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L’espansione lessicale: in che modo sono influenzate la denominazione degli oggetti e il recupero lessicale agli inizi dello

Commento teorico e analisi degli articoli tradotti.

2. L’espansione lessicale: in che modo sono influenzate la denominazione degli oggetti e il recupero lessicale agli inizi dello

sviluppo linguistico

“Object Naming, Vocabulary Growth, and the Development of Word Retrieval

Abilities”, questo è il titolo originale del primo dei tre studi trattati. Lisa Gershkoff-

Stowe, ricercatrice e professoressa all’università dell’Indiana, ha esaminato in una dettagliata analisi i processi relativi al recupero lessicale, all’acquisizione del linguaggio e allo sviluppo del lessico nei bambini. Nello specifico, ha analizzato come tali meccanismi influiscano sul funzionamento reciproco dei processi linguistici in un momento dello sviluppo ben preciso: quello dell’espansione lessicale.

L’indagine, pubblicata nel maggio del 2002 sulla rivista accademica Journal of

Memory and Language, è, ad oggi, reperibile in lingua inglese sia online che in formato

cartaceo. Il periodico scientifico, pubblicato dalla casa editrice Elsevier, ha come punti cardini la ricerca e l’approfondimento dei processi cognitivi e delle questioni relative alla memoria, al linguaggio e alla psicologia, dedicando ampio spazio a “Special

emphasis is given to research articles that provide new theoretical insights based on a carefully laid empirical foundation”.17

Lo studio di Lisa Gershkoff-Stowe si colloca all’inizio di una riflessione sul recupero lessicale poiché, si analizzano i dati relativi alla prima infanzia. Lo scopo di questo primo studio era di esaminare i cambiamenti di denominazione da parte dei bambini al momento in cui iniziava ad accelerare l’acquisizione del lessico. Sono stati studiati anche i meccanismi che si ipotizza siano alla base del fallimento del recupero lessicale durante questo periodo di sviluppo linguistico: l’accessibilità lessicale, la fragilità delle associazioni tra le singole parole e i corrispettivi concetti al momento in cui il vocabolario del bambino inizia a formarsi e come queste stesse associazioni siano o meno influenzate e rafforzate dall’uso quotidiano.

In media, all’età di 18 mesi, i bambini padroneggiano un vocabolario produttivo di circa cinquanta parole naturalmente, tenendo presente che ogni bambino ha la propria specificità e può disporre di più o meno vocaboli rispetto a un coetaneo. Durante questa fase di sviluppo solitamente si comincia a vedere nel bambino un incremento nel tasso di acquisizione delle parole. È il momento in cui inizia a cercare di denominare gli oggetti attorno a sé, quegli oggetti che attirano la sua attenzione e suscitano in lui un interesse. Così facendo, aumentano, come è logico, i tentativi di denominazione ma anche il numero degli errori che i bambini produrranno. Ed è proprio questo il punto di partenza dell’ipotesi su cui si basa lo studio di Lisa Gershkoff-Stowe. Alcune domande sorgono dunque spontanee: al momento del cambio di velocità nell’acquisizione di nuove parole da parte del bambino, quali sono

17 https://www.journals.elsevier.com/journal-of-memory-and-language

i cambiamenti legati all’accessibilità lessicale specifici di questo periodo dello sviluppo? Quando molte nuove parole vengono aggiunte al vocabolario produttivo in un breve lasso di tempo, sono esse più vulnerabili alle interferenze e, di conseguenza, maggiormente soggette all’errore sia nella loro produzione che nei tentativi di recupero lessicale?

Tale ipotesi è stata verificata tramite due esperimenti: nel primo si esamina l’ascesa e il declino degli errori di denominazione durante il periodo iniziale della crescita accelerata del vocabolario. Se gli errori di recupero lessicale derivano da una generale fragilità delle parole, quando ancora devono essere consolidate, allora queste stesse parole dovrebbero essere maggiormente soggette alle interferenze rispetto alle parole ormai ben assimilate. Nel secondo esperimento invece l’attenzione si sposta sull’ipotesi secondo cui l’aumento della vulnerabilità all’errore sia propria del momento di passaggio, da lento a veloce, del tasso di acquisizione dei vocaboli. In altre parole, la vulnerabilità di un certo termine non sarà data dalle associazioni non ancora consolidate del bambino tra un nome e il corrispettivo concetto ma dal fatto che si passi dall’acquisire poche nuove parole in un determinato lasso di tempo, a molte. Sarebbe dunque questo cambiamento che le renderebbe maggiormente soggette alle interferenze.

In generale, si può dire che spesso gli errori fatti dai bambini in questo periodo dello sviluppo siano dovuti o al fatto che ancora non sanno denominare determinati oggetti, e pertanto tentano di riferirsi a questi con i vocaboli che già conoscono, oppure alla percezione erronea del discorso che un bambino può avere. Indipendentemente da quale sia il caso, l’attivazione e la competizione dei vari candidati nel vocabolario nascente del bambino saranno sempre soggette a maggiori interferenze rispetto a quelle che si verificano in un adulto, perché la resistenza delle varie parole sarà comunque minore.

Come rendere dunque una parola più resistente alle interferenze? L’uso frequente può senz’altro renderla più forte, cioè più una data parola sarà richiamata, pronunciata o ascoltata dal bambino, maggiori saranno le probabilità che questa si consolidi e diventi più resistente alle interferenze di ogni tipo e alla competizione con altri candidati.

Scendendo nel dettaglio dei due esperimenti, andiamo a vedere se le analisi effettuate sui due gruppi di bambini supportano o meno le ipotesi di partenza e quali sono state le difficoltà incontrate nell’arco di questi due studi linguistici.

Hanno preso parte al primo esperimento 14 bambini con i relativi genitori, tutti di madrelingua inglese. La preparazione dei bambini allo studio iniziava intorno ai 16 mesi, quando avevano un vocabolario produttivo di circa 35 parole. Gli sperimentatori avevano preparato un apposito libro ideato per questo studio, chiamato Il libro del

coniglietto. Nel libro comparivano 12 figure di oggetti comuni al bambino, una per

ogni pagina. Ogni bambino, con il supporto dei genitori, ha partecipato a due sessioni di esercitazioni individuali, la fase Standard Practice, che prevedeva l’acquisizione di

nomi di tutti i dodici oggetti illustrati nel libro attraverso l’osservazione e la denominazione. La fase Standard Practice era però preceduta da un’altra fase, detta

Extra Practice, ossia quella in cui i bambini ascoltavano e pronunciavano il nome di

solo 6 dei 12 oggetti rappresentati nel libro delle figure. I bambini erano infatti stati suddivisi in due gruppi distinti: il primo gruppo aveva familiarizzato e fatto pratica con 6 immagini e dunque con 6 parole, il secondo gruppo di bambini faceva la stessa esperienza con le altre 6 immagini e quindi con altre 6 parole; solo a questo punto tutti i bambini iniziavano la fase Standard Practice che prevedeva la pratica e la familiarizzazione con tutte le 12 parole associate alle rispettive immagini. In questo modo metà dei bambini ha ricevuto un set di parole come esercitazione Extra è l’altra metà dei bambini l’altro set.

Per poter analizzare gli errori di ogni singolo bambino in base alla preparazione ricevuta nel percorso sperimentale e allo sviluppo linguistico nel tempo, gli sperimentatori hanno osservato la quantità di errori in tre diversi momenti: subito prima (periodo iniziale), durante (periodo di transizione) e subito dopo (periodo finale) l’espansione lessicale. Il punto di riferimento, per gli sperimentatori, era il cambio di velocità del tasso di acquisizione delle parole. Nello specifico, si considerava il cambiamento nel tasso di acquisizione di nuovi termini in un primo intervallo di tre settimane durante il quale il bambino produceva almeno dieci nuovi nomi di oggetti.18 Stando a questi criteri, in media i bambini raggiungevano il cambio di velocità nel tasso di acquisizione delle parole all’età di 19 mesi.

In base alla suddivisione e alla distribuzione delle figure nel Libro del coniglietto precedentemente esposta, i bambini prima ricevevano una fase di esercitazione Extra Practice e successivamente una fase di esercitazione Standard Practice. Nelle due sessioni, i bambini e i genitori esaminavano le figure degli oggetti in questione: prima i genitori ne pronunciavano il nome correttamente un minimo di tre volte e poi veniva chiesto ai bambini di denominare a loro volta la figura in questione. Inoltre, per aumentare l’interesse dei bambini nell’attività linguistica, le figure erano state stampate su dei cartoncini e su dei pouf, così da permetterne la manipolazione e prolungare in questo modo l’attenzione dei bambini. Le risposte delle sessioni in laboratorio erano codificate in base al numero di volte in cui producevano il nome corretto.

Nella fase di esercitazione Extra Practice i compiti del cartoncino e del pouf sono serviti agli sperimentatori come indici di misura della comprensione dei bambini. Gli esaminatori valutavano se i bambini erano capaci o meno di identificare un oggetto tra quelli presentati sentendolo denominare dai genitori. I dati mostrano un incremento delle risposte corrette nel periodo iniziale e in quello di transizione ma non nel periodo finale, risultato che suggerisce un aumento dei vocabolari recettivi dall’inizio dello studio. Spostando l’attenzione sulla produzione verbale oltre che sulla

18 Lisa Gershkoff-Stowe, “Object Naming, Vocabulary Growth, and the Development of Word Retrieval Abilities”, Journal

comprensione recettiva, gli sperimentatori hanno poi osservato che i bambini non solo comprendevano e riconoscevano i sei elementi ad alta pratica denominati dai genitori, ma il numero di volte che loro stessi erano riusciti a denominare quei sei oggetti era aumentato in tutti e tre i periodi di sviluppo lessicale. Se ne deduce quindi che, se il vocabolario recettivo va ampliandosi nella fase iniziale dell’esperimento, la produzione verbale continua ad aumentare anche dopo, a conferma della ricaduta positiva dell’esercitazione Extra Practice. Per quanto riguarda la fase Standard

Practice invece si è potuto osservare che la denominazione sia delle parole molto

praticate che di quelle poco praticate era aumentata in tutti e tre i periodi del vocabolario. È interessante notare che nel periodo finale i bambini denominavano maggiormente gli elementi a bassa pratica, suggerendo che con il tempo probabilmente le parole meno familiari catturavano più facilmente l’attenzione rispetto agli elementi ben noti ai bambini.

Una riflessione logica, supportata dai dati, è che, se la pratica aumenta la forza dei processi associati al recupero corretto di una data parola, allora gli errori di denominazione dovrebbero essere meno frequenti nelle parole ad alta pratica.

Buona parte degli errori dei bambini nell’arco dell’esperimento sono emersi nel periodo di transizione, quando le parole erano maggiormente soggette a interferenze. Le fonti d’interferenza che sono risultate essere alla base degli errori dei bambini sono essenzialmente due: la perseveranza e la similarità all’oggetto target.

Per quel che riguarda la prima, si può affermare che all’errore si collega l’interferenza di una produzione precedente del bambino; in altre parole, il bambino che si trova ad osservare un oggetto senza saperlo denominare, può ricorrere al vocabolo che indica un oggetto con forma simile che lui stesso ha denominato correttamente in precedenza, ad esempio può dire “palla” osservando una mela. Analizzando gli errori a ritroso fino a localizzare la risposta che interferiva, si è potuto capire sia il numero di errori di perseveranza che l’intervallo che separa le perseveranze verbali dalle risposte precedenti. Dopo aver esaminato le risposte dei bambini si è visto che le perseverazioni avvengono più frequentemente quando la parola che interferisce è relativamente vicina alla parola target e che, tale tipo di errore, si riduce man mano che gli elementi intercorrenti aumentano.

Per le interferenze che si basano sulla similarità di un elemento al target invece, si sono potuti classificare gli errori in base alla somiglianza: fonologica, percettiva, semantica e all’indipendenza dall’oggetto target. Questi ultimi due rappresentano la quasi totalità degli errori dei bambini, indipendentemente dal fatto che le parole fossero molto praticate o poco praticate.

Il secondo esperimento linguistico relativo agli errori dei bambini pone l’attenzione sulla natura dell’errore piuttosto che sulla sua frequenza.

A prender parte a questo esperimento sono bambini di età compresa tra i 27 e i 30 mesi; ad un’età media di 28 mesi infatti i bambini solitamente hanno un vocabolario produttivo di diverse migliaia di parole, dunque a questa età il bambino

è ben oltre il momento dell’espansione lessicale e non vive più la fatica che quel periodo richiedeva nel dover imparare molte nuove parole.

Gli stimoli utilizzati in quest’esperimento consistevano in due libri: Il libro del

coniglietto, già utilizzato anche nell’esperimento 1, e il libro Dell’Orso Polare, simile

nella forma e nel design al primo ma con oggetti poco familiari al bambino, fonologicamente complessi e tutti della stessa categoria semantica (quella degli animali). Ogni bambino partecipava a due sessioni individuali nell’arco di una settimana in cui aveva a che fare prima con il più difficile libro Dell’Orso Polare e successivamente con il più familiare Libro del coniglietto.

Gli sperimentatori hanno dunque visto il numero di volte che i genitori ponevano domande ai loro figli e le volte in cui fornivano loro una definizione corretta degli elementi illustrati. Sulla base di queste osservazioni hanno poi potuto stabilire se i tentativi di denominazione dei bambini fossero stati spontanei o indotti.

Ciò che ci si aspettava era un numero elevato di errori, soprattutto per quel che riguardava gli elementi meno familiari del libro Dell’Orso Polare.19 Dai dati ricavati si è visto che la maggior parte delle volte la denominazione da parte dei bambini era avvenuta tramite un’interazione spontanea con i genitori. Si è visto inoltre che questi ultimi spendevano più tempo a fornire definizioni e a fare domande sul libro Dell’Orso

Polare piuttosto che su quello del Coniglietto, con la conseguenza che, per un periodo

di un tempo maggiore, erano i genitori a parlare. Infatti, le espressioni spontanee prodotte dai bambini erano maggiori per Il libro del coniglietto mentre quelle relative al libro Dell’Orso Polare erano più frequentemente indotte o la risposta ad una domanda del genitore.

In linea con le previsioni, anche il numero di errori rifletteva l’andamento dei tentativi di denominazione. Un totale di 251 errori per il libro Dell’Orso Polare in confronto agli 88 per Il libro del coniglietto dimostra come i bambini abbiano fatto più errori quando cercavano di denominare gli elementi meno familiari, anche se aiutati dai genitori, piuttosto che quando tentavano di denominare spontaneamente gli oggetti più comuni. Analogamente all’esperimento 1, anche in questo caso gli errori sono stati classificati in base alla loro relazione con la parola target per quanto riguarda suono, aspetto e idea, oppure in base agli effetti di ripetizione. Ancora, come nell’esperimento 1, gli errori fonologici e quelli percettivi erano rari invece la maggior parte degli errori fatti dai bambini erano correlati semanticamente alla parola target. Per quanto riguarda invece gli errori di perseveranza, si è visto che anche in questo caso il numero di errori era maggiore ad un intervallo di 1 e diminuiva man mano che le parole intercorrenti aumentavano; questo tipo di errore si verificava più spesso con il libro Dell’Orso Polare, con intervalli anche maggiori.

Le analisi dunque hanno rivelato che gli errori di perseveranza nei bambini tendevano ad essere di più quando andavano a denominare gli oggetti poco familiari,

19 Prima dello studio i bambini avevano un uso produttivo di 11.5 parole sulle 12 totali del Libro del coniglietto e di 5.5

ma tassonomicamente simili, del libro Dell’Orso Polare, mentre diminuivano quando si andavano a denominare gli oggetti più comuni del Libro del coniglietto. Tutto ciò rivela che i bambini più grandi, che da tempo apprendono e utilizzano nuovi concetti e nuove parole, sono più sensibili agli effetti di familiarità.

Una ulteriore analisi ha esaminato gli errori di perseveranza fatti dai bambini sia nell’esperimento 1 che nell’esperimento 2, relativi ovviamente al solo Libro del coniglietto, dato che nel primo esperimento non era stato usato il libro Dell’Orso

Polare. Ciò che è emerso è che i bambini più grandi, in proporzione, facevano meno

errori rispetto ai più piccoli e che, all’aumentare dell’età, la tipologia dell’errore tendeva a cambiare. Come già accennato, infatti, la maggior parte degli errori dei bambini più grandi deriva da effetti semantici legati alla parola target e non da una parola precedentemente utilizzata.

In generale, si può dunque dire che l’esperienza rende i bambini meno vulnerabili agli effetti dell’interferenza lessicale e che i processi che stanno alla base del recupero lessicale sono più o meno uguali nelle due fasce d’età prese in analisi.

Mentre la pratica sembra che giochi un ruolo significativo nella frequenza degli errori che i bambini producono durante la denominazione e il recupero lessicale, non sembra invece che trasformi i processi che li fanno nascere. Con lo sviluppo linguistico cambiano le strategie, gli aiuti, che i bambini usano per richiamare le parole: le parole stesse, consolidate nel vocabolario produttivo, diventano a loro volta agganci per richiamare un concetto. I meccanismi di elaborazione dunque sembra siano comuni a tutti i parlanti ma, man mano che questi meccanismi si consolidano e migliorano, rendono i bambini dei parlanti sempre più competenti.