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PIANIFICAZIONE IN AREA PORTUALE E OBBLIGO DI INTESE

Tar Friuli – Venezia Giulia, 18 marzo 1998, n.

452 – Pres. Bagarotto – Est. Zuballi – Autorità portuale di Trieste c. Comune di Trieste e Re-gione Friuli Venezia Giulia

2.27117

La legislazione regionale del Friuli – Venezia Giu-lia, Regione dotata di potestà esclusiva in materia, assegna al Comune sia l’adozione che l’approva-zione del piano regolatore generale; la Regione, tuttavia, si vede attribuiti poteri ben più vasti di un semplice controllo, in quanto essa può formulare ri-serve al piano adottato e, in caso di loro mancato superamento, può introdurvi le modifiche ritenute indispensabili.

In tema di adozione ed approvazione dei piani rego-latori comunali, è ammissibile l’impugnazione sepa-rata di ciascuno dei due provvedimenti; in analogia con quanto statuito da pacifica giurisprudenza in materia, l’impugnazione successiva della delibera regionale di conferma dell’esecutività rende impro-cedibile quella relativa alla delibera comunale di approvazione, tenuto peraltro conto del fatto che la Regione, con l’atto finale del procedimento, non si li-mita a dare efficacia alla pregressa delibera comu-nale di approvazione, ma può, sia pure a certe condi-zioni, modificarla.

Il Piano Regolatore Portuale si colloca entro il nove-ro dei piani speciali di competenza di quegli enti pubblici, diversi da Regione e Comune, ai quali leggi statali o regionali attribuiscono specifiche funzioni di pianificazione territoriale. Esso costituisce lo strumento pianificatorio dell’ambito portuale, aven-te natura esclusivamenaven-te aven-tecnica e finalizzato allo svolgimento delle attività portuali; esaurendo la sua funzione all’interno del porto medesimo, il Piano Regolatore Portuale costituisce estrinsecazione del potere spettante all’autorità pubblica che ne ha la di-sponibilità esclusiva di determinare l’assetto viario, la sistemazione degli edifici, la distribuzione degli impianti.

L’adozione e le modifiche sia dei piani comunali sia dei piani speciali – come quello portuale – non sono possibili senza una previa intesa con le altre autorità coinvolte, costituendo l’intesa lo strumento previsto dall’ordinamento in uno spirito di collaborazione tra enti pubblici, mirante a dirimere i contrasti e a trovare accordi.

La volontà di uno dei due enti che stipulano un’intesa può sempre modificarsi nel tempo, almeno prima che

essa abbia avuto concreta realizzazione; per l’effet-to, nel caso di pianificazione in area portuale, il re-cesso in sede di approvazione del piano regolatore comunale dall’intesa precedentemente raggiunta dal Comune con l’Autorità Portuale rende necessa-ria la necessa-riadozione del piano, alla luce del fatto che, se-condo le previsioni della legislazione regionale ap-plicabili al caso di specie, le intese vanno raggiunte nel termine previsto tra l’adozione del piano stesso e la sua successiva approvazione.

In caso di parere negativo di legittimità da parte del Segretario comunale – parere peraltro non più previ-sto alla luce dell’art. 17, comma 85, l. n. 127/1997 – l’onere di motivare la contraria determinazione del Consiglio comunale sulla delibera in discussione è assolto facendo proprie le osservazioni espresse da alcuni consiglieri comunali, indipendentemente dal loro contenuto e dalla loro condivisibilità.

... Omissis ...

Diritto

1.0. I due ricorsi in epigrafe vanno riuniti e decisi congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

Con il primo, l’Autorità portuale ha impugnato la determinazione assunta nella seduta del Consiglio Comunale di Trieste in data 18 marzo 1997, relativa alla «Approvazione Variante Generale n. 66 al Piano Regolatore Generale Comunale», nella parte appro-vativa dell’emendamento «De Rosa» denominato

«Scheda di specificazione degli interventi relativa alle Rive», definitivamente approvata dalla delibera-zione in data 15 aprile 1997, n. 37 del Consiglio Co-munale di Trieste, ravvisata legittima dal Comitato Regionale di Controllo nella sua seduta del 19 giu-gno 1997, il cui esito è stato comunicato con nota di data 20 giugno 1997, pervenuta all’Autorità Portuale in data 25 giugno 1997.

Con il secondo ricorso, ha impugnato il decreto del Presidente della Giunta regionale n. 0300/Pres.

del 23 settembre 1997, pubblicato sul Bollettino uffi-ciale della Regione n. 41 dell’8 ottobre 1997, recante la conferma di esecutività della citata delibera comu-nale di approvazione.

In analogia con quanto statuito da una pacifica giurisprudenza in tema di adozione ed approvazione dei piani regolatori, risulta ammissibile l’impugna-zione di ciascuno dei due provvedimenti.

1.1. Peraltro, l’impugnazione della delibera co-munale di approvazione, risulta superata dall’impu-gnazione del dPGR 0300 che ne ha confermato l’esecutività, per cui il primo ricorso va dichiarato improcedibile, anche nella considerazione che la Regione, con l’atto finale del procedimento, non si

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GIURISPRUDENZA limita (come si approfondirà in prosieguo) a dare

ef-ficacia alla pregressa delibera comunale di approva-zione, ma può, sia pure a certe condizioni, modifi-carla (in senso conforme, Tar Friuli Venezia Giulia n. 117 del 1998).

Si tratta comunque di un’impugnazione parziale, unicamente per la parte in cui la variante n. 66 con-cerne alcune zone ricadenti nell’ambito portuale.

2.0. Quasi tutte le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dal resistente Comune, data la loro natura, non possono essere esaminate e decise sepa-ratamente dal merito, con il quale risultano inscindi-bilmente collegate.

2.1. La prima eccezione invero muove dal presup-posto che l’Autorità portuale sarebbe carente di inte-resse a ricorrere, in quanto le aree oggetto dell’impu-gnazione non sarebbero più nel patrimonio dell’Ente.

L’Autorità portuale poi – nella prospettazione del resi-stente Comune – non preciserebbe a che titolo ricorre-rebbe; inoltre, i due beni de quibus, uno già venduto ai privati e l’altro adibito a piscina, non rientrerebbe tra i beni strumentali all’attività portuale, e quindi per ciò solo risulterebbero estranei al demanio portuale.

Tali eccezioni coinvolgono a tutta evidenza la na-tura e l’oggetto del provvedimento impugnato, e quindi necessariamente devono essere affrontate in una con il merito.

2.3. Con un’altra eccezione, il Comune rileva che l’APT ha impugnato un atto, la delibera comunale di adozione, che non ha effetto prima della delibera re-gionale di conferma dell’esecutività.

Su tale eccezione, va osservato che l’APT ha im-pugnato, con il secondo ricorso (l’unico in cui si è co-stituito il Comune), proprio il decreto regionale di conferma dell’esecutività, il che rende infondata l’eccezione in via di fatto ancor prima che in via di diritto.

2.4. Quanto infine alla residua eccezione comuna-le, secondo cui l’Autorità portuale non avrebbe con-siderato le modifiche apposte dalla Regione alla deli-bera comunale, anche in tal caso la questione non può essere affrontata disgiuntamente dal merito.

3.0. Innanzi tutto conviene identificare l’oggetto della parte della variante n. 66 impugnata e contestata.

Si tratta di una modifica apportata dal Comune in sede di approvazione della Variante n. 66 e frutto di un emendamento approvato dal Consiglio comunale, il quale così recita:

Variante generale n. 66 Emendamento

Scheda di specificazione degli interventi relativa alle Rive.

A parziale modifica della Relazione di controde-duzione alle riserve regionali – punto R2 –, si propo-ne di inserire propo-nell’elaborato E a la scheda relativa alle Rive con il seguente testo:

«Nell’ambito delle Rive, limitatamente all’area compresa tra i moli Sartorio e Venezia – zona sogget-ta a potestà pianificatoria concorrente dell’ammini-strazione comunale e dell’autorità portuale – gli in-terventi di demolizione di edifici esistenti e di ristrutturazione edilizia e urbanistica si attuano pre-vio accordo di programma, e ciò in considerazione della peculiarità del territorio, uno degli affacci più

suggestivi della città sul mare, con carattere di gran-de pregio ambientale e architettonico, da liberare da superfetazioni e da edifici incongrui e non più accet-tabili, sul quale inoltre grava una parte considerevole del traffico cittadino, che pone delicati problemi di viabilità.

Per quanto al Comune, l’accordo di programma dovrà comprendere, tenendo conto degli equilibri ur-banistici e architettonici del Borgo Giuseppino:

1. Il progetto di ristrutturazione della viabilità del-le Rive e il connesso sistema di parcheggi;

2. Il possibile restauro e la ristrutturazione dell’ex magazzino dei vini, all’interno dell’attuale volume-tria e con la conservazione delle facciate esistenti;

3. La demolizione della piscina Bianchi e l’auspi-cabile destinazione del suo sedime a solo impianti tecnici a servizio della nautica da diporto, con assolu-ta esclusione quindi di spazi per uso residenziale, ri-cettivo, commerciale, espositivo; l’area coperta non dovrà superare un terzo del sedime e l’altezza massi-ma consentita non dovrà superare metri cinque, fuori terra, compresi i volumi tecnici.

Il riuso dell’area della piscina potrà avvenire solo in seguito alla agibilità della nuova piscina realizzata nel comprensorio dell’ex fabbrica macchine di Sant’Andrea.

L’accoglimento dell’emendamento comporta al-tresì l’integrazione dell’art. 14, I e V comma delle Norme di attuazione come segue:

Art. 14 – I comma

In alcuni ambiti in cui l’attuazione del P.R.G.C. ri-chiede lo strumento attuativo o ha per oggetto aree di particolare rilevanza urbanistica in considerazione della valenza monumentale e storico–documentativa dei siti, si sono predisposte schede di specificazione che sono state ritenute necessarie per indirizzare più precisamente gli strumenti attuativi stessi e le attività di trasformazione delle aree da attuare con Accordo di programma.

Art. 14 – V comma

Tale documento dovrà pertanto essere utilizzato dall’Amministrazione come guida per la elaborazio-ne o valutazioelaborazio-ne degli strumenti attuativi relativi o per la trasformazione delle aree di particolare rile-vanza urbanistica».

La Regione, in sede di decreto di conferma dell’esecutività, con la riserva I 2 relativa alle aree portuali, ha apportato alcune modifiche all’articolo 5.11.5 L2, ma non quindi al testo approvato dal Co-mune. Pertanto viene confutata per tabulas l’eccezio-ne comunale sul punto.

3.1. Va innanzi tutto chiarito un aspetto di fatto, che risulta decisivo per la soluzione della presente controversia.

L’area de qua ricade nelle zone soggette alla piani-ficazione dell’Autorità portuale; si tratta infatti dell’area situata tra i moli Sartorio e Venezia, la qua-le, sulla base della cartografia in atti, rientra pacifica-mente nelle zone soggette a pianificazione portuale.

Del resto, che tale sia la situazione di fatto lo am-mette lo stesso Comune, il quale nelle succitate pre-messe dell’emendamento rileva che la zona è sogget-ta a «potestà pianificatoria concorrente» del Comune e della Autorità portuale.

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GIURISPRUDENZA

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3.2. Il Comune resistente sostiene sul punto – oltre che nella memoria, anche nell’eccezione preliminare ed infine nella discussione svoltasi in pubblica udienza – che la natura dei due beni interessati alla variante, uno già adibito a magazzino e venduto ai privati e l’altro consistente in una piscina gestita da privati, li renderebbe estranei al demanio portuale e quindi soggetti alla disciplina urbanistica comunale.

L’assunto risulta smentito in via di fatto ancor pri-ma che di diritto.

Invero, se la destinazione di fatto dei due beni e la loro collocazione può spiegare la volontà del Consi-glio comunale, e se può formare il presupposto fat-tuale di un evenfat-tuale (e auspicabile) futuro processo di sdemanializzazione dei beni stessi, non li sottrae certo alla loro attuale destinazione, che discende da una incontrovertibile realtà giuridica. I beni infatti appartengono al Demanio marittimo portuale e rica-dono nel territorio della giurisdizione dell’autorità portuale; tutta la cartografia allegata lo dimostra, né il Comune smentisce affatto tale assunto.

Del resto, la controversia è sorta proprio per tale circostanza, né si vede per quale ragione il Comune avrebbe dovuto ricercare un’intesa con l’Autorità portuale se si fosse trattato di beni soggetti alla esclu-siva potestà comunale.

In sostanza, le asserzioni sul punto del patrono del Comune risultano smentite dall’intero comporta-mento comunale nella vicenda de qua, nonché dalla documentazione in atti, né vengono corroborate da un qualsivoglia supporto, laddove basterebbe un cer-tificato tavolare a dimostrare l’assunto comunale.

È stata anzi la ricorrente Autorità portuale a dimo-strare, con un apposito certificato tavolare depositato in causa, la proprietà della piscina Bianchi, cioè di uno dei due beni de quibus.

Quanto all’ex Magazzino Vini, il secondo bene im-mobile interessato dalla vicenda de qua, la sua collo-cazione all’interno del demanio portuale non risulta discutibile, alla luce della cartografia versata in causa.

4.0. A questo punto va precisata quale è la norma-tiva applicabile alla zona de qua, iniziando da quella statale relativa alle aree portuali. Le aree portuali so-no assoggettate al regime demaniale in virtù dell’art.

28 comma I, lettera a), del Codice della Navigazione.

L’articolo 30 del medesimo Codice prevede che spetta all’Amministrazione della Marina Mercantile regolare l’uso di tali beni, con la possibilità, in parte riconducibile all’articolo 19 del Codice stesso ed in parte alle leggi istitutive degli Enti Portuali, di dele-gare l’esercizio di tale potestà a questi Enti e quindi, in ispecie, all’Autorità Portuale di Trieste.

Già l’articolo 3 della legge 9 luglio 1967, n. 589, recante titolo: «Istituzione dell’Ente Autonomo del Porto di Trieste», prevedeva che:

«l’Ente nel territorio di propria circoscrizione ha il compito di:

(omissis)

«2) Elaborare e proporre, d’intesa con la Regione e gli enti locali interessati, il piano di destinazione e di uso delle aree, nonché il piano regolatore del porto sulla base delle previsioni contemplate dal piano di sviluppo economico regionale e della linea nazionale di sviluppo dei porti, indicando la priorità di attuazio-ne delle nuove opere e degli impianti».

La successiva legge 28 gennaio 1994, n. 84, come modificata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647, re-cante titolo «Riordino delle legislazioni in materia portuale», prevede che:

(art. 27) «I piani regolatori portuali vigenti alla da-ta dell’entrada-ta in vigore della presente legge conser-vano efficacia fino al loro aggiornamento».

(art. 5, comma I) «Nei porti ... l’ambito e l’assetto complessivo del Porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono rispet-tivamente delimitati e designati dal Piano Regolatore Portuale che individua altresì le caratteristiche, la de-stinazione funzionale delle aree interessate».

(art. 5, comma 3) «Nei porti di cui al comma I nei quali è istituita l’Autorità Portuale, il Piano Regola-tore è adottato dal Comitato Portuale previa intesa con il Comune o i Comuni interessati».

4.1. Sulla base di quanto fin qui evidenziato, risulta che lo strumento pianificatore dell’ambito portuale di Trieste è il Piano Regolatore Portuale, nella specie ri-salente al 9 ottobre 1957, e sue successive modifiche, mantenuto ex lege in vigore fino al suo aggiornamen-to, da effettuarsi ex art. 5 legge n. 84/1994.

Conseguentemente, l’Autorità cui è attribuito il potere pianificatorio nell’area pertinente al Demanio Marittimo Portuale ed alla quale è affidata la compe-tenza all’aggiornamento del Piano Regolatore Por-tuale è l’Autorità PorPor-tuale.

In altri termini, il Piano Regolatore del Porto, che esaurisce la sua funzione all’interno del Porto mede-simo, altro non è che l’estrinsecazione del potere che spetta all’autorità pubblica, che ha la disponibilità esclusiva di una parte del territorio a struttura com-posita, di determinarne l’assetto viario, la sistema-zione degli edifici, la distribusistema-zione degli impianti.

È dunque strumento di natura esclusivamente tec-nica, finalizzato allo svolgimento delle attività portua-li e rispetto alle quaportua-li non si innestano di norma rap-porti giuridici con altri soggetti proprio perché l’assetto che ne deriva non incide su beni appartenenti ad altri; ne discende la conseguenza di potersi ritenere sufficiente, ai fini della sua formazione il solo inter-vento delle Autorità Portuali, salva la necessità di inte-se con il Comune, di cui alla succitata normativa.

5.0. Conviene ora richiamare la legislazione re-gionale in materia, nella considerazione che alla stes-sa spetta, in virtù di apposita norma statutaria, la competenza piena in materia urbanistica.

La legge regionale n. 52/1991, recante «Norme re-gionali in materia di pianificazione territoriale ed ur-banistica», già all’articolo 3 si fa carico dei piani spe-ciali di competenza di altri «enti pubblici ai quali leggi statali o regionali attribuiscono specifiche fun-zioni di pianificazione territoriale», richiamando, per il coordinamento di detti piani con quelli regiona-li, comunali e provinciaregiona-li, le disposizioni dell’artico-lo 51 della stessa legge 52/1991.

Non si può dubitare che tra i piani speciali rientri quello di competenza dell’Autorità portuale, attri-buitole come visto sulla base di una speciale legisla-zione statale.

5.1. L’articolo 51, sempre della citata legge regio-nale n. 52 del 1991, prevede una serie di ipotesi rela-tive a possibili contrasti tra gli strumenti urbanistici

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GIURISPRUDENZA di enti cui spetta redigere piani speciali e la

strumen-tazione urbanistica regionale o comunale.

Il comma I dell’articolo 52 si riferisce ai contenuti dei piani speciali, che devono rispettare i contenuti previsti all’articolo 14 per i PTRP, cioè i Piani territo-riali regionali particolareggiati.

Al secondo comma, si precisa che l’accertamento della compatibilità tra piani speciali e le indicazioni dei piani regionali o comunali viene effettuato d’intesa con gli enti titolari della potestà pianificatoria speciale.

Il quarto comma, che più interessa la presente con-troversia, spiega che, qualora vi sia contrasto tra i PRGC (Piani regolatori generali comunali) e il piano speciale, l’ente competente ed il Comune addivenga-no alle intese necessarie.

Se l’intesa manca, si procede secondo quanto pre-visto dall’articolo 4, comma 1, lettera A) del d.P.R.

15 gennaio 1987, n. 469, vale a dire seguendo una procedura di composizione dei contrasti che prevede l’intervento del Consiglio dei Ministri.

5.2. L’articolo 32 della legge regionale n. 52/1991 merita una particolare attenzione, perché su di esso si basa la questione, decisiva nella presente causa, del rispetto o meno da parte del Comune della procedura ivi prevista.

Al primo comma, si afferma che il progetto di va-riante è adottato dal Consiglio comunale ed inviato alla Regione, che cura la pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione (B.U.R.) del relativo avviso.

Il piano viene poi depositato in Comune per trenta giorni, periodo nel corso del quale chiunque può pre-sentare osservazioni ed i proprietari degli immobili vincolati dal piano proporre opposizione.

Nei novanta giorni successivi alla pubblicazione dell’avviso sul B.U.R., la Giunta regionale, sentito il Comitato tecnico regionale ed il Ministero dei beni culturali ed ambientali, comunica al Comune le pro-prie motivate riserve vincolanti, riserve che sono consentite solo in due ipotesi:

a) L’eventuale contrasto tra piano e norme vigenti o le indicazioni degli strumenti urbanistici sovraordinati;

b) La necessità di tutela del paesaggio, qualora sia-no interessati beni e località sottoposti al vincolo paesaggistico ex lege n. 1497 del 1939 e dei comples-si storici, monumentali ed archeologici di cui alla legge n. 1089/1939.

Sempre nei novanta giorni dalla pubblicazione sul B.U.R., il Comune deve raggiungere le intese neces-sarie con le varie amministrazioni.

Decorsi i novanta giorni, il Consiglio comunale può approvare il piano (o la variante generale), qua-lora si siano verificate le seguenti tre condizioni:

1. quando non siano necessarie intese ovvero esse siano state raggiunte;

2. quando non siano state presentate osservazioni od opposizioni;

3. quando non siano state formulate riserve.

Nell’ipotesi opposta, quando cioè vi siano opposi-zioni, osservazioni o riserve regionali, il Consiglio comunale si pronuncia motivatamente sulle osserva-zioni, opposizioni e riserve ed approva il piano, eventualmente modificandolo, oppure decide la sua rielaborazione.

Quest’ultima è indispensabile (e non meramente facoltativa) in due casi: quando le intese non siano

state raggiunte, ovvero quando le modifiche da ap-portare siano tali da incidere sugli obiettivi e sulle strategie di cui all’articolo 30, comma I, lettera a) della legge regionale 52/1991, cioè sugli obiettivi e le strategie che il Comune intende perseguire con il piano stesso.

La deliberazione consiliare di approvazione viene inviata alla Regione; infine la Giunta regionale con-ferma l’esecutività della delibera comunale.

In caso che non risultino superate le riserve, il Pre-sidente della Giunta regionale, sentito il Comitato tecnico regionale, con proprio decreto, dispone l’in-troduzione nel piano approvato delle «modifiche ri-tenute indispensabili» e ne conferma l’esecutività.

L’iter procedurale previsto dalla legge regionale risulta quindi non solo complesso, ma può subire va-riazioni durante il percorso, alcune facoltative ed al-tre obbligatorie.

Come si vede, la normativa relativa alla procedura per l’adozione ed approvazione del piano regolatore

Come si vede, la normativa relativa alla procedura per l’adozione ed approvazione del piano regolatore