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L’estensione del privilegio alla indennità di mora è stata esclusa dal Tribunale di Pisa (20), dal Tribunale di Pescara (21) e dal Tribu

RASSEGNA DI PUBBLI CAZI ONI RECENTI

4. L’estensione del privilegio alla indennità di mora è stata esclusa dal Tribunale di Pisa (20), dal Tribunale di Pescara (21) e dal Tribu

nale di Napoli (22). Il Tribunale di Possano, nel rilevare che l’inden­ nità di mora è una obbligazione accessoria a quella principale tribu­ taria che ha lo stesso scopo degli interessi moratori coi quali presenta una particolare analogia, ha ritenuto applicabile alla detta indennità la norma di cui all’art. 2749 c.c. dispositiva della estensione del privi­ legio accordata al credito, agli interessi dovuti per l’anno in corso (16) V. Andrioli, P r iv ile g i, in C om m en ta rio cod . c iv . dir. da Scialoja e

Branca, libro T u tela d ei d iritti, art. 2740-2899, Bologna-Roma, 1945, pag. 120. (17) P. Guzzardi, P riv ile g io sosta n zia le a fa v o r e della indennità di m ora ,

in G iust. trib ., Ì952, pag. 113.

(18) R . Pr o v in c ia l i, M anu ale di dir. fa ll., I l i ediz., Milano, 1955, p a g . 838.

(19) E. Scandale, L a risco ssio n e d elle im p oste d ire tte , V i l i ediz., Napoli, 1953, pag. 229.

(20) Trib. Pisa, 25 settembre 1950, R iv . dir. fin. e se. fin., 1951, II, 252. (21) Trib. Pescara, 31 dicembre 1952, G iur. it. R e p ., 1953, voce P riv ileg io,

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per sè sola, la naturale estensione del privilegio, si da mantenere integro il contenuto economico della garanzia fiscale. E ciò a prescindere dall’ulteriore argomento desunto dall’identificazione dell’indennità di mora con il più gene­ rale e tradizionale istituto dell’interesse legale, indubbiamente assistito dal privilegio relativo alla sorte capitale per espressa disposizione dell’art. 2749.

Ma, a parte le considerazioni di ordine generale l’ art 2752 cod. civ. e la legge speciale, che disciplina e tutela le riscossioni tributarie (t.u. n. 1401 del 1922), forniscono ulteriori e decisivi elementi per il riconoscimento del pri­ vilegio in esame. Invero il citato art. 2752, come pure gli art. 2771 e 2772, non circoscrive il privilegio ai soli crediti dello Stato per i tributi diretti, ma lo estende ai crediti per imposte tasse e tributi dei comuni e delle provincie, con espressione questa volutamente generica e comprensiva di ogni altra presta­ zione nascente ex lege nel momento stesso nel quale si verificano i necessari presupposti per la costituzione del debito d’imposta.

L ’art. 40 t.u. n. 1401 del 1922, rielaborato dall’art. 15 legge 16 giugno 1939, n. 942 stabilisce ancora che, seguita la vendita, il pretore ordina immediata­ mente « il pagamento all’esattore del suo credito, comprese le spese di esecu­ zione e le indennità di mora », qualora non vi siano creditori privilegiati pre­ valenti o di eguale grado. Il che significa chiaramente che il credito dell’esat-alla data del pignoramento e per quelli dell’anno precedente, affer­ mando che entro questi limiti l’indennità di mora deve godere del pri­ vilegio che assiste il tributo al quale si riferisce (23).

L’estensione del privilegio alla indennità di mora è stata poi af­ fermata dalla Corte di appello di Firenze (24) in sede di gravame av­ verso la sentenza predetta del Tribunale di Pisa e dalla Corte di ap­ pello di Napoli nella sentenza che precede.

La Corte di appello di Napoli ha ritenuto estendersi il privilegio anche alla sopratassa, con esatta motivazione, dovendo distinguersi la sopratassa dalle altre sanzioni previste dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 e concretandosi in un aumento del tributo in misura fìssa diretto « a rendere indenne — come la Corte ha rilevato — l’Erario per l’omis­ sione o il ritardo nell’adempimento ».

Essendo evidente, quindi, lo stretto legame fra indennità di mora e sopratassa, legittima deve ritenersi l’estensione del privilegio a quel­ l’accessorio che non costituisce un debito particolare dovendo essere pa­ gato unitamente all’imposta e in unica soluzione, inseparabile nella fase esecutiva (25), e ciò non senza por mente alla natura civile della

(23) Trib. Rossano, 24 febbraio 1956, in L’esattore delle imposte, 1956, pag. 51.

(24) App. Firenze, 27 ottobre 1951, Foro it., 1952, I, 779.

(25) V. in senso contrario A. Uckm ar, La legge del registro, III ediz., li­

bro III, Padova, 1953, pag. 128 che ritiene che, « dato che la ragione e il fonda­ mento del privilegio risiedono nella causa del credito, e dato che il privilegio è indubbiamente un istituto eccezionale le cui norme non possono estendersi per analogia ma devono interpretarsi restrittivamente » , il privilegio non possa estendersi mancando una esplicita disposizione di legge, « agli accessori delle imposte di registro e nemmeno alle sopratasse, nonostante il loro carattere civile di risarcimento danni per il mancato o ritardato pagamento ».

ture, comprensivo dell’ indennità di mora, deve essere pagato sul prezzo del beni venduti, con preferenza su quelli ipotecari, ed 11 successivo art. 66, nel disciplinare il pagamento in sede esecutiva, • implicitamente menziona la in­ dennità di mora tra « gli accessori ».

Da ultimo è veramente significativo il rilievo esegetico desunto dagli arti­ coli 48 e 49 t.u. 14 settembre 1931, n. 1175 nei quali, in tema di imposte di con­ sumo, l ’estensione del privilegio è espressamente stabilita dal legislatore. E poi­ ché non vi è motivo che giustifichi una simile diversità di disciplina, è ragione­ vole ritenere che la norma della finanza locale abbia inteso estendere anche ai tributi, che non si riscuotono con il sistema dei ruoli, un principio di diritto, tradizionalemente riconosciuto per le imposte riscuotibili mediante ruoli.

Le considerazioni ed i rilievi che precedono trovano puntuale applicazione anche per quanto riguarda la estensione del privilegio alla sopratassa, ove pure si tenga presente che le leggi tributarie sono non di rado imprecise quanto alla qualificazione giuridica dei vari istituti, sicché molto spesso alla diversità dei nomi non sempre corrisponde una sostanziale effettiva differenza funzio­ nale. La sopratassa, invero, nettamente si distingue dal complesso e dalle altre sanzioni previste dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 e costituisce invece un au­ mento del tributo, determinato in misura fissa, al fine precipuo di rendere in­ denne l ’Erario per l ’omissione o il ritardo nell’ adempimento. Sotto questo ri­ flesso é comune in dottrina l’equiparazione tra indennità di mora e sopratassa la quale, pertanto, viene anch’essa ricondotta nella nozione civilistica di inte­ ressi moratori o in quella di obbligazione risarcitoria, correlativa al dovere pri­ mario di adempimento, ma pur sempre originata dalla medesima causa de­

bendi. La stessa identità di denominazione rende palese l ’intima connessione

tra tassa e sopratassa ed in conseguenza l ’estensione del privilegio trova giu­ stificazione per tutte le ragioni sopra svolte. (Omissis).

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sopratassa e al fine specifico cui tende, sia a volerla ricondurre nella nozione di obbligazione risarcitoria, sia a volerla considerare obbliga­ zione accessoria a quella principale avente lo stesso scopo degli inte­ ressi moratori (26).

Giuseppe Greco

A vvocato in Rossano

(26) La sopratassa o la multa veniva considerata dal Pacifici-Mazzonicome un aumento del tributo, per tenere indenne l ’Erario del danno derivante dalla mora del debitore e per assicurare il pagamento del tributo stesso, concorrendo quindi alla ragione della concessione di questo privilegio allo Stato (Pacifici- Mazzoni, Trattato dei privilegi e delle ipoteche, voi. I, n. 36); v. pure E. Bian ch i. Dei privilegi, Napoli, 1924, n. 149 e nn. 176 e 438 sul rilievo, in par­

ticolare, che la multa o sopratassa non costituisce propriamente un debito spe­ ciale, facendo parte integrante del tributo e concretandosi in un aumento del tributo medesimo costituente con il tributo un debito solo, inseparabile nei modi esecutivi e derivante ipso jure per la incorsa morosità e per una ragione d’indennità relativa.

TRIBUNALE DI MILANO, 2 febbraio 1956.

Registro Società per azioni Aumento di capitale Sopraprezzo sulle azioni -Assoggettabilità ad imposta.

E soggetto ad imposta di registro, come aumento di capitale il sopraprezzo percepito oltre al valore nominale delle azioni emesse in aumento di capitale (1).

Il Tribunale, ecc. — Assume la Società A.n.i.c. che le somme da lei perce­ pite oltre al valore nominale delle azioni emesse in aumento del capitale, non possono a loro volta, essere soggette alTimposta di cui all’art. 85, all. A, R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3269, secondo il quale è dovuta la imposta propor­ zionale di registro sullo « aumento di capitale in società già costituite ».

Deduce al riguardo che, mentre il sopraprezzo azionario ha natura, fiscal­ mente sancita, di reddito esente da ricchezza mobile, in virtù della legge 15 ottobre 1925, n. 1802, oggetto dell’imposizione da parte deli’art. 81 sono esclusi­ vamente i conferimenti in senso tecnico che, attribuendo ai soci diritti di parte­ cipazione sociale, entrano a far parte del capitale sociale, e non solamente del patrimonio della società. Invece il sopraprezzo non è un conferimento, nè dal lato della società, perchè per sua natura non può essere imputabile al capi­ tale sociale; nè dal lato del socio che, in relazione ad esso, non può vantare diritto a dividendo o altri corrispettivi. Soggiunge che, in ogni caso, dall’impo- nibile, in base al quale l ’Amministrazione ha liquidato il contributo, deve essere detratto l ’importo delle somme da essa società riscosse per rimborso della spesa

(1) Il sopraprezzo azionario e l’ imposta di registro.

La pregevole sentenza è limpidamente motivata e merita una ade­ guata annotazione.

Il Tribunale di Milano con la sentenza del 2 febbraio 1956, ha do­ vuto decidere se le somme percepite da una Società oltre al valore no­ minale delle azioni emesse, possano a loro volta essere assoggettate alla imposta di registro, in applicazione dell’art. 85 della tariffa A annessa alla legge organica del 30 dicembre 1923, n. 3269, che contempla gli aumenti di capitale in Società già costituite, dovendo il sopraprezzo considerarsi aumento di capitale.

Il Tribunale ha risposto affermativamente.

Per ciò decidere ha dovuto soffermarsi sulla natura giuridica del sopraprezzo a norma della vigente legislazione e cioè se esso costituisca un incremento del patrimonio sociale.

Ed il Tribunale, riferendosi all’art. 2430 del vigente Codice Civile, ha affermato che il sopraprezzo costituisce un incremento del patrimo­ nio e non un reddito e che ricorre conseguentemente l’applicazione dei­ pari. 85 della tariffa A annessa alla legge di registro.

La quistione è nuova agli effetti della imposta di registro, mentre, sotto l’impero dell’abrogato codice di commercio, che non conteneva le disposizioni di cui' all’art. 2430 del vigente Codice Civile, essa dette luogo, per quanto attiene alla imposta di R.M., a contrastanti

discus-sostenuta per effetto dell’emissione delle azioni; somme che costituendo una semplice partita di giro, non possono formare oggetto del tributo, di cui è lite.

L’opposizione è infondata.

а) Come si evince dall’art. 2430 cod. eiv. le somme percepite dalla società per 1’emissione di azioni a prezzo superiore al loro valore nominale, costitui­ scono un sopraprezzo azionario, e tale sopraprezzo, quale che possa esserne la causa e la giustificazione nei confronti dei soci, è tassabile con l ’imposta di registro.

б) In proposito, non giova all’attrice far richiamo alla pretesa defini­ zione in ordine alla natura giuridica, ai fini fiscali, del sopraprezzo azionario, desumibile, come asserisce, dalla legge 15 ottobre 1925, n. 1802, e secondo la quale sarebbe un reddito.

In contrario, deve osservarsi : che il sopraprezzo come è noto, è costi­ tuito, teoricamente, dalla differenza fra il valore reale e quello nominale delle azioni, sulla presupposta corrispondente eccedenza attiva del patrimonio sociale rispetto al capitale sociale, statutariamente dichiarato a norma dell’art. 2328, e per riflesso della quale le azioni fanno premio sul valore nominale menzio­ nato nel titolo. In tal caso, come nella specie, partecipando all’aumento di ca­ pitale, attraverso la sottoscrizione delle azioni al valore nominale, il socio verrebbe a beneficiare, senza onere, di un vantaggio patrimoniale maggiore della effettiva partecipazione sociale, rappresentata dal valore nominale delle azioni, se non venisse chiamato a corrispondere tale differenza, sotto forma di premio sulle stesse. Inerendo tale premio al valore reale delle azioni, rapportabile al patrimonio sociale netto, non può essere imputato al capitale sociale, men­ zionato dallo statuto, che, invece, deve corrispondere alla somma del valore sioni, prevalendo però il concetto che il sopraprezzo è da considerarsi come estraneo ai redditi di capitale e, come tale, esente dalla imposta di E.M.

L’affermazione del Tribunale di Milano, per quanto attiene alla im­ posta di registro, deve ritenersi improntata alla più corretta osservanza delle norme giuridiche in vigore e non si può che riconoscere piena­ mente fondate le convincenti considerazioni svolte nella elaborata sen­

tenza. !

TI Tribunale, riportandosi all’art. 2430 del C.C., a conferma del proprio assunto circa la natura giuridica del sopraprezzo, giustamente osserva che se esso non dovesse considerarsi un conferimento che incre­ menta il patrimonio sociale, sarebbe inspiegabile l’assoggettamento del sopràprezzo stesso alla riserva legale, che deve essere ricostruita rap­ portandola al modificato ammontare del capitale sociale. Ciò che lascia indubbiamente presupporre che il sopraprezzo costituisce un incremento del patrimonio sociale e non un reddito. Se di reddito si trattasse, esso andrebbe distribuito ai soci.

Nella dottrina si è concordi nell’ammettere che il sopraprezzo co­ stituisce aumento patrimoniale.

Il Brunetti (1), scrive: «un’altra innovazione del Codice è quella (1) D iritto d elle so cietà , 1948, II, 486.

nominale delle azioni, che, a loro volta, a norma dell’art. 2348, sono tutte dello stesso ammontare ed attributive, ai loro possessori, di uguali diritti.

In ordine alla natura giuridica del sopraprezzo azionario, erano partico­ larmente fervide le discussioni sotto l ’impero dell’abrogato codice di commercio che, al riguardo, non conteneva alcuna disposizione Si disputava, invero, con riferimento all’ art. 30 della legge organica di r.m. (T.TJ. 24 agosto 1877, n. 4021), se costituisse un incremento patrimoniale da iscriversi nella riserva legale o in un fondo speciale, oppure un reddito imponibile con r.m. (Sez. unite 10 feb­ braio 1910, F o r o it., 1910, 1, 1189).

Autorevolmente, nel primo senso, sì esprimeva il progetto del codice di commercio del 1925, considerando, all’art. 244, che le somme percepite dalla so­ cietà sulle azioni emesse alla costituzione o successivamente, « non costitui­ scono utili ». In armonia con tale autorevole opinione, poco dopo il legislatore fiscale, modificando i criteri fino allora seguiti emanava l ’anzidetta legge 15 ot­ tobre 1925, n. 1802, invocata dall’attrice, con la quale disponevasi che il sopra- prezzo realizzato dalla società per la vendita di azioni ad un prezzo superiore al valore nominale « è esente da r.m. ».

In particolare, la occa sio legis, ancor più efficacemente della interpreta­ zione sistematica, dissipa il dubbio, legittimato dall’infelice formulazione della norma, chiarendo che tale esenzione non costituisce, come assume l ’attrice, una agevolezza per un reddito tassabile, ma la più sicura individuazione della na­ tura giuridica del sovraprezzo azionario che ne rivela l ’estraneità dai redditi di capitale.

Infatti, il già citato art. 2430, col sottoporre la distribuibilità delle somme, percepite dalla società per remissione di azioni oltre il loro valore nominale,

« dell’art. 2430. La riserva legale si forma non solamente con l’accanto- «namento di una quota degli utili netti annuali, ma altresì con l’ac- « cantonamento del sopraprezzo delle azioni, sia di prima che di suc- « cessiva emissione.

« Inteso il sopraprezzo come diiferenza tra il valore nominale e « quello di emissione delle azioni, non derivando da una operazione di « gestione, esso non costituisce reddito, ma è una quota ideale del capi- « tale netto.

«Nella dottrina — scrive l’Onida — prevale ormai la corretta opi- « nione che il sopraprezzo delle azioni abbia la natura di capitale ».

È rilevante quanto ancora è riferito dal Tré nel commentario del Codice Civile a cura di Scialoia e Branca (2).

Ivi è autorevolmente soggiunto:

« Sotto l’impero del Codice di Commercio del 1882, che non conte- «neva alcuna disposizione, si è a lungo discusso per stabilire la na- « tura del sopraprezzo per stabilire cioè, specialmente agli effetti tri- « butari, se il sopraprezzo fosse utile, o fosse invece un aumento pa- « trimoniale.

« L’articolo in esame (il 2430 del C.C.) ha implicitamente risolto in (2) Libro V, D el L a v o ro - S ocietà p e r azioni, 1951, 525.

alla integrale ricostituzione della riserva legale, presuppone che il sopraprezzo è un conferimento che incrementa il patrimonio sociale, e non un reddito. Di­ versamente opinando, atteso che il reddito è essenzialmente caratterizzato dalla distribuibilità al soci, non si spiegherebbe l ’ assoggettamento del sovraprezzo al regime della riserva legale ed il vincolo di esso a garanzia, a favore dei terzi contraenti, oltre il capitale sociale ed in unione con la riserva legale, e fino nirintegrale ricostituzione di questa, rapportata al modificato ammontare del capitale sociale medesimo. Al riguardo infatti è da osservare, che conferimento In senso lato è qualsiasi prestazione economicamente apprezzabile del socio diretta a dotare la società di beni patrimoniali.

Fermo che il sopraprezzo azionario ha natura di conferimento, non può dubitarsi che il verbale delle deliberazioni assemblear! di aunfento del capitale sociale della Soc. A.n.l.c. è tassabile oltre che per la già scontata imposta sul valore nominale delle azioni, anche in rapporto all’eccedenza di tale valore, che, unitamente al valore nominale, costituisce pertanto la vera base imponibile.

L ’imposta è dovuta ai sensi del più volte menzionato art. 85, applicato dall’Ufficio, in sede di revisione, e senza bisogno di fare ricorso all’art. 81 o all’art. 28 della succitata tariffa, come è stato altresì sostenuto in giudizio.

L ’obiezione della Soc. A.n.i.c., secondo cui il conferimento rilevante ai sensi dell’art. 85 è quello che aumenta il capitale statutario e, nel contempo, è attributivo al conferente di diritti di socio, è contraria tanto alla norma in esame, quanto alla disciplina della struttura di società di capitali, a cui tale assunto vorrebbe applicarsi.

Infatti l ’ art. 85 della tariffa, con disposizione di carattere generale, ap­ plicabile a tutti i tipi societari, e non limitabile alle società di capitali, sotto­ pone ad imposta « l ’aumento di capitale in società già costituite » completando il regime tributario, rispetto alla imposta di registro, delle società in genere, di cui all’ art. 81, e l ’altra norma, secondo la quale invero sono tassabili « le

co-« modo corretto la quistione, riconoscendo che il sopraprezzo costitui- « sce un accrescimento immediato del patrimonio : il che vai quanto dire « che il sopraprezzo non è un utile ma partecipa piuttosto della natura «dei conferimenti effettuati dai Soci».

Come si è osservato: già prima dell’attuazione del nuovo C.C., sotto l’impero del Codice di Commercio, la quistione del sopraprezzo venne trattata in rapporto alla imponibilità o meno agli effetti della imposta di R.M. considerandolo cioè reddito.

Fin da allora la migliore dottrina, in contrasto con la giurispru­ denza della Cassazione, si era orientata nel senso che il sopraprezzo non costituisce un reddito, ma una quota di capitale e come tale esente dalla imposta di R.M.

Lo Scialoia (3) scriveva : « il sopraprezzo o premio corrisponde, al- «meno teoricamente, alla differenza tra il valore attuale effettivo della

(3) Gli aumenti di capitale nelle società per azioni e l’ imposta di R. i l ., Riv. Dir. Comm., 1907, X, 568.

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stituzioni e fusioni di società di qualsiasi specie », mediante « conferimento » dei beni, servizi e godimenti elencati in calce all’articolo stesso.

Dall’esame unitario delle due riportate disposizioni si evince che oggetto dell’imposizione tributaria sono i conferimenti iniziali o successivi che rispetti­ vamente costituiscono o che incrementano, comunque, la dotazione patrimoniale della società. Consegue che le due disposizioni contemplano il medesimo pre­ supposto di fatto, salvo tassarlo in relazione al diverso momento in cui lo stesso venga posto in essere.

La pretesa condizione, per la tassazione, che l ’incremento patrimoniale trovi riflesso in un corrispondente aumento del capitale sociale inteso come capitale statutario, è quindi estranea al contenuto ed alla ra tio della norma dell’ art. 85 fin qui esaminata.

D ’ altra parte la correlazione « conferimento-aumento di capitale sociale », a cui l ’ attrice si richiama, nell’ordinamento delle società cosiddette di capitali, è preposta a fini ben diversi da quelli rilevati dall’attrice; per sottrarsi al tri­ buto di cui è lite. In tali società, nelle quali la responsabilità dei soci è limi­ tata al valore dei conferimenti, cui è commisurata, altresì, la partecipazione societaria dei singoli soci, è prescritto dall’ art. 2328, che il complesso di tale valore sia menzionato nell’atto costitutivo e, pertanto, non è modificabile se non con lo stesso. Orbene, tale norma è dettata essenzialmente a favore dei terzi ed infatti, rispetto alla società, non sussiste alcuna contrapposizione fra capitale sociale menzionato nello statuto e patrimonio sociale, poiché, come nella specie, la Soc. A.n.i.c. è persona giuridica, e come tale, titolare di tutti i rapporti patrimoniali attivi e passivi che fanno capo a lei stessa, fra i quali ultimi saliente è anche il debito nei confronti dei suoi stessi soci per i confe­ rimenti iniziali e successivi da essi effettuati a titolo sociale, ossia rilevanti pel capitale statutario.

Pertanto, la distinzione fra capitale sociale e patrimonio sociale acquista