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I massacri di rue d’Isly e di Orano

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 65-72)

«Tre attentati sono stati commessi ad Algeri dal momento in cui il cessate il fuoco è stato proclamato. L’ultima vittima è un giornalista musulmano che è stato ferito nella bassa Casbah1» mentre il 20 marzo un membro dell’OAS puntò un mortaio in place de

Gouvernement, gremita di arabi festanti, uccidendo 24 persone e ferendone 59:

«sei esplosioni brutali lacerano l’aria, sei colpi di mortaio da 60 sono caduti nel mezzo della folla, in un raggio di 15 metri. Il tendone di un’edicola di giornali, trapassato dal passaggio di uno dei proiettili, brucia lentamente; sul suolo, dei corpi feriti sono caduti uno sopra l’altro. Un po’ più tardi, nella serata, l’ospedale Mustapha annuncerà 4 morti e 67 feriti. Temendo che fra quest’ultimi diversi non possano essere salvati2

Come dimostrano questi articoli la firma degli accordi d’Évian non segnò la fine della guerra dell’Algeria, anzi, l’OAS aumentò il numero degli attentati nella speranza di boicottare il processo di pace e proclamò che le forze francesi in Algeria sarebbero state considerate «truppe di occupazione». Risoluzioni a causa delle quali l’organizzazione venne pesantemente biasimata: «le persone dell’OAS sembrano in preda a un vero delirio, giudicando dai loro atti e dai loro scritti. Infatti un volantino che è diffuso ora ad Algeri, invita i capi dell’esercito a rifiutarsi d’obbedire agli ordini che sono dati loro3

Il 23 marzo gli attivisti sostenitori dell’Algeria francese presero il controllo del quartiere di Bab el Oued erigendo barricate e assaltando camion militari, una dimostrazione pubblica di protesta che non solo fece 35 morti e 150 feriti, ma evidenziò che, dopo anni di scontri, all’interno della popolazione europea cominciava a insinuarsi un sentimento nuovo:

1 A. Jacob, Alger semble retenir son souffle, “Le Monde”, 20 marzo 1962, p. 1.

2 A. Jacob, Face aux sanglantes provocations de l’OAS les musulmans d’Alger s’efforcent de garder leur

sang-froid, “Le Monde”, 22 marzo 1962, p. 6.

«Fino ad ora le manifestazioni ad Algeri si sono svolte in un clima d’esaltazione gioiosa, ma senza che vi siano degli scontri gravi tra le forze dell’ordine e i manifestanti. I quaranta o cinquanta morti e le centinaia di feriti non dimostrano invece la stessa spensieratezza. La paura sarà un elemento nuovo nell’insieme delle emozioni che da quattro anni animano la folla algerina4

L’organizzazione armata profittando della situazione di crisi proclamò per il 26 marzo lo sciopero generale ad Algeri e invitò gli europei a confluire, ufficialmente disarmati, verso Bab el Oued per rompere l’accerchiamento che i militari avevano creato attorno al quartiere occupato dai sostenitori dell’Algeria francese.

Per evitare che la situazione degenerasse in una nuova “settimana delle barricate” la polizia francese comandò il posto di blocco in rue d’Isly, impedendo l’accesso al quartiere. Gli ordini provenienti da Parigi furono chiari: non indietreggiare di fronte ai rivoltosi e «se i manifestanti insistono, aprite il fuoco5

La tensione raggiunse l’apice quando alle 14 una raffica di fucile mitragliatore venne esplosa in direzione dei militari da un balcone di rue d’Isly; il commando militare rispose aprendo il fuoco causando 46 morti e 200 feriti, una ventina dei quali non sarebbe sopravvissuta.

Il massacro fu l’atto finale che convinse i francesi d’Algeria ad abbandonare quelle terre per ritornare nella metropoli, riconoscendo che gli atti terroristici dell’OAS, intensificati dopo la firma dei negoziati, non avrebbero favorito il rifiorire delle relazioni tra la comunità europea e quella musulmana.

Un dissenso popolare che minò definitivamente le basi dell’organizzazione che viveva già una situazione di crisi dopo la propria decapitazione avvenuta il 25 marzo con l’arresto di. Edmond Jouhaud, Roger Degueldre, capo dei Delta e di Jean-Claude Pérez. Anche Salan, che nel frattempo era fuggito dal suo quartier generale, era stato catturato e portato a Parigi: «l’arresto di Salan rompe un mito che era resistito a molte smentite, quello dell’invulnerabilità dei dirigenti dell’organizzazione6.

Il lavoro della rete di spionaggio francese stava cominciando a dare i propri frutti: «Le circostanze nelle quali è stato organizzato l’arresto di Salan sono significative. Dimostrano che il governo è giunto a una nuova tappa contro la lotta all’organizzazione sovversiva. Si sa che, in effetti, il generale è stato preso «per fortuna» ma al termine di un’operazione di lunga durata le cui origini rimontano a diversi mesi fa.

4 J.-F. Simon, Les forces de l’ordre l’investissement de Bab-El-Oued, “Le Monde”, 29 marzo 1962, p. 4.

5 Cit. in B. Stora, La guerra d’Algeria, p. 97.

6 A. Jacob, L’arrestation de Salan provoque désarroi, amertume et colère au sein de l’OAS dans la métropole et

Ad Algeri l’arresto del capo dell’OAS è stato inizialmente accolto con scetticismo, poi costernazione. Nessuna reazione spettacolare è stata manifestata dalla popolazione. In compenso i commando terroristici dell’OAS hanno effettuato diversi attacchi che hanno costato la vita di due poliziotti e a sette musulmani7

Nonostante la perdita dei propri leader, il corpo dell’OAS continuò a cercare di dimostrare la propria forza militare al grido: «Fino alla morte! Fino alla morte8!» e il 20 aprile, in segno di vendetta per la cattura di Salan, i Delta assassinarono ventiquattro musulmani nella sola Algeri mentre la mattina del 24 una clinica civile esplose a Orano. Il 2 maggio la deflagrazione di una vettura al porto di Orano causò 62 morti e 150 feriti, tutti musulmani9. Erano bastati pochi giorni:

«per convincersi che l’arresto di Salan ad Algeri, come quello di Jouhaud a Orano, non hanno ostacolato, e neppure rallentato, le imprese dell’OAS, in quelle due città. L’organizzazione non sembrerebbe neppure aver accusato il colpo, e i suoi assassini continuano metodicamente, freddamente, le loro azioni criminali. Le operazioni e gli arresti effettuati ogni giorni ad Algeri e a Orano non impediscono all’OAS di continuare a far legge nei quartieri europei, e i suoi uomini ad abbattervi ogni giorno indistintamente tra i dieci e i cinquanta musulmani, come un numero ridotto ma crescente di europei10

Le città algerine continuavano a tingersi di rosso, ma questo non fermò la macchina istituzionale che era stata avviata con la firma degli accordi di pace poiché, come affermò de Gaulle:

«soprattutto è in noi stessi e per noi stessi che il referendum riveste un’importanza estrema. Fare un resoconto, giustamente, riguardo alla questione algerina, alla nostra forza e alla nostra volontà, è indicare che noi siamo capaci di risolvere un grande problema del nostro tempo. È far saper che i criminali che si sforzano a colpi di stato di danneggiare la nazione non hanno alcun futuro se non il castigo. È dimostrare che tutte queste manifestazioni e i danni causati in questi ultimi quattro anni, non esprimono la realtà francese, lucida, serena e risoluta. Infine rispondere affermativamente e numerosamente, come io chiedo, alla domanda che pongo ai francesi, è per loro stessi rispondermi in qualità di capo dello stato e devono darmi la loro adesione: attribuendomi il diritto di fare, nonostante gli ostacoli11

L’8 aprile la popolazione francese e algerina furono chiamate a esprimere il proprio parere pronunciando un «sì» o un «no» alla questione seguente: «Approvate voi il progetto di legge

7 Ibidem, p.1.

8 Cit in A. Horne, La guerra d’Algeria, p. 592.

9 A. Horne, La guerra d’Algeria, p. 593-596.

10 P. Herreman, L’action de l’OAS et les difficultés d’application des accordes d’Evian, “Le Monde”, 03 maggio, p. 1

presentato al popolo francese dal presidente della repubblica e riguardante gli accordi da stabilire e le misure da prendere relativamente al problema dell’Algeria sulla base delle dichiarazioni del governo del 19 marzo 196212

Il referendum, che avrebbe formalizzato l’esecutivo algerino retto da Abderrahmane Farès, vide un’ampia partecipazione e un risultato quasi plebiscitario: i «sì» furono il 90,7% dei suffragi espressi.

L’indomani Le Monde commentò i risultati affermando:

«è d’altronde inutile torturare le cifre per ammettere che se gli accordi d’Évian sono stati approvati dalla maggioranza, de Gaulle non ha con lui che il 90% della popolazione. Più che la sua persona è stata la volontà di pace a essere plebiscitaria […] Rispondendo «sì» i francesi hanno voluto dire «no» all’OAS, e indirizzarsi a ciò che resta loro di razionale.

Se i terroristi non capiscono questo linguaggio, ma solo quello dei proiettili, bisogna fare in modo che anche i francesi vi ricorrano e compromettano così il loro avvenire e quello dell’Algeria?

In ogni caso per gli elettori le promesse del referendum sono solo delle certezze di pace. Il governo deve impegnarsi a fondo come il paese ha appena fatto13

Un arduo compito per Parigi, poiché l’OAS, come sottolinea J. Fauvet, non era in grado di adeguarsi al linguaggio diplomatico e all’indomani del referendum, aveva deciso di mettere in atto la “politica della terra bruciata”: se i francesi non erano intenzionati a rimanere, le migliorie introdotte da questi ultimi se ne sarebbero andate con loro. La terra sarebbe stata lasciata agli algerini come i primi coloni l’avevano trovata 130 anni prima; così il 7 giugno bruciò la biblioteca dell’università, fu poi la volta di ospedali, scuole e laboratori.

Salan e Jouhaud dalle loro celle invitarono l’OAS a cessare questi attacchi e, di fatto, queste furono le ultime operazioni terroristiche, gli ultimi spasmi dell’organizzazione che si stava preparando alla fuga su pescherecci14. Una fuoriuscita contrassegnata non tanto dal desiderio di porre termine al conflitto, ma dall’impossibilità di poter sopravvivere alle rappresaglie del FLN. L’organizzazione, decapitata e senza più il sostegno popolare, non avrebbe potuto resistere al nuovo vigore impresso all’ALN dall’arrivo di tutti i miliziani che fino a quel momento erano stati bloccati in territorio marocchino e tunisino dalla chiusura delle frontiere, aperte a seguito del cessate il fuoco.

12 An., “Le Monde”, 22 marzo, p. 5.

13 J. Fauvet , Un référendum populaire, “Le Monde”, 10 aprile 1962, p. 1.

L’ultimo atto per riconoscere definitivamente l’indipendenza all’Algeria fu il referendum del 1 luglio, in cui si chiedeva alla popolazione: «Volete che l’Algeria diventi uno stato indipendente, cooperante con la Francia secondo le condizioni definite dalla dichiarazione del 19 marzo 1962?15».

Referendum per il quale:

«la sola incognita resta nella scelta degli europei, vale a dire i risultati nelle città dove sono in maggioranza: Algeri, Orano e Annaba.

Se essi si mostrano cosi ubbidienti verso l’OAS nella pace come nella rivolta, i francesi d’origine voteranno «sì» come sono stati invitati a fare venerdì da uno dei loro porta-parola, Jean-Jacques Susuni. Ma l’impressione generale resta che la maggior parte si asterrà, sia perché gli costa troppo approvare esplicitamente l’indipendenza all’Algeria, sia perché non ha compiuto in tempo le formalità burocratiche necessarie, che sembrerebbe essere la causa per diverse migliaia di elettori rimpatriati16

Domenica 1 luglio 1962 in Algeria, sei milioni di elettori risposero «sì» alla domanda, contro appena 16.534 «no». I risultati erano dunque inequivocabili: il 91, 23% dei «sì» rispetto agli iscritti al voto e il 99,72 % rispetto ai suffragi espressi. De Gaulle ottenne così un’altra prova del sostegno plebiscitario dell’opinione pubblica per la causa dell’indipendenza algerina. Il 3 luglio l’alto commissariato del governo francese in Algeria durante, una breve cerimonia, rese pubblica la lettera di de Gaulle che riconosceva l’indipendenza algerina:

«La Francia ha preso atto dei risultati del voto per l’autodeterminazione del 1 luglio 1962 e di attuazione delle dichiarazioni del 19 marzo 1960 essa ha riconosciuto l'indipendenza dell'Algeria. Di conseguenza, in conformità con il capitolo quinto della dichiarazione generale del 19 marzo 1962, le competenze riguardanti la sovranità sui territori degli ex dipartimenti francesi d'Algeria sono, a partire da oggi, trasferite all'esecutivo provvisorio dello Stato algerino. In questo momento solenne, desidero esprimerle, signor presidente, i più sinceri auguri che in nome della Francia intera rivolgo all'Algeria17

Quel giorno prendendo a prestito le parole di Camus i pieds-noirs affermarono: «Oggi la mamma è morta18

Egli probabilmente immaginava così una futura indipendenza algerina:

« A mezzogiorno il sole, trionfando sui soffi gelidi che lottavano nell’aria della mattina, versava nella città il flusso ininterrotto di luce immota. Il giorno era

15 Cit. in B. Stora, La guerra d’Algeria, p. 104.

16 P. Herreman, Des appels au calme et à la réconciliation ont précédé l’ouverture du scrutin

d’autodétermination, “Le Monde”, 1 luglio 1962, p. 1.

17 Cit in B. Stora, La guerra d’Algeria, p. 104-105.

fermo. I cannoni dei forti, in vetta alle colline, tuonarono senza tregua nel cielo fisso. Tutta la città si gettò fuori, per festeggiare il minuto d’oppressione in cui il tempo delle sofferenze finiva e il tempo dell’oblio non era ancora incominciato. Si ballava in tutte le piazze. Da un giorno all’altro la circolazione era aumentata considerevolmente e le automobili, diventate più numerose, procedevano con difficoltà nelle strade affollate. Le campane delle città suonarono a distesa per tutto il pomeriggio, colmando di vibrazioni un cielo azzurro e dorato. Nelle chiese, infatti, si celebravano funzioni di ringraziamento. Ma intanto i locali di svago erano pieni, sino a schiantare, i caffè, senza curarsi del futuro, distribuivano i loro ultimi liquori. Davanti ai banchi si stipava una folla di persone similmente eccitata e, tra esse, numerose coppie abbracciate, che non temevano di dare spettacolo. Tutti gridavano e ridevano. La provvista di vita che avevano fatto durante i mesi in cui ciascuno aveva fatto della sua anima una scolta, la spendevano in quel giorno, ch’era quasi il giorno della loro sopravvivenza. Il giorno dopo sarebbe cominciata la vita stessa, con le sue precauzioni; per il momento, persone d’origine assai diversa si affiancavano, fraternizzando. L’eguaglianza, che la presenza della morte non era riuscita a realizzare, la gioia della liberazione la stabiliva, almeno per alcune ore19

In realtà i festeggiamenti si colorarono del rosso del sangue degli europei algerini e degli harkis. Il 5 luglio 1962 a Orano, verso le 11 del mattino, nei quartieri europei si sentirono i primi colpi delle armi da fuoco: la caccia all’europeo era iniziata e il bilancio della giornata fu pesante dato che le forze francesi non ricevettero l’ordine di fermare gli atti di rappresaglia20. Stando alle cifre del segretario di stato agli affari algerini vi sarebbero state 3.080 persone rapite o scomparse, 18 delle quali ritrovate, 868 liberate e 257 uccise21. Anche il giorno dopo i sequestri continuarono senza sosta e il bilancio fu di 25 morti e 218 scomparsi anche se de Gaulle al consiglio dei ministri del 18 luglio 1962 affermò: «Tranne qualche rapimento, le cose si sviluppano in maniera decorosa22

Nulla poteva più ostacolare o ritardare il ritorno della pace e della libertà in Algeria: «sette anni, sono abbastanza23!». Lo slogan spopolò nelle città e nelle campagne mentre continuavano gli abusi, i regolamenti di conti e le epurazioni sanguinose.

In tutta l’Algeria il numero totale degli europei scomparsi e mai ritrovati, tra il 19 marzo e il 31 dicembre 1962 fu all’incirca di 1.800 individui e il conflitto, secondo le stime più attendibili, causò, sommando tutte le categorie, quasi 500.000 morti, la maggior parte dei

19 Camus, La peste, Valentino Bompiani & C. S.p.A., Milano, 1971, p. 226.

20 A.-G. Slama, La guerre d’Algérie, p. 120-121.

21 B. Stora, La guerra d’Algeria, p. 105-106.

22 Cit. in A.-G. Slama, La guerre d’Algérie, p. 120.

quali musulmani. Nei mesi successivi all'indipendenza algerina, il massacro di decine di migliaia di harkis e i rapimenti di europei aggravarono ulteriormente queste cifre.

Alla fine del conflitto la società francese cercò di dimenticare rapidamente il periodo della guerra d’Algeria, molto più velocemente di quanto avesse fatto al termine della seconda guerra mondiale.

De Gaulle aveva cercato una riconciliazione non solo con il governo tedesco ma anche con la memoria relativa al governo di Vichy, presentandosi a manifestazione legate al conflitto, come la commemorazione al monumento del milite ignoto, iniziative che non intraprese nei confronti dei pieds-noirs24. Spronò a organizzare rievocazioni in ricordo dei combattenti caduti nelle due guerre mondiali, ma questo non accadde per i caduti algerini perché avrebbe comportato il puntare i riflettori su episodi che la Francia voleva dimenticare.

Wieviorka ci ricorda, infatti, come il concetto di nazione, che racchiude in sé un principio di unità, presupponga che i suoi membri non debbano dibattersi continuamente nel ricordo delle violenze che l’hanno fondata o l'hanno divisa; per questo lo stato che ha il dovere di proteggere i propri cittadini elimina frammenti della propria storia che, se richiamati frequentemente, rischierebbero di minacciarne l'integrità. Il procedimento, che era già stato attuato ne L’Histoire de la France di Ernest de Lavisse, che da decenni proteggeva a livello pedagogico l’idea di una nazione unica e indivisibile, si era velocemente ripetuto nei nuovi manuali che si apprestavano a nascondere gli eventi riguardanti il drame algérienne.25

La memoria della guerra d’Algeria si radicò quindi in modo sotterraneo, non per essere protetta, ma per essere tenuta nascosta e le ripetute amnistie contribuirono, in un clima di generale indifferenza, a consacrare questa dissimulazione della “tragedia algerina”.

La legge del 16 luglio 1974 cancellò, tutte le condanne pronunciate durante o dopo la guerra d’Algeria mentre la legge del 24 novembre 1982, promulgata da un governo di sinistra, non si limitò a concedere l’amnistia ma riabilitò i vertici militari condannati o puniti per aver partecipato ad attività sovversive contro la Repubblica: i golpisti dell’aprile 1961 tornano a pieno titolo membri dell’esercito francese.

In Francia l’enorme peso della modernità che invadeva il mondo contribuì ulteriormente ad allontanare il ricordo della guerra; di fatto, nell’estate 1962, la strana morte di Marilyn Monroe, l’assassinio di John Kennedy e poi del fratello catturarono l’attenzione dell’opinione pubblica.

24 B. Stora, La gangrène et l’oubli, p. 220-223.

A obbligare con forza a ricordare ai francesi le vicende del drame algérien vi fu tuttavia il rimpatrio dei pieds-noirs.

Nel documento Corso di laurea in Scienze storiche (pagine 65-72)