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Jeunesse Algérianiste

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 145-184)

4.1 Le prime associazioni

4.2.1 Jeunesse Algérianiste

Velocemente anche tra i più giovani sorse la volontà di poter portare avanti la fiamma della cultura pieds-noirs. Desiderio che era stato fermamente auspicato tra i fondatori e che vide infine la sua realizzazione attraverso la creazione del gruppo Jeunesse Algérianiste, composto da membri tra i 16 ed i 35 anni:

«Coscienti di rappresentare uno spirito differente da quello dei nostri compatrioti metropolitani, noi vogliamo a nostra volta che la nostra comunità sia riconosciuta come l’elemento vivente della terra francese e che la nostra gioventù sia istruita in questo senso. Non è solo rimuginare sul passato che noi non abbiamo conosciuto, né proseguire delle chimere inutili… ma si tratta di farci sentire così forte in

maniera tale che coloro che si augurano la nostra sparizione si rendano conto di quanto si difficile imbavagliare un popolo.

Il futuro ci confida una missione: quella di prendere il lascito dei nostri padri che hanno avuto la loro parte di sfortuna e che meritano di vedere che la loro lotta non è stata inutile.42»

La giovane squadra era pienamente consapevole di dover tutelare l’eredità che sarebbe stata trasmessa loro dai «padri» e che li distingueva dai coetanei metropolitani:

«il popolo pieds-noirs esiste! Non solamente nella sua ricchezza umana, ma ugualmente in tutto il suo immenso patrimonio culturale.

Come le altre provincie della metropoli, la terra algerina ha forgiato durante più di un secolo un popolo ed una civilizzazione proveniente da diversi popoli, da diverse grandi culture. Il mondo latino e la mediterraneità hanno incontrato in Algeria il mondo arabo –berbero… e da questa strana unione noi siamo nati, noi, orgogliosi discendenti di Apuleio, Sant’Agostino, ibn Khaldoun… sotto la tripla protezione di Mosè, Gesù e Maometto.

Noi siamo questo strano cocktail euroafricano, un popolo i cui piedi si bagnano nel Grande Blu, la testa riposa sulla sabbia calda del deserto. Noi possiamo pretendere l’eredità di Roma come quella di Cartagine.

Dopo il 1962, la nostra comunità pensava al suo avvenire di popolo in esilio, poi, poco a poco, attraverso associazioni diverse, si raggruppò ed iniziò la lotta.

Nel 1973, il 1 novembre, un gruppo di pionieri, sul consiglio illuminato del dispiaciuto Jean Pommier, venne riaccese la fiamma dell’algérianisme.43»

Le peculiarità dell’algérianisme derivano da un profondo legame con l’Algeria, per questo nonostante la provincia francese sia scomparsa, la comunità pieds-noirs deve continuare a dialogare con la componente araba, non deve tagliare il cordone ombelicale con quella terra, per permettere che si possa effettuare ancora quella specifica osmosi tra le due culture:

«noi proponiamo anche una nuova definizione dei nostri rapporti con i musulmani, nel totale rispetto della loro personalità ma anche con il sentimento di aver avuto con loro una radice comune: la terra algerina.

Paul Valéry ha scritto: «arricchiamoci delle nostre differenze mutuali»

Noi speriamo ardentemente che il popolo franco-algerino nella sua totalità comprenda che le dipute di ogni sorta che l’hanno diviso non siano più riaperte e che solo l’interesse superiore della comunità resti importante.

Fra cento anni, è necessario che si faccia ancora sentire l’anima algerina tramite la sua voce: l’algérianisme44

42 M. Ribes, Groupe d’étude et de recherche jeunesse algérianiste, “L’Algérianiste”, n. 3, giugno 1978, p. 52-53.

43 M. Ribes-Rotge, Mouvement Jeunesse Algérianiste, “L’Algérianiste”, n. 8, settembre 1979, p. 51.

«a dire il vero, la cultura pieds-noir non è che una esperienza rinnovata della storia dei mescolamenti delle popolazioni, pacifiche o guerriere, quelle, all’inizio, della Gallia, della Provenza in particolare dell’Aquitania, a loro volta celti, latini, goti, saraceni45

«La cultura pieds-noirs e l’algérianisme si confondono. […] i caratteri specifici della nostra cultura hanno attinto i loro elementi in tutte le radici dei nostri paesi, etniche, geografiche, storiche, religiose, scientifiche. Ne hanno costituito il folklore vivente, originale.

Le loro sorgenti sono scaturite delle sue razze, dalle sue lingue, dal suo passato punico, latino, cristiano, ebreo, arabo; sono cresciute dalle sue favole, dai suoi mistici, dai suoi dei.

Lo spirito profondo di questa cultura è nato dalla sintesi e dall’assimilazione degli apporti eterocliti che furono attirati dalla nostra conquista, mescolati al vecchio patrimonio autoctono. È l’insieme delle lingue e degli animi francese, arabo, ebreo, maltese, spagnoli che generarono Brua e Cagayous.

È lentamente che è uscito questo genio: dalla simpatia fraterna incosciente degli uomini, delle parole, dei modi, dei costumi, de gesti, dei colori delle canzoni; ogni sostanza spinta nel patrimonio importato, poi elaborato nel crogiolo della luce, del clima algerino, per farne un’opera nuova46

Poiché:

«la nostra cultura, intenso meticiaggio di intelligenze e di mentalità era sia affermazioni di tradizioni ancestrali diverse sia simbiosi di queste tradizioni. Sintetizzava i valori permanenti di due mondi essenziali- l’Islam e l’Occidente- disgiunti da più di otto secoli e che, essendosi ritrovati, si reificano in contatto l’uno con l’atro47

Più volte negli interventi della jeunesse all’intero della rivista venne sottolineata la profonda volontà di non voler essere assimilati all’interno della popolazione metropolitana, di non voler tacere le loro origini e entrare nel «gruppo dominante», anche se il processo di assimilazione all’interno delle diverse comunità sia qualcosa di naturale sia stato proprio il principio fondatore della comunità pieds-noirs. Nonostante la generazione precedente, oppressa dal dolore della perdita, abbia preferito abbandonarsi all’illusione dell’assimilazione, ciò non può più avvenire:

«qualcuno prediceva che noi ci saremmo assimilati, dissolti, meglio e più velocemente che qualsiasi altro flusso d’immigrati, prima predizione sbagliata: 28 anni dopo noi esistiamo ancora,. Una minoranza vuole essere riconosciuta come tale. Non provo nessuna compassione per coloro che hanno voluto assimilarsi,

45 F. Lagrot, La culture pied-noir, “L’Algérianiste”, n. 16, 15 dicembre 1981, p. 6-7.

46 Ibidem, p. 6-7.

nascondersi nella massa negando ricorsi e passato: tagliando le loro radici, essi hanno perso la loro anima.

Noi accogliamo la cittadinanza, i suoi vantaggi e i doveri, ma noi rifiutiamo l’assimilazione castratrice48

Perché:

«il nostro avvenire, siamo noi che dobbiamo costruirlo sulle tracce di nostri padri. L’Algeria deve rimanere il nostro ideale, non solamente nelle sue frontiere geografiche, ma anche in tutto ciò che la rappresenta sul piano spirituale per la nostra civilizzazione algérianiste. Il «mediterraneismo» di G. Audisio, il latinismo di Bertrand, il pensiero di Camus, come quella dei filosofi arabi e berberi, questo insieme ci appartiene… è la nostra cultura.

[…] sul piano culturale, il nostro popolo deve adottare la stessa attitudine delle altre regioni della Francia che aspirano à un’autonomia nello sviluppo della loro espressione culturale. […] noi dobbiamo unirci, per unire le nostre forze creative verso un’esplorazione del territorio algerino. Pieds-noirs lo siamo divenuti per la volontà della «politica alta»…o meglio: «dell’alto tradimento» Algerini-francesi noi lo saremo sempre49

4.2.2 Letteratura

All’inizio del XX secolo nella comunità coloniale europea si sviluppò un movimento culturale chiamato algérianisme, che a si presentava risposta alla necessità di andare oltre l’esotismo, sia letterario che artistico, a cui tutti gli artisti si opponevano. Affianco alla letteratura di viaggio, caratterizzante le prime esplorazioni, era ora necessario tracciare un quadro che rispettasse la realtà in cui la società europea era profondamente radicata.

I primi scrittori sull’Algeria non avevano dato delle veritiere rappresentazioni di quella terra, animati solamente dal desiderio di divertire il pubblico e di mostrare le diversità tipiche del clima nord-africano. Nel corso del ‘900 la letteratura diventò invece sempre più realista appoggiandosi a documenti ed a fonti veritiere e favorendo la presa di coscienza degli scrittori, che cominciarono ad andare oltre l’immagine di un Africa come semplice terreno etnologico ed antropologico. Questa nuova corrente avrebbe dato vita all’algérianisme ufficializzato nel 1920 da Jean Pomier e Robert Randau che affermarono:

«gli algérianistes si sforzavano di far emergere, nelle loro opere, quelle che credevano essere le peculiarità della società coloniale: la vitalità, l’azione, la

48 Ibidem, p. 6.

forza, la passione il sacrificio. Focalizzarono la loro analisi culturale su tematiche come l’evoluzione sociale della colonia, l’accertata nascita della giovane e vigorosa patria algerina, territorio pieno di risorse fisiche e morali50»

Il mondo intellettuale nord-africano cercava quindi di svilupparsi con autonomia ottenendo il proprio spazio, poiché l’obiettivo principale dell’artista era di esaltare le qualità di questa nuova comunità nata dalla colonizzazione:

«l’insieme di questa popolazione formava un mosaico colorato di gente semplice e lavoratrice. Pionieri amanti della vita, duri a lavorare pronti a prendere iniziative, prodotti di una selezione naturale operata in seno alle popolazioni europee e mediterranee impiantate che aveva dovuto subire la fame e le terribili epidemie del XIX secolo, abili artigiani o piccoli negozianti ebrei, militari, piccoli funzionari, cooperanti senza imbarazzarsi troppo delle differenze religiose o dei contrasti folklorici. Un popolo patwork, laborioso, solare e spiritoso51

All’interno del movimento i emersero poi le specifiche caratteristiche di ogni singolo autore: scrittori come Louis Bertrand s’imposero di rappresentare le energie vitali importate dalla latinità, mentre letterati autoctoni come Robert Randau mostrarono i cambiamenti che erano avvenuti nella società e che l’avevano resa tale, raccontando nelle loro opere ciò che loro stessi avevano realmente vissuto. L’Algérianisme doveva essere la prima corrente letteraria strutturata teoricamente e praticamente, per opporla drasticamente all’esotismo.

Grazie alla volontà di una decina di uomini coraggiosi si è assistito al proseguimento di quest’opera anche nella metropoli, per far vivere e rivivere la cultura pieds-noirs tramite la rivista L’Algérianiste, e, come l’associazione di scrittori fondata nel 1921 da Pomier e Randau, le Cercle Algérianiste sancì un premio letterario per premiare coloro che avevano effettivamente creato opere per la tutela e la diffusione dell’algérianisme, la cultura

pieds-noirs.

Rileggiamo ancora una volta Jean Pomier che espose, nel 1920, nel primo numero della rivista “Africa”, i principi dell’algérianisme:

«A differenza dei pensatori della metropoli che si chiudono, la maggior parte, nello studio sdegno del loro tempo, noi crediamo che il migliore e il più ricco modo di operare, sia di non tralasciare nulla del decoro, degli aspetti e delle forze della vita. Le scuole letterali e le modalità d’espressione non ci preoccupano oltre: vi è là una certa aristocrazia che non sa avvicinarsi ad un pensiero giovane,

50 G. Taormina, Naissance du mouvement culturel algérianiste, “L’Algérianiste”, n. 113, marzo 2006, p. 10-11.

51 R. Mayer, Quarante ans après leur exode que sont devenus les Français d’Algérie, “L’Algérianiste”, n. 101, marzo 2003, p. 9.

stupefatto di credere, e per il quale nessuna bellezza non saprebbe superare la bellezza dell’azione52

Il radicamento di una nuova società franco-algerina, lontana dalle scuole letterarie metropolitane, aveva condotto inevitabilmente allo sviluppo di una letteratura algerina di espressione francese caratterizzata da una vivacità propria grazie all’amore per il sole, al mare, alla bellezza di quei luoghi e alla fierezza propria dei popoli giovani.

L’Algérianisme desiderò consacrarsi a quest’autenticità dell’animo algerino e fare la sintesi delle differenze componenti culturali: «nulla di ciò che è algerino c’è straniero» dichiarò Jean Pomier, che giocò un ruolo essenziale nello sviluppo del movimento.

Altro esponente di spicco della corrente fu Louis Bertrand che nel suo romanzo “La Cinna” ci presenta i tumulti antiebrei del 1897-1898, valvola di sfogo ai problemi economici legati alla crisi della vigna53.

All’interno delle opere di Bertrand si nota il suo amore per la romanità algerina che si scontra con la visione di Camus: mentre per il primo Tipasa è la testimonianza dello sforzo umano, dell’opera di Roma e della cristianità, il secondo crede invece che queste tracce umane debbano essere cancellate dalla vegetazione, per permettere alla natura di ritornare ad occupare il posto che le era proprio in quelle terre54.

La rivista rende omaggio anche ad Annette Godin, una donna algérianiste la cui memoria deve obbligatoriamente essere posta al fianco di grandi uomini come Edmond Brua o Jean Pomier 55.

La sua produzione letteraria varia toccando tutti i generi: racconti, poesie ma anche romanzi, tra i quali l’“Erreur de Nedjma”, che venne presentato anche al prix Goncourt del 1923, in cui non appare tanto l’immagine di un Algeria fatta di poveri e di popolazioni variegate, ma dove predominano le descrizioni di spazi isolati e misteriosi.

Altra donna degna di rappresentare la poetica algérianiste è Magali Boisnard, «il prototipo dello scrittore sorto dalla terra e nutrito dal vigore nord-africano56», autrice di “L’Enfat

taciturne”, un’opera piena di ardore e di tutti i fervori di un’adolescenza esaltata dalla terra

algerina. Un libro che poteva essere scritto solo da una persona che era nata, vissuta, aveva respirato e trasudato la vita, i colori e il sole algerino.

52 M. Calmein, “L’Algérianiste”, n. 8, settembre 1979, p. 2.

53 Un approche de Louis Bertrand, “L’Algérianiste”, n. 21, 15 marzo 1983, p. 8-9.

54 Ibidem, p.10-11.

55 P. Dimech, Evocation d’Annette Godin, “L’Algérianiste”, n. 23, 15 settembre 1983, p. 77-81.

Il Sahara e il mondo musulmano affascinarono anche Isabelle Eberhart, nata nel 1877 da una famiglia russa a Ginevra, durante un suo viaggio in africa del nord all’inizio del ‘900 si sposò con un uomo berbero e passò la sua vita tra le diverse comunità islamiche. Scrittrice romantica si mise a cavalcare in quelle terre vestita da uomo, diventando la George Sand algerina; autrice di natura contemplativa, la cui ambizione era di farsi un nome grazie alla piuma57. «Gli arabi l’amavano e la rispettavano, la sua devozione nella preghiera, il rigore dei suoi digiuni, la carità verso i più poveri, le sue prodezze come cavallerizza li meravigliava, lei era veramente della loro razza58

Calunniata non rinunciò mai allo studio del mondo berbero, che traspose in avventurosi romanzi «che sapevano di verità59». Una scrittrice che condusse una vita di stenti e povertà e che non conobbe mia la gloria, morendo a soli 27 anni, ma lasciando un segno profondo nella scuola algerina come traspare dalle opere di Jean Pélégri60:

«Anna, che aveva letto i libri di Isabella Eberhardt, sembrava preoccupata soprattutto per le ragioni che avevano potuto condurre questa russa a convertirsi all’Islam e a sposare un sottoufficiale indigeno con il quale, tutto sommato, aveva condotto una misera vita. «Una vita miserabile ma così ardente!» […] René-Étienne si era lanciato in una lunga evocazione della gioventù di Isabella. Una storia che sembrava a Pierre piena d’avventura e del quel non ricordò che pochi dettagli: il soccorso e la cura che Nathalie, la madre d’Isabelle, diede ai moujiks nelle loro isbas [villaggi] quando era una giovane ragazza, il suo matrimonio con un giovane generale, la sua fuga scandalosa in Svizzera con tre bambini e un capo anarchico, e come se ella anticipasse la sua vita futura, il gusto che la giovane Isabelle manifestò già nell’adolescenza per i costumi orientali61

“L’Algérianiste” che si pone come continuatore della vita letteraria algerina nei suoi numeri

propone continui omaggi a Edmond Brua e Jean Brune fondatori della corrente letterarie. Dessaigne ricorda che «Brua non era un comune mortale! In un mondo duro dove gli uomini sono tristi o indifferenti, quando non sono astiosi, preoccupati solamente del lavoro, del rendimento, incollati ai doveri al punto di non poter resistere senza di loro, ho scoperto Brune, artista e esteta, che si è impegnato a preservare la bellezza e il sogno62

Figlio di un amministratore conosceva perfettamente la realtà musulmana e proprio grazie a questa consapevolezza si convinse della necessità di mantenere saldo il controllo sull’Algeria

57 I. Desormeaux, Isabelle Eberhardt, “L’Algérianiste”, n. 37, marzo 1987, p. 26-29.

58 Ibidem, p. 26-29.

59 Ibidem, p. 27.

60 R. Colozzi, Il y a cent ans naissait Isabelle Berhardt, “L’Algérianiste”, n. 1, 15 dicembre 1977, p. 21-23.

61 J. Pélégri, Les été perdue, Éditions du Seuil, Paris, 1999, p. 133-134.

francese, una terra che suscitava in lui forti emozioni, tali da renderlo un partigiano intransigente della sovranità francese; non ebbe paura ed esprimere le proprie idee per le quali venne associato agli ultrà, causandone l’espulsione nel 1960. 63.

Le filippiche di Brune non devono tuttavia oscurare la profondità dei suoi romanzi. Profondo estimatore dell’Algeria, nelle sue opere tracciò sempre con pennellate precise dei quadri completi della situazione araba, non tralasciando mai le sue radici storiche e la presenza secolare in queste terre di diverse comunità e società. Pagine che calavano il lettore in quello scenario lontano ma reale, fatto di luci e profumi di spezie che avrebbero permesso, secondo Francine Dessaigne, all’Algeria francese di sopravvivere.

È dunque necessario rendere omaggio a questo padre dell’algérianisme perché egli «è un esempio della rivolta e della disperazione di tutti coloro che hanno tanto sofferto poiché, per loro, l’Algeria francese non era solo delle parole, ma il desiderio profondo, viscerale, di attaccamento a una terra che i loro padri avevano creato, anche se , come Brune, non possedevano nulla64

Altro caposcuola dell’algérianisme fu Robert Randau. Nato nel 1873 ad Algeri s’iscrisse alla scuola coloniale per intraprendere la carriera di amministratore, ciò che gli permise di compiere viaggi attraverso il suo paese e in l’Africa nera, peregrinazioni in cui «a piedi, a cavallo o sul dorso di un cammello, nei climi più difficili, negli accampamenti più primitivi come in ripari di fortuna, durante o dopo le sue missioni, egli non si lasciava mai sfuggire né la sua ispirazione né la sua penna65

Le sue spedizioni gli diedero modo di conoscere a fondo la vita e le abitudini coloniali, caratterizzate da scandali e abusi perpetrati dalla componente europea, che descrisse nelle sue opere più sprezzanti in cui non mancava mai la satira, che «animata dall’ironia giustiziera e dall’indignazione vendicatrice fustigò con cinismo i mediocri e gli ossessionati nei confronti della carriera, i funzionari senza coscienza. La penna diventò per lui un’arma quando denunciava il nepotismo, l’arrivismo, le ingiustizie, gli eccessi del potere nei suoi romanzi, pieni di trasparenti allusioni a questo flusso disgustoso che egli voleva arginare66.» Rimanendo tuttavia lontano dal condannare il colonialismo francese, che considerava superiore a quello inglese, per il grande disegno di miglioramento umano che vi era alla base.

63 G. Laffly, Jean Brune…souvenir d’une amitié, “L’Algérianiste”, n. 23, 15 settembre 1983, p. 5-8.

64 F. Dessaigne, Jean Brune, français d’Algérie, “ L’Algérianiste”, n. 31, settembre 1985, p.46.

65 J. Bogliolo, Robert Randau, “L’Algérianiste”, n. 43, settembre 1988, p. 41.

Questo suo spirito canzonatorio è indipendente lo spinse a creare l’Algérinanisme, per liberare gli scrittori dai cliché sull’esotismo e dar loro la possibilità di affrancarsi da rigide costruzioni. Per questo nelle sue prime poesie egli cercò di trasmetter tutti gli aspetti africani, le passioni violente, i paesaggi aridi, divenendo il pittore dei siti più selvaggi; si sentiva un Tuareg con la pelle bianca e come traspare dalla sue opere: «tutti i suoi romanzi sono dei pezzi di vita, inseriti a caldo, egli riflette come uno specchio il buono e il cattivo delle sue esperienze con gli uomini, bianchi o neri, cristiani, musulmani o animisti. Imparziale e veritiero, a volte un po’ misogino nelle sue pitture acerbe di certi europei di cui critica gli eccessi di vita67.» Nelle sue descrizione egli delinea i caratteri dell’Algérianisme, caratterizzato principalmente dal temperamento algerino tale per sintesi di diversi elementi etnici, ma a predominanza mediterranea, che divenne la via necessaria da intraprendere per «liberarsi di certi ostacoli, di certi pregiudizi, esplorare con libertà ciò che si ha come dovere di considerare come patrimonio artistico68

Nella rivista viene posta in risalto anche la figura del padre dell’algérianisme, Jean Pommier, autore della definizione del movimento, che si proponeva di «spazzare l’orientalismo del bazar e permettere all’anima algerina, all’autentica cultura, anzi civilizzazione, che vede i giorni in Algeria, di emergere, di elevarsi, di esprimersi69

Egli non tradì mai questo concetto tanto da assumere agli occhi degli editori de

“L’Algérianiste” la purezza di spirito di un eremita: «completamente distaccato dagli aspetti

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 145-184)