• Non ci sono risultati.

Persone, città e figure storiche Come agisce la memoria quando elabora i nomi propri.

Commento teorico e analisi degli articoli tradotti.

4. Persone, città e figure storiche Come agisce la memoria quando elabora i nomi propri.

Dei tre articoli trattati, questo è quello cronologicamente più vecchio. Pubblicato infatti nel 1986 da The British Psychological Society sulla rivista accademica

British Journal of Developmental Psychology27, lo studio delle ricercatrici britanniche

Gillian Cohen e Dorothy Faulkner rappresentò, già allora, un’ottima prospettiva su cui incentrare gli studi sul recupero lessicale.

Come già suggerito dal titolo, “Memory for proper names: Age differences in

retrieval” tratta il recupero lessicale dei nomi propri; nello specifico analizza le

differenze tra i nomi propri di persone e di luoghi e quali sono i fattori che li differenziano dai nomi comuni nei processi e nei meccanismi cerebrali. La maggior parte degli studi sulla denominazione e sul recupero lessicale fino agli anni 90 si concentrava su nomi comuni e sull’osservazione dei meccanismi che stanno alla base dei processi di denominazione e recupero.28 Lo studio di Cohen e Faulkner si inserisce nel panorama di tali ricerche affrontando aspetti sino ad allora ignorati: il recupero lessicale dei nomi propri ed errori di rievocazione.

Faulkner e Cohen sono andate a studiare la memoria relativa ai nomi propri su un campione di persone la cui età variava molto, così da poter osservare se ci fossero variazioni nel recupero lessicale riconducibili alle differenze di età dei soggetti. All’interno della categoria ‘nomi propri’ sono state osservate, a loro volta, le differenze tra i nomi propri di persona e quelli di luoghi e tra i nomi di conoscenti e i nomi di personaggi famosi. Lo studio della natura del deficit di recupero lessicale di nomi propri è stato portato avanti in due fasi: la prima prevedeva la somministrazione di un questionario auto-valutativo, che il campione di soggetti doveva compilare autonomamente; nella seconda fase, ai partecipanti veniva chiesto di ascoltare delle biografie fittizie e completare successivamente, nelle apposite trascrizioni, le parti mancanti.

I soggetti che hanno preso parte all’esperimento linguistico erano tutti adulti di età compresa tra i 20 e gli 80 anni. La prima parte dello studio, come già accennato, prevedeva un questionario auto-valutativo, attraverso il quale ogni soggetto riferiva la frequenza con cui aveva sperimentato un deficit nel recupero dei nomi, e inoltre se, quando ciò capitava, avessero o meno a disposizione un’informazione parziale e

27 La rivista accademica, pubblicata tutt’oggi trimestralmente, si occupa principalmente dello sviluppo cognitivo e sociale

di bambini, adulti e anziani, così come dei disordini del linguaggio, dello sviluppo psicologico e linguistico nella prima infanzia e di tutti quegli approcci teorici allo sviluppo della persona dell’ambito psicologico e neurolinguistico. La rivista, nata nel 1983, è ad oggi pubblicata da Wiley-Blackwen per conto della The British Psychological Society.

28 Si possono comunque citare alcune eccezioni: lo studio di McKenna & Warrington (1980), in cui furono fatti due test

di denominazione, uno per i nomi comuni e uno per i nomi propri, o ancora, i due studi, rispettivamente, di Brown & McNeill (1966) e Reason & Lucas (1984) sul fallimento del recupero lessicale e sul fenomeno ‘sulla punta della lingua’ (condizione di TOT).

che tipo di nome proprio fosse quello che non riuscivano a recuperare in quel momento.

Il questionario ha rivelato che il deficit è legato all’età, sia nel recupero di ogni tipo di informazione sia, in particolar modo, dei nomi di persona, difficoltà questa segnalata direttamente dalle stesse persone più anziane. I dati dei questionari di auto- valutazione hanno anche fatto emergere che la capacità di auto-valutarsi, ossia il giudizio che le persone davano delle proprie capacità mnemoniche, sembra subire un cambiamento con il passare del tempo e, tendenzialmente, sembra deteriorare con la vecchiaia: le persone più anziane hanno presentato valutazioni meno affidabili rispetto a quelle delle persone di mezz’età e dei più giovani.

L’obbiettivo della ricerca presentata in questo articolo è se ci siano evidenze per affermare che i processi alla base della memoria cambino con l’età o siano in qualche misura alterati; in particolar modo si cerca di capire se, e perché, la memoria dei nomi propri risulti più vulnerabile di quella dei nomi comuni.

Un tentativo fatto da alcuni ricercatori29 fu quello di provare a delineare, nei limiti del possibile, il deficit legato all’età come un “modello” dei processi di recupero in cui si osserva il malfunzionamento del meccanismo alla base di un deficit del recupero lessicale.30 Questo modello prevede due magazzini indipendenti, quello del lessico e quello concettuale, collegati tra loro da meccanismi che associano un determinato nome al corrispettivo concetto. Il recupero di un termine dovrebbe avvenire quando il concetto viene attivato e, a sua volta, l’attivazione avviene quando nel magazzino concettuale si riscontra un esempio del termine attivato. Il fallimento anche di uno solo di questi fattori, fa sì che il recupero possa non andare a buon fine e che l’individuo possa aver un vuoto momentaneo o magari non riesca a recuperare la parola esatta che cercava.

L’accesso lessicale, che di solito è determinante per la corretta denominazione di una parola, può avvenire essenzialmente in due modi: tramite l’accesso diretto alla parola oppure tramite un processo di ricerca guidato. Nel primo caso, l’accesso alla parola parte di solito dal concetto ed è rapido, immediato e automatico; ne sono un classico esempio nella vita quotidiana, i termini pronunciati istintivamente durante una conversazione improvvisata. Nel secondo caso invece il processo di ricerca mentale è guidato. Questo avviene quando, in prima battuta, un individuo non riesce a trovare nella sua mente il termine esatto e inizia un processo di ricerca più complesso e, di conseguenza più lento, nel magazzino lessicale. E’ ciò che comunemente viene definito ‘sulla punta della lingua’, cioè quando un individuo è consapevole di conoscere una determinata parola ma in quel particolare momento non riesce ad avervi accesso.

29 Nell’articolo di Cohen e Faulkner ci si ricollega al modello che si tentò di delineare grazie ai lavori di H.

Goodglass e altri studiosi (Goodglass & Baker, 1976; Pease & Goodglass, 1978; Goodglass & Stuss, 1979) negli studi su pazienti afasici.

30 Gillian Cohen e Dorothy Faulkner, “Memory for proper names: Age differences in retrieval”, British Journal of

Il modello appena descritto, e i relativi meccanismi linguistici, descrivono il recupero dei termini e dei concetti immagazzinati nella memoria semantica ma i nomi propri, sono parte della memoria episodica, in particolar modo i nomi di persona. Trattandosi dunque di elementi appartenenti a quest’ultimo tipo di memoria, è possibile che i processi con cui sono rappresentati nel magazzino concettuale, o i meccanismi con cui sono richiamati, non siano gli stessi. Bisogna infatti partire dal presupposto che i nomi propri, nel loro complesso, siano più difficili da ricordare rispetto agli attributi descrittivi o ai nomi comuni, perché meno correlati ad attributi e con reti semantiche più semplici.

I nomi di luoghi e, seppure in misura minore, i nomi di personaggi famosi, essendo ben conosciuti, di solito sono semanticamente più ricchi, mentre il nome di una persona qualunque o di un conoscente, tende ad avere solo attributi episodici ad esso collegati e quindi risulta più sfuggente. Nel complesso, gli elementi linguistici che sono già integrati in una rete semantica preesistente, e quindi ricchi di attributi descrittivi, tendono ad essere ricordati più facilmente. Ad esempio, il nome di una città come Parigi conosciuta a tutti e nota, nell’immaginario collettivo, come la città romantica per eccellenza, sarà probabilmente ricordato più facilmente dalle persone rispetto al nome di una città meno famosa. Entra dunque in gioco la figuratività che solitamente caratterizza gli oggetti a noi familiari; un hobby o un mestiere, ad esempio, sono di solito associati ad un ricco immaginario fatto di ambienti, strumenti, persone che li caratterizzano, tutto questo a sua volta svolge la funzione di aiuto al fine di un corretto recupero lessicale. Gli attributi semantici del referente, come nell’esempio di Parigi, sono ‘spostati’ e legati al nome proprio di città, Parigi assume così le connotazioni di città dell’amore, della dolcezza e del romanticismo.

Un processo simile avviene talvolta anche per i nomi di personaggi famosi, mentre accade più raramente che si verifichi con i nomi propri di persone o di conoscenti poiché, legato a questi nomi, c’è un isolamento semantico che è spesso causa di problemi di recupero lessicale. Si può dunque dire che, in linea generale, alcune classi di nomi propri sembrano essere più difficili da recuperare, indipendentemente dall’età di una persona. I nomi di luoghi comportano meno difficoltà dei nomi di persona e, a loro volta, i nomi di personaggi famosi comportano meno problemi dei nomi di conoscenti.

Hanno preso parte alla prima fase dell’esperimento 120 soggetti suddivisi in tre gruppi, in base alle diverse fasce d’età: il gruppo dei giovani, composto da partecipanti tra i 2 e i 39 anni, il gruppo delle persone di mezz’età, da 40 a 59 anni e quello delle persone più anziane, dai 60 agli 80 anni. Ad ognuno dei partecipanti era stato inviato un questionario auto-valutativo (vedere questionario completo articolo 2, p. 15-16) con la richiesta di documentare nei dettagli il successivo deficit nel recupero dei nomi che avrebbero avuto. Dei 120 questionari inviati, ne sono stati riconsegnati circa un centinaio e i dati raccolti sono serviti agli sperimentatori per valutare le dinamiche del deficit di recupero dei nomi.

Ciò che è emerso analizzando i risultati delle auto-valutazioni è che i dati raccolti sul gruppo degli anziani differivano da quelli dei gruppi di mezz’età e dei giovani, mentre questi ultimi due gruppi non differivano sostanzialmente l’uno dall’altro. La differenza tra anziani e gruppi di persone con età diverse emerge già a livello di auto-valutazione, in una situazione cioè che non può definirsi vero e proprio test linguistico svolto in ambiente clinico e controllato.

L’auto-valutazione ha confermato che il valore medio dei deficit di recupero dei nomi era maggiore negli anziani tanto per i nomi propri quanto per i nomi comuni, a sottolineare l’evidenza dei cambiamenti cognitivi relativi ai processi mentali nelle persone più avanti nell’età. Al di là di questa evidenza, la variabilità dei blocchi di nomi tra i tre gruppi con diverse età, era comunque molto alta: i partecipanti riportavano da 0 a 30 blocchi settimanali, numero questo che tendeva ad aumentare con la stanchezza, lo stress o malessere fisico di altro genere. Da considerare che le persone più anziane sembravano risentire dell’ansia generata dalla consapevolezza che, data la loro età, era possibile che fossero arrivati al momento in cui si verifica l’inizio dei cambiamenti cognitivi. La consapevolezza del fatto che, molto probabilmente, avrebbero avuto più difficoltà mnemoniche rispetto ai più giovani, li rendevano maggiormente sensibili al deficit lessicale o all’errore di quanto probabilmente non si sarebbe verificato in situazioni di maggiore serenità psicologica.

Sebbene possa sembrare un controsenso, la maggior parte dei blocchi che i partecipanti hanno riferito era relativa ai nomi di amici e conoscenti, questo probabilmente in conseguenza della maggior frequenza nei tentativi di recupero di quei nomi. Tutto ciò suggerisce che spesso siano fattori dinamici a causare i blocchi. Il fatto che una persona non ricordi il nome di un amico può semplicemente essere legato a una momentanea mancanza o alla maggiore frequenza con cui tenta di recuperare quel nome piuttosto che quello di un’altra persona con cui non ha lo stesso legame e che quindi più raramente ha necessità di denominare. Si tratta dunque non di una codifica difettosa del nome o del concetto, ma di una ‘fluttuazione’ durante il processo di recupero che tende a verificarsi più frequentemente con l’avanzare dell’età. I partecipanti, inoltre, nei questionari consegnati, segnalavano che il deficit nel recupero dei nomi avveniva con maggiore frequenza quando la persona di cui stavano cercando di recuperare il nome non era fisicamente presente; quando cioè pensavano o parlavano dell’individuo in questione ma mancava la sua presenza a far loro da innesco, con maggiore probabilità si verificava il blocco.

Grazie ai dati ricavati dai questionari si è potuto delineare la frequenza dei blocchi e quali siano i meccanismi che spesso li fanno insorgere. Stando alle dichiarazioni dei partecipanti, la maggior parte delle parole è stata recuperata correttamente, anche se tra il deficit e il corretto recupero, alle volte, il tempo trascorso arrivava addirittura a un’ora. In molti casi era disponibile un’informazione parziale sulla parola bloccata; difficilmente infatti il recupero lessicale è un processo

‘tutto o niente’. Di solito quando avviene un tentativo di recupero sono presenti un suggerimento, una parola candidata31 simile o un’informazione di altro tipo.

I partecipanti usavano queste informazioni parziali a loro disposizione come aiuti, rievocavano tutte le caratteristiche che conoscevano della parola target, e, se erano disponibili le caratteristiche fonologiche, ad esempio quale fosse la prima lettera della parola o il numero di sillabe da cui era composta. È interessante osservare che, ancora una volta, il ricorso ad aiuti per rievocare un termine, avveniva meno frequentemente nel gruppo degli anziani: questi ultimi infatti tendevano più spesso dei giovani e delle persone di mezz’età, ad avere dei blocchi per così dire ‘totali’, senza cioè alcun candidato disponibile ne’ un’informazione parziale riguardante le caratteristiche fonologiche del nome.

Quali sono i tipi di candidati che si possono presentare durante il processo di recupero lessicale, quando una persona ha un blocco? Si possono individuare essenzialmente tre tipi di candidati: quelli descrittivi, quelli fonologici e quelli composti. I primi, solitamente, condividono con la parola target alcuni attributi contestuali o fisici, come ad esempio le persone di uno stesso contesto sociale o che si assomigliano nell’aspetto fisico. I candidati fonologici possono essere quelli che corrispondono, almeno in parte, al suono del nome target, ad esempio il suono iniziale o quello finale della parola, se rima con il target, o i suoni vocalici principali. Infine, i candidati composti sono quei termini che condividono con la parola target alcuni attributi descrittivi a livello concettuale, e alcuni attributi fonologici a livello di pronuncia, ad esempio i nomi composti di luoghi o di persone.

Dei tre gruppi di soggetti, i giovani e le persone di mezz’età non hanno mostrato particolari differenze nell’incidenza dei vari tipi di candidati. Di volta in volta, a seconda delle circostanze, si trovavano ad avere a disposizione candidati di un qualunque tipo, con una generale tendenza a preferire i candidati fonologici, quando presenti. Il gruppo di persone più anziane invece riferiva che più frequentemente si trovava ad avere a disposizione candidati di tipo descrittivo piuttosto che candidati fonologici o composti.

Una volta fatto il punto sulle possibili cause del deficit nel recupero dei nomi e sulle differenze nell’incidenza con cui avvengono in relazione all’età è lecito domandarsi quali siano i diversi metodi utilizzati dalle persone per risolvere il deficit. Molto spesso i soggetti non erano in grado di descrivere il processo mentale con cui erano riusciti a superare il deficit di recupero dei nomi, ma tra quelli che sono stati elencati dai partecipanti al test ci sono: a) la lettura dell’alfabeto, per poter trovare un aiuto fonetico che eventualmente portasse alla parola target, b) generare

31 Con il termine ‘candidati’ si intendono i vari termini che si trovano durante il processo di recupero lessicale di una

data parola. Molti sono i termini usati nella letteratura di questo tipo per designare le parole che nascono nella mente di una persona durante il processo di confronto che avviene quando si tenta di recuperare una parola. Reason e Lucas ad esempio usano la parola ‘antagonisti’; il termine candidati è invece più neutro dato che le parole richiamate durante il processo non impediscono necessariamente la corretta riuscita del recupero lessicale, bensì possono aiutare con la specifica del target.

candidati dello stesso contesto, c) arricchire la descrizione del nome target o, ancora, d) osservare immagini di oggetti, luoghi o persone appartenenti allo stesso contesto della parola bloccata. Nonostante avessero a disposizione queste strategie, spesso i partecipanti riferivano di avere effettivamente recuperato il nome dopo più o meno tempo dal blocco, ma in molti casi non sono stati in grado di dire esattamente come sia avvenuto il recupero, o cosa, nello specifico, li abbia aiutati a innescare il recupero lessicale.

È importante sottolineare inoltre come il recupero lessicale ‘temporaneo’ si differenzi da quello cosciente. Quest’ultimo è consapevole, ragionato, non istintivo, e spesso avviene con uno scopo ben preciso, quando la parola bloccata è necessaria in quel momento all’individuo. C’è poi il recupero assistito, che avviene quando il nome bloccato è fornito da un’altra persona o cercato su un libro o su un sito internet. In questo caso i processi mentali della persona che vive il blocco sono nulli, o comunque hanno una forza d’attivazione minore, poiché la risposta è fornita da una persona, o cosa, ‘altra’ che svolge il processo di recupero lessicale al posto suo.

Dati interessanti sono emersi dalle risposte nei questionari, in relazione alle differenze d’età nel deficit di recupero dei nomi. Da ciò che avevano scritto i soggetti, si è visto che il gruppo delle persone anziane aveva più spesso blocchi di nomi totali, blocchi in cui non era evocato nessun candidato, blocchi di nomi di persone che conoscevano bene o un aumento nel numero di volte in cui i candidati non potevano essere scartati a priori come non-target.

Tra le possibili spiegazioni che gli sperimentatori si sono dati sul motivo per cui il recupero lessicale possa fallire, c’è l’ipotesi che questo avvenga perché il campo semantico di una descrizione target si riduce. I blocchi dei nomi raccontati dai partecipanti non forniscono però alcuna prova evidente di tale ipotesi; i soggetti infatti spesso generavano candidati simili alla parola target o rievocavano caratteristiche legate ad essa, sia fonologiche che semantiche, che li avrebbero aiutati a recuperare una data parola, mostrando dunque che il campo semantico del termine in questione non era ridotto. L’ipotesi può invece essere plausibile nei casi dei blocchi totali, quando non si hanno a disposizione candidati simili alla parola target .

Una seconda spiegazione ai possibili fallimenti dei processi di recupero è l’inadeguatezza o l’insufficienza dello stimolo che porta alla rappresentazione del concetto, stimolo che potrebbe essere inadeguato per portare a termine un corretto recupero lessicale. Questa spiegazione, come la precedente, può essere utile a spiegare alcuni risultati ma non tutti. Ad esempio, l’aumento dei blocchi totali negli anziani potrebbe derivare da un’insufficiente attivazione delle rappresentazioni immagazzinate; ciò però non può essere vero per i blocchi di nomi di amici e conoscenti, questi infatti avvengono, per loro stessa natura, proprio perché sono attivati un numero di volte maggiore rispetto a tutti gli altri nomi.

Una terza possibile spiegazione, infine, ipotizza che il collegamento dal concetto alla rappresentazione fonologica, sia unilateralmente compromesso ma

quest’ipotesi non fornisce una spiegazione se il difetto sia dovuto all’età o ad altri fattori mnemonici. Spiegherebbe in compenso i blocchi in cui non è disponibile alcuna informazione parziale poiché, se la rappresentazione fonologica di un determinato concetto fosse unilateralmente compromessa, sarebbe logico aspettarsi che durante il tentativo di recupero lessicale non si riesca ad avere a disposizione alcun aiuto a livello di suoni.

Ognuna delle spiegazioni appena elencate riesce a spiegare parte del problema ma non tutto. La difficoltà nel trovare un’ipotesi che chiarisca tutti gli aspetti relativi al fallimento del recupero lessicale è almeno in parte dovuta al fatto che il quadro teorico disponibile non è mai completamente oggettivo e inequivocabile per chi tenta di analizzarlo. Per fare un esempio, non può esserci controllo da parte degli sperimentatori su molti fattori critici e ciò rende difficile analizzare i problemi e capire a che cosa essi siano legati.

Per tentare di ovviare a questo problema, una possibilità può essere quella di analizzare i processi di recupero lessicale quando una o più parole target specifiche sono controllate. Nella seconda parte dell’esperimento i soggetti vanno ad eseguire il recupero lessicale su termini appositamente scelti e controllati dagli sperimentatori.