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L'importanza di uno sciopero

Capitolo I. La via italiana alla riforma della scuola (1955-1958)

2. L'importanza di uno sciopero

La mobilitazione dei professori nella primavera del 1955 scosse il torpore della categoria docente110. Degli scioperi c’erano stati nel 1947 e nel 1949, collegati alle conseguenze del grave dissesto economico provocato dalla guerra, ma l’abbandono della Cgil e gli avvicendamenti avvenuti all’interno delle dirigenze sindacali – egemonizzate a partire dal 1948 dalle associazioni professionali cattoliche – avevano favorito un atteggiamento mansueto della categoria nei confronti del governo. Il rapporto tra quest’ultimo e il sindacato si era assestato intorno alla contrattazione di interventi particolari a favore di sotto-categorie di docenti, favorito dalla diffusione del fenomeno dei fuori-ruolo, che comportava la frammentazione corporativa delle istanze di categoria e un basso livello di conflittualità111. Il Snsm, il sindacato dei professori,

109 Angelo Semeraro, Dina Bertoni Jovine e la storiografia pedagogica nel dopoguerra, Manduria, Lacaita, 1979, pp.56-7

110 Una ricostruzione dettagliata della lunga vertenza dei docenti per l’ottenimento dello stato giuridico si trova in Enzo Modica, La lunga lotta degli insegnanti. Dieci anni di battaglie contro un muro, «Il Contemporaneo», IV, n.23, 1957. Le condizioni materiali dei professori medi dell’epoca sono invece descritte in Enzo Modica, La scuola e la vita, «Il Contemporaneo», II, 23, 1955

111 Angelo Gaudio nota come durante il periodo gonelliano (1946-51) la Pi avesse fatto un larghissimo impiego di personale non di ruolo, per due logiche distinte ma convergenti: la logica del Tesoro, tesa a risparmiare sugli stipendi degli impiegati pubblici; e la logica del consenso, per cui lo

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pur conservando la struttura unitaria – caso unico in Italia – e forte di 30.000 iscritti, aveva subito ben 3 scissioni: i fuori ruolo, forti soprattutto nel Mezzogiorno, si raccoglievano in un sindacato autonomo che aveva sede a Salerno; presidi e professori di ruolo, forti nel Nord, organizzavano a Padova un loro distinto sindacato; a Milano un quarto troncone era costituito dai presidi organizzati in associazioni di categoria;

senza contare che la grande massa degli insegnanti, disorientata e confusa, era fuori da qualsiasi organizzazione sindacale112.

A partire dal 1948, l’influenza del Pci tra gli insegnanti si era fatta via via più rarefatta. Tra i professori di scuola secondaria, dove la corrente socialcomunista era relativamente più forte, i dati parlavano di un 16% di professori di ruolo che votavano per socialisti e comunisti alle elezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi), mentre al Congresso del Snsm la mozione 4 (quella socialcomunista) era scesa dal 18,5% al 15, 8%. La situazione era aggravata, tra i maestri di scuola elementare, dall’influenza particolarmente forte che vi avevano le associazioni cattoliche (la corrente cattolica collezionava da sola il 77% dei voti alle elezioni del Cspi e controllava interamente il Sinascel, aderente alla Cisl) e dall’assenza di organizzazione dei comunisti, impossibilitati ad organizzarsi in corrente all’interno del minoritario sindacato laico113. Lo scarso radicamento dei comunisti in una categoria attraversata da profonde divisioni e caratterizzata dall'egemonia democristiana, si rifletteva in una presenza ridotta di insegnanti comunisti tra le fila del personale politico.114

status di una parte degli insegnanti, come quello di larghe fasce dei ceti medi, non era garantito stabilmente ma «oggetto di contrattazione nello scambio politico fra promozione economico-sociale e consenso al partito di maggioranza», in Angelo Gaudio, La politica scolastica dei cattolici: dai programmi all'azione di governo, 1943-1953, Brescia, La scuola, 1991, p.116 e segg.

112 Angelo Semeraro, Dina Bertoni Jovine e la storiografia pedagogica, cit., pp.57-8

113 Considerazioni critiche di Mario Alicata sul lavoro del partito nel campo della scuola, 23 maggio 1955 in Afgr, Scuola e politica scolastica, Lezioni sulla politica scolastica del Pci. Il Sindacato nazionale autonomo della scuola elementare (Snase) nacque nel 1952 dalla fusione tra il Sindacato nazionale unitario scuola elementare (Snuse) ed elementi laici fuoriusciti l’anno precedente dal Sinascel, quando quest’ultimo aderì alla Cisl. A sua volta lo Snuse era stata la soluzione di ripiego trovata nel 1950, quando i socialisti e i comunisti, organizzati nei (Guc) furono forzati ad uscire dal Sinascel egemonizzato dai democristiani. Lo statuto dello Snase, guidato nel 1955 dai socialdemocratici, impediva la formazione di correnti organizzate. Natale Di Schiena e Mario Mascellani, Per una storia della politica scolastica della Cgil, cit., pp.138-9

114 Nelle statistiche relative ai deputati della I, II e III Legislatura, i comunisti sono gli ultimi per presenza di Docenti universitari e Insegnanti elementari e medi nelle loro fila. Nell'Assemblea Costituente i docenti universitari costituivano il 2,8% dei deputati comunisti (contro il 4,9% del Psi e il 15,7% della Dc). Gli insegnanti elementari e medi erano il 3,8% dei deputati comunisti (contro il 5,7%

del Psi e l'11,6% per la Dc). La scarsa rappresentatività del personale insegnante tra i comunisti persistette per tutti gli anni Cinquanta, rispetto a un peso crescente assunto dalle categorie tanto nel Psi, quanto nella Dc. Vedi S. Somogyi, L. Lotti, A. Predieri e G. Sartori, Il Parlamento italiano 1946-1963, Napoli, 1963, p.167 cit. in Luigi Musella, Formazione ed espansione dei partiti, in Francesco Barbagallo, a cura di, Storia della Repubblica italiana, vol.2, Torino, Einaudi, 1995, p.175

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Le condizioni per un ricompattamento della categoria si erano manifestate nel dicembre ’53, con la presentazione, da parte del governo, del progetto di legge delega sullo stato giuridico dei dipendenti pubblici, che contestualmente avrebbe dovuto delegare al governo la definizione di retribuzioni, diritti e doveri del personale insegnante. Il provvedimento andava a toccare il nervo scoperto di un’identità professionale docente formatasi intorno all’idea tardo-idealistica di un insegnamento inteso come missione, a sua volta traduzione di un bisogno di elevazione dal proletariato, costantemente messo in crisi dalla realtà delle retribuzioni e dalla diffusione dei fuori ruolo115.

Mentre le opposizioni laiche concentrarono la loro critica alla legge sul pericolo che una delega troppo ampia al governo avrebbe comportato per la libertà di insegnamento116, l’Snsm chiese per la propria categoria un trattamento che tenesse conto «della particolare natura dell’insegnamento» e delle «responsabilità culturali e sociali» degli insegnanti117. Di fronte alle richieste sindacali il governo mantenne un atteggiamento dilazionatorio, nonostante diversi ordini del giorno della maggioranza governativa contenessero impegni precisi, a partire dall’equiparazione dei professori con la magistratura.

Quando, nel dicembre del ’54, con la legge delega furono pubblicate le tabelle ministeriali, la delusione delle aspettative economiche fu percepita dai diretti interessati come una negazione dei presupposti etici della professione. L’idea di docenza come missione – fattore che paradossalmente aveva contribuito all’adesione massiva di maestri e professori alle associazioni cattoliche118 – fu il volano di una vasta

115 Angelo Gaudio, La politica scolastica dei cattolici, cit., tutto il Capitolo III

116 Cfr. Nel 1954 «La voce della scuola democratica» pubblicava un lungo documento firmato da G.Pepe, W. Binni, A. Capitini, E. Codignola, F. Collotti, C. Marchesi, M. Sansone, N. Sapegno e F.

Semerano in cui si faceva riferimento ai rischi della «legge delega» che avrebbe potuto dare al governo

«poteri larghissimi circa la riduzione della libertà di insegnamento». Con quel documento, G.Pepe annunciava il convegno di Adsn che si sarebbe tenuto sull’ stesso tema il 23 marzo del 1955. Angelo Semeraro, Il mito della riforma, cit., nota a p.128. I comunisti, per quanto riguarda le rivendicazioni economiche, si concentrarono sull’insieme della categoria degli statali, chiedendo che fosse disposta una sospensiva della discussione della legge delega, scorporandone la parte economica, in modo da licenziare rapidamente la parte relativa all’aumento delle retribuzioni e da soffermarsi successivamente sulle garanzie giuridiche dei dipendenti pubblici e sul fenomeno del precariato, particolarmente sentito nella scuola. Ap, Camera dei deputati, II Legislatura, Discussioni, 29 ottobre 1954, Di Vittorio (Pci), p.13635

117 Così recitava il testo della legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art.7

118 Secondo Angelo Gaudio, l’ingresso massiccio dei professori all’interno delle associazioni professionali cattoliche – l’Unione cattolica insegnanti scuola media, Ucim – realizzatosi alla fine degli anni Quaranta, non derivava da una precedente adesione dei docenti, in quanto appartenenti alle classi medie, alla Dc. Fu, all’inverso, il prodotto incrociato di altri fattori a portare i professori nella sfera di consenso del partito cattolico: a) l’associazionismo cattolico, potendosi appoggiare alla rete capillare dell’Azione cattolica, riempì lo spazio vuoto che l’attualismo gentiliano – con la sua negazione degli

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mobilitazione rivolta contro il Governo, che interessò principalmente i professori delle scuole medie. I sindacati fissarono il 15 marzo 1955 come termine massimo per la presentazione di un decreto delegato che esaudisse le loro richieste. Di fronte al diniego del Ministro della Pi Giuseppe Ermini, essi, accorpati nel «Fronte unitario della scuola», scioperarono compatti per due giorni (31 marzo e 1 aprile), seguiti da altri due giorni di sciopero nel maggio dello stesso anno e infine dall’annuncio del blocco degli scrutini a tempo indeterminato, suscitando la reazione di Scelba e del Tesoro che dichiaravano l’illegalità dello sciopero. Per sbloccare momentaneamente la situazione fu necessario l’interessamento del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e la promessa – fatta dal nuovo Presidente del Consiglio Antonio Segni – di una «soluzione ponte», in attesa del decreto sullo stato giuridico, che riconoscesse da subito un miglioramento salariale ai professori.

La vicenda, che aveva smosso equilibri consolidati e proiettato la scuola al centro del dibattito pubblico, costrinse anche il Pci a un ripensamento strategico di cui Mario Alicata e Alessandro Natta furono tra i principali fautori119. Dando corpo e gambe al lavoro di Salinari, Alicata, a un mese dalla sua nomina a dirigente responsabile della Commissione culturale del partito, aveva fornito un forte impulso organizzativo alla strutturazione dell’intervento scolastico, prima che lo sciopero dei professori raggiungesse il suo acme. Già in un rapporto alla Segreteria del partito del 25 febbraio 1955, infatti, egli notava come accanto «al buon lavoro compiuto nel campo più strettamente sindacale» corrispondeva «un vuoto, o quasi, nel campo più praticamente

aspetti metodologici della professione – aveva lasciato sul tema dell’aggiornamento professionale; b) le associazioni cattoliche proponevano un fondamento filosofico simile a quello già diffuso nella classe docente e basato sull’idea di insegnamento come missione; c) la femminilizzazione progressiva del corpo docente; d) la diffusione dei fuori-ruolo verso il quali il tradizionale associazionismo laico della Federazione Nazionale Insegnanti Medi si era dimostrato a lungo diffidente. Vedi Angelo Gaudio, La politica scolastica dei cattolici, cit., tutto il cap.III

119 L’importanza dello sciopero dei maestri, in quanto fattore storico determinante, fu sottolineata da Mario Alicata già durante la riunione della Commissione culturale nazionale del 18-19 marzo 1957.

«Negli ultimi anni c’è stato da parte del Partito un interessamento maggiore al problema scolastico ad un notevole approfondimento dei problemi della scuola. Questo maggiore interessamento è dovuto anche alle lotte svolte dai professori che hanno contribuito a richiamare su di essi l’attenzione dell’opinione pubblica e del Partito». Vedi Conclusioni di Mario Alicata, 18-19 marzo 1957 in Apc, Commissione culturale, Verbali della riunione della Commissione culturale nazionale. In sede storiografica questa tesi fu sostenuta da Angelo Semeraro, durante il corso sulla Storia della politica scolastica del Pci tenutosi tra il 17 novembre 1979 e il 18 gennaio 1980 all’Istituto Gramsci in vista della III Conferenza di partito sulla scuola, vedi Lezione sul tema «Alleanze e confronto laico» in Afgr, Scuola e politica scolastica, Lezioni sulla politica scolastica del Pci. Anche Alessandro Natta, in un suo contributo per il ventennale della morte di Dina Bertoni Jovine, sottolineava l’importanza dello sciopero del marzo-aprile 1955 per la nascita di «Riforma della scuola». Vedi Alessandro Natta, Il PCI e la riforma democratica della scuola, in La storia dell’educazione e Dina Bertoni Jovine, Scandicci, La nuova Italia, 1991, p.186.

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ideale». Secondo l’orientamento già assunto dalla Commissione culturale di Salinari e dalla IV Conferenza Organizzativa del partito, la lotta contro la clericalizzazione della scuola e per la libertà di insegnamento, al centro del «Convegno della libertà della scuola» che l’Adsn intendeva organizzare entro il marzo dello stesso anno a Roma, era oramai ritenuta insufficiente. Alicata al contrario riteneva che andassero urgentemente elaborate «almeno le linee generali di un programma di riforma della scuola, che possa poi essere approvato dal Comitato centrale e in seguito diventare la piattaforma di una vasta campagna di propaganda e di agitazione in merito a questo problema, anche allo scopo di accrescere la nostra influenza organizzata in mezzo alla massa dei maestri, degli insegnanti e dei docenti»120. A questo scopo, Alicata pensava di affidare all’Istituto Gramsci la costruzione di «una commissione di studio […] che dovrebbe essere in grado di presentare entro tre mesi le sue prime conclusioni alla Direzione del Partito», mentre le pubblicazioni di «Educazione democratica» furono interrotte

«salvo riprenderne le pubblicazioni su altre basi editoriali e redazionali, quando il dibattito sui problemi scolastici sarà approfondito meglio all’interno stesso del Partito»121.

La necessità di dotarsi di una piattaforma ideale nel campo scolastico divenne dunque un’occasione per armonizzare il lavoro di quegli organismi che a vario titolo esprimevano la politica culturale del Pci. L’arrivo alla guida dell’Istituto di Alessandro Natta, tutto interno alla impostazione togliattiana dell’organizzazione, fu l’occasione per sperimentare una nuova collaborazione con la sezione culturale: mentre quest’ultima di dotava di un organo intermedio – la sezione allargata – col compito specifico di monitorare il dibattito culturale e di coordinare il lavoro sulla stampa, l’Istituto Gramsci avrebbe dovuto non solo portare avanti il programma stilato dal proprio Comitato direttivo, bensì diventare il centro di elaborazione di tutta l’organizzazione, con il compito di approfondire lo studio di determinati temi e problemi, a partire da quello scolastico122. Anche le riviste più o meno legate al partito avrebbero dovuto dare il loro contributo alla «chiarificazione e all’orientamento» della lotta degli insegnanti. Nella riunione della neonata Sezione culturale allargata del 10 giugno 1955 Roberto Battaglia propose infatti che «Società» approfondisse lo «studio

120 Rapporto della Sezione culturale alla Segreteria del 25 febbraio 1955 in Apc, 1955, Commissione culturale, 25 febbraio, mf 0428, pp.0744-0750

121 Ibid.

122 Ibid.

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del legame tra movimento operaio e scuola», mentre invece «Il Contemporaneo» si sarebbe dovuto occupare di informare e orientare sui temi relativi all’istruzione e in particolare sulle mobilitazioni dei professori123.

Fu con gli scioperi di primavera dei professori impressero alle trasformazioni avviate da Mario Alicata nel partito, un ritmo più sostenuto. Già il 14 e 15 maggio 1955, in occasione di un convegno nazionale a tema dell’Istituto Gramsci, veniva istituito un «centro permanente di studi sul problema della scuola» articolato in varie commissioni, incaricate di studiare: un programma organico di riforma della scuola; la storia della scuola italiana; i programmi dell'editoria scolastica, in vista della pubblicazione di testi di orientamento democratico; i problemi dell'educazione extrascolastica dei giovanissimi. Un’apposita commissione fu istituita al fine di presentare, entro il 30 giugno 1955, le proposte per la trasformazione di «Educazione democratica» in una rivista di contatto tra il partito e il mondo insegnante124. In quell’occasione il lavoro di elaborazione della proposta di riforma della scuola, coordinato direttamente da Alessandro Natta, concepì l’obiettivo della scuola unica dell’obbligo fino al quattordicesimo anno di età, con il superamento della divisione tra elementare e media e la progressiva abolizione del latino e dell’avviamento125.

123 Cfr. Semeraro, Il mito della riforma, cit., p.125.

124 Considerazioni critiche di Mario Alicata sul lavoro del partito nel campo della scuola, 23 maggio 1955 in Afgr, Scuola e politica scolastica, Lezioni sulla politica scolastica del Pci. Il volumetto composto da Mario Alicata, La riforma della scuola, Roma, Editori Riuniti, 1956 fornisce il nome dei componenti della commissione per la riforma: Alessandro Natta (responsabile),Renato Borelli, Roberto Battaglia, Antonio Banfi, Amleto Bassi, Mario Casagrande, Pasquale D'Abbiero, Antonio Durante, Dina Bertoni Jovine, Lucio Lombardo Radice, Stellio Lozza, Cesare Luporini, Fausto Malatesta, Ada Marchesini Gobetti, Enzo Modica, Girolamo Sotgiu, Maria Venturini, Banfi e Luporini. Angelo Semeraro ha fornito un elenco esaustivo dei componenti delle altre commissioni. Commissione storia:

Battaglia (responsabile), Candeloro, Bertoni Jovine, Casagrande, Jacomelli, Diaz, Vaccaro e Granata;

Commissione editoria: M. A. Manacorda (responsabile) Muscetta, Giorgina Levi, Canfora, Laudicini, Durante, Tamagnini, Spinella. Commissione giovanissimi e genitori: Rodari (responsabile) Rinaldi, Gramoli, Rossi, A. Marchesini Gobetti, Malaguzzi e Laura Ingrao, vedi. Angelo Semeraro, Dina Bertoni Jovine e la storiografia pedagogica nel dopoguerra, cit., nota a p.59

125 Verbale del Convegno del 11-13 maggio 1955, in Afgr, Scuola e politica scolastica del Pci.

Durante il convegno, apparvero in una forma già compiuta i temi che sarebbero stati al centro del Comitato centrale del novembre successivo, come quello dell’asse culturale della nuova scuola dell’obbligo, non più incentrato sul latino, di cui pure si riconosceva il grande ruolo formativo avuto nella scuola casatiana (Antonio Durante); o quello della laicità, intesa come «comprensione della natura e della realtà umana», di «lotta contro tutto ciò che di magico, di irrazionalistico, vi è nel bambino»

(Nicola Vaccaro). Maria Venturini fu più esplicita nella critica alla visione pedagogica dello schieramento laico, che aveva fino ad allora mescolato «in un troppo innaturale abbraccio» Marx, Croce, Gramsci e Gentile, Makarenko e Freud, padre Gemelli e Pavlov. Nel suo intervento, la critica a «Scuola democratica» – finita a suo avviso con l’essere «una rivista di posizioni certamente inflessibili di laicismo e soprattutto antigonelliana», priva però di una posizione politico-pedagogica definita – era rivolta anche a «Educazione democratica», lasciando intravedere i motivi che avrebbero portato alla chiusura di quest’ultima e al varo, alla fine del 1955, di «Riforma della scuola».

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Maturava anche, nel dibattito, l’idea per cui il movimento unitario per il rinnovamento della scuola avrebbe dovuto poggiare – più che sull’«antigonellismo»

del fronte laico – su proposte pratiche di riforma. Così ad esempio Battaglia, che guardava alle posizioni dell’Uciim cattolica la quale, differenziandosi dalle correnti cattoliche più interessate al foraggiamento della scuola privata, sembrava concentrarsi su «una conquista dall’interno della scuola statale», con soluzioni «la cui formulazione tecnica […] può spesso coincidere anche con le nostre»126. A ribadire la critica al laicismo interveniva Natta che su «Il Contemporaneo» del 14 maggio, mentre appoggiava le rivendicazioni dello sciopero, entrando nel merito delle rivendicazioni economiche e mettendone in luce la novità, attaccava «l’incapacità delle correnti tradizionali del laicismo liberale e democratico ad affrontare il compito di costruire la scuola nuova corrispondente alle esigenze di una società democratica»127.

Sospinto dagli eventi, in concomitanza con il picco di partecipazione alla mobilitazione dei docenti, Mario Alicata, in un importante documento rivolto alla Segreteria del Pci, segnalava la scarsa influenza che il Pci aveva tra gli insegnanti, elencando le criticità e proponendo soluzioni. Nelle parole del dirigente era la

«mancanza di un programma organico di politica scolastica del partito», che assegnasse una prospettiva agli insegnanti comunisti impegnati tanto sul piano culturale e professionale quanto in quello sindacale, il difetto principale della politica comunista. Per questo considerava errate soluzioni quali la fondazione di un sindacato scuola della Cgil – che avrebbe a suo avviso indebolito la categoria e consegnato ancora di più ai dirigenti cattolici la guida del movimento insegnante – e confermava la scelta di lavorare nei sindacati autonomi, l’Snsm e lo Snase, rafforzando semmai l’effettiva direzione dei militanti sindacali tramite la Cgil e l’Adsn. Per far sì che il partito si dotasse di una linea di riforma definita occorreva, sulla base dei lavori delle commissioni dell’Istituto Gramsci, avviare l’organizzazione di un Comitato Centrale, coinvolgendo al contempo tutta l’organizzazione del partito sui territori128.

Considerato non a torto momento periodizzante nella storia della politica scolastica comunista129, il Comitato centrale del 1955, ed in particolare la lunga

126 Intervento di Roberto Battaglia, ibid.

127 Alessandro Natta, L’insegnamento di uno sciopero, «Il Contemporaneo», II (1955), n.20

128 Mario Alicata, Considerazioni critiche sul lavoro del partito nel campo della scuola, 23 maggio 1955 in Afgr, Scuola e politica scolastica, Lezioni sulla politica scolastica del Pci,

129 Così ad esempio Fabio Pruneri, La politica scolastica del Partito comunista italiano, cit., che pone il 1955 come termine ad quem della sua ricognizione storica.

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relazione introduttiva di Mario Alicata130, segnarono l’impostazione di fondo che il Pci mantenne riguardo ai sistemi scolastici nei due decenni successivi. La disamina di Alicata – frutto delle elaborazioni dell’Istituto Gramsci – forniva un’ampia critica rivolta agli errori della ormai vecchia politica scolastica del Pci: portando a sintesi

relazione introduttiva di Mario Alicata130, segnarono l’impostazione di fondo che il Pci mantenne riguardo ai sistemi scolastici nei due decenni successivi. La disamina di Alicata – frutto delle elaborazioni dell’Istituto Gramsci – forniva un’ampia critica rivolta agli errori della ormai vecchia politica scolastica del Pci: portando a sintesi