in Algeria dato che «hanno lasciato tutti i loro beni in Algeria e sono principalmente delle donne con i loro figli che arrivano. Gli uomini accompagnano le loro famiglie e spesso ripartono per Algeri qualche giorno dopo52.» Effettivamente gli uomini rientravano in Algeria, ma solo per cercare di vendere i propri averi e di concludere gli affari, prima di tornare definitivamente dalla famiglia, al sicuro nella metropoli. Come asserisce Le Monde: «molto spesso gli algerini conducevano le loro mogli e i loro figli nella metropoli, poi ritornavano in Algeria. È per questo che a Casablanca nei primi quindici giorni di maggio, di 5789 uomini partiti, si sono registrati 4521 ritorni, mentre per 2847 donne partire, solo 952 sono ritornate53

Le difficoltà di accoglienza ebbero dunque alla base la mancata attivazione del governo che avendo stimato un ritorno temporaneo di 200.000 rimpatriati, si trovò del tutto impreparato all’arrivo di circa un milione di profughi in un anno. A tale proposito Michel Goué affermava: «dopo meno di dieci mesi dalla sua creazione, il Secrétariat d’état aux rapatriés è stato messo

49 Testimonianza in Jordi, 1962: l’arrivée des Pieds-Noirs, p. 20.

50 D. Leconte, Les Pieds-noirs, histoire et portrait d’une communauté, Éditions du Seuil, Paris, 1980, p. 239.

51 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-Noirs, p. 200.

52 Cit. in C. Mercier, Les pieds-noirs et l’exode de 1962 à travers la presse française, p. 88.

53 An., Diverses mesures vont être prises pour faire face au subit accroissement des départs, “Le Monde”, 23 maggio 1962, p. 6.

alla prova dal primo afflusso di francesi rientranti dall’Algeria. Senza dubbio non è ancora un vero esodo, ma le lunghe file di attesa che si notano ogni giorno allo sportello della delegazione regionale provano che gli uffici d’accoglienza non sono adatti al compito che gli si domanderà loro domani54

Verso la metà di giugno la sterminata folla in attesa sui moli spinse le autorità a ridurre al minimo le pratiche burocratiche e i capitani delle navi a imbarcare quante più persone possibile, superando il numero di sicurezza e senza curarsi della comodità dei passeggeri. Il 15 giungo la Cambodege, ad Algeri, fece salire a bordo 12.333 persone, quando la sua capacità era di 440 passeggeri, il 23 giungo la nave Jean-Laborde lasciò il porto d’Orano con 1.166 francesi invece dei 400 autorizzati mentre il Kairouan partì con 2.100 viaggiatori invece di 1172.

Serge Grossan, giornalista dell’Aurore imbarcato su quest’ultima scrisse:

«il comandante Miaille non ha mai spiegato come ha potuto procurarsi in un’ora più di un centinaio di sdrai supplementari per i 2100 rifugiati [in realtà all’arrivo a Marsiglia si conteranno 2630 rimpatriati] che ha condotto da Algeri a Marsiglia, battendo il record di tutte le navi della linea.

Noi eravamo ammucchiati sul ponte di prua. Li osservavo guardare le coste dell’Algeria fino alla scomparsa dall’orizzonte. Ma nulla… accucciati sui bagagli, restavano immobili. Contemplavano la schiuma55

Negli aeroporti le condizioni non erano certo migliori «siamo rimasti due giorni e due notti a La Sénia (aeroporto d’Orano) sotto un sole a picco, senza avere niente da bere, e la più piccola dei miei figli aveva solo sei mesi56

In Francia, tuttavia, non avrebbero trovato quella serenità che cercavano fuggendo dall’inferno algerino. Nessuna autorità aveva previsto una tale massa di rimpatriati, 45.200 nei soli primi otto giorni di giugno, di conseguenza nessun servizio era attivo e in grado di fornire assistenza a questo flusso d’immigranti.

Verso la metà di maggio il Secretariat aux rapatriés, gestito da Robert Boulin, poi Ministère

de rapatriés, aveva creato alcune strutture di aiuto e di coordinamento, ma nulla era

effettivamente pronto per coloro che richiedevano un’abitazione e un lavoro provvisori. Chi aveva parenti sul suolo metropolitano vi si recò immediatamente, ma gli altri restarono a Marsiglia in attesa di direttive, che tardarono ad arrivare. La città fenicia, definita da Daniel

54 M. Goué, L’afflux des rapatriés mets à l’épreuve les organismes d’accueil du secrétariat d’Etat, “Le Monde”, 23 maggio 1962, p. 1-6.

55 Testimonianza. in J.J. Jordi, 1962: l’arrivée des Pieds-Noirs, p. 23-24.

Saint-Hamont la nuova Ellis Island dei pieds-noirs, non fece dunque intravedere un futuro migliore, anzi fece emergere «il lato disonorevole di questo esodo che non potrà mai essere perdonato57

Era stata la legge per l’accoglienza ed il coordinamento dei rapatriés a stabilire che Marsiglia diventasse la Ellis Island francese, un semplice punto di transito, di smistamento da cui sarebbero partite tutte le attività di coordinazione del flusso migratorio, ma che, come ricorda

Le Provencal, non avrebbe ospitato la marea pieds-noirs: «la possibilità di installare il

maggior numero di rimpatriati in Provenza è esclusa58

A tal proposito si stabilirono regole per lo smistamento delle famiglie: se disponevano di appoggio in Francia, avevano un luogo dove recarsi, e possedevano anche le risorse finanziarie adeguate al transito verso quel luogo avrebbero ricevuto un modulo bianco; il modulo blu avrebbe identificato invece chi aveva un referente nella metropoli ma non avevano mezzi per recarvisi; infine, il modulo rosso era destinato a coloro che non avevano nessun referente nell’esagono ed alcuna risorsa finanziaria. Per questi ultimi sarebbe stato necessario stabilire un nuovo luogo in cui installarli seguendo il criterio affermato da Boulin «è essenziale che i rimpatriati siano orientati nello spazio in funzione dei bisogni, nei settori dell’economia nazionale dove è necessario impiantare delle industrie, delle officine, delle abitazioni per rianimarli. Questa tendenza potrà avere grandi benefici anche per l’economia nazionale59

Fino ai primi di maggio le operazioni si erano svolte con una certa rapidità dato che le famiglie giunte nella metropoli erano un numero esiguo e la maggior parte di loro aveva un punto di riferimento, parenti o amici; invece, dalla metà di giugno, le migliaia di arrivati compilarono per la maggior parte i fogli rossi, non disponendo né di denaro né di legami familiari nella metropoli.

Il Centre régional d’orientation et d’accueil fu velocemente intasato da questo flusso permanente di rimpatriati e le sua capacità di accoglienza e coordinazione subirono un lento

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 72-81)