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Il recupero lessicale. Uno studio sul Word Retrieval in bambini, adulti e anziani

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

Il recupero lessicale.

Uno studio sul Word Retrieval in bambini, adulti e anziani.

CANDIDATO RELATORE

Letizia Mannucci

Dott.ssa Sabrina Noccetti CORRELATORE

Prof.ssa Silvia Masi

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Indice

Introduzione p.3

Denominazione degli oggetti, incremento del vocabolario e sviluppo delle abilità

relative al recupero delle parole p.6

Variazione nel tasso di recupero lessicale nell’arco della vita p.43

La memoria per i nomi propri: le differenze d’età nel recupero lessicale p.60

Commento teorico e analisi degli articoli tradotti p.76

Il recupero lessicale, la memoria e i meccanismi di connessione p.76

L’espansione lessicale: in che modo sono influenzate la denominazione degli oggetti

e il recupero lessicale in questa fase della crescita p.80

Un’analisi evolutiva: il caso dell’ebraico p.86

Persone, città e figure storiche. Come agisce la memoria quando elabora i nomi propri p.92 Il deficit nel controllo inibitorio: una caratteristica comune a bambini e anziani

p.100

Il testo: scelte e difficoltà traduttive p.103

Conclusioni p.111

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Introduzione

L’obbiettivo del presente progetto è quello di affrontare le diverse sfaccettature del recupero lessicale e delle difficoltà che ne possono derivare, con la consapevolezza di toccare solo in parte un argomento così ampio e complesso sia dal punto di vista dell’ambito di ricerca, sia dal punto di vista metodologico.

I tre studi scelti e tradotti in questo elaborato sono legati da un filo rosso che li unisce in quello che è, in neurolinguistica, il vasto ambito del word retrieval. Tale denominatore comune è il tempo che scorre; l’uomo è visto e studiato, a livello linguistico e cognitivo, nei vari stadi della sua evoluzione. Partendo dai bambini che cominciano a muovere i primi passi nel mondo dello sviluppo linguistico e cognitivo, fino ad arrivare al declino dei meccanismi mnemonici nelle persone anziane, sono state analizzate le diverse fasi che ciascuna persona attraversa nell’arco della vita, con attenzione ai cambiamenti che contraddistinguono le diverse età di ciascun individuo. Raccogliendo i tre studi, il presente progetto punta a ricostruire un ipotetico studio longitudinale che si compone dei partecipanti valutati dalle 3 ricerche, dai risultati raccolti e dal confronto fra questi. Nella consapevolezza dell’impossibilità di realizzare uno studio longitudinale che possa coinvolgere un così alto numero di partecipanti per un periodo di tempo così lungo da coprirne tutto l’arco della vita, valutare i tre studi nel loro insieme ci permette una visione più ampia.

Le ricerche e gli studi sul recupero lessicale svolte in questo ambito spesso tendono a concentrarsi su soggetti affetti da uno o più tipi di disturbi del linguaggio, inoltre, si concentrano sulla relazione tra l’età di una persona e la sua performance nel compito assegnato. Anche i tre studi cui facciamo riferimento si focalizzano sul rapporto tra età e performance e, in alcuni casi, tengono conto delle tante variabili legate ai disturbi del linguaggio eppure, ognuno di questi tre studi può in qualche modo dirsi ‘originale’.

Molti studiosi hanno studiato soggetti afasici e come i diversi tipi di afasia influiscano sia sulla corretta riuscita del recupero lessicale sia sul tipo di errori che vengono commessi quando questo meccanismo fallisce. Si tratta indubbiamente di un campo di ricerca che deve essere analizzato attentamente e adeguatamente approfondito per un efficace trattamento clinico delle patologie legate alla sfera del linguaggio; inoltre lo studio dell’errato funzionamento di un meccanismo cognitivo contribuisce alla conoscenza della fisiologia di quello stesso meccanismo. Ciò non di meno, è necessario far sì che lo studio delle afasie non metta in ombra altri aspetti, più comuni, della vita di ogni persona. Non c’è dubbio che di fronte a un’afasia, le capacità linguistiche compromesse abbiano la loro origine nel disordine cognitivo ma quali sono invece le cause degli errori di recupero lessicale nell’adulto sano? Se

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l’individuo non è affetto da nessun tipo di disturbo psico-linguistico o neurologico, che cos’è allora che influisce sul corretto recupero lessicale di una parola?

In questo progetto si è scelto di guardare ai problemi del recupero lessicale partendo da questo punto di vista, osservando cioè lo sviluppo cognitivo in relazione al cambiamento d’età e, al contempo, tenendo conto di aspetti come il livello culturale dei soggetti e i loro sviluppi linguistici.

Il primo dei tre articoli, ‘Object Naming, Vocabulary Growth, and the

Development of Word Retrieval Abilities’ di Lisa Gershkoff-Stowe (2002), pone

l’attenzione ai bambini nel preciso momento dello sviluppo in cui ha inizio l’espansione lessicale. L’obiettivo è di verificare, in relazione all’età e al momento dello sviluppo dei soggetti, se e quanto la pratica possa incidere su un miglioramento delle prestazioni mnemoniche e linguistiche del bambino. Anziché limitarsi a porre l’attenzione solo sulle capacità che il bambino sta sviluppando in questa fase, nello studio della Gershkoff-Stowe sono stati esaminati sia gli errori sia la vulnerabilità all’errore propria di questo periodo. In tal modo si è potuto mettere in luce l’efficacia che la pratica mirata, volta a rafforzare gli elementi che il bambino sta imparando, può avere sul recupero lessicale nella prima infanzia.

Lo studio ‘The Rise and Fall of Word Retrieval Across the Lifespan’ (2010) è stato portato avanti su un campione di soggetti di madrelingua non-inglese. A differenza degli altri due studi, i partecipanti che hanno preso parte al test linguistico ideato da Kavé, Gilboa e Knafo avevano origini ebraiche. Tutte le persone che hanno partecipato all’esperimento erano nate e cresciute in Israele oppure immigrate nel paese da bambini. La peculiarità dello studio sta nel fatto che il campione di individui in questione non abbia come lingua madre l’inglese, cosa che invece caratterizza buona parte degli studi cognitivi e di neurolinguistica dei giorni nostri. Inoltre, è interessante che in un unico esperimento linguistico siano state coinvolte sia persone che parlano l’ebraico come lingua nativa, sia immigrati, che hanno imparato l’ebraico da bambini come seconda lingua frequentando le scuole. In questo modo è stato possibile svolgere una prima e centrale analisi sul recupero lessicale in relazione all’età e una seconda e più specifica comparazione che ha permesso di mettere in luce se ci siano o meno differenze nella performance tra gli individui madrelingua e tra gli immigrati. Nell’ultimo dei tre articoli presi in esame, ‘Memory for proper names: Age

differences in retrieval’ (1986) viene approfondito lo studio del recupero lessicale, con

particolare attenzione ai nomi propri, elemento linguistico tendenzialmente trascurato in questo ambito di ricerca.

La maggior parte dei test mnemonici e dei test sull’acquisizione lessicale sono solitamente concepiti utilizzando set di parole comuni, più o meno conosciute dai partecipanti, di nomi di oggetti e di azioni quotidiane. In base allo scopo dello studio, il set di parole scelto dagli sperimentatori è di volta in volta diverso: per gli studi sull’acquisizione linguistica, ad esempio, possono essere probabilmente proposti nomi di animali, giochi o cibi, nomi di oggetti semplici e molto familiari, compatibili

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con le conoscenze dei soggetti. Se ad essere testato è invece un gruppo di studenti universitari, il livello di difficoltà nella scelta lessicale del test è più alto, e se invece pensiamo ad un test linguistico ideato appositamente per un gruppo di soggetti che ad esempio svolgono lo stesso lavoro, lo studio può prevedere la scelta di lessico settoriale. L’obiettivo che gli sperimentatori si pongono progettando un esperimento linguistico, e il conseguente set di parole scelto per la composizione dei relativi test, non cambia il fatto che quasi sempre la scelta dei termini utilizzati si orienti verso i nomi comuni.

I diversi punti di vista e i diversi approcci utilizzati per studiare il recupero lessicale sono ciò che caratterizza questo elaborato; la scelta e l’analisi di questi articoli, piuttosto che altri, indica un interesse verso prospettive diverse all’interno di uno stesso ambito di studi, prospettive originali che, speriamo, possano suscitare interesse anche nel lettore.

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Denominazione degli oggetti, incremento del vocabolario e

sviluppo delle abilità relative al recupero delle parole

Lisa Gershkoff-Stowe

Carnegie Mellon University

Studi precedenti suggeriscono che in un periodo di grande crescita del lessico produttivo, i bambini sono particolarmente suscettibili agli errori di recupero lessicale. Questi errori comprendono parole conosciute al bambino e spesso implicano la selezione errata di una parola detta in precedenza. I cambiamenti nella denominazione e nell’accessibilità lessicale durante l’apprendimento di nuove parole sono stati studiati con due esperimenti. L’esperimento 1 ha esaminato l’aumento e la diminuzione degli errori di denominazione dei bambini, in parole praticate e non praticate, durante il periodo iniziale di rapida crescita del lessico. I risultati hanno indicato che quando le singole parole erano praticate in produzione, quelle stesse parole diventavano più forti e più resistenti all’interferenza di rivali lessicali. Questo risultato è in linea con l’ipotesi che gli errori di recupero lessicale sono il risultato di una fragilità generale di tutte le parole nel vocabolario nascente del bambino. L’esperimento 2 ha esaminato l’ipotesi, correlata, che l’aumento della vulnerabilità all’errore dei bambini caratterizza il periodo iniziale dell’apprendimento delle parole. I risultati hanno mostrato che gli apprendenti più grandi e, con maggiore esperienza, manifestavano in proporzione meno errori quando acquisivano un set di parole nuove rispetto agli apprendenti principianti. Tuttavia, dato che la causa degli errori era simile, si può ipotizzare che meccanismi di elaborazione comuni possano essere alla base dell’acquisizione di un vocabolario produttivo.

Parole chiave: recupero lessicale; elaborazione del linguaggio; errori di denominazione;

sviluppo del vocabolario; acquisizione del linguaggio.

Un indice della conoscenza linguistica dei bambini è la loro abilità nel saper denominare gli oggetti di tutti i giorni. A 18 mesi, i bambini di solito hanno un vocabolario produttivo di 50 o più parole e ci si aspetta che mostrino un importante incremento nella denominazione quando acquisiscono un numero elevato di nuove parole. Durante questo periodo, i bambini iniziano a cercare i nomi per le cose e ad attirare l’attenzione su oggetti ed eventi che trovano interessanti denominandoli. Tale fase alle volte viene indicata con il nome di “esplosione della denominazione” o “espansione lessicale”1 (Bates, Bretherton, & Synder, 1988; Benedict, 1979; Bloom, 1973; Dromi, 1987; Gershkoff-Stowe & Smith, 1997; Goldfield & Reznick, 1990; Mc- Cune-Nicolich, 1981; Nelson, 1973). Molti esperti dello sviluppo ritengono che marchi un passaggio importante nella conoscenza semantica e concettuale dei bambini (Bloom, 1973; Corrigan, 1978; Golinkoff, Mervis, & Hirsh-Pasek, 1994; Gopnik &

1 Ulteriori spiegazioni sulla scelta e l’uso dei termini qui utilizzati piuttosto che altri sinonimi più comuni nella

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Meltzoff, 1987; Lifter & Bloom, 1989; Mervis & Bertrand, 1994; Reznick & Goldfield, 1992).

Nonostante questa rapida espansione lessicale sia un momento di impressionante crescita linguistica e cognitiva, è anche il momento in cui aumenta il numero degli errori. Vari studi hanno documentato casi di errori di denominazione spontanei fatti dai bambini durante il periodo iniziale di rapida acquisizione delle parole (Anglin, 1983; Barrett, 1978; Bowerman, 1978; Clark, 1973; Dromi, 1987; Gershkoff-Stowe & Smith, 1997; Gruendel, 1977; Nelson, 1974; Rescorla, 1980). Molto spesso sembra che questi errori riguardino la sovraestensione di una parola conosciuta a un nuovo referente con cui condivide qualche attributo saliente, soprattutto quando il bambino non ha mai sentito denominare l’oggetto prima (Huttenlocher & Smiley, 1987; Naigles & Gelman, 1995). Pertanto, un bambino che voglia riferirsi a una mucca ma non ne conosca il nome potrà chiamarla “cagnolino”.

Inoltre, gli errori a volte si verificano quando il bambino “conosce” la parola corretta ma accede a quella sbagliata per errore. Questi errori sembrano essere errori di recupero lessicale, che riflettono un’interruzione momentanea nel recupero di una parola conosciuta dal lessico (Gershkoff-Stowe & Smith, 1997; Huttenlocher, 1974). Ad esempio, Elbers (1985) riferisce il caso di suo figlio di due anni che ha cercato di denominare l’immagine di un delfino. Nonostante il bambino avesse già imparato in precedenza la parola giusta e l’avesse utilizzata correttamente, in questa occasione, ha chiamato il delfino “soldati”. Questa parola mal selezionata, stando ad Elbers, era ben nota al bambino ed era stata usata correttamente in un’occasione precedente. È importante notare che questo tipo di errore non è sistematico nel bambino; non risulta da una costante percezione errata della parola o dalla sua incapacità di articolare certi suoni (Elsen, 1994; Schwartz, Leonard, Loeb, & Swanson, 1987), piuttosto, gli errori di recupero lessicale sono non-sistematici e transitori.

Questo studio si occupa degli errori di recupero e dell’apparentemente elevata sensibilità dei bambini a tali errori al momento in cui il loro tasso di acquisizione delle nuove parole inizia ad accelerare. L’ipotesi è che gli errori di denominazione dei bambini siano dovuti ad una particolare vulnerabilità delle parole appena acquisite, in quanto quelle parole sono soggette ad una maggior competizione tra gli elementi di un lessico in rapida espansione. Vale a dire, gli errori possono occorrere in un momento di rapida crescita del vocabolario a causa dei livelli molto bassi della forza di attivazione degli elementi lessicali, che deve avere luogo quando i bambini imparano le loro prime parole. Tuttavia, mentre i bambini usano ripetutamente quelle parole in produzione, queste possono diventare più forti e resistenti alle interferenze. Quest’ipotesi è suggerita anche nelle precedenti scoperte evolutive e negli studi sul recupero lessicale negli adulti. Il risultato principale riguarda l’aumento e la diminuzione degli errori di denominazione nei bambini, con un breve e marcato picco che coincide con l’inizio della crescita accelerata del vocabolario (Gershkoff-Stowe, 2001; Gershkoff-Stowe & Smith, 1997; vedere anche Dapretto & Bjork, 2000). Questi

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errori di denominazione, come quelli riportati da Elbers (1985), non sembravano essere semplici sovraestensioni, eppure avvenivano con un’elevata frequenza (quasi il 30% di tutti gli errori di denominazione in uno studio; Gershkoff-Stowe & Smith, 1997) proprio quando i bambini cominciavano ad acquisire molte parole nuove e iniziavano a produrre quelle stesse parole più frequentemente e in un minor lasso di tempo. Inoltre, questi errori a volte implicavano oggetti chiamati con un nome sbagliato che erano percettivamente e/o concettualmente simili all’oggetto di riferimento o allo stimolo, ad esempio chiamare una zebra “cavallo”. Più spesso, tuttavia, gli errori implicavano la ripetizione erronea di una parola recuperata in precedenza. La maggior parte degli errori erano parole conosciute dai bambini. Nel complesso, gli errori sembravano riflettere l’interferenza di altre parole attivate recentemente nel lessico.

In questi studi longitudinali, gli errori di denominazione dei bambini sono aumentati, anche se sono incrementate l’acquisizione di nuove parole e la produzione verbale. Infatti, sia nello studio di Gershkoff-Stowe and Smith (1997) che in quello di Gershkoff-Stowe (2001), gli errori di denominazione hanno raggiunto l’apice quando l’acquisizione di nuove parole iniziava ad aumentare per poi diminuire drasticamente nelle settimane a seguire. Così il momento in cui gli errori di recupero lessicale raggiungono il livello massimo può essere di solo qualche settimana per alcuni bambini. Questi fatti suggeriscono che per un periodo di transizione, all’inizio dello sviluppo ma non più tardi, le nuove parole acquisite sono particolarmente vulnerabili alle interferenze. Lo scopo dell’attuale ricerca è di capire perché sia così.

Diversi indizi sono suggeriti dalla letteratura sugli adulti. Nella maggior parte dei modelli sulla produzione linguistica matura, accedere ad una parola del lessico implica l’attivazione e la competizione di diversi candidati; più forte è l’attivazione di una parola, maggiore sarà la probabilità che venga selezionata (Dell, 1990; Marslen-Wilson, 1990; Stemberger, 1989). Inoltre, le parole che sono forti sopportano più facilmente l’interferenza rispetto a quelle deboli. Questi risultati supportano l’idea che l’aumento e la diminuzione degli errori infantili riflettano i cambiamenti nella forza di attivazione delle singole parole quando sono richiamate per la produzione.

La forza di una parola, e quindi la sua accessibilità, deriva da diverse cause. Prima fra tutte è la frequenza delle parole (Foster & Chambers, 1973). La frequenza delle parole influenza molto la possibilità di errore negli adulti; le parole a bassa frequenza sono più soggette ad errori di quelle ad alta frequenza (Dell, 1990; Stemberger & MacWhinney, 1985). Nel caso di un bambino che inizia a parlare, la forza di una parola dipenderà dalla frequenza con cui l’ha praticata, cioè il numero effettivo di volte che il bambino ha l’opportunità di ascoltare e dire la parola (Schwartz & Terrell, 1983). Nelle fasi iniziali dello sviluppo linguistico, quando i bambini iniziano a denominare gli oggetti, tutte le loro parole saranno a bassa frequenza. Questo perché, in termini assoluti, è probabile che anche le parole più consolidate per i bambini siano più deboli delle parole a bassissima frequenza per gli adulti. Ciò

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suggerisce che le prime parole dei bambini sono fragili e altamente vulnerabili agli effetti dell’interferenza.

Due cause d’interferenza sembrano essere più rilevanti quando avvengono gli errori di recupero lessicale nei bambini: gli effetti di similarità e di ripetizione (Gershkoff-Stowe, 2001; Gershkoff-Stowe & Smith, 1997). Entrambi gli effetti sono stati notati anche nella letteratura sugli adulti. Ad esempio, negli studi sul priming lessicale2, Motley e Baars (1976) hanno scoperto che gli adulti erano più lenti a rispondere quando venivano presentati loro distrattori che erano semanticamente simili al target rispetto a parole non collegate. Dell (1984) ha trovato che i parlanti possono essere indotti a commettere errori fonologici quando vengono presentate loro parole distraenti che condividono un fonema (vedere anche MacKay, 1970). Più recentemente, la ricerca sugli effetti del priming della ripetizione ha evidenziato che gli adulti hanno un’incidenza maggiore di errori lessicali con presentazioni ripetute di una parola, in particolar modo in condizioni di denominazione accelerata (Campbell & Clark, 1989).

Gli effetti del priming sul recupero lessicale nei bambini piccoli sono meno noti. Nonostante ci siano alcune prove di tali correlazioni in bambini in età scolare (fonologiche: Brooks & MacWhinney, 2000; semantiche: Lorsbach, Sodoro, & Brown, 1992; Rosinski, Golinkoff, & Kukish, 1975), in pratica nessuno studio ha testato bambini sotto i 3 anni (ad eccezione di Staley & Smith, 1999). Eppure, ci si potrebbe aspettare che il periodo dell’esplosione della denominazione, quando il lessico è in rapida espansione, sia un momento di maggior sviluppo nei processi associati al recupero e alla produzione di parole.

Il presente articolo approfondisce queste idee in due esperimenti. L’esperimento 1 ha indagato l’ipotesi secondo cui, nelle prime fasi di sviluppo linguistico, gli errori di denominazione dei bambini derivano da una generale fragilità dei processi di recupero lessicale, così ché le parole più recenti sono soggette a maggiori interferenze dei competitori lessicali che le parole ben consolidate. Se la pratica aumenta la forza dei processi associati ad un recupero lessicale efficace e alla resistenza alle interferenze, deve ridurre il rischio di errore. Per testare quest’ipotesi, con l’esperimento si è manipolata la quantità di pratica che i bambini ricevevano per le singole parole, ossia metà delle parole su cui erano addestrati veniva praticata molto, mentre l’altra metà veniva praticata poco.

L’esperimento 2 ha testato l’ipotesi correlata secondo cui la vulnerabilità dei bambini all’errore è specifica delle fasi iniziali dello sviluppo dell’apprendimento lessicale. In pratica, dato un insieme di nuove parole da imparare, i bambini che sono più grandi e hanno più esperienza nell’apprendimento di parole produrranno, in proporzione, meno errori e mostreranno un diverso schema di errore rispetto ai

2 Priming è un termine inglese, ormai consolidato anche in italiano nel campo degli studi di neurolinguistica e delle

scienze cognitive. Indica un fenomeno che agisce sull’attivazione di una parola. Il significato del termine e le sue possibili rese in italiano verranno trattate in modo più approfondito nel commento traduttivo.

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bambini piccoli. Una tale scoperta suggerirebbe la presenza di cambiamenti sistematici nella forza dei processi associati ad un recupero lessicale efficace. Tali cambiamenti si potrebbero attendere con l’aumento simultaneo della forza di molte parole individuali (vedere Plunkett & Marchman, 1993).

ESPERIMENTO 1

La questione centrale affrontata nell’esperimento 1 è se l’opportunità di praticare l’ascolto e la produzione delle singole parole sia correlata agli errori di denominazione dei bambini. In questo studio longitudinale, c’erano due sessioni individuali di esercitazione che tutti i bambini ricevevano ad ogni seduta in laboratorio. Nella fase di esercitazione Standard Practice, i bambini imparavano i nomi di 12 oggetti guardandoli e denominandoli in un libro di figure insieme ai loro genitori. Nella fase di esercitazione Extra Practice, i bambini ricevevano una ulteriore preparazione ascoltando e pronunciando 6 delle 12 parole. Pertanto, c’erano 6 parole poco praticate e 6 molto praticate su cui confrontare la comprensione, la produzione e gli errori di denominazione dei bambini. Inoltre, gli errori dei bambini erano confrontati in tre momenti dello sviluppo: subito prima, durante e subito dopo l’insorgere dell’espansione lessicale.

Per il confronto, sono stati allineati tutti gli errori dei bambini, usando il tasso di acquisizione delle nuove parole come principale indice di cambiamento. La velocità con cui le nuove parole sono aggiunte al vocabolario produttivo è considerata essere da molti studiosi un’affidabile misura della crescita del vocabolario stesso (ad esempio, Goldfield & Reznick, 1996). Inoltre, Gershkoff-Stowe e Smith (1997) hanno scoperto che il periodo in cui si fanno molti errori di recupero lessicale si aveva quando si era vicini al momento di cambiamento da un ritmo d’acquisizione di nuove parole lento a veloce. In quest’esperimento, la definizione empirica del cambiamento di velocità nel vocabolario produttivo si basa su questo risultato precedente e su altre ricerche effettuate da diversi studiosi sul linguaggio emergente. Gopnik e Meltzoff (1987) hanno definito questo cambiamento come le prime tre settimane in cui i bambini aggiungono 10 nuove parole di oggetti al loro vocabolario produttivo. Altri hanno definito l’espansione lessicale come l’ingresso di 10 o più parole nuove in un periodo di 14 giorni (Mervis & Bertrand, 1994) o come il primo momento in cui i bambini aggiungono nell’arco di una settimana 3 nuove parole dopo aver acquisito una base di almeno 20 parole (Bloom, Tinker & Margulis, 1993). Altri ancora hanno suggerito che il cambiamento della velocità di crescita del lessico avviene intorno al periodo in cui i bambini hanno 50 parole nel loro vocabolario produttivo (Benedict, 1979; Huttenlocher, 1974; Nelson, 1973). Tutti questi metodi convergono su una regione della curva di crescita simile. L’esperimento 1 usa la definizione di Gopkin e Meltzoff di cambiamento di velocità, perché il loro metodo conta le parole degli oggetti e la procedura qui usata si concentra, nello specifico, sulla denominazione degli oggetti.

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Allo scopo di esaminare gli errori di denominazione dei bambini subito prima, durante e dopo l’aumento iniziale nel vocabolario produttivo, la curva di crescita del lessico di ogni bambino è stata divisa in tre regioni temporali, usando il cambiamento di velocità come punto di riferimento. Queste tre regioni corrispondono a: (1) una fase iniziale, prima che il vocabolario produttivo inizi ad accelerare, (2) una fase di transizione, una finestra di sei settimane intorno al primo aumento improvviso della velocità di crescita del vocabolario produttivo e (3) una fase tardiva, dopo l’aumento iniziale ma quando i bambini continuano ad aggiungere nuove parole al loro vocabolario produttivo ad un ritmo rapido.

In sintesi, lo scopo di quest’esperimento era di determinare gli effetti della pratica sugli errori di denominazione che i bambini producono quando mostrano un marcato aumento nella velocità d’acquisizione di nuovi nomi.

Metodo

Partecipanti

Quattordici bambini (8 femmine e 6 maschi) e i loro genitori sono stati selezionati attraverso elenchi anagrafici. Tutti i bambini erano caucasici, di madrelingua inglese e di famiglie di ceto medio. L’età media dei bambini al momento del contatto iniziale era di 14.7 mesi. All’epoca, i bambini avevano una media di 20 parole nel loro vocabolario produttivo. L’esercitazione sperimentale è iniziata approssimativamente intorno ai 16 mesi (fascia, 14.3-17.2), non appena i bambini raggiungevano un vocabolario medio di 35 parole (fascia, 25-47). Altri cinque bambini hanno fatto parte dello studio inizialmente ma i loro dati non sono stati inclusi. Due dei bambini (M = 15 mesi) hanno raggiunto l’espansione lessicale indicata nella crescita del vocabolario produttivo prima che iniziasse l’esercitazione. Altri tre bambini (M = 23 mesi) non hanno avuto il picco nella produzione lessicale neppure diversi mesi dopo la partecipazione all’esperimento. Il fatto che molti, ma non tutti i bambini, abbiano mostrato un picco nella produzione lessicale entro i 23 mesi è in linea con precedenti risultati relativi la velocità e i tempi della crescita iniziale del lessico (Goldfield & Reznick, 1990).

Stimoli

Ai bambini è stato presentato un libro di figure progettato appositamente per l’esperimento. Il libro, chiamato “Il libro del coniglietto,”3 era costituito da 12 figure di oggetti comuni (vedere l’appendice A). Le parole di questi oggetti erano divise in due set da sei ed erano abbinate in base alla lunghezza delle sillabe, alla complessità fonologica e all’età d’acquisizione (Dale & Fenson, 1993). Per ogni bambino è stato selezionato a caso un set di parole da usare nella fase di esercitazione Extra Practice. Queste erano le parole sperimentali molto praticate. Il secondo set di parole è stato selezionato per la fase di esercitazione Standard Practice. Queste erano le parole

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sperimentali a bassa pratica. La metà dei bambini ha ricevuto come preparazione extra il primo set di parole molto praticate e metà dei bambini ha ricevuto il secondo set di parole.

Nella fase di preparazione Extra Practice, le sei figure erano presentate una alla volta, su grandi pezzi di cartoncino (20 x 25 cm). Ogni figura era isomorfa all’oggetto reale per forma e colore. Le figure inoltre erano stampate su un “pouf” rivestito di tessuto morbido e riempito di poliestere. Al bambino sono stati presentati due pouf alla volta; ogni pouf era dentro ad una scatola con il coperchio (15 x 15 x 10 cm); le due scatole si distinguevano per modello e colore.

Nella fase di preparazione Standard Practice, i genitori e i bambini guardavano e nominavano gli oggetti nel libro di figure sperimentali contenente i sei elementi Extra Practice (le figure erano identiche ai sei oggetti sui cartoncini e sui pouf tranne che nella dimensione) e sei nuovi elementi (parole poco praticate). In ogni pagina del libro, era presentato un solo oggetto in un ordine casuale predeterminato. Inoltre, nell’ultima pagina, erano presentati tutti e 12 gli oggetti insieme nell’ordine in cui erano apparsi inizialmente.

Procedura

Misurazioni di crescita del vocabolario produttivo. I genitori avevano

completato la versione Toddler (Prima Infanzia) del questionario MacArthur-Bates-CDI4 (Franco Angeli Editore, 2015) come misura del numero iniziale di parole nel vocabolario produttivo del loro bambino. I genitori avevano continuato a documentare ogni parola o espressione nuova che il loro bambino produceva a casa spontaneamente. Nella lista documentata dai genitori erano incluse le parole non-standard (ad esempio, “baba” per bottiglia) e le onomatopee, che suggeriscono un significato pragmatico o referenziale per il bambino (ad esempio, “choo-choo”). Anche altre informazioni relative ai contesti in cui i bambini avevano usato le parole erano state ottenute dai genitori, in modo da calcolare il tasso di crescita dei nomi dei bambini (ad esempio, “bagno” come oggetto invece che azione).

Per individuare il cambiamento iniziale nel tasso di produzione di nuove parole, è stato individuato il primo intervallo di tre settimane in cui i bambini hanno prodotto 10 nuovi nomi di oggetti (Gopnik & Meltzoff, 1987). A seguito di questo cambio nel tasso di denominazione, i bambini hanno preso parte a due sessioni aggiuntive dello studio di tre settimane.

Compiti di laboratorio. Ogni sessione di laboratorio iniziava con una fase di

esercitazione Extra Practice. Per un periodo di dieci minuti, i bambini e i genitori prima

4 Nella versione originale del presente studio veniva citato il McArthur Communicative Development Inventory (Fenston

et al., 1993), il cui adattamento italiano è, appunto, il questionario MacArthur-Bates-CDI, pubblicato all’interno del libro ‘Il Primo Vocabolario del Bambino: Gesti, Parole e Frasi. Valori di riferimento fra 8 e 36 mesi delle Forme complete e delle Forme brevi del questionario MacArthur-Bates CDI’ (Franco Angeli Editore, 2015). Si tratta di un questionario ideato per i genitori di bambini tra gli 8 e i 36 mesi e che serve a valutare e a studiare lo stadio di sviluppo del linguaggio nel bambino.

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esaminavano sei figure su un cartoncino, poi i genitori le denominavano. Queste erano state utilizzate per dare ai bambini un’esercitazione extra durante lo studio delle parole (e sono state considerate parole ad alta pratica). Le stesse figure erano state presentate ad ogni sessione dove ogni volta partecipava all’esperimento lo stesso genitore (12 madri, 2 padri). Durante la fase di esercitazione Extra Practice, i genitori e gli sperimentatori nominavano tutte e sei le figure almeno tre volte e, di solito, più di sei. Ripetere i nomi di ogni oggetto avrebbe dovuto aumentare la probabilità che i bambini imparassero il nome esatto in un minor tempo (Schwartz & Terrell, 1983). Dopo che tutti gli oggetti erano stati denominati almeno tre volte, lo sperimentatore mostrava tutti e sei i cartoncini insieme in ordine casuale. I genitori erano stati incaricati di chiedere al loro bambino di indicare ogni figura mentre veniva nominata (ad esempio, “dov’è la mela?”). In questo compito la performance forniva l’indice di comprensione delle singole parole da parte dei bambini.

Inoltre, durante la fase di esercitazione Extra Practice, ai bambini sono state presentate due piccole scatole, contenenti ognuna un pouf selezionato a caso dallo sperimentatore. Ai bambini era permesso di aprire il tappo di ogni scatola e di tirar fuori il pouf, uno alla volta. Quest’attività prolungava l’interesse nel compito di denominazione e dava ai bambini l’opportunità di manipolare ogni oggetto, piuttosto che guardarlo e basta. I genitori denominavano ancora gli oggetti un minimo di tre volte ed incoraggiavano il loro bambino a dire i nomi degli oggetti (“che cos’è questo?”). Quest’attività, insieme alle figure sui cartoncini, ha fornito un indice di quali parole fossero parte del lessico produttivo dei bambini. Gli indici di comprensione e produzione, sia auto-generati che provocati, erano ottenuti dalla video registrazione di ogni sessione. Il consenso, espresso in percentuale, tra due codificatori nel testare la comprensione di sei bambini selezionati casualmente, in relazione al compito del cartoncino, era del 100% e del 92% per le 122 risposte totali di denominazione delle due attività: quella del cartoncino e quella del pouf.

Nella seconda fase di esercitazione, Standard Practice, i genitori e i bambini esaminavano insieme un libro di figure che conteneva entrambi i set di parole sperimentali. Pertanto, i bambini ricevevano una maggiore esercitazione prima su un set di parole (le sei parole molto praticate) poi sull’altro (le sei parole poco praticate) manipolando in modo sperimentale il numero di volte in cui avevano la possibilità di ascoltare e pronunciare ogni set di parole. I genitori leggevano lo stesso libro ogni volta, seguendo un semplice testo e fornendo la parola giusta per ogni oggetto che era mostrato nella pagina.

Le risposte dei bambini erano codificate in base alle volte in cui producevano il nome corretto o meno di un oggetto. Sebbene la maggior parte delle risposte dei bambini fosse sottoforma di un’unica parola, a volte producevano due parole come indicato nel libro delle figure. Ad esempio, il bambino poteva dire “il bravo cagnolino” o “la casa carina”. Quando succedeva, si contava la risposta come un’espressione unica a meno che non ci fosse una pausa intenzionale tra gli elementi o che il bambino

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usasse punti separati per indicare più oggetti. Due valutatori indipendenti hanno analizzato le risposte di denominazione per 6 dei 14 bambini. Il consenso, espresso in percentuale, sul numero di tentativi di denominazione corretti e non corretti era del 93%, sulla base di 108 espressioni. Il consenso dell’errore effettivo (ad esempio, il bambino diceva “pesce” invece di “sedia”) era del 100%, sulla base di 22 errori.

Prima che i genitori iniziassero il loro coinvolgimento nell’esperimento, erano stati pienamente informati dello scopo della ricerca ed era stato chiesto loro di non dare particolari attenzioni alle parole testate nello studio. Questo è stato fatto per ridurre la possibilità che i genitori potessero esercitare le parole di esercitazione poco praticate più di quanto avrebbero fatto se non avessero preso parte allo studio. La conformità dei genitori è stata valutata in modo informale all’inizio di ogni sessione ed è stata trovata una corrispondenza nelle aspettative relative a quanto spesso i bambini tendono ad essere esposti alle parole sperimentali al di fuori delle sessioni in laboratorio.

Risultati e discussioni

Vocabolario produttivo

Durante l’esperimento, il numero di parole nuove che i bambini hanno detto a casa è aumentato da una media di 35 nella sessione iniziale dei test fino approssimativamente a 100 all’ottava sessione, quando la maggior parte dei bambini aveva concluso lo studio. Tutti questi dati sono stati usati per trovare il cambiamento iniziale nel tasso di acquisizione di nuove parole, definito come il primo intervallo di tre settimane in cui i bambini producono dieci nuovi nomi di oggetti. Stando a questi criteri, i 14 bambini che hanno partecipato allo studio hanno raggiunto un cambiamento nella velocità d’acquisizione all’età media di 19 mesi un risultato simile a quello di altri studi sulla crescita iniziale del vocabolario infantile (Bloom, Tinker, & Margulin, 1993; Lieven, Pine, & Barnes, 1992; Nelson, 1973). Inoltre, in altri studi, è stata evidenziata una notevole variabilità tra i soggetti, segnata dal passaggio da un tasso di produzione di nuove parole lento ad uno veloce tra i 15 e i 24 mesi per ciascun bambino. Inoltre, all’epoca, il numero cumulativo di parole variava molto a seconda dei bambini, spaziando da 51 a 104 (M = 76).

Nelle analisi che seguono, i dati di ogni bambino sono stati allineati alla sessione in cui è avvenuto il cambiamento della velocità di accrescimento lessicale, che è stato poi usato per suddividere la curva di crescita del vocabolario in tre periodi di sviluppo. Il periodo di transizione intermedio e quello definitivo comprendono tanto la sessione del cambiamento di velocità quanto le sessioni in laboratorio subito prima e subito dopo di essa. Tutte le sessioni di laboratorio precedenti al periodo di transizione sono state designate come periodo iniziale, mentre quelle successive al periodo di transizione sono state designate come periodo finale. Il numero medio di sessioni iniziali e finali era rispettivamente di 2.7 e 1.9. Poiché alcuni bambini hanno avuto più sessioni iniziali ed altri più sessioni finali, nelle analisi che comparavano i diversi

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periodi del vocabolario, i dati sono stati riportati in termini di frequenza dei comportamenti per ogni sessione.

La denominazione nella fase di esercitazione Extra Practice

Ad ogni sessione, ai bambini erano presentate la metà delle parole durante i compiti con il cartoncino e con il pouf. In questa prima fase di esercitazione, i bambini erano esposti a una sessione di preparazione extra nella quale ascoltavano e dicevano i nomi dei sei elementi molto praticati. La misura della comprensione delle parole praticate è stata ottenuta grazie ad un compito di esercitazione del cartoncino, chiedendo ai bambini di indicare l’oggetto corretto quando veniva denominato. Un’ulteriore misura della produttività dei bambini riguardo alla denominazione è stata ottenuta dai compiti con il cartoncino e con il pouf, contando il numero di volte che cercavano di denominare i sei oggetti di stimolo.

Per quanto riguarda la prima misurazione, cioè quanto i bambini siano stati capaci di riconoscere un oggetto sentendolo identificato dai genitori, la figura 1 mostra il numero medio di risposte corrette e non corrette nel compito del cartoncino per le tre regioni della curva di crescita del vocabolario. Nella misurazione, non sono incluse le non risposte. I risultati indicano un aumento significativo nel numero di risposte corrette dal periodo iniziale a quello di transizione, F (2,12) = 12.47, p = .0015 e una diminuzione concomitante nel numero di risposte non corrette, F (2,12) = 4.85,

p =.02. Non è avvenuto alcun cambiamento certo dal periodo di transizione a quello

finale (Tukey’s hsd .05). Questi risultati suggeriscono che i vocabolari recettivi dei bambini sono cresciuti all’inizio dello studio tanto da includere i sei oggetti stimolo.

Per quanto riguarda la seconda misurazione, i bambini hanno imparato anche a dire i nomi degli oggetti ad alta pratica. Il numero totale di volte che i bambini hanno denominato gli elementi molto praticati, durante i compiti con il cartoncino e con il pouf nella prima fase di esercitazione, è aumentato notevolmente nei tre periodi del vocabolario. I bambini nel periodo iniziale hanno totalizzato in media 4.5 parole (gettoni) a sessione, comparate alle 13 parole nel periodo di transizione e alle 21.5 del periodo finale, F (2,12) = 21.83, p = .001.

5 Per i dati statistici in questo e negli altri due articoli, quando presenti, è stato scelto di mantenere la numerazione così

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FIG. 1. Comprensione delle parole molto praticate nella fase di esercitazione Extra Practice in funzione del periodo del vocabolario. I margini di errore indicano le deviazioni standard.

La denominazione nella fase di esercitazione Standard Practice

Dopo aver ricevuto un’esercitazione extra per le parole molto praticate, i bambini hanno guardato un libro di figure che conteneva tutti e 12 gli elementi sperimentali (6 oggetti molto praticati e 6 poco praticati). Lo stesso libro era presentato ad ogni sessione. La figura 2 mostra il numero di volte in cui i bambini hanno nominato gli oggetti molto praticati e poco praticati in funzione di un periodo (il momento di sviluppo) del vocabolario. Come è evidente, la produzione degli elementi molto praticati e poco praticati è aumentata in tutti i periodi, F (2,12) = 17.28, p = .001. Inoltre, si è osservato un effetto dell’interazione pratica-per-vocabolario significativo, F (2,12) = 5.65, p = .02. Mentre i bambini denominavano questi due set di parole più o meno alla stessa frequenza nel periodo iniziale e in quello di transizione, il numero di volte che denominavano gli oggetti nel periodo finale era decisamente maggiore per gli elementi poco praticati rispetto a quelli molto praticati. Questo suggerisce che con il tempo, era più probabile che gli oggetti relativamente meno familiari catturassero l’attenzione dei bambini rispetto agli oggetti di stimolo familiari e molto praticati. Tuttavia, sia durante la fase di esercitazione Standard che quella Extra, la quantità totale di denominazioni per i bambini ad ogni periodo di crescita del vocabolario era più del doppio per le parole ad alta pratica che per le parole a bassa pratica.

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Gli effetti della pratica sugli errori di denominazione dei bambini

La domanda principale in questo esperimento è se la frequenza con cui le singole parole sono richiamate per la produzione sia collegata ai cambiamenti nella performance di denominazione dei bambini durante il picco di crescita del vocabolario. Se la pratica a produrre una parola aumenta la forza dei processi associati all’esatto recupero di quella stessa parola, allora gli errori dovrebbero essere meno frequenti tra le parole molto praticate su cui è stata fatta un’esercitazione specifica, piuttosto che tra le parole poco praticate. Questo perché le parole molto praticate saranno meno soggette alle interferenze di possibili competitori lessicali rispetto alle parole poco praticate.

FIG. 2. La produzione dei bambini di parole molto praticate e poco praticate nella fase di esercitazione Standard Practice come una funzione del periodo del vocabolario. I margini di errore indicano le deviazioni standard.

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FIG. 3. La frequenza media degli errori di denominazione per le parole di esercitazionemolto praticate e poco praticate.

Come si vede nella figura 3, i dati supportano le previsioni. I bambini hanno fatto sistematicamente più errori per le parole a bassa pratica che per quelle ad alta pratica. Gli errori con le parole a bassa pratica hanno registrato un forte aumento dal periodo iniziale a quello di transizione. Anche gli errori con le parole molto praticate sono aumentati ma meno drasticamente. Un’analisi della misura ripetuta 2 x 3 della varianza ha rivelato i principali effetti in base al tipo di errore (ad alta/bassa pratica),

F (1,13) = 8.27, p = .01 e al periodo del vocabolario F (2,12) = 8.58, p = .005.6 L’interazione non è stata significativa e ciò riflette il fatto che tutti gli errori sono nati nel periodo di transizione, F (2,12) = 1.88, p = .19. Tuttavia, la frequenza assoluta di questi errori per le parole poco praticate è stata notevole, mentre raramente gli errori si sono verificati per le parole molto praticate. Quest’ultimo fatto coincide con l’idea che, a rendere vulnerabili le nuove parole poco praticate acquisite nella competizione con le altre parole, sia la loro debole attivazione.

6 I dati della frequenza, anziché la percentuale degli errori, forniscono la più chiara delle presentazioni dei risultati.

Questo perché la frequenza dei tentativi di denominazione spesso era troppo bassa per stabilire un indice affidabile del tasso d’errore. Tuttavia, ulteriori analisi della percentuale di errori (utilizzando trasformazioni dell’arcoseno) hanno fornito un effetto simile per il periodo di sviluppo del vocabolario, F (2,12) = 4.05, p = .05, sebbene non per la pratica, F (1,13) = 3.05, p = .11.

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Fonti d’interferenza

Allora qual è la fonte d’interferenza e in che cosa differisce tra le parole molto praticate e quelle che lo sono poco? Gli errori sono stati esaminati prima per la loro similarità all’oggetto target e poi per la loro perseveranza.

Effetti di similarità. Le seguenti analisi si basano su un totale di 190 errori che i

bambini hanno prodotto nelle sessioni sperimentali. Ogni errore è stato classificato in base alla somiglianza (1) fonologica, (2) percettiva, (3) semantica o (4) alla indipendenza dall’oggetto target.

Un errore è stato considerato come foneticamente somigliante se le due parole condividevano lo stesso esordio iniziale (ad esempio, pennuto e piccolo) o se rimavano (ad esempio, luna e fortuna). Secondo questi criteri, davvero pochi errori (3.6%) derivavano dalla confusione fonologica. Un errore è stato considerato come relativo alla percezione se i due oggetti erano, nella loro globalità, simili nella forma ma appartenevano a categorie tassonomiche diverse, ad esempio chiamare un millepiedi un “pettine” (Rescorla, 1980). Questo tipo di errore è risultato raro, solo l’11.4% degli errori totali. Inoltre, più di tre quarti degli errori di sola percezione erano fatti da un unico bambino, che ha ripetutamente detto “palla” quando gli sono state mostrate le figure di una mela e del sole.

Gli errori rimanenti erano o semanticamente correlati o non correlati con il target. I primi includevano gli oggetti che erano sia tassonomicamente che percettivamente simili, ad esempio un pennuto e un’anatra, e solo tassonomicamente ma non percettivamente simili, ad esempio un cane e un pesce. Il 31% degli errori totali, stando a questa definizione, erano semanticamente correlati. Un errore non correlato al target era uno in cui la parola che interferiva non era né foneticamente, né percettivamente, né semanticamente simile alla parola target, ad esempio macchina e cucchiaio.7 La maggior parte degli errori dei bambini, il 53%, apparteneva a questa categoria.

7 È possibile che questi errori “non correlati” possano in realtà essere correlati a livello associativo o tematico. Ad

esempio, un bambino che vede una figura di una macchina e dice “mamma” può essere che stia commentando su similitudini relative alla macchina che guida sua mamma. Tuttavia, poiché non è possibile determinare che cosa abbia in mente un bambino quando fornisce una definizione, tutte le risposte che non erano chiaramente correlate al target nei modi precedentemente indicati sono state classificate come non correlate.

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FIG. 4. La frequenza media degli errori non correlati e correlati semanticamente delle parole molto praticate e a quelle poco praticate. Una ripartizione degli errori delle parole molto praticate e poco praticate è presentata nella figura 4. Quest’analisi esclude gli errori di sola percezione, dal momento che erano soprattutto il prodotto di un bambino (che ha fatto 17 dei 22 errori) e gli errori fonologici, dato che erano troppo pochi per essere ritenuti affidabili (7 in totale). Come indicato precedentemente, la maggior parte degli errori consisteva nel non riuscire a denominare le parole sperimentali poco praticate. Tuttavia, come mostra la figura 4, la peculiarità degli errori sembra essere la stessa sia per le parole ad alta che poco praticate. La maggior parte degli errori, quindi, non era correlata alla parola target, indipendentemente dalla pratica. La misura della predominanza di errori indipendenti sugli errori semantici è data dal numero di errori indipendenti diviso la somma di quelli indipendenti più quelli semantici. Questa proporzione è stata calcolata per ogni partecipante, sia per le parole poco praticate che molto praticate. La percentuale media degli errori semantici e indipendenti che erano indipendenti non presentava differenze attendibili tra parole poco praticate (M = .61) e molto praticate (M = .77), t (13) = 1.22, p = .24. Inoltre, la percentuale media, notevolmente diminuita per le parole a bassa pratica e ad alta pratica, era di .69, valore che supera nettamente quello atteso (.50) se gli errori indipendenti e gli errori semantici si fossero verificati con la stessa frequenza, t (13) = 3.09, p = .01.

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I risultati suggeriscono che la maggior parte degli errori, sia con le parole ad alta che poco praticate, derivano da fattori non direttamente collegabili alla parola target stessa. L’origine dell’errore, per entrambi i tipi di parole, può essere collegata a produzioni precedenti del bambino. Cioè, può essere che una parola precedente possa causare un disturbo momentaneo nella capacità di richiamare una parola corrente. Quando questo avviene, il risultato può essere la perseveranza —il bambino insiste nell’usare la stessa parola per denominare un oggetto detto in precedenza.

Gli effetti della ripetizione. Di conseguenza, per ogni errore, è stata fatta

un’analisi dell’andamento delle risposte dei bambini lavorando a ritroso per localizzare una risposta precedente che corrispondesse alla parola che causava interferenza. Quest’analisi ha fornito l’indice del numero di errori di perseveranza che i bambini hanno fatto e, in aggiunta, il numero di prove, o l’intervallo, che separa le perseverazioni verbali dalle risposte precedenti. La distribuzione dei ritardi osservata è stata poi comparata con una distribuzione di controllo, che è stata generata per ogni bambino rimescolando casualmente l’ordine delle prove nel set originale di cento elementi. Questa procedura ha consentito di individuare una qualunque struttura temporale non casuale nei dati e quindi valutare l’esistenza e l’andamento del fenomeno di perseveranza per i singoli bambini (vedere Cohen & Dahaene, 1998; Gotts, Rocchetta, & Cipolotti, 2001; Neter, Kutner, Nachtsheim, & Wasserman, 1996). La tabella 1 mostra un esempio dei dati usati per questa analisi. I dati rappresentano tutte le 26 risposte fornite da un bambino nella quarta sessione dell’esperimento. All’epoca, il bambino aveva 73 parole nel suo lessico produttivo totale e il tasso di acquisizione di nuove parole ha suggerito l’inizio della sua espansione lessicale. In questa sessione, il bambino ha prodotto quattro errori, ognuno dei quali era stato correttamente pronunciato in precedenza. Tre degli errori implicavano la perseveranza della parola immediatamente precedente (un intervallo di 1). Il quarto errore è avvenuto dopo un intervallo di 15 turni ed era semanticamente correlato alla parola target (mamma - “bimbo”). Inoltre, da notare che la prima occorrenza di un errore (casa- “macchina”) implicava una parola detta dal bambino sette volte in precedenza (quattro delle quali subito prima dell’errore), suggerendo l’interferenza, probabilmente, da una plausibile attività residua della parola prodotta precedentemente.

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TAB. 1 La denominazione degli oggetti e la perseveranza negli errori (in grassetto) prodotti da un bambino in una sola sessione sperimentale.

Un’analisi condotta su tutti i bambini relativa alla percentuale degli errori corrispondenti ad una precedente risposta, ha rivelato che più della metà degli errori nel compito di denominazione del libro di figure implicava la ripetizione di una parola detta precedentemente (105 risposte su 190). La figura 5 mostra l’andamento delle perseverazioni dei bambini come funzione del numero di prove (intervallo) separando la prima risposta dalla seconda. Come mostrato, gli errori di perseveranza avvenivano più frequentemente ad un intervallo di 1; il 57% degli errori (60 risposte su 105) implicava la ripetizione della parola immediatamente precedente. Tuttavia, questo effetto si è ridotto rapidamente e la perseveranza è avvenuta con minor frequenza man mano che il numero di prove intercorrenti continuava ad aumentare. Un

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confronto di questi dati con la distribuzione generata casualmente ha dato tassi di perseveranza che differiscono notevolmente da quelli previsti casualmente nei ritardi 1, 3, 4 e 12 (α = .05). Questo modello si adatta all’idea che le risposte sono influenzate dall’interferenza di una parola attivata in precedenza— l’attivazione dell’interferenza che diminuisce con il tempo e/o i recuperi intercorsi.

FIG. 5. L’analisi della distribuzione dei ritardi negli errori di perseveranza dei bambini.

Come mostrano questi dati, le perseverazioni sono significative all’intervallo di 1 e diminuiscono continuamente all’aumentare dell’intervallo, fino ad arrivare alla dodicesima prova. L’intervallo di 12 quindi rappresenta il punto massimo in cui sono stati trovati effetti significativi nella distribuzione controllata. Di conseguenza, le analisi successive sono state condotte su una percentuale di errori di perseveranza fino a, e includendo, l’intervallo 12.

Le figure 6A e 6B, rispettivamente, mostrano in modo separato le ripartizioni degli intervalli per le parole molto praticate e quelle poco praticate. Un test a una coda è stato usato per analizzare l’ipotesi che le parole poco praticate siano più vulnerabili all’errore rispetto alle parole molto praticate. Nello specifico, è stato fatto un t-test per coppie di dati per gli stimoli molto praticati e per quelli poco praticati su una percentuale media di tentativi di denominazione che erano perseveranti durante l’intervallo 12. I risultati hanno indicato una differenza marginale, t (13) = 1.66, p =

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.06, offrendo pertanto supporto provvisorio alla previsione di un’elevata vulnerabilità delle parole poco praticate.

Un’ulteriore conferma viene dall’analisi delle risposte molto praticate contro quelle poco praticate che i bambini hanno dato. Se le parole target poco praticate sono più sensibili all’errore delle parole target molto praticate, allora si dovrebbe anche riscontrare che le risposte molto praticate fungono più spesso da sostituti per le parole target poco praticate. Per testare quest’ipotesi, sono stati effettuati dei t-test separati sulla percentuale dei tentativi di denominazione ad alta e a bassa pratica che interessavano una risposta molto praticata oppure una poco praticata. I risultati hanno confermato la previsione: sebbene le parole target molto praticate avessero le stesse probabilità di avere una risposta molto praticata o poco praticata, le parole target poco praticate era molto più probabile che avessero una risposta ad alta pratica, t (13) = 2.32, p = .01 (a una coda).

FIG 6. L’analisi della distribuzione degli intervalli degli errori di perseveranza dei bambini per (A) le parole molto praticate e (B) le parole poco praticate.

In conclusione, i risultati dell’esperimento 1 indicano che i bambini fanno errori durante il periodo in cui la crescita del vocabolario inizia per la prima volta ad accelerare. Inoltre, molti degli errori di questo periodo implicano parole target poco praticate, suggerendo una maggiore sensibilità alle interferenze. I risultati suggeriscono anche che gli errori sia delle parole molto praticate che poco praticate riflettono fonti di interferenza simili, che coinvolgono soprattutto la ripetizione di una parola precedentemente detta. Tuttavia, questo effetto sembra più potente per le parole poco praticate più vulnerabili.

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Una domanda che sorge da questi risultati è se, per ogni nuova parola imparata, ci sia una sensibilità iniziale all’errore, specialmente quando sono molte le nuove parole insegnate in un breve lasso di tempo. In alternativa, può essere che gli errori di denominazione siano legati a uno stato di particolare fragilità, proprio di coloro che imparano le prime parole. L’esperimento 2 esamina questo problema.

ESPERIMENTO 2

Nel presente studio, è stata esaminata la specificità dello sviluppo della maggiore vulnerabilità dei bambini agli errori di denominazione. È stata presentata, a bambini di 28 mesi un’attività di denominazione delle figure che implicava imparare un nuovo set di parole. A quest’età, la maggior parte dei bambini è diventata molto competente nell’apprendere le parole; tendono ad avere un lessico produttivo di diverse centinaia di parole e a parlare con frasi grammaticalmente complesse (Bates & Goodman, 1997). Dunque, questi bambini sono ben oltre il periodo iniziale di espansione lessicale, anche se possono continuare ad aggiungere parole nuove al loro vocabolario produttivo a ritmo sempre crescente (Bloom, 2000).

Il set di parole usato in questo esperimento consisteva in nomi di oggetti che generalmente sono sconosciuti ai bambini di quest’età. Inoltre, gli oggetti stessi erano strettamente correlati per tassonomia che per forma. Per questo motivo, ci si aspettava che anche i bambini di 28 mesi con maggior esperienza facessero molti errori di denominazione. Di maggior interesse qui è la natura di questi errori, piuttosto che la loro frequenza. Studi precedenti sugli errori di denominazione dei bambini indicano che talvolta questi generalizzano troppo una parola per denominare un oggetto sconosciuto. Queste generalizzazioni solitamente si basano sulle similarità dell’aspetto e/o della funzione (Clark, 1973; Dromi, 1987; Nelson, 1974; Rescorla, 1980). Tuttavia, alcune relazioni indicano la presenza di errori di perseveranza nella denominazione nel periodo che segue l’impennata lessicale — una caratteristica che sembra essere un tratto distintivo degli errori di recupero lessicale all’inizio dell’apprendimento delle parole. L’esperimento 2 esamina lo schema degli errori di denominazione prodotti dai bambini più grandi che hanno accumulato una notevole esperienza nell’apprendere nuove parole.

Metodo

Partecipanti

Hanno partecipato ventuno bambini, di età compresa tra 27 e 30 mesi (M = 28.5 mesi). Undici di loro erano femmine e dieci maschi. Altri quattro bambini sono stati testati ma eliminati dal campione poiché non riuscivano a portare a termine il compito (n = 2), per qualche espressione intellegibile (n = 1) o per errori sperimentali (n = 1). I bambini sono stati reclutati in centri per l’infanzia nell’area di Pittsburgh e tramite passaparola. Diciannove bambini erano caucasici, uno ispanico e uno asiatico. Tutti i bambini venivano da famiglie di classi medie ed erano di madrelingua inglese.

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Due dei bambini avevano genitori bilingue e sono stati esposti a più di una lingua (mandarino, 1; arabo e spagnolo, 1).

Stimoli

Ai bambini sono stati mostrati due libri di figure. Il primo libro era Orso polare,

Orso polare, cosa senti? Di Bill Martin8. Il secondo libro era lo stesso usato nell’esperimento 1, Il libro del coniglietto. Entrambi i libri erano simili nel design: su ogni pagina c’era un’unica immagine colorata di un oggetto e un semplice testo in cui l’oggetto era denominato due volte in modo ritmico. Nell’ultima pagina, tutti gli oggetti erano mostrati insieme nell’ordine in cui erano apparsi la prima volta. C’erano 12 oggetti nel Libro del coniglietto e 11 in quello Dell’Orso Polare (vedere l’appendice B).

C’erano molte differenze importanti tra i due libri. Queste differenze si credeva avrebbero aumentato le probabilità di errori di denominazione nel libro dell’Orso

Polare. La differenza principale era il livello di familiarità degli oggetti denominati.

Mentre Il libro del coniglietto conteneva oggetti che erano molto familiari alla maggior parte dei bambini di 18 mesi (ad esempio, cane, bambino, mela) il libro Dell’Orso

Polare conteneva oggetti che erano tipicamente meno familiari ai bambini di quell’età

(ad esempio, fenicottero, tricheco, leopardo). Inoltre, tutti gli oggetti del libro Dell’Orso Polare appartenevano alla stessa categoria semantica degli animali. Un’ultima differenza era che molte delle parole nel libro Dell’Orso Polare erano multi-sillabiche e fonologicamente complesse.

Procedura

I bambini e i loro genitori sono stati nel laboratorio per due sessioni individuali durante una settimana (M intervallo = 2.2 giorni). Dato che molti bambini di quest’età tendono a parlare poco in ambienti non familiari, la seconda seduta è stata inclusa per ampliare l’opportunità di denominazione. Ad ogni sessione, i bambini e i loro genitori osservavano e denominavano gli oggetti dei due libri di figure sperimentali. I libri erano presentati nello stesso ordine durante le sessioni per poter controllare possibili effetti dell’attivazione. Tutti i bambini vedevano prima il libro Dell’Orso

Polare e poi quello Del coniglietto.

In questo esperimento, non era stata data ai bambini alcuna esercitazione specifica. I genitori erano incaricati di leggere i libri in modo naturale come avrebbero fatto a casa e di incoraggiare i loro bambini a denominare gli oggetti durante il compito. Una conseguenza di questo design naturalistico è l’aver dato ai genitori la possibilità di avere più controllo sulla produzione verbale dei bambini in laboratorio. Di conseguenza, il comportamento dei genitori era analizzato in base al numero di

8 Il titolo originale del libro è Polar Bear, Polar Bear, What Do You Hear? (Henry Holt Books for Young Readers, 1991).

Questo libro, al contrario del Libro del coniglietto appositamente ideato per l’esperimento linguistico, è un testo scritto da Bill Martin Jr. e pubblicato nel 1991.

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volte che avevano interrogato i loro bambini e avevano fornito una definizione per un oggetto. Inoltre, i tentativi di denominazione dei bambini, sia corretti che non corretti, sono stati analizzati in base all’essere generati spontaneamente o indotti dalle domande dei genitori. Comprese nelle risposte corrette c’erano le produzioni parziali delle parole dei bambini, purché il genitore o lo sperimentatore l’accettasse come appropriata. Ad esempio, i bambini a volte dicevano “ippo” o “potamo” per ippopotamo e “polare” o “orso” per “orso polare”.

Ai fini dell’attendibilità, tre assistenti specializzati hanno codificato in modo indipendente il 25% degli episodi di lettura del libro di figure. L’attendibilità è stata valutata sia in base a quanto i bambini parlassero in laboratorio sia per le denominazioni dei genitori e le domande “che cosa è questo?”. Il punteggio medio di attendibilità era di .90 (fascia, .75-1.00) per 280 risposte spontanee dei bambini e .88 (fascia, .80-1.00) per le 146 risposte indotte. Il punteggio medio di attendibilità era .93 (fascia, .72-1.00) per i 694 casi di designazione dei genitori e .89 (fascia, .80-.95) per le 200 domande “che” fatte dai genitori.

I genitori hanno completato la versione Toddler (Prima Infanzia) del MacArthur-Bates-CDI (Franco Angeli Editore, 2015)9 all’inizio della prima sessione di test. All’epoca i genitori hanno anche completato una lista di verifica separata di tutte le parole sperimentali non incluse nell’inventario del MacArthur.

Risultati e discussione

Vocabolario produttivo

Sulla base delle misure del CDI, i genitori hanno indicato che i loro bambini avevano un vocabolario produttivo medio di 482 parole. Come previsto, sono state rilevate grandi differenze individuali, nella dimensione dei vocabolari infantili che variava da 208 a 637 parole. La lista di verifica supplementare che i genitori avevano completato ha rivelato che, prima dello studio, i bambini avevano un uso produttivo di 11.5 parole delle 12 possibili (96%) nel Libro del coniglietto (fascia, 7-12) e 5.5 parole delle 11 possibili (50%) nel libro Dell’Orso Polare (fascia, 1-9). Questa differenza era significativa, t (20) = 2.08, p < .001.

La denominazione nel compito del libro delle figure

In questo esperimento la denominazione dei bambini è avvenuta tramite un’interazione spontanea con i genitori. In tal modo, quanto i bambini parlavano in laboratorio non solo rifletteva il grado di familiarità con le parole sperimentali ma anche la dipendenza dal comportamento dei genitori rispetto al compito di apprendimento delle parole. Di conseguenza, si è esaminato quanto spesso i genitori denominassero gli oggetti e facessero domande ai loro bambini mentre loro guardavano i vari libri sperimentali. I genitori di solito sembravano essere sensibili alla conoscenza che i loro bambini avevano delle parole nei libri. Come mostra la figura 7,

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i genitori spendevano molto più tempo a denominare gli oggetti [F (1,20) = 142.2, p < .001] e a chiedere ai loro bambini “che cos’è questo?” [F (1,20) = 32.9, p < .001] nel libro Dell’Orso Polare di quanto non abbiano fatto con gli oggetti più comuni nel Libro

del coniglietto. Questo risultato corrispondeva a quanto i bambini parlassero

nell’esperimento. I bambini parlavano molto più spesso durante le due sessioni in cui guardavano le figure nel libro Dell’Orso Polare (M = 86.4 parole) che nel Libro del

coniglietto (M = 69.4 parole), t (20) = 2.45, p < .02. Altre analisi hanno rivelato che la

percentuale di espressioni generate spontaneamente dal bambino era decisamente maggiore per Il libro del coniglietto, t (20) = 3.43, p < .002. Così, sebbene i bambini nel complesso parlassero di più quando guardavano le figure nel libro Dell’Orso Polare, questo era fortemente dovuto alle domande del genitore sui nomi degli oggetti sperimentali.

FIG. 7. La frequenza media dell’oggetto designato dai genitori e delle domande “che cos’è questo?” come una funzione del libro delle figure. I margini di errore indicano le deviazioni standard.

Gli errori di denominazione dei bambini

In che modo la frequenza e lo schema degli errori di denominazione dei bambini differiscono in base al tipo di libro? Dato che tutte le figure degli oggetti nel libro

Dell’Orso Polare erano simili sia nella forma che nella tassonomia, ci si aspettava che

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semplice e familiare Libro del coniglietto. Inoltre, ci si aspettava che i bambini avrebbero prodotto più errori quando la denominazione era indotta dal genitore piuttosto che quando era generata spontaneamente. In linea con queste previsioni, i bambini hanno fatto un totale di 251 errori di denominazione nel libro Dell’Orso

Polare, in confronto agli 88 errori del Libro del coniglietto. Inoltre, il 61% degli errori

nel libro Dell’Orso Polare e il 53% nel Libro del coniglietto, erano in risposta a domande indotte dal genitore. È stata condotta un’analisi di misure ripetute bidirezionali della

variazione sulla percentuale media delle risposte di denominazione

(spontanee/indotte) che erano errori dati da un libro significativo in base al tipo d’interazione dell’errore, F (1,20) = 11.43, p = .003. I bambini hanno fatto decisamente più errori indotti quando cercavano di denominare gli oggetti poco familiari nel libro

Dell’Orso Polare.

Fonti d’interferenza

Come nell’esperimento 1, i singoli errori erano esaminati per valutare la loro relazione con la parola target in suono, idea e aspetto. Inoltre, gli errori erano esaminati in base a possibili effetti di ripetizione. Poi venivano comparati gli errori di perseveranza tra i libri. Oltretutto, poiché i bambini nell’esperimento 1 e 2 denominavano gli oggetti da un libro comune (il libro del coniglietto), sono state fatte anche comparazioni per valutare gli effetti dell’apprendimento generico delle parole sui tipi di errori che facevano.

Effetti di similarità. Sono state calcolate le percentuali medie degli errori che

erano correlati alla parola target fonologicamente, percettivamente o semanticamente o che erano indipendenti, sia per il libro Dell’Orso Polare che per quello del coniglietto. Come nell’esperimento 1, gli errori solo fonologici e di percezione erano estremamente rari (5% o meno), indipendentemente dalla familiarità del libro. Quasi tutti gli errori nel libro Dell’Orso Polare erano correlati al target semanticamente (96%), comparati approssimativamente alla metà degli errori nel Libro del coniglietto (56%). Questo risultato nasce chiaramente dalla natura stessa dei libri; tutti gli oggetti nel libro Dell’Orso Polare appartenevano alla categoria semantica degli animali. Tuttavia, in uno studio precedente che riguardava gli errori di denominazione dei bambini al momento dell’espansione lessicale, Gershkoff-Stowe and Smith (1997) hanno trovato che gli errori correlati semanticamente avvenivano meno frequentemente tra coloro che erano agli inizi dell’apprendimento delle parole, anche quando ai bambini venivano presentati oggetti poco familiari della stessa categoria tassonomica (approssimativamente il 50% degli errori implicava i nomi degli animali). Queste scoperte, sebbene speculative, suggeriscono che il supporto percettivo/concettuale che guida i bambini al recupero delle parole può cambiare all’aumentare delle opportunità di denominazione degli oggetti. Si tornerà su tale possibilità nella discussione generale.

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