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Il testo: scelte e difficoltà traduttive

Commento teorico e analisi degli articoli tradotti.

6. Il testo: scelte e difficoltà traduttive

Le presenti versioni sono le rispettive traduzioni di tre articoli inglesi. Lo studio sui bambini portato avanti dalla ricercatrice americana Lisa Gershkoff-Stowe, ‘Object

Naming, Vocabulary Growth, and the Development of Word Retrieval Abilities’ è stato

pubblicato nel 2002 dalla Academic Press; concluso nel 2000, fu redatto solo un paio di anni più tardi a seguito di un’attenta revisione e di alcuni miglioramenti. L’articolo dei ricercatori israeliani Gitit Kavé, Asaf Gilboa e Ariel Knafo è cronologicamente il più recente dei tre. ‘The Rise and Fall of Word Retrieval Across the Lifespan’ fu pubblicato nel 2010 dalla American Psychology Association, dopo essere stato revisionato nel novembre dell’anno precedente. Lo studio sulla memoria per i nomi propri in adulti e anziani, dal titolo ‘Memory for proper names: Age differences in retrieval’, è il più datato, risale infatti al 1986, anno in cui fu pubblicato dalla British Psychological Society. Lo studio fu portato a termine dalle ricercatrici britanniche Gillian Cohen e Dorothy Faulkner nell’anno precedente e inviato alla testata giornalistica nell’ottobre di quello stesso anno.

Pubblicati su riviste accademiche di settore, rispettivamente Journal of Memory

and Language, Psychology and Aging e British Journal of Developmental Psychology,

i lavori dei vari studiosi sono, ad oggi, tutti reperibili sia in formato digitale che cartaceo. I tre articoli scelti e analizzati sono tutti scritti in inglese, anche lo studio dei ricercatori ebraici ‘The Rise and Fall of Word Retrieval Across the Lifespan’, svolto e redatto in Israele. Trattandosi della lingua par excellence del commercio, della cultura e della ricerca scientifica, l’uso dell’inglese è di prassi soprattutto se entriamo in un ambito come quello della neurolinguistica e degli studi cognitivi; si tratta infatti di un settore di studio che coinvolge una cerchia ristretta di studiosi e ricercatori, la quantità di dati scientifici a disposizione, inoltre, è ridotta rispetto ad altre discipline cui la scienza si interessa da maggior tempo.

Dei tre articoli non è stata pubblicata nessuna traduzione ufficiale in nessun’altra lingua; sebbene pubblicati già da qualche anno, non sono disponibili versioni autorizzate non di lingua inglese, neanche lo studio dei tre ricercatori ebraici, di cui ci si sarebbe potuti aspettare oltre ad una versione inglese dello studio, una nella loro lingua madre.

Partendo da un’analisi generale delle scelte traduttive che sono state messe in atto, si passerà poi a parlare delle difficoltà incontrate durante la traduzione; si andranno ad analizzare le problematiche specifiche di ogni articolo, laddove se ne siano incontrate. Nel tradurre ci si è sforzati di mantenere la naturale discorsività dei singoli articoli, senza trascurare l’accuratezza e la precisione necessarie, trattandosi di studi scientifici.

A livello linguistico, nelle traduzioni italiane, si è cercato di rimanere fedeli all’originale nello stile e nei contenuti; laddove questo non è stato possibile per motivi di non-corrispondenza linguistica, si è preferito valorizzare il messaggio che il testo

originale mirava a trasmettere al lettore di lingua inglese. Nei casi in cui c’era il rischio che il lettore italiano non comprendesse a pieno o correttamente il messaggio degli autori, è stato preferito alterare la forma per renderla tale da impedire che il contenuto potesse essere male interpretato dal lettore d’arrivo. Esempi concreti, che vedremo di volta in volta, potranno rendere più chiare le motivazioni che hanno portato a scelte di questo tipo.

Nel cercare di mantenere, all’interno di ogni singola traduzione, la naturale scorrevolezza della lingua italiana, è stato reputato doveroso fare un’annotazione riguardo alla punteggiatura. Questo aspetto della grammatica è stato adattato, quando necessario, alle convenzioni ortografiche e tipografiche prevalenti nella lingua d’arrivo, in questo caso l’italiano.

Sono stati tradotti in funzione del lettore d’arrivo anche tutti gli esempi fatti negli esperimenti linguistici necessari alla dimostrazione delle varie ipotesi, tutti ad eccezione di quegli esempi che sono stati reputati chiari anche in lingua inglese. In questi casi è stato ritenuto che il lettore italiano potesse avere una conoscenza personale sufficiente da poter comprendere con chiarezza l’esempio nel testo pur scritto in inglese; ad esempio, nel terzo articolo, in cui si indaga il recupero lessicale dei nomi propri, gli autori prendono come esempio il nome ‘Kepler’ ed elencano una serie di candidati simili che sono stati evocati dal soggetto prima di riuscire a recuperare correttamente il nome in questione (p.7 traduzione, p.5 testo originale). Tutti i candidati che erano stati evocati avevano lo stesso suono iniziale del nome cercato (Keller, Klemperer, Kellet, Kendler). Il lettore italiano, così come quello inglese, è in grado di riconoscere che ognuno dei nomi elencati condivide con gli altri lo stesso suono iniziale, indipendentemente dal fatto che si tratti di nomi inglesi o italiani.

Una situazione opposta si ha invece per l’esempio, riportato nello stesso articolo, sui candidati fonologici (p.6 traduzione, p.5 testo originale). Nel testo inglese i due nomi scelti come esempio dagli autori erano ‘Sylvia’ e ‘Cynthia’, che sono invece stati tradotti rispettivamente con ‘Carla’ e ‘Katia’. Chiaramente le due traduzioni non sono l’esatto corrispettivo dei nomi inglesi ma, ciò che si è voluto rendere cambiando completamente i nomi è stato il concetto che due nomi propri condividessero il medesimo fonema iniziale, scritto però con due grafie diverse, come nell’originale. In inglese, infatti, i due fonemi iniziali avevano entrambi lo stesso suono [sɪ ], mentre le rispettive traduzioni in italiano, Silvia e Cinzia, avrebbero avuto fonemi iniziali diversi, [si] e [ʧi]; i nomi italiani Carla e Katia, seppur diversi dai nomi scelti originariamente, hanno lo stesso fonema iniziale [kɑ], riproducendo così perfettamente l’esempio della versione inglese.

Parlando sempre delle scelte traduttive messe in atto in questo articolo, è doveroso soffermarsi a spiegare alcune scelte lessicali che sono state fatte per le quattro biografie fittizie riportate nel testo. Ogni biografia dava quattro tipi di informazioni che i soggetti dovevano tentare di ricordare durante il test (nome, luogo,

hobby e professione; p. 10 traduzione, p.7 testo originale). Si è scelto di lasciare le prime due categorie di informazioni in inglese, mentre le seconde due sono state tradotte in italiano. È lecito chiedersi perché i nomi propri sono stati lasciati in inglese, mentre i nomi di hobby e professioni sono stati tradotti. Per quanto riguarda i nomi di luoghi, è stata reputata sufficiente la conoscenza propria del lettore, trattandosi di nomi di città abbastanza famose e conosciute. Per i nomi di persona invece, è stata reputata necessaria una scelta analoga ma, in un certo senso, diversa: in ogni biografia fittizia erano presenti sia un nome che un cognome inglese, non sempre era disponibile un corrispettivo italiano del nome e praticamente mai del cognome; per questo motivo è stato scelto di lasciarli in inglese, anziché tradurre talvolta solo il nome, talvolta entrambi, talvolta nessuno dei due. Per coerenza, è stata mantenuta questa scelta traduttiva anche nel resto dell’articolo, ogni volta in cui venivano citati i nomi presi dalle biografie fittizie per fare altri esempi (p. 11 traduzione, p. 8 testo originale).

Una strategia analoga è stata adottata quando si parla della figuratività dei nomi (p. 12 traduzione, p. 8 testo originale). Nel paragrafo in questione viene brevemente spiegato come un nome proprio possa essere convertito nella mente di una persona sottoforma di qualcosa di ‘immaginabile’, così da poter associare a quel nome tutta una serie di attributi semantici che ne favoriscano il recupero lessicale. Nel testo di partenza, a seguito di questa breve spiegazione, viene proposto l’esempio del nome Gordon che può essere associato alla parola ‘garden’, simile al nome in questione sia nella forma che nel suono. Parallelamente, in italiano si è mantenuto il nome Gordon come referente di un nome proprio ma è stato invece tradotto ‘garden’ con il corrispettivo ‘giardino’; in questo modo, il lettore italiano può riconoscere nell’esempio la somiglianza della parola giardino (di cui conosce e capisce il significato) con il nome di persona.

È stato scelto di mantenere le onomatopee e le parole non-standard come nella versione originale (p. 7 traduzione, p. 5 testo originale). Le prime sono infatti essenzialmente dei suoni senza particolare significato ma che suggeriscono, acusticamente, un oggetto o un’azione; inutile dunque andare a sostituire un suono senza significato proprio con un altro appartenente ad una diversa lingua ma con caratteristiche analoghe. Per le parole non-standard degli esempi incontrati negli articoli, invece, si è mantenuta la parola, pronunciata quasi sempre dai bambini, al posto del termine corretto, ad esempio ‘baba’ per ‘bottiglia’, traducendo in italiano solo il termine corretto. Inutile dire che il neologismo del bambino assomiglierà di più alla parola inglese ‘bottle’ che a quella italiana ‘bottiglia’, ciononostante, il lettore d’arrivo sarà comunque in grado di comprendere le circostanze dell’esempio, tenendo presente che si tratta di un testo tradotto.

Una puntualizzazione per il lettore di questo elaborato in relazione alla traduzione di alcuni esempi del primo articolo è quella dei sostantivi usati per spiegare gli effetti di similarità (p. 14 traduzione, p. 9 testo originale). Nel testo inglese l’autrice

fa alcuni esempi di situazioni in cui possono avvenire gli effetti di similarità; tra questi, i primi due esempi sono, rispettivamente, due parole inglesi che condividono il fonema iniziale e due parole che rimano. Mentre per il primo dei due esempi in questione si è potuto trovare una traduzione ‘adeguata’ che riportasse l’intenzione originale dell’esempio, per la seconda non è stato possibile. Nel testo inglese troviamo le parole ‘bird’ e ‘baby’, che condividono il suono consonantico iniziale, e troviamo ‘moon’ e ‘spoon’, che rimano. Per le prime due parole sono stati scelti ‘pennuto’ e ‘piccolo’, traduzioni che, sebbene non siano le prime e più comuni accezioni delle rispettive parole, rappresentano pur sempre una delle possibilità di scelta del passaggio da una lingua all’altra. Per la seconda coppia di parole non è stata trovata una traduzione per entrambi i termini che rimasse in italiano così come in inglese. Si è perciò optato per mantenere la traduzione di una delle due parole del testo originale (moon>luna) e sostituire il secondo termine con tutt’altro sostantivo italiano in modo da rispettare la rima con luna (in questo caso è stato scelto il termine ‘fortuna’), rinunciando alla letterale traduzione di spoon (>cucchiaio).

Per quanto riguarda le scelte traduttive che hanno caratterizzato questo elaborato, credo sia doveroso soffermarsi brevemente sulle scelte fatte per il lessico settoriale. Una delle principali difficoltà, se non la maggiore, incontrate nel tradurre i tre articoli sul word retrieval è stata quella del lessico specialistico, ossia la traduzione di tutti i vocaboli e le terminologie specifiche e proprie di questo settore. Trattandosi di un settore di ricerca estremamente ampio, cui si sono interessati studiosi di tutto il mondo, buona parte della terminologia relativa alla neurolinguistica, alla memoria, alle scienze cognitive nel loro complesso, e persino alla psicologia, utilizza vocaboli in inglese che non sempre hanno un esatto corrispettivo in italiano.

Si può portare ad esempio il termine inglese priming, la cui prima accezione nell’elaborato si incontra nel primo dei tre articoli (p. 4 traduzione), oppure il termine

span (numerico), che incontriamo invece per la prima volta nel terzo articolo (p. 3

traduzione). È stato scelto di lasciare entrambi questi termini in inglese nella versione italiana, ma esaminiamone adesso brevemente le motivazioni.

La parola inglese priming, che si è scelto di mantenere, nel campo della linguistica e della neurolinguistica è ormai consolidata e utilizzata anche nella lingua italiana. Non essendo disponibile un corrispettivo che traduca in modo esauriente e pieno il concetto di priming e potendolo considerare termine settoriale a livello internazionale, la parola in questione tende a essere mantenuta nella sua forma inglese in tutti gli studi linguistici già da tempo33. Il priming è un fenomeno che agisce sull’attivazione, sia essa semantica, concettuale o associativa, di una parola ma non è l’attivazione vera e propria, si tratta piuttosto di un’esposizione ad uno stimolo, il quale influenza inconsciamente la risposta a un altro stimolo. Talvolta viene tradotto

33 Vedere Eduardo Navarrete, “La selezione lessicale per competizione e il compito figura-parola. Una rassegna critica”,

Giornale italiano di psicologia, Dicembre 2014; Stefano Rastelli, “La ricerca sperimentale sul linguaggio: acquisizione,

in italiano con ‘innesco’ o ‘innesco linguistico/semantico’; si tratta però di una traduzione che può ritenersi incompleta, in quanto un innesco tende solitamente a essere più metodico, mentre il fenomeno di priming tende ad essere soggettivo e istintivo.

Per quel che riguarda invece i termini digit span, che troviamo soprattutto nel terzo articolo di questo elaborato, si è qui optato per la traduzione ‘span numerico’. Tradotto in altri studi anche con ‘span per i numeri’ o ‘intervallo delle cifre’, in molti casi si preferisce optare per una traduzione parziale, ossia una traduzione dove il termine che si riferisce ai numeri viene tradotto nella lingua di arrivo, mentre il termine span viene lasciato in inglese. La parola span letteralmente può essere tradotta con ‘arco’, ‘periodo’ o, più comunemente, ‘intervallo’; in questo caso, quello che più genericamente viene chiamato memory span è, in neurolinguistica, un indice di misura della capacità della memoria a breve termine. Si parla di digit span quando la memoria viene quantificata numericamente invece che con lettere o parole. Per la misurazione della memoria, solitamente il soggetto ascolta una serie di numeri e dopo cerca di ricordarne il maggior numero possibile e il più a lungo possibile.

Un altro aspetto importante su cui soffermarsi è quello relativo alla traduzione dei titoli dei singoli studi presi in esame e, in particolar modo, l’analisi delle scelte lessicali relative al concetto di word retrieval, termine questo presente nelle intestazioni e ricorrente nei testi. Per quanto riguarda il primo dei due punti, nei titoli dei tre studi sono state conservate le costruzioni sintattiche di partenza, traducendo i rispettivi sintagmi con quello che è stato reputato il miglior corrispettivo in italiano e riproponendo poi la stessa traduzione anche nel contenuto del testo così da provare a garantire una certa coerenza globale. La scelta che ha prevalso, parlando invece del concetto vero e proprio di word retrieval, è stata quella dell’opzione traduttiva ‘recupero lessicale’; tra le varie possibilità di traduzione che si potevano prendere in considerazione, c’erano ‘recupero di una parola’ o ‘richiamo lessicale delle parole’. Alle volte invece di ‘recupero lessicale’ sono stati usati il sostantivo ‘richiamo’ o il verbo ‘richiamare’ per riportare in italiano il concetto di word retrieval, questo per evitare quei casi in cui nel testo inglese veniva fatto ripetutamente riferimento al concetto ma le ripetizioni sarebbero suonate ridondanti al lettore italiano. Concettualmente, in ambito linguistico e cognitivo, il ‘recupero’ è assimilabile all’idea di un processo di ricerca che avviene nella mente dell’individuo, più o meno consapevolmente a seconda delle circostanze; il ‘richiamo’ si riferisce più a un processo mnemonico occasionale, il richiamo di una data parola che avviene in una circostanza specifica. Va da sé che la differenza è sottile e, talvolta, anche abbastanza soggettiva, ogni lettore infatti tenderà ad associare all’uno o all’altro termine i riferimenti che crede più opportuni, anche in base alla propria conoscenza enciclopedica.

Altro termine ricorrente all’interno del testo è ‘espansione lessicale’, in inglese

riferimento a quella fase dello sviluppo linguistico di un bambino in cui avviene un incremento repentino del vocabolario produttivo e recettivo. L’acquisizione di nuove parole aumenta notevolmente e di solito da questo momento in poi il tasso di sviluppo linguistico va progressivamente aumentando. Questo momento di passaggio avviene mediamente nei bambini tra i 15 e i 20 mesi ed è caratterizzato da questo cambio, abbastanza improvviso, nella quantità e nella qualità sia della produzione che della comprensione delle parole. In inglese è indicato con il termine spurt che, letteralmente, si potrebbe tradurre con ‘scatto’, ‘sprint’, ‘picco’. Nella letteratura italiana c’è la tendenza a usare di solito l’espressione ‘espansione lessicale’, motivo per cui si è optato per tale scelta traduttiva anche nel presente elaborato; è però doveroso puntualizzare che, una possibile traduzione alternativa come ‘picco del vocabolario’, sarebbe probabilmente più vicina all’inglese ‘spurt’ e potrebbe trasmettere più efficacemente al lettore quel senso di aumento repentino che viene espresso dal termine inglese.

Nello studio della ricercatrice Lisa Gershkoff-Stowe vengono citati i due libri utilizzati dagli sperimentatori per testare il campione di bambini. I due testi in questione sono: The Bunny Book, appositamente creato per i test linguistici in questo esperimento, e Polar Bear, Polar Bear, What Do You Hear? di Bill Martin Jr. Nell’arco del testo, quando venivano citati o ci si riferiva ai contenuti di uno dei due libri, i titoli sono sempre stati tradotti in italiano, rispettivamente con i titoli ‘Il libro del

coniglietto’ e ‘Orso polare, orso polare che cosa senti?’, alle volte abbreviati (ad

esempio solo ‘il libro Dell’Orso Polare’), altre volte invece citati nella loro completezza. Non essendo infatti mai stati tradotti, di entrambi i libri non esiste una versione in italiano ufficiale, ciononostante i titoli dei due volumi si possono tradurre, in modo generico, con le due diciture sopra indicate, così da permettere anche al lettore italiano di avere un possibile equivalente nella propria lingua.

Un ultimo punto su cui vorrei soffermarmi, prima di concludere, è quello relativo al percorso che ha poi portato a questa traduzione. Partendo da come sono ‘entrata’ nell’ambito degli studi sulla memoria, fino ad arrivare a capire i meccanismi dell’Analisys of Variance, passando attraverso tutta una serie di fonti diverse, ho potuto prima comprendere meglio i diversi aspetti dell’argomento di cui stavo trattando e poi tradurre e analizzare il materiale con maggiore consapevolezza.

Di fondamentale importanza per comprendere il tema della memoria e tutti i suoi meccanismi sono stati i testi di Alan Baddeley, in particolar modo: La memoria, 1993 e La memoria umana: teoria e pratica, 1990, quest’ultimo sia nella sua versione italiana che quella inglese. Uno tra i più insigni studiosi dell’ambito cognitivo, Alan Baddeley ha scritto numerosi testi sul funzionamento della mente, focalizzando i suoi studi soprattutto sul modello della working memory. I suoi testi e i suoi articoli sono serviti come base conoscitiva dell’argomento trattato; il testo La memoria, sebbene risalga a qualche anno fa, spiega in maniera chiara ed esauriente le componenti base della memoria, il suo funzionamento e i vari aspetti che influiscono sulla vita

quotidiana delle persone, senza tralasciare i principali cenni storici della disciplina. Tali informazioni mi hanno permesso di capire le basi teoriche su cui sono state poi postulate ipotesi e condotti studi relativi ai meccanismi mnemonici.

Per la parte relativa alla fisionomia della mente, ho consultato il libro del ricercatore italiano Franco Fabbro, Il cervello bilingue: neurolinguistica e poliglossia, 1996. Si tratta di un testo più tecnico e orientato soprattutto sull’aspetto fisiologico della mente, molto utile per capire e comprendere i meccanismi cerebrali e le sue componenti. Di più recente data è invece Neuropsicologia del linguaggio, 2006, di Salvatore M. Agliotti e Franco Fabbro, in cui i due autori trattano l’argomento non solo da un punto di vista dell’evoluzione linguistica ma ponendo anche l’attenzione sui disturbi del linguaggio di adulti e bambini.

Per quanto riguarda invece l’aspetto traduttivo, mi sono affidata alle osservazioni e agli spunti di manuali sulla traduzione, oltre alla consultazione del materiale accademico specialistico raccolto negli anni. Si possono citare: Il manuale

del traduttore: guida pratica con glossario, 1998, di Osimo, La traduzione specializzata: un approccio didattico professionale, 2008, di Federica Scarpa, Il testo psicologico: aspetti della traduzione e della letteratura in lingua inglese, 1988, di R.

Rossini Favretti e M. Bondi Paganelli e La voce del testo, l’arte e il mestiere di tradurre, 2012, di Franca Cavagnoli. Ovviamente stiamo parlando di testi che trattano di traduzione nel suo complesso, che non necessariamente danno indicazioni specifiche per la traduzione nel campo della neurolinguistica e delle scienze cognitive. Ciononostante, hanno fornito le linee guida per tutte quelle circostanze traduttive che si possono presentare nel passaggio da una lingua di partenza a quella d’arrivo e sono