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Insegnanti in crisi di identità

Capitolo III. Fughe in avanti (1963-1968)

3. Insegnanti in crisi di identità

Nonostante le avvisaglie, la prima categoria a «sorprendere» il Pci sfidandone il ruolo di avanguardia politica non furono gli studenti universitari, bensì gli insegnanti di sinistra. Nel corso degli anni Sessanta era infatti maturata, all’interno di alcuni settori di una categoria tendenzialmente conservatrice, quell’insofferenza che avrebbe portato, nel luglio 1967, alla fondazione del Sindacato nazionale scuola (Sns) – Cgil, meglio conosciuto come Cgil-scuola. È utile ripercorrere le tappe che portarono alla nascita di tale sindacato, per comprendere da un lato il mutamento genetico che lo sviluppo economico e sociale del paese indusse nella categoria insegnante, e dall’altro le incertezze del Partito Comunista nell’affrontarlo.

Fin dalla separazione dei sindacati insegnanti dalla Cgil, avvenuta nel clima difficile della guerra fredda, la questione dell’unità sindacale aveva costituito un rovello per gli insegnanti comunisti. Nell’immediato essa era stata risolta sostenendo la necessità di restare nei sindacati autonomi. Al Consiglio Nazionale della Cgil del 2-5 ottobre 1948, dopo essersi consumata la separazione con il Snsm, uno sconsolato Pasquale D’Abbiero, ex segretario comunista del Snsm, aveva affermato «se noi in minoranza fossimo usciti dal sindacato, avremmo avuto automaticamente una polverizzazione della categoria: non avremmo avuto due soli sindacati, uno della CGIL e uno fuori della CGIL, ma ne sarebbero venuti fuori almeno tre o quattro, perché ogni gruppo avrebbe cercato di creare un proprio sindacato, sia pure con 50 o 100 aderenti».465 La decisione di restare nel Snsm venne dunque confermata in una

dire con chiarezza che ha sbagliato. Non so se debba comportare una valutazione diversa della sua candidatura»

465 Intervento di Pasquale D’Abbiero al Consiglio Nazionale della Cgil del 2-5 ottobre 1948, cit.

in Natale Di Schiena, Mario Mascellani, Per una storia della politica scolastica della Cgil. 1945-1973, in «Quaderni di Rassegna Sindacale», XIII, gennaio-aprile 1975, n.52-53, pp.132-147

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riunione della Commissione scuola del Pci del gennaio 1949, in cui però si diede indicazione agli insegnanti comunisti di formare all’interno dei sindacati autonomi una corrente «unitaria», che, pur non rinunciando all’unità della categoria, indicasse la strada dell’unità col resto della classe lavoratrice.

Tale corrente prese il nome di Gruppi unitari confederali della scuola (Guc), che ebbero vita breve: essi tennero il loro primo Convegno a Roma, nel gennaio del 1950, con un intervento di Di Vittorio che ribadiva la scelta unitaria466, ma i loro organizzatori furono immediatamente espulsi dal sindacato dei maestri, il Sinascel, ormai egemonizzato dai democristiani. Già allora la scelta di cercare a tutti i costi l’unità della categoria, restando nel seno del sindacalismo autonomo, venne posta in discussione da un gruppo di espulsi iscritti al Pci, che si pose l’obiettivo di costituire un nuovo sindacato scuola aderente alla Cgil. L’iniziativa venne però rigettata dagli organismi dirigenti del partito, che optarono perché gli insegnanti comunisti restassero in contatto con la maggioranza dei maestri di area laica, con i quali due anni più tardi venne fondato lo Snase467.

Troppo pochi e male organizzati erano gli insegnanti comunisti, per cui anche nel 1955, anno per altri aspetti di svolta nella politica scolastica comunista, Mario Alicata riconfermò la scelta di battersi nel sindacalismo autonomo, puntando sull’istituzione, all’interno delle Camere del lavoro della Cgil, di «uffici scuola» che fungessero da sostegno alle correnti sindacali di minoranza in cui erano organizzati i comunisti.

Nonostante l’annosa vertenza sullo stato giuridico si concludesse, all’inizio del 1957, con un nulla di fatto, anche a causa della scarsa combattività delle correnti di maggioranza dei sindacati scuola, la scelta «unitaria» venne più volte riconfermata.468

466 Così Di Vittorio al Congresso fondativo dei Guc: «Noi quindi siamo unitari sia sul terreno confederale e di classe, che su quello di categoria. Gli altri non possono dire altrettanto, perché hanno rotto l'unità di tutte le categorie nelle quali sono in minoranza». Egli poi aggiungeva: «La questione se voi dovete rimanere o uscire dal vostro attuale sindacato è, in parte, una questione di principio, il principio dell'unità, ed in parte una questione di tattica, data cioè dall'esigenza di non perdere il contatto con la maggioranza dei lavoratori della categoria. Se i vostri sforzi non dovessero riuscire a far praticare concretamente la democrazia in seno ai vostri sindacati, allora riesamineremo la vostra situazione». Cit.

in Natale Di Schiena e Mario Mascellani, Per una storia della politica scolastica della Cgil, cit.

467 Istruzioni di lavoro della direzione del Pci a tutte le federazioni, 18 maggio 1950, in Apc, Fondo Mosca, mf190, cit. in Vincenzo Viola, Il sindacato che non c’era. La nascita della Cgil scuola,

«Zapruder», gennaio-aprile 2012, n.27, pp.136-42

468 Enzo Modica, La lunga lotta degli insegnanti. Dieci anni di battaglie contro un muro, «Il Contemporaneo», IV (1957), n.23. La conclusione della vertenza si realizzò solo con la separazione tra stato giuridico e carriera economica e l’approvazione di un nuovo disegno di legge governativo sulla carriera economica, accettato dalla maggioranza del Snsm e dal Sinascel – e accompagnato da una protesta formale dello Snase. Esso prevedeva un’accelerazione delle carriere di soli 3 anni (in luogo degli 8 richiesti) e l’aumento degli stipendi tramite una indennità extra-tabellare, considerata dal Pci molto al di sotto delle attese, la quale risultava dimezzata per i docenti incaricati (precari), ossia per la

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Nel verbale del convegno degli insegnanti comunisti del 1958, il primo di cui disponiamo le carte, se da un lato si dava mandato alle federazioni di costruire proprie sottocommissioni scuola, dall’altro un’intera parte era dedicata all’organizzazione degli insegnanti comunisti nel sindacato: tra i maestri si constatava «il raggiungimento di una situazione democratica con la partecipazione senza discriminazione dei compagni maestri nel Sindacato autonomo e con le buone affermazioni di questo sindacato nelle recenti consultazioni elettorali» per cui occorreva «andare avanti [...]

rafforzando la nostra presenza nel sindacato e attraverso di essa il sindacato stesso, ponendosi l’obiettivo di ridurre sempre più l’influenza del sindacato maggioritario clericale». Tra i professori dal verbale traspariva l’insoddisfazione dei militanti comunisti, dovuta al fatto di dover sottostare ad una maggioranza cattolica nel Snsm pur in una condizione in cui l’unità sindacale non era più una realtà a causa delle scissioni del Sasmi e del Snppr. Nel verbale si confermava «la necessità di un’azione autonoma e pubblica della corrente di cui i comunisti fanno parte», con l’obiettivo di rafforzarla e concretizzare la prospettiva «da noi sostenuta dell’unificazione sindacale» attraverso «l’organizzazione di una Costituente sindacale della scuola media», sul modello del Fronte unito della scuola del 1955.469

La spina dorsale dell’organizzazione dei comunisti nella scuola era l’ormai consueto convegno degli insegnanti comunisti, al quale si aggiungeva il seminario per maestri – categoria sulla quale si poneva particolare cura – tenuto periodicamente presso la scuola di Frattocchie. La loro organizzazione era stata pensata all’indomani del Comitato centrale del novembre 1955 per dotare il partito di una prima ossatura organizzativa che concretizzasse l’azione sui problemi della scuola. I Convegni

maggioranza del personale docente. Enzo Modica accusava del risultato i dirigenti sindacali cattolici che «non si sono più curati di chiarire i termini della lotta che rischia di essere letta come puramente corporativa e non al servizio della cultura del paese». Enzo Modica, Appello alla decisione sul fronte della scuola, «Il Contemporaneo», IV, 2s, 1957, n.26. Contemporaneamente il governo era intervenuto promuovendo l’approvazione di una serie di leggine che andavano a migliorare la condizione dei fuori-ruolo, depotenziando la protesta tramite una serie di immissioni in ruolo ope legis, pur senza intervenire sull’insieme dei meccanismi di reclutamento e dell’organizzazione scolastica di stampo gentiliano. In particolare tra la fine del 1955 e l'agosto del 1957 furono approvati la legge 15 dicembre 1955 n.1440 che predisponeva concorsi di abilitazione riservati per insegnanti non abilitati già in servizio; le leggi 24 maggio 1956 n.505, 8 febbraio 1957 n.46 e 12 agosto 1957 n.799 mediante le quali venivano immessi nei ruoli per via automatica coloro risultati idonei ai precedenti concorsi, i cosiddetti «settedecimisti» e gli appartenenti ai ruoli transitori. Cfr. Giorgio Chiosso, I cattolici dalla Costituente al centro-sinistra, Brescia, La Scuola, 1988, p.147

469 Relazione sul convegno degli insegnanti comunisti (Frattocchie, 29-30 giugno 1958) in Apc, 1958, Commissione Culturale, mf 0453 p.1653,

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regionali tenutisi nel gennaio 1956470 avevano infatti rivelato l’assenza della problematica scolastica tra quelle considerate centrali dai militanti del partito, i quali si rapportavano alla scuola come alla «scoperta di un mondo nuovo», a dimostrazione della persistenza della politica «dei due tempi», a suo tempo denunciata da Lombardo Radice, nel corpo del partito.471

Attraverso i convegni degli insegnanti Mario Alicata si era dunque sforzato di cambiare la realtà di un’organizzazione in larga parte assente dal tema dell’istruzione.

A partire dal 1956 il suo obiettivo principale fu quello di recuperare internità tra il personale insegnante, fornendo una linea di condotta sindacale sulle principali questioni472: in primo luogo, quella della rivalutazione della carriera economica degli insegnanti, il cui potere contrattuale era gravato dall’alta frammentazione della categoria; e l’assenza di uno stato giuridico che garantisse la libertà di insegnamento e ampliasse la partecipazione democratica del personale all’interno delle istituzioni scolastiche473. Occorreva infine socializzare tra insegnanti e maestri comunisti linea di

470 Ve n’è traccia nella Nota informativa per la segreteria sul lavoro svolto nel settore della scuola nel primo semestre del 1956 in Afgr, Scuola e politica scolastica del Pci.

471 In alcuni casi la commissione culturale di periferia era solo formalmente presente, in altri totalmente assente. Nel merito dei problemi, la questione del latino o quella dell’avvicinamento tra percorsi formativi in vista della scuola media unica, risultarono divisivi. In Toscana ad es., «gli operai, e il maestro Ciari, nettamente contro il latino; Luporini e Mencaraglia invece (professori) perplessi o contrari alla sua abolizione». Molti dati impressionanti emergevano sull’analfabetismo, in particolare nel Meridione, il che obbligava il partito a prendere coscienza che «la prospettiva di una grossa riforma non deve essere disgiunta dalla battaglia per obiettivi assai più arretrati». Significativa la relazione del segretario provinciale P. Valenza, il quale notava come la mancanza di scuole efficienti in quella provincia contadina, si riflettesse sull’apparato stesso di partito, nel quale c’erano «solo tre compagni che abbiano studiato sino alla V elementare». Ovunque fu sottolineata l’urgenza di una forte azione di reclutamento dei maestri, visti come figure detentrici di un certo prestigio sociale, in grado di arrivare

«là dove non arriva il parroco». Emergeva in generale un giudizio sull’operato del partito che aveva fino ad allora dimostrato «scarsa, o nessuna, capacità di esercitare una funzione di guida, affrontando e comprendendo le questioni di merito dell’insegnamento, delle sue difficoltà, dei suoi orientamenti».

Anche laddove si segnalavano «gruppi vivaci e intelligenti di insegnanti», come i maestri toscani, seguaci della «cooperazione scolastica», si lamentava la «scarsa attenzione» rivolta dal partito nei confronti di quei «fermenti democratici». Angelo Semeraro, Dina Bertoni Jovine e la storiografia, cit., pp.63-4

472 Nota informativa di Mario Alicata per la segreteria sul lavoro svolto nel settore della scuola nel primo semestre del 1956, in Afgr, Scuola e Politica scolastica, Archivio e corso di lezioni sulla politica scolastica del Pci.

473 Su questo secondo aspetto una prima proposta venne presentata da Stellio Lozza, insieme ad Anna de Lauro del Psi, nel marzo del 1956 per poi essere riportata nelle Proposte dei comunisti per una riforma democratica della scuola del 1958. Cfr. Ap, Camera dei Deputati, Proposta di Legge (Stato giuridico del personale direttivo e docente degli Istituti di educazione secondaria), n.2165, II Legislatura, 28 marzo 1956. Cfr. anche Ap, Camera dei Deputati, Proposta di Legge (Norme per l’organizzazione della scuola primaria e stato giuridico del personale ispettivo, direttivo e insegnante della scuola elementare), n.2164, II Legislatura, 28 marzo 1956. Le norme fasciste ancora in vigore prevedevano un controllo gerarchico sull’insegnante, controllo che facilmente poteva allargarsi – trattando dell’integrità politica e morale de docente – alla sfera privata. Nell’ottica del Pci andava dunque ristabilita la piena libertà di insegnamento, improntata al rispetto della personalità degli alunni e allo sviluppo dello spirito critico, resa effettiva dal riconoscimento pieno del diritto di sciopero, di

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riforma comunista, perché questi se ne facessero portavoce non solo nel quadro di un sindacalismo corporativo, ma anche e soprattutto all’interno di un partito in cui, per dirla con Alicata, «troppo spesso […] questo lavoro [nella scuola] viene inteso come specialistico e settoriale, riservato soltanto agli insegnanti, e non invece come un grande problema di sviluppo democratico e sociale, che riguarda i lavoratori e le masse popolari».474

Tale lavoro di organizzazione impostato negli anni Cinquanta, portò i suoi frutti nel decennio successivo: nel 1962, al V Congresso dello Snase, i maestri comunisti riuscirono ad evitare di essere messi in minoranza dal gruppo dirigente socialdemocratico (che già aveva ottenuto l’espulsione di un dirigente comunista, Renato Borelli dal sindacato), permettendo una larga affermazione di dirigenti socialisti e comunisti.475 Cinque anni dopo, in occasione del Congresso di Salerno del 1967, essi sarebbero riusciti ad ottenere la maggioranza del sindacato, eleggendo segretario generale il comunista Osvaldo Diana.476

Quella in cui il Pci tentava di prendere piede era però una categoria in profonda trasformazione, prima di tutto quantitativa, alla quale il partito riuscì a dare solo risposte parziali. Tra i settori in cui il reclutamento era stato più massiccio v’erano la secondaria di primo grado – ove i docenti erano cresciuti dalle 67.990 unità del 1951 alle 133.005 del 1961 alle 197.553 del 1971 – e la secondaria di secondo grado, in cui la crescita del reclutamento aveva avuto una sua accelerazione negli anni Sessanta, passando dalle 67.551 unità del 1961 alle 144.946 del 1971.477 Alla forte espansione del sistema scolastico si sommava inoltre la bassa capacità di assorbimento di laureati

protesta e di attività politica del personale docente. In questa direzione andava anche la riduzione a un anno del periodo di prova, la previsione dell’inamovibilità dei docenti e la composizione in parte elettiva del consiglio di disciplina, che secondo il Pci avrebbe dovuto essere composto dal provveditore, da un magistrato, un direttore o ispettore didattico eletto a livello provinciale e da quattro maestri anch’essi eletti. Le proposte del Pci puntavano anche a eliminare le discriminazioni nei confronti delle maestre – con la previsione di una graduatoria unica e non di due graduatorie divise per sesso – e soprattutto dei fuori-ruolo, ai quali andava pienamente riconosciuto il periodo di servizio sia ai fini del calcolo stipendiale sia per escludere l’anno di prova. Venivano riconosciute infine alcune condizioni minime necessarie all’esercizio della funzione docente come il numero massimo di alunni per classe e il diritto all’aggiornamento professionale annuale. Nello stesso anno, a maggio, Natta depositava la proposta di legge relativa alla carriera economica. Vedi Ap, Camera dei Deputati, Proposta di legge (Trattamento economico del personale direttivo e insegnante delle scuole di ogni ordine e grado), n.2255, II Legislatura, 9 maggio 1956

474 Relazione di Mario Alicata al Convegno degli insegnanti comunisti in Apc, 1959, Commissione culturale, mf 0459, pp.1970-77,

475 Nota informativa sul V Congresso SNASE (Roma, 2-3-4-5 dicembre 1962), redatta da Livio Raparelli in Apc, 1962, Commissione culturale, mf 0494 pp.2078-253,

476 Lettera di Paola Ruju, Livio Raparelli e Antonino Tripodi all'Ufficio politico del Pci in Apc, 1968, Commissione culturale, mf 0548 pp.0155-0166

477 Istat, L’Italia in 150 anni, cit., pp.360-1

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nell’industria, che aveva portato, lungo gli anni Sessanta, a fare della scuola la destinazione professionale per il 60% dei laureati.478 Nelle aule scolastiche entrava così – per quanto minoritaria – una nuova leva di insegnanti, scissi tra il fermento politico che smuoveva con sempre maggiore intensità gli atenei, e le caratteristiche tradizionali del loro mestiere.

Nonostante le novità introdotte dalla nuova leva, infatti, la vita scolastica continuava ad essere caratterizzata dalle tare ereditate alla fine degli anni Quaranta: un reclutamento basato sull’affastellarsi nel tempo di regolamentazioni successive, che aveva determinato nel tempo la crescita abnorme della figura dei fuori-ruolo (circa 170 mila nel 1964), ossia di quel personale precario che, pur insegnando, non aveva un posto stabile; l’assenza di un addestramento specifico per l’insegnamento all’interno delle università; la presenza di norme che impedivano lo sviluppo di una autonomia professionale e specificamente pedagogica del corpo insegnante; soprattutto, come avrebbero di lì a poco evidenziato Marzio Barbagli e Marcello Dei ne Le vestali della classe media, la persistenza di una cultura docente profondamente individualistica, fondata sullo spirito di missione e sulla trasmissione alle nuove generazioni del capitale culturale delle élites dominanti, dal quale andavano escluse quelle fasce sociali tradizionalmente «incapaci» di accedervi479.

Il Pci tentò di rispondere a questi problemi dando prevalenza all’azione politico-parlamentare. L’elaborazione fondamentale avvenne durante il Convegno Stato, scuola, società del 1964, dal quale sarebbero scaturite alcune proposte di legge presentate nel corso della IV legislatura. Nella proposta, riportata da Francesco Zappa, la formazione di un «insegnante […] non solo pedagogicamente e didatticamente preparato, ma culturalmente capace di assolvere al suo compito di educatore democratico», passava in primo luogo dalla riforma della formazione docente480. Per ciò che riguardava questo aspetto, furono riprese alcune proposte già emerse nel partito alla fine degli anni Cinquanta, adattandole ad una scuola in rapida espansione e successivamente incorporandole all’interno proposta di riforma universitaria n.2650

478 Marzio Barbagli e Marcello Dei, Le vestali della classe media, Bologna, Il Mulino, 1969, p.15 e segg.

479 Marzio Barbagli e Marcello Dei, Le vestali della classe media, Bologna, Il Mulino, 1969

480 Bollettino di Propaganda. Numero dedicato ai risultati del Convegno Nazionale di Partito

«Scuola-Stato-Società» in Apc, 1964, Sezioni di Lavoro, Stampa e propaganda, mf0515 pp.2548-2569,

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dell’9 ottobre 1965 ed alla proposta di riforma del reclutamento n.1712 del 9 ottobre 1964481.

Per i maestri, si prevedeva l’abolizione dell’istituto magistrale, sostituito da un liceo unitario e un biennio di specializzazione universitaria – quest’ultimo previsto anche dalla Commissione di Indagine – che si sarebbe dovuto concludere con un esame abilitante, senza ulteriori prove, eliminando quindi il dualismo tra esame di abilitazione all’insegnamento e concorso per l’ingresso nei ruoli. Analoga prospettiva si prevedeva per l’insegnante della scuola dell’infanzia. Per la formazione del professore – interamente demandata alle università – si prevedeva invece la riforma del piano di studi della facoltà di lettere e di quella di scienze, con l’istituzione di corsi di laurea specifici per la formazione degli insegnanti che si sarebbero dovuti concludere con la laurea abilitante: questa sarebbe stata titolo sufficiente per l’ammissione in ruolo nella scuola media inferiore – per la quale dunque si prevedeva, a partire dall’anno scolastico 1969-70, l’abolizione del concorso. Si trattava di una scelta radicale, in linea con il profondo cambiamento delle priorità politiche stimolato dalla trasformazione del paese: se negli anni Cinquanta il concorso era considerato dai comunisti un argine alla clericalizzazione della scuola, negli anni Sessanta esso diventava un doppione nozionistico e burocratico dell’abilitazione all’insegnamento, intesa come percorso scientifico e professionale, che occorreva adattare alle necessità dello sviluppo economico, sociale e democratico del paese.482

Per risolvere il problema delle centinaia di migliaia di fuori-ruolo, il Pci chiedeva:

l’aggiornamento annuale automatico degli organici, di modo che tutte le cattedre o i corsi corrispondenti a cattedra e tutti i posti esistenti e funzionanti nei due anni precedenti diventassero cattedre e posti di ruolo in organico; la stabilizzazione di coloro risultati idonei ai concorsi e degli abilitati, tramite concorsi per soli titoli; la sistemazione in ruolo dei non abilitati in servizio, sia laureati sia diplomati, i quali avessero frequentato speciali corsi abilitanti. Era la prima volta che veniva prospettata la soluzione dei corsi abilitanti come maniera per stabilizzare quei precari che, pur

481 Ap, Camera dei Deputati, Proposta di legge (Norme per la sistemazione, la formazione e il reclutamento del personale insegnante e non insegnante nelle scuole statali), n.1712, IV legislatura, 9 ottobre 1964, primo firmatario Gino Picciotto

482 Documentazione relativa al Convegno nazionale «stato, scuola e società», Roma, del 9

482 Documentazione relativa al Convegno nazionale «stato, scuola e società», Roma, del 9