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E FISSAZIONE DEI TERMINI EX ART. 13, LEGGE 2359/1865

Consiglio di Stato, sez. IV, 16 febbraio 1998, n.

283 – Pres. Iannotta – Est. La Medica – Pons M.L. c. Comune di Codevigo

2. 67379

È manifestamente infondata la questione di costitu-zionalità dell’art. 9 della legge 18 aprile 1962, n.

167, con riferimento alla durata del vincolo espro-priativo delle aree ricomprese nel piano di edilizia economica e popolare, in quanto la norma contiene pur sempre una scadenza temporale predeterminata e lo stesso termine, specie in considerazione degli in-teressi pubblici al cui soddisfacimento il piano è pre-ordinato, non si rivela irragionevolmente lungo.

... Omissis ...

Diritto

1. È opportuno preliminarmente precisare, anche al fine di circoscrivere l’oggetto dell’appello in esa-me, che l’appellante Pons Maria Luisa in Trevisan, proprietaria di alcuni terreni coinvolti dal P.E.E.P. al Comune di Codevigo in questione, era stato notifica-to l’avviso di intervenuta approvazione del piano stesso fin dal 24 ottobre 1981, ma l’interessata non aveva ritenuto di proporre alcuna tempestiva impu-gnazione, né di censurare in alcun modo il dimensio-namento o la regolarità formale e sostanziale del pia-no.

Con atto di diffida notificato in data 2 aprile 1986, l’istante ha successivamente chiesto al Comune di

«riesaminare il P.E.E.P. apportandovi le modifiche riduttive»; avverso poi, il silenzio serbato dall’Am-ministrazione in merito all’anzidetta diffida ha pro-posto ricorso al Tar del Veneto affinché fosse dichia-rato illegittimo il predetto silenzio–rifiuto ed illegittime le mancate operazioni di ridimensiona-menti e fosse, quindi, ordinato al menzionato Comu-ne di effettuare il ridimensionamento in argomento, impartendo eventuali direttive e fissando il termine del caso.

Il ricorso al Tar è stato respinto con sentenza della sez. I, 29 aprile 1989, n. 314, in base alla precipua considerazione che il Comune non era tenuto ad adottare alcun provvedimento per il ridimensiona-mento del P.E.E.P. e che, per conseguenza, non era obbligato a rispondere alla medesima diffida.

2. L’interessata impugna la ricordata sentenza ec-cependo, anzitutto, l’incostituzionalità dell’art. 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167 («Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edi-lizia economica e popolare»), in quanto la durata di validità di 18 anni attribuita ai piani in argomento

non rispetterebbe i requisiti di attualità, congruità e ragionevolezza dell’interesse pubblico che possono giustificare il sacrificio della proprietà privata; in proposito fa richiamo all’ordinanza del Tar dell’Emilia–Romagna 18 gennaio 1986, n. 1, che aveva sollevato la stessa questione di legittimità co-stituzionale.

L’eccezione, pur sollevata per la prima volta in questa fase di giudizio, non è soggetta ad alcuna pre-clusione, poiché la questione di legittimità costitu-zionale può essere sollevata «all’inizio di ogni ulte-riore grado di giudizio» e anche d’ufficio (artt. 23 e 24, legge 11 marzo 1953, n. 87).

Al riguardo, stante l’espresso richiamo alla citata ordinanza del Tar dell’Emilia–Romagna, sembra op-portuno ricordare che la questione di legittimità co-stituzionale delle norme concernenti la durata di vali-dità dei piani di edilizia economica e popolare è stata sollevata in occasione di un procedimento d’espro-priazione per pubblica utilità, subordinatamente al mancato accoglimento della questione della omessa indicazione del termine per l’inizio ed il compimento dei lavori ai fini dell’esecuzione delle opere previste nei medesimi piani; peraltro, la Corte costituzionale, con ordinanza 24 febbraio 1988, n. 263, dopo aver af-fermato che secondo il costante orientamento giuri-sprudenziale, la fissazione di tali termini costituisce

«regola indefettibile per ogni e qualsiasi procedi-mento espropriativo», ha dichiarato manifestamente inammissibile la sollevata questione.

Nessun elemento a sostegno dell’illegittimità del temine di durata del P.E.E.P. può, quindi, trarsi dalla richiamata ordinanza della Corte costituzionale.

La questione è, comunque, manifestamente infon-data, dovendosi osservare che la norma sospettata di illegittimità costituzionale contiene pur sempre un vincolo di scadenza temporale predeterminata e che lo stesso termine, specie in considerazione degli inte-ressi pubblici al cui soddisfacimento il piano è preor-dinato, non si rivela irragionevolmente lungo (Cons.

Stato, sez. IV, 6 ottobre 1983, n. 704).

3. Con altro motivo di gravame, l’appellante de-duce la decadenza del P.E.E.P. per omessa emanazio-ne degli strumenti di attuazioemanazio-ne nonché per la man-canza di qualsiasi aggiornamento.

In disparte la questione se il riferito motivo d’ap-pello possa considerarsi come formulazione di ulte-riori argomentazioni a sostegno del motivo dedotto in primo grado di non corretto dimensionamento del P.E.E.P., ovvero si riveli come motivo del tutto nuovo e, quindi, inammissibile, si deve qui ribadire che le conclusioni cui è pervenuto il Tar si appalesano im-muni dalle censure dedotte dall’appellante e perciò, vanno pienamente condivise.

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GIURISPRUDENZA L’asserito sovradimensionamento dell’originaria

previsione del P.E.E.P., in assenza di una impugna-zione proposta nei termini, non è attualmente più contestabile.

Resta, tuttavia, salva la potestà del Comune, nell’ambito della sua autonoma e discrezionale valu-tazione, di procedere alle variazioni del caso, ove sussistano ragioni di pubblico interesse, ma si deve, comunque, escludere che sussista un obbligo dell’Amministrazione di provvedere tal senso, come afferma l’appellante.

Né si può seguire la medesima istante là dove fa richiamo alla norma di cui all’art. 38 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituita dall’art. 1 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, conv. con mod. dalla leg-ge 27 giugno 1974, n. 247, per sostenere la sua

richie-sta di ridimensionamento del P.E.E.P. La predetta norma, invero, si limita a stabilire che i programmi di attuazione del P.E.E.P. e le varianti di aggiorna-mento annuale sono approvati con delibera imme-diatamente esecutiva e soggetta al solo controllo di legittimità; peraltro tali varianti, che non hanno ca-rattere assolutamente obbligatorio, non riguardano il P.E.E.P., ma il programma pluriennale di attuazione che va aggiornato di anno in anno, ferma restando la previsione del piano che ha durata complessiva di 18 anni.

4. In base alla pregresse considerazioni il ricorso in appello della signora Pons Maria Luisa in Trevisan deve essere respinto.

... Omissis ...

IL COMMENTO

di Giacomo Valla

È ormai un dialogo tra sordi. Sulla questione del termine di efficacia del vincolo espropriativo delle aree ricomprese nei piani di edilizia economica e po-polare e sulla necessità (o superfluità) di fissare i ter-mini di inizio e ultimazione dei lavori (ai sensi dell’art. 13, l. n. 2359/1865) per le espropriazioni delle stesse aree, tra Consiglio di Stato e Corte costi-tuzionale si assiste a un contrasto interpretativo spes-so connotato da equivoci e reticenze, che stenta a comporsi . La soluzione del contrasto sarà natural-mente imposta dalla prevalenza della funzione di ga-ranzia costituzionale della juris dictio del Giudice delle leggi, a meno di un imprevisto revirement della giurisprudenza della Consulta.

La decisione in epigrafe rappresenta l’ultimo equivoco in ordine di tempo. E rappresenta ancora un’occasione mancata dal Consiglio di Stato per ade-rire finalmente all’interpretazione costituzionalmen-te orientata delle norme che disciplinano le espro-priazioni delle aree comprese nei piani di zona.

Il percorso interpretativo della giurisprudenza L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 23 maggio 1984 n. 11 (1), pur ribadendo che la disposizione di cui all’art. 13 della legge fon-damentale n. 2359/1865 esprime un principio gene-rale, di rilevanza costituzionale, aveva affermato che l’art. 13 medesimo «è sostituito ed assorbito, per le espropriazioni conseguenti ai piani di zona, dalle di-sposizioni speciali che delimitano nel tempo ope le-gis, l’efficacia del piano stesso, nonché da quelle (ad esempio programmi di attuazione) che in vario modo disciplinano i ritmi temporali di attuazioni di esso».

L’adunanza plenaria aveva contestualmente dichia-rato manifestamente infondata l’eccezione di inco-stituzionalità delle norme che prevedevano l’assog-gettamento delle aree del P.E.E.P. ad espropriazione per un tempo eccessivo.

Osservava a tal proposito il Collegio: a) anche l’art. 13, pur richiedendo l’apposizione dei termini, non stabilisce un termine massimo, sicché «sarebbe-ro concepibili e legittimi, termini decennali o

ultra-decennali»; b) l’esigenza di delimitare nel tempo il potere espropriativo va contemperato con l’esigenza della P.A. di «una programmazione di ragionevole ampiezza»; c) la maggior durata del vincolo è com-pensata dalla complessità del procedimento di for-mazione del P.E.E.P. e dagli «inerenti limiti alla di-screzionalità dell’Amministrazione».

Quanto poco persuasive siano le argomentazioni utilizzate dall’Adunanza plenaria a sostegno della ci-tata decisione pare agevole considerare (2).

La circostanza che neanche l’art. 13, l. n.

2359/1865 preveda termini massimi giammai giusti-ficherebbe, infatti, la legittima apposizione di termi-ni addirittura decennali o ultradecennali, in confor-mità alla ratio che ispira la norma.

La fissazione dei termini di inizio e ultimazione dei lavori e delle espropriazioni attiene agli stessi presup-posti di costituzionalità dell’espropriazione (3).

Il precetto di cui all’art. 42, comma 3, della Costi-tuzione, secondo cui un’espropriazione non può es-sere consentita dalla legge se non per motivi di inte-resse generale, postula che fin dal primo atto della procedura espropriativa debbano risultare definiti, tra l’altro i tempi di essa, giacché i bisogni ai quali è preordinata l’espropriazione e la possibilità stessa di far luogo alla soddisfazione di tali bisogni devono es-sere caratterizzati, fin dal momento in cui

l’espro-Note:

(1) In Giust. civ., 1984, 3216, con nota critica di L. Marotta, Sull’obbligo della pubblica amministrazione di fissare i ter-mini di cui all’art. 13 della l. 25 giugno 1865 n. 2359 per le espropriazioni delle aree comprese nei piani di edilizia eco-nomica e popolare previsti dalla l. 18 aprile 1962 n. 167, cui si rinvia per l’ampia disamina della questione.

(2) Per la confutazione analitica della trama argomentativa della decisione, v. L. Marotta, op. cit. sub nota che precede.

(3) Cons. Stato, Ad. plen., 26 agosto 1991, n. 6, in Foro it., 1992, III, 313, sulla necessaria contestualità dell’apposizio-ne dei termini dell’apposizio-nell’atto della dichiaraziodell’apposizio-ne di pubblica utilità dell’opera e sulla impossibilità di assolvere a tale onere con atto successivo e con effetti di sanatoria ex tunc.

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GIURISPRUDENZA

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priazione viene autorizzata, da un sufficiente punto di effettività e concretezza (4).

Se i termini di cui all’art. 13 citato assolvono quin-di alla funzione quin-di assicurare concretezza alla potestà ablativa, manifestando la serietà e l’urgenza dell’in-tervento espropriativo (5), appare tutt’altro che le-gittimo e conforme alla ratio della norma concepire termini decennali o ultradecennali per l’ultimazione dei lavori delle espropriazioni.

Quanto all’interesse pubblico ad una «program-mazione di ragionevole ampiezza», pare sufficiente considerare che l’intervento espropriativo attiene al-la fase esecutiva del piano di zona, che è strumento di pianificazione urbanistica e programma di inter-venti sul territorio. L’esigenza di «serietà» e «concre-tezza» dell’espropriazione non riguarda affatto la fa-se (antecedente) programmatoria, bensì la fafa-se attuativa dell’intervento pubblico.

Anche la terza osservazione formulata dall’Adu-nanza plenaria, circa la presunta compensazione del-la maggior durata del vincolo espropriativo con del-la complessità del procedimento di formazione del P.E.E.P. e con gli inerenti limiti alla discrezionalità dell’amministrazione, appare ben lungi dal persua-dere. Rimarcata l’autonomia della vicenda espro-priativa rispetto a quella pianificatoria, è sufficiente rilevare che l’argomentazione prova troppo. Essen-do infatti pacifica la necessaria conformità delle ope-re pubbliche o di pubblico inteope-resse agli strumenti ur-banistici, dovrebbe quindi ammettersi – se si aderisse alla tesi dell’Adunanza plenaria – la generale super-fluità della fissazione stessa dei termini di cui all’art.

13, poiché il privato sarebbe tutelato dal procedi-mento di formazione del piano urbanistico o delle sue varianti. È viceversa noto che la giurisprudenza è ferma nel ritenere l’indefettibilità di tali termini nel provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’opera (6) (salva appunto l’ipotesi di espropria-zioni delle aree dei piani di zona e, più di recente, per le espropriazioni in cui l’ambito temporale per l’ef-fettuazione dei lavori sia stabilito direttamente dalla legge) (7).

In ordine ai limiti alla discrezionalità dell’Ammi-nistrazione nell’approvazione del P.E.E.P. e alla sin-dacabilità delle relative scelte, quale efficace tutela del privato rispetto ai velleitarismi espropriativi, sia poi consentito dubitare (8).

La decisione n. 11/1984 dell’Adunanza plenaria faceva eco, peraltro, alle sentenze delle Sezioni unite della Cassazione nn. 5515, 5516 e 5517 dell’8 set-tembre 1983 (9). La Suprema Corte, affermando la giurisdizione del Giudice amministrativo in relazio-ne alla controversia concerrelazio-nente il decreto di espro-priazione di aree per l’esecuzione del P.E.E.P. in quanto non preceduto da una dichiarazione di pubbli-ca utilità contenente i termini per l’esecuzione dei la-vori e delle espropriazioni («...il solo fatto della ri-comprensione di un’area in un «piano di zona»

debitamente approvato comporta l’affievolimento del diritto di proprietà della stessa...»), aveva ritenuto comunque non necessaria, in tale ipotesi, la fissazio-ne dei predetti termini. Le Sezioni unite osservano a tal proposito: «Secondo la consolidata giurispruden-za del Consiglio di Stato, il provvedimento di appro-vazione del piano di zona ha efficacia (per espressa

disposizione di legge) di provvedimento dichiarativo della pubblica utilità; e il termine legale di validità del piano (quindici anni: art. 1, d.l. 2 maggio 1974, n. 115, come modificato dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247) è il termine ultimo entro il quale devono essere iniziati e compiuti le espropria-zioni e i lavori. Se l’art. 13, legge 25 giugno 1865, n.

2359 va interpretato nel senso che devono essere in-dicati, in modo separato, i termini per l’inizio e il compimento dei lavori, la nuova normativa ha inno-vato sostituendo, alle dette indicazioni, la prefissione di un unico termine, indicato dalla stessa legge e de-corrente dalla data di approvazione del piano di zona, entro il quale ogni attività deve essere compiuta».

In relazione al tema in esame, uno snodo della sen-tenza delle Sezioni unite n. 5516/1983 appare partico-larmente significativo: «Per compiutezza di indagine si può ricordare che il Tar Emilia–Romagna, con ordi-nanza 23 gennaio 1980 (10) ha rimesso alla Corte Co-stituzionale la questione di sospetta illegittimità dell’art. 11 della ricordata legge 22 ottobre 1971, n.

865, «nella parte in cui non prevede la fissazione di appositi termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavo-ri». Questione, questa, che potrebbe avere una certa ri-levanza nel caso concreto (anche se la norma oggetto di denuncia potrebbe essere un’altra, quanto meno perché l’art. 11, sopra indicato prevede, pur sempre, per i casi in cui «occorra», una specifica dichiarazione di pubblica utilità, la quale, proprio perché specifica, non potrebbe essere emessa altro che nel modo pre-scritto dall’art. 13 della legge fondamentale), se si in-terpretasse l’art. 9, legge 18 aprile 1962, n. 167 nel senso che abbia voluto configurare una dichiarazione di pubblica utilità contenente la previsione dei termini solo per l’inizio e il compimento delle espropriazioni e non anche per l’inizio e il compimento dei lavori. In-terpretazione, questa, che fonderebbe la sua ratio nell’interpretazione letterale dell’ultimo comma della norma predetta, la quale recita: «le aree comprese nel piano rimangono soggette, durante il periodo di effi-cacia del piano stesso, ad espropriazione a norma de-gli articoli seguenti, per i fini di cui al comma 1 dell’art. 1». Ma, data la genericità dell’espressione

Note:

(4) Cfr. Corte Cost., 6 luglio 1966, n. 90, in Foro it., 1967, I, 177.

(5) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 1993, n. 1029, in Riv. amm. R.I., 1994, 489.

(6) Da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1383 e 27 novembre 1997, n. 1326, in questa Rivista, 1998, 326 e 327 (m), con note di richiami.

(7) Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1998, n. 48, in Rass. Il Consiglio di Stato, 1998, I, 24 (m), con riferimento ad espro-priazione attuativa di un piano A.S.I.; e Cass., sez. I, 3 di-cembre 1997, n. 12242, in Gazzetta giur. Giuffrè, 1998, 42, in relazione a procedimento attuativo di un decreto. di vinco-lo di edilizia scolastica.

(8) Sul tema del dimensionamento dei P.E.E.P., cfr., da ulti-mo, Cons. Stato, Ad. plen., 3 luglio 1997, n. 12, in questa Ri-vista, 1998, 300, con nota di A. Travi.

(9) La prima e la terza in Giust. civ., 1983, I, 2571; la seconda in Foro it., 1984, I, 492, con nota di richiami.

(10) In G.U. n. 18 del 19 gennaio 1983.

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GIURISPRUDENZA adoperata («rimangono soggette ad espropriazione»),

non riesce difficile interpretare la norma in questione nel senso che, con l’uso di quella espressione, si sia in-teso semplicemente chiarire all’interprete che alla di-chiarazione di pubblica utilità espressa con la forma del provvedimento di approvazione del piano di zona consegue lo stesso effetto giuridico che, normalmen-te, consegue alla dichiarazione di pubblica utilità pro-nunciata nei modi e con le forme del ricordato art. 13 della legge fondamentale».

Quindi, ad opinione della Suprema Corte, l’art. 9 della l. n. 167/1962, ancorché riferisca espressamen-te la durata dell’efficacia del piano alla sola «espro-priazione», intende ricomprendere anche i «lavori».

Per tale ragione, la Cassazione aveva escluso la rile-vanza della questione di costituzionalità così come delibata dal Tar Emilia–Romagna.

Sta di fatto che la Corte costituzionale, con ordi-nanza n. 257 del 3 marzo 1988 (11), aveva lapidaria-mente dichiarato la manifesta infondatezza della questione rimessale dal Tar Emilia–Romagna «con-siderato che analoga questione è già stata dichiarata infondata con sentenza 21 dicembre 1985, n. 355, sul rilievo che, sebbene la l. n. 865/1971 taccia in ordine alla fissazione dei termini per l’inizio e la ultimazio-ne dei lavori «la giurisprudenza è del tutto costante e pacifica nel senso che la fissazione di tali termini costituisce regola indefettibile per ogni e qualsiasi procedimento espropriativo».

Nella laconica pronuncia della Corte Costituziona-le, che rinvia alla propria conforme sentenza n.

355/1985, due profili appaiono significativi: a) la pe-rentorietà con cui è affermata la indefettibilità della fissazione dei termini ex art. 13, l. n. 2359/1865 «per ogni e qualsiasi procedimento espropriativo»; b) la ri-tenuta univocità della giurisprudenza sull’argomento.

Quanto al secondo profilo, risulta assai arduo rite-nere che alla Corte fosse sfuggito l’orientamento contrario inaugurato dalla Cassazione con le senten-ze innanzi ricordate del 1983, cui ha poi aderito il Consiglio di Stato, con la decisione dell’adunanza plenaria n. 11/1984 (12).

Non appare pertanto comprensibile la ragione per la quale la Corte, con specifico riferimento alla que-stione della fissazione dei termini ex art. 13, l. n.

2359/1865 per le espropriazioni nei piani di zona, as-suma la pacificità di un orientamento giurispruden-ziale viceversa diametralmente opposto.

Nella stessa data del 3 marzo 1988, con ordinanza n. 263 (13), pronunciandosi sulle questioni rimesse da altra ordinanza del Tar Emilia–Romagna, la Corte costituzionale aveva peraltro dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni:

— in riferimento all’art. 42 Cost., dal combinato disposto dell’art. 11, comma 1, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e dell’art. 9, legge 18 aprile 1962, n. 167, nella parte in cui non prevede che l’autorità espro-priante fissi il termine per l’inizio e il compimento dei lavori ai fini della esecuzione delle opere previste nei piani di edilizia economico–popolare, per la me-desima motivazione dell’ordinanza n. 257;

— in riferimento agli artt. 3, 42 e 97 Cost., degli artt. 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167; 1, d.l. 2 mag-gio 1974, n. 115, e 51, legge 5 agosto 1978, n. 547, nella parte in cui attribuiscono ai piani di edilizia

eco-nomico–popolare validità di diciotto anni, perché

«viene nell’ordinanza di rimessione espressamente subordinata al mancato accoglimento della questio-ne precedente, poiché soltanto la ritenuta iquestio-nesistenza di termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori ren-derebbe operante il limite dei diciotto anni previsto per la validità dei piani di edilizia economico–popo-lare, limite considerato tale da imporre alla proprietà privata uno sproporzionato sacrificio».

La scelta della Corte costituzionale di pronunciar-si sulla specifica questione con pronuncia di rigetto

«interpretativa» è stata forse condizionata dall’

«equivoco» di una giurisprudenza ritenuta «pacifi-ca» nel senso prospettato dalla stessa Corte.

La Corte costituzionale è tuttavia nuovamente in-tervenuta sulla questione in maniera più «consape-vole» e, dando atto esplicitamente del contrario avvi-so della giurisprudenza, ha confermato (ancora una volta con una pronuncia di rigetto «adeguatrice») il proprio orientamento.

Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costitu-zionale dell’art. 1 bis aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 dalla legge di conversione 1° marzo 1985, n. 42, sulla proroga di efficacia dei piani di zo-na scadenti entro il 31 dicembre 1987, con sentenza 30 marzo 1992, n. 141 (14) la Corte ha dichiarato non fondata la questione sul rilievo, tra l’altro, che la pro-prietà privata è tutelata dagli atti tipici del procedi-mento espropriativo.

Conviene, a tal proposito, trascrivere le argomen-tazioni sviluppate dalla Corte: «Tra tali atti è da ri-chiamare quello di fissazione dei termini per l’inizio e l’ultimazione delle espropriazioni e dei lavori,

Conviene, a tal proposito, trascrivere le argomen-tazioni sviluppate dalla Corte: «Tra tali atti è da ri-chiamare quello di fissazione dei termini per l’inizio e l’ultimazione delle espropriazioni e dei lavori,