Capitolo I. La via italiana alla riforma della scuola (1955-1958)
3. Espandere la scuola
Nella relazione presentata durante il Comitato Centrale del novembre ‘55, Mario Alicata aveva bollato come «conservatrici» quelle posizioni politiche che tendevano ad individuare nel sovraffollamento il principale problema dell’istruzione italiana. Egli respingeva con forza l’idea che il problema della disoccupazione intellettuale – fenomeno diffuso tra i neo-laureati – fosse da imputare all’eccessiva apertura del sistema scolastico, «come se in Italia ci fossero troppi studenti e non ce ne fossero, invece, troppo pochi». L’«eccesso» di diplomati e laureati sul mercato del lavoro non dipendeva «da una eccessiva e misteriosa tendenza 'psicologica' dell'italiano allo studio e all'impiego statale» bensì dalle «arretrate strutture economiche del paese», imperniate com’erano sull’impiego di una massa enorme di lavoratori dequalificati159.
Si trattava di una posizione innovativa, che cozzava sia con quelle prevalenti all’interno del mondo universitario160, sia con quelle di coloro che a vario titolo si occupavano di politica scolastica. L’idea del ricorso a provvedimenti selettivi contro l’eccesso di popolazione studentesca era in fondo una costante di lungo periodo della
comunisti, democratici, laici, ecc. al Sindacato Autonomo, è, obiettivamente, il primo atto concreto - nella scuola - per lavorare contro l'egemonia clericale», Ibid.
157 Invito alle riunioni interprovinciali dei maestri comunisti e questionario sull’impegno dei comunisti nello SNASE, Apc, 1959, Commissione culturale, 16 aprile, mf 459, p.1935
158 La relazione di Palmiro Togliatti all’VIII Congresso del Pci, «L’Unità», 9 dicembre 1956
159 «Come se la disoccupazione intellettuale dipendesse da una eccessiva e misteriosa tendenza 'psicologica' dell'italiano allo studio e all'impiego statale, e non fosse anch’essa frutto, allo stesso modo della disoccupazione operaia e contadina, delle arretrate strutture economiche del paese! Perché il nostro, insomma, è uno strano paese davvero, un paese dove ci sono troppi maestri e troppi analfabeti, troppi medici e troppo pochi ospedali.» Mario Alicata, La riforma della scuola, cit., p.13
160 Un’inchiesta del 1960 condotta tra i docenti universitari dalla rivista «Il Mulino» rivelava come questi ultimi «senza neppure prendere in esame se sia possibile o auspicabile mutare i termini attuali della situazione e schierandosi per la soluzione più facile, sostengono una drastica riduzione del numero degli studenti, suggerendo l'adozione del numero chiuso, forme diverse di prove di ammissione, rigorose eliminazioni dopo un certo numero di esami falliti, senza peraltro adeguatamente analizzare le modalità e soprattutto le conseguenze di tali provvedimenti», cfr. Comitato di studio dei problemi dell’università italiana, La popolazione universitaria, vol.1, il Mulino, Bologna, 1960, p.32
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storia del paese, tanto quanto il fenomeno stesso della disoccupazione dei laureati161, alla quale non era estraneo nemmeno il Pci. Tra i comunisti era stato senza dubbio Concetto Marchesi il più convinto fautore della riduzione della popolazione scolastica ai livelli superiori, com’era emerso nei dibattiti tenutisi in Assemblea Costituente. In quell’occasione, il celebre latinista aveva perorato l’inasprimento della selezione all’ingresso dell’università162 e proposto a questo scopo la costituzionalizzazione del valore puramente accademico della laurea163.
Ancora nel 1953, quando – nel contesto delle novità introdotte da Salinari – la Commissione culturale avviò una battaglia per garantire il diritto all’accesso all’università per i diplomati degli istituti tecnici164, il discorso comunista conservava una ambiguità tra i propositi di democratizzazione dell’istituzione e quelli di contenimento della popolazione universitaria. Pur rifiutando «soluzioni meccaniche fondate sui numeri chiusi, sugli sbarramenti, sulle esclusioni», si riteneva comunque opportuno un meccanismo di selezione che impedisse agli «inetti» e gli «incapaci» di accedere ai livelli superiori dell’istruzione165. Come ha dimostrato Marzio Barbargli, il modello elaborato dai comunisti negli anni compresi tra il 1945 e il 1955, pur non
161 Marzio Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia (1859-1973), Bologna, Il Mulino, 1976, pp.48-9.
162 «è necessario socchiudere, non spalancare le porte delle Università. […] Varcati i limiti della scuola obbligatoria si giunge alla soglia delle scuole specializzate e medie superiori. Qui dovrà iniziarsi la salutare selezione che Quintino Sella, il vecchio statista piemontese, auspicava senza vederne i modi e le possibilità di attuazione. Una selezione la quale dovrà consistere nel dirigere ed avviare tutte le attività dei singoli individui per quelle vie in cui potranno più degnamente operare e progredire.
Selezionare non vuol dire costituire la folla dei reietti e degli umiliati, ma disperdere quella degli spostati che si va facendo sempre più paurosa». Concetto Marchesi, Sui principii costituzionali riguardanti la cultura e la scuola Assemblea Costituente, Assemblea Costituente. Commissione per la Costituzione.
Prima Sottocommissione. Relazioni e proposte
163 Assemblea Costituente. Commissione per la Costituzione. I Sottocommissione, Resoconto sommario, Seduta del 23 ottobre 1946, pp.291-5. Va notato che tutti gli intervenuti nel dibattito (Moro, Dossetti, Mastrojanni, Lucifero, Mancini, Lombardi, Merlin, Cevolotto, Caristia e Togliatti), rappresentanti della gran parte delle tendenze politiche presenti in Assemblea costituente, si dichiararono d’accordo col principio espresso da Marchesi, per cui la laurea non avrebbe avuto alcun valore ai fini dell’accesso ai concorsi pubblici. Il comma venne respinto per questioni tecnico-giuridiche, ossia perché la maggioranza ritenne che la norma in questione fosse propria della legislazione ordinaria e non di quella costituzionale.
164 La proposta di legge, presentata il 25 luglio 1953 da Alessandro Natta, Stellio Lozza e Concetto Marchesi, riguardava l’ammissione dei diplomati degli Istituti tecnici alle Facoltà universitarie corrispondenti all’indirizzo di studi seguito durante gli anni di scuola. In quel momento solo i diplomati degli istituti tecnici commerciali potevano accedere alla facoltà di Economia e commercio. La proposta di legge presentata dai deputati comunisti chiedeva di estendere l’accesso alle facoltà di Agraria, Ingegneria, Architettura e Chimica. Essa inoltre sosteneva l’equiparazione dei diplomati dei Licei a quelli degli Istituti tecnici per quanto riguardava le procedure di ammissione a quelle determinate facoltà, ritenendo discriminatoria l’ipotesi di un esame integrativo per i soli diplomati tecnici. Vedi Camera dei Deputati, Proposta di legge (Ammissione dei diplomati degli Istituti tecnici alle Facoltà universitarie), n.31, 25 luglio 1953
165 Ibid.
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replicando la chiusura del modello gentiliano, fu rigidamente meritocratico:
prevedeva, da un lato, la scuola unica fino a 14 anni e la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie, ma considerava salutare una forte selezione meritocratica dopo il primo tronco comune166.
L’indirizzo del Comitato Centrale del 1955 si poneva dunque in discontinuità con il recente passato del partito, tanto che ancora nel 1956 Alessandro Natta fu costretto – intervenendo durante la riunione della Commissione culturale nazionale del 23-24 luglio – a denunciare il persistere nell’organizzazione di concezioni malthusiane: «per quanto riguarda l’istruzione dei gradi più elevati non si pone nel nostro Paese un problema di ridimensionamento ma di dilatazione. Che nella scuola per i giovani dai 14 ai 18 anni vi sia oggi l’11% della popolazione di quelle classi d’età e che nelle università vi sia il 4% significa non già che noi siamo in presenza di un fenomeno di sovraffollamento, ma al contrario che una cospicua parte di energie intellettuali vanno perdute»167.
Nel ricercare le cause della svolta nella lettura comunista, bisogna osservare, in primo luogo, che anche su questo aspetto della formazione delle posizioni scolastiche del Pci ebbero influenza le concezioni di Antonio Gramsci, il quale aveva evidenziato, quale elemento di sviluppo delle società contemporanee, la «funzione centrale assunta dalle categorie intellettuali», e il legame esistente tra il grado di specializzazione tecnico-culturale presente e la diffusione dell’istruzione ai suoi vari gradi168.
Tuttavia, le posizioni espresse da Alicata e Natta nel 1955 risentirono anche e soprattutto di un clima internazionale particolarmente favorevole all’apertura dei
166 Marzio Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico, cit., p.414
167 Alessandro Natta, Sul problema della scuola. Il rapporto tra prospettiva di riforma e politica concreta, quotidiana in Afgr, Scuola e politica scolastica, Organismi nazionali
168 «Quanto più è estesa l'area scolastica e quanto più numerosi i gradi verticali della scuola, tanto è più complesso il mondo culturale, la civiltà, di un determinato Stato. [...] Alla più raffinata specializzazione tecnico-culturale non può non corrispondere la maggiore estensione possibile della diffusione dell'istruzione primaria e la maggiore sollecitudine per favorire i gradi intermedi al più gran numero». Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, vol.3, Torino, Einaudi, 1975, pp.1517-8 (Q12, §2).
A tale criterio quantitativo Gramsci aggiungeva un criterio qualitativo al quale la scuola avrebbe dovuto attenersi: «la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni “cittadino” può diventare “governante” e che la società lo pone sia pure
“astrattamente” nelle condizioni generali di poterlo diventare». Vedi Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Torino, Einaudi, 1975, p.501, (Q4, §55). Per questo motivo, l’allargamento della base scolastica avrebbe dovuto avvenire con un’attenta supervisione, ancor di più in una situazione postrivoluzionaria, nella quale proprio le classi popolari avrebbero dovuto esprimere la futura classe dirigente: «In una nuova situazione politica, queste quistioni diventeranno asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite». Ivi., p.503
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sistemi scolastici. Come ha evidenziato John Krige, un segnale importante in questo senso venne dalla conferenza scientifica di Ginevra Atoms for peace dell’agosto 1955 – la prima alla quale, dopo la morte di Stalin, parteciparono tecnici e scienziati di entrambi i blocchi –, i cui risultati confermavano in maniera lampante agli occhi dell’opinione pubblica, e non solo di un ristretto gruppo di accademici, la sproporzione esistente tra i sistemi universitari di Usa e Urss, e sistemi particolarmente improduttivi dal punto di vista scientifico, come quello italiano169.
La conferenza si inserì nel passaggio della guerra fredda alla cosiddetta
«coesistenza competitiva», che implicava lo sviluppo del confronto tra superpotenze da una fase puramente militare ad una caratterizzata dalla maggiore centralità della produzione tecnico-scientifica e da un incentivo diretto da parte degli Usa all’espansione quantitativa dei sistemi formativi dell’area Nato170. Il fatto che in quell’occasione si rivelassero al mondo i progressi raggiunti dalla scienza sovietica e dalle sue applicazioni tecniche, fu utilizzato dal Pci come un incentivo ad adeguare il sistema formativo non solo alle «esigenze profonde di rinnovamento portare avanti dal moto democratico iniziatosi con la resistenza e la guerra di Liberazione»171 – come da incipit della relazione di Alicata al Cc del ’55 – ma anche e soprattutto alle nuove necessità «dell’era dell’energia nucleare e dell’automazione»172. Si faceva dunque strada l’idea per cui l’intervento qualitativo richiesto ad una riforma della scuola –
169 John Krige, Atoms for Peace, scientific internationalism and scientific intelligence, «Osiris», XXI (2006), s.II, pp.161-82
170 La conferenza era stata ideata da Eisenhower e dal suo entourage con un duplice scopo: da un lato quello di contrastare il successo della campagna per la pace portata avanti dal movimento comunista internazionale, puntando sugli usi «umanitari» dell’energia atomica e rendendo così meno indigesto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il proliferare degli armamenti atomici statunitensi. Nel 1954 ad esempio aveva destato particolare scalpore un esperimento militare condotto dagli USA nella zona delle Isole Marshall, quando l’esplosione di una bomba termonucleare aveva causato, oltre alla polverizzazione di tre atolli, la contaminazione dell’equipaggio di un peschereccio giapponese che pescava a 80 miglia dalla zona, con la conseguente morte di uno dei suoi membri. D’altra parte la conferenza era concepita come vera e propria iniziativa di intelligence e di diplomazia scientifica, che consentisse agli scienziati alle dipendenze del governo USA di conoscere con esattezza lo stato della ricerca declassificata in campo atomico – compresa quella sviluppata in campo sovietico – stringendo al contempo rapporti privilegiati con i colleghi del campo occidentale. La scoperta dei progressi sovietici da parte degli scienziati/funzionari statunitensi e la paura di restare indietro rispetto all’URSS nel campo della formazione di scienziati, ingegneri e tecnici nei paesi NATO, avrebbe spinto gli USA a stimolare i propri alleati ad investire risorse nel campo formativo. I rapporti ricevuti di intelligence ricevuti in quegli anni da Eisenhower mostravano infatti come, se in assoluto gli USA possedevano più scienziati e ingegneri dell'URSS, quest'ultima ne stesse addestrando molti di più (140.000 contro 70.000 all'anno). Secondo un altro rapporto, Soviet professional manpower, scritto dal Harvard's russian research center nel 1955, il 50% dei nuovi tecnici addestrati in Unione Sovietica erano donne, Ibid. Cfr.
anche John Krige, American hegemony and the postwar reconstruction of science in Europe, Cambridge (Ma.), Mit Press, 2016, pp.191-226
171 Mario Alicata, La riforma della scuola, cit., p.10
172 Enzo Modica, Occorre una soluzione generale, «Il Contemporaneo», IV (1957), n.s., n.19
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l’aumento del tempo di studio disinteressato e il passaggio dal latino ad un principio educativo fondato sulla conoscenza scientifica della realtà naturale ed umana – si accompagnasse ad un aumento quantitativo del personale qualificato in direzione delle materie scientifiche.
Non è raro infatti imbattersi, nella pubblicistica comunista del periodo, in prese di posizione che intrecciano l’urgenza dell’espansione scolastica ai fini dello sviluppo economico, a quella della netta «denutrizione scientifica» dei programmi scolastici, in un contesto in cui la denuncia dell’arretratezza del sistema formativo – in particolare delle università e della ricerca scientifica – iniziava a diffondersi trasversalmente ai partiti e alle culture politiche. Già durante il Comitato centrale del 1955, Alicata aveva richiamato «le indicazioni scaturite dopo Ginevra, su quella che è la situazione spaventosa delle università come centri di ricerche scientifiche nel nostro paese»173. Sempre nell’autunno del’55, il 29-30 settembre, l’Istituto Gramsci aveva organizzato un Convegno sui «Problemi della ricerca scientifica e dell’applicazione dell’energia nucleare», al quale parteciparono ricercatori scientifici, tecnici, economisti e parlamentari comunisti e socialisti. Durante i lavori fu ribadito che «i risultati della Conferenza di Ginevra […] hanno riproposto in forme drammatiche di fronte alla pubblica opinione i problemi dell’arretratezza economica del nostro paese e del suo apparato riproduttivo e la crisi, a tale arretratezza strettamente collegata, in cui in Italia si dibatte la ricerca scientifica». Le proposte scaturite dal Convegno, in linea d’altronde con le conclusioni del Comitato Centrale del Pci, contenevano richieste di aumento dei posti di professore di ruolo, l’aumento delle borse di studio, l’adeguamento delle strutture e dei laboratori e la moltiplicazione delle spese destinate alla ricerca, senza alcun riferimento all’annoso «problema del sovraffollamento universitario»174.
Un motivo di critica alle strutture dell’istruzione nazionale superiore andava dunque formandosi all’interno del partito, anche se – come d’altronde per tutte le indicazioni scaturite dal Cc del novembre ’55 – occorre relativizzare la velocità di diffusione del nuovo schema concettuale. Nonostante le prese di posizione scaturite nel 1955, infatti, per tutto il 1956 il partito restò silenzioso sui problemi dell’istruzione superiore. Se ne doleva ad esempio lo studente universitario comunista Giancarlo
173 Mario Alicata, La riforma della scuola, cit., p.33
174 Problemi della ricerca scientifica e dell'applicazione pacifica dell'energia nucleare, in
«Società», IX (1956), n.1
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D’Alessandro, in un articolo apparso su «Rinascita» nel dicembre ’56, registrando il ritardo di elaborazione del partito sul punto della riforma universitaria:
Senza dubbio il problema della scuola dell'obbligo è di grande importanza per le sorti della democrazia italiana e esso rappresenta il punto di partenza obbligato di un discorso più generale sulla scuola […]. Non abbiamo però finora dato una valutazione complessiva dell'istituto universitario nella sua precipua funzione di educatore di giovani intellettuali e quindi in nessun modo abbiamo iniziato l'elaborazione dei problemi di contenuto e di metodo dell'insegnamento. […] Si aggiunga a questa più generale debolezza culturale e politica del partito intorno a queste questioni una tradizionale e scarsa sensibilità delle organizzazioni giovanili comuniste a intendere i problemi degli studenti175
Le ragioni di tale ritardo erano molteplici. Da un lato, nonostante l’enfasi posta sull’assenza di scienza, i rapporti tra il Pci e importanti settori del mondo scientifico si erano degradati come conseguenza dell’adesione del partito al lysenkoismo, tra il 1948 e il 1953176. Gli sforzi della Commissione culturale di Salinari per sviluppare un dibattito sul rapporto tra scienza e società177 e la stessa abiura del lysenkoismo, compiuta da Massimo Aloisi – biologo comunista – durante il Comitato centrale del partito nel marzo del ’54, non bastarono a colmare la frattura, infrangendosi sui contraccolpi dell’invasione dell’Ungheria del 1956. Questa provocò la fuga di numerosi intellettuali dal partito, alcuni dei quali rivestivano funzioni importanti nell’organizzazione o ruoli di mediazione con settori specifici, come lo stesso Massimo Aloisi, figura di riferimento dei comunisti tra i biologi. Il Pci non riuscì così a intercettare la critica all’immobilismo delle istituzioni universitarie che proveniva
175 Giancarlo D’Alessandro, I problemi dell’Università al Congresso dei goliardi, «Rinascita», XIII (1956), n.12
176 Trofim Denisovič Lysenko, agronomo sovietico di origini contadine, aveva sviluppato tra gli anni Venti e Quaranta una teoria che confutava i principi basilari della genetica – come l’esistenza del gene e delle mutazioni casuali – basata sulla rivendicazione della indefinita possibilità di incidere sulla struttura ereditaria degli organismi viventi attraverso la modificazione dell’ambiente. Tra il 31 luglio e il 7 agosto 1948, nel corso della sessione dell’Accademia pansovietica di scienze agrarie Lenin (VASKhNIL), tali teorie erano divenute, grazie all’intervento dello stesso Stalin, dottrina ufficiale del Pcus. Di contro, la nascente genetica contemporanea, in quanto appartenente al campo scientifico
«occidentale» e «borghese», diveniva una teoria «reazionaria», «idealistica» e «meccanicistica». Il lysenkoismo – perfettamente integrato nella politica volontaristica staliniana delle collettivizzazioni forzate – fu adottato dal Cominform e quindi dalla Commissione culturale di Sereni, secondo l’idea per cui anche nell’ambito culturale e scientifico valevano le dinamiche di confronto politico-militare della guerra fredda. Tale impostazione, che alienò al Pci le simpatie di una parte consistente del panorama scientifico italiano, venne abbandonata a partire dal 1954, in seguito all’indebolimento del lysenkoismo nella stessa URSS, ed alla sostituzione di Emilio Sereni alla guida della Commissione culturale del Pci.
Crf. Francesco Cassata, Le due scienze. Il «caso Lysenko» in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2008
177 Nei progetti di potenziamento delle strutture culturali del PCI, elaborati dalla direzione di Carlo Salinari, un ruolo di primo piano era riservato alla rivista «Società»: l’allargamento della redazione e il passaggio della periodicità da trimestrale a bimestrale rientravano in questa prospettiva. In un piano per la trasformazione del periodico in mensile – proposta suggerita, nel gennaio 1953, dall’editore Einaudi e mai realizzatasi –, un’attenzione significativa era destinata proprio ai problemi scientifici e, in particolare, alle tematiche della biologia e della genetica. Ivi, p.184
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dai settori più dinamici dell’accademia italiana, a partire dalla campagna lanciata dal genetista Adriano Buzzati Traverso proprio alla fine del 1956178. Stessa perdita di influenza avveniva inoltre tra gli studenti universitari, come segnalava la netta sconfitta raccolta dal Comitato Universitario Democratico Italiano (Cudi) social-comunista, che alle elezioni degli Organismi rappresentativi universitari (Oorr) del 1954 ottenne solo il 5% contro le percentuali ben più importanti della democristiana Intesa e della laica Unione Goliardica Italiana (Ugi)179.
D’altro canto, il partito aveva deliberatamente deciso di concentrare la propria attenzione sulla scuola dell’obbligo. Lo testimonia la relazione che Alessandro Natta lesse alla Commissione culturale nazionale del 23-24 luglio 1956, che ribadiva le indicazioni pratiche emerse dal Comitato centrale dell’anno precedente: esse andavano dalla scuola obbligatoria dai 6 ai 14 anni per tutti, alla questione della libertà di insegnamento e della regolamentazione della scuola privata, dalla formazione docenti, al diritto allo studio sostanziato in un piano di edilizia scolastica e in un sistema di convitti, collegi, borse e prestiti180. L’occasione per riaprire il discorso sull’istruzione superiore e più in generale sui temi dell’espansione scolastica si ripresentò solo a partire dall’autunno del 1957 in seguito all’emersione di un conflitto latente all’interno del mondo accademico.
178 Come le inchieste pubblicate da «il Giorno», giornale milanese di orientamento anti-centrista, finanziato dall’Eni di Enrico Mattei e dall’editore Cino Del Duca, che esordì nelle edicole il 21 aprile 1956 sotto la direzione dell’ex giornalista del Corriere della Sera Gaetano Baldacci. A partire dal
178 Come le inchieste pubblicate da «il Giorno», giornale milanese di orientamento anti-centrista, finanziato dall’Eni di Enrico Mattei e dall’editore Cino Del Duca, che esordì nelle edicole il 21 aprile 1956 sotto la direzione dell’ex giornalista del Corriere della Sera Gaetano Baldacci. A partire dal